Dedica: Questa parte la dedico a Silvia, che l'aspettava con ansia, a Ecas, che come me si chiede dov'è il problema, e a chi non capisce, in un senso e nell'altro, per un motivo o per l'altro.

 


Niente di male

parte 3

di bluejusttooblue

 

Kaede non capisce.

"La sospensione avrà effetto da oggi. Fra cinque giorni potrà tornare a scuola," il preside gli comunica in un tono che non ammette repliche.
"Per i tre mesi successivi al suo ritorno si occuperà di riordinare la sua classe alla fine delle lezioni. Inoltre, abbiamo deciso di sospenderla a tempo indeterminato dalle attività extrascolastiche," aggiunge, sfogliando il fascicolo studentesco di Kaede. "Il che, nel suo caso, si traduce con la revoca della sua partecipazione alle attività del club di basket di questo liceo fino a nuovo ordine."

Kaede non dice niente. Non riesce nemmeno a pensare.

"E' tutto chiaro?"

Deve sforzarsi per rispondere, nonostante non abbia troppe parole fra cui scegliere.

"Si, signore."

"Ciò che ha fatto è assolutamente riprovevole, se ne rende conto?"

No, Kaede non se ne rende conto. Come non si era reso conto di quello che Daniel intendeva quando gli aveva detto "Vieni con me. C'è una cosa che devo dirti e non posso farlo qui." O degli occhi che li guardavano quando Daniel gli aveva sfiorato le labbra con le sue.

"Si, signore."

"Lei ci ha costretti a prendere misure mai adottate prima. Con sommo rammarico ci troviamo a dover a dare l'esempio. Questo è un istituto rispettabile e il suo comportamento inappropriato ha rischiato di comprometterne la reputazione. Le ricordo quindi che da ora in poi verrà osservato con attenzione, tanto dai professori quanto dai prefetti, i quali riferiranno direttamente a me. In base alle loro considerazioni sul suo comportamento futuro verrà deciso o meno un suo eventuale reinserimento nelle attività extrascolastiche." Il preside aggiunge. "E a questo proposito vorrei parlare con i suoi genitori. Quando pensa che possa essere disponibile suo padre per un incontro?"

"Mio padre si trova all'estero per lavoro. Non tornerà prima di sei mesi."

"E sua madre?"

"Non -" Kaede dice. "Non c'è."

"Non c'è nel senso che anche lei fuori per lavoro?"

"No. Non c'è nel senso che se n'è andata."

Il preside non dice niente. Si limita a schioccare la lingua contro il palato e a distogliere il proprio sguardo da quello impenetrabile di Kaede.

"Mi aspetto comunque di vedere suo padre non appena rientrerà dal suo viaggio. E ora può andare."

*

La rabbia sale solo più tardi, mentre cammina verso casa. Sale come la marea, inesorabile. Gli riempie i polmoni, la gola. Lo soffoca.

Quando arriva al cancello impiega qualche minuto prima di riuscire a infilare la chiave nella serratura. Le mani gli tremano e non riesce a farle smettere.

Quando arriva alla porta cerca di risparmiare tempo stringendo il polso della mano destra nella sinistra, così forte che le ossa sembrano quasi sfregare una contro l'altra sotto la pelle.

La porta si apre e Kaede scivola in casa, fra le ombre e il silenzio che lo accompagnano sempre. Si sfila le scarpe e cammina per il corridoio. E poi improvvisamente si ferma e si sdraia lì, nell'ingresso. Non ha voglia di andare in camera sua: vuole solo smettere di pensare, chiudere gli occhi, e per farlo crede vada bene qualsiasi posto.

E allora va bene anche lì, sul parquet lucido, freddo e liscio contro la sua guancia, dove Kaede rimane raggomitolato su un fianco e tutto concentrato nel semplice atto di respirare.

Dentro e fuori. Dentro e fuori. Dentro e fuori.

Finché non ottiene quello che vuole: smettere di tremare, smettere di sentire male, smettere di sentirsi soffocare.

E smettere di chiedersi perché.

*

"Pulisci la lavagna, i banchi e la cattedra. Tiri su le sedie, spazzi per terra e poi passi lo straccio. Rimetti tutto nell'armadietto, chiudi la porta dell'aula a chiave e quando vai via la lasci a me."

Kaede non dice nulla. Sukidara fa una smorfia che forse vorrebbe essere un sorriso, forse no.

“Divertiti,” conclude lasciandolo solo.

Kaede è tornato a scuola dopo cinque giorni passati neanche lui sa come. Appena arrivato è stato convocato di nuovo dal preside, che voleva accertarsi della sua puntualità e ricordargli che l'indomani avrebbe dovuto rimuovere i suoi effetti personali dall'armadietto dello spogliatoio del club di basket.

Si chiede, mentre strofina via il gesso dalla lavagna, quanto a lungo riuscirà a sopportare. Non tanto le pulizie, le risatine, gli sguardi, i foglietti di insulti infilati nel suo armadietto e sotto il banco, gli sgambetti a mensa -

No.

Quello che lo preoccupa è il basket, la sua assenza. Giocare da solo in un campetto non è la stessa cosa. Non c'è sfida, non c'è tensione. Non c'è quello che gli serve.

E poi come farà la squadra ad accedere al campionato nazionale senza di lui? Lo Shohoku non ha mai avuto una buona panchina, troppo pochi studenti interessati alle attività del club.

Non ci voleva questo casino. Non ora che anche quell'idiota di Sakuragi è tornato e si è messo sotto seriamente con gli allenamenti. Kaede quasi sperava, leggendogli in faccia quella nuova determinazione, di poter impostare un nuovo tipo di gioco, più simile al sincretismo che avevano sviluppato quasi naturalmente durante il match con il Sannoh.

E ora, invece.

Ora niente, conclude, passando alla pulizia dei banchi. Si concentra su quello che deve fare. Pensare a quello che è successo non cambia il fatto che sia successo. Kaede non riesce davvero a capire. Non sa come fare a tirarsi fuori da questa situazione. Non ha nemmeno chiaro com'è che ci si è trovato, a parte che è stato punito perché è stato baciato.

E mentre ripensa a quel particolare momento, il momento che ha segnato l'inizio, o la fine, a seconda di come si voglia guardare la cosa, di tutto, è così perso dentro se stesso che non sente la porta della classe aprirsi dietro le sue spalle.

Sente però la spinta che lo manda a sbattere con l'anca contro il banco che stava pulendo, e sente ancor più preciso il dolore che si irradia da lì, perfetto, glorioso.

Kaede manda giù un respiro brusco e si volta. Quelli di terza sono lì. Sono quattro e sorridono, sbarrando la porta.

Kaede lascia andare lo straccio e si sposta leggermente a destra, lasciandosi spazio alle spalle. Non si sa mai.

"Chiudi la porta, Yamada," uno di quelli, il capo probabilmente, dice. L'altro obbedisce, mentre l'attenzione del primo torna a focalizzarsi su Kaede. "Così nessuno ci disturberà," aggiunge, fissandolo negli occhi.

Kaede non dice niente. Stringe i pugni e aspetta la prima mossa.

"Allora, Rukawa. Sai perché siamo qui?" quello di terza esordisce. "Perché noi crediamo che tu non abbia capito qual è il tuo posto nella società," spiega. "E questo è un male, perché in una società civile degna di questo nome ognuno deve conoscere il proprio posto e restarci," continua a fissare Kaede, mentre ad un cenno della sua mano gli altri si stringono a semicerchio intorno a lui, rendendo la fuga impossibile.

Kaede non pensa che questo sia un male. E' così carico che potrebbe scoppiare da un momento all'altro. E se quelli vogliono menare le mani - bene. Perfetto. Lui è pronto. Non vede l'ora.

"Siamo qui per aiutarti," quello di terza dice ancora, e basta la presupponenza nella sua voce a far salire il sangue alla testa di Kaede. "Sai qual è il posto per quelli come te, Rukawa?"

Ancora una volta Kaede non dice niente. L'altro fa un passo avanti.

"Rispondi," lo incalza.

"Vaffanculo."

Il ragazzo di terza resta interdetto per un momento, come se Kaede non avesse parlato ma gli avesse tirato un pugno. Poi scuote la testa e sorride.

"Risposta sbagliata."

Scatta in avanti, ma Kaede si abbassa, schiva il suo pugno e gliene pianta uno dritto alla bocca dello stomaco. E quando quello si piega a tenersi l'addome lo colpisce di nuovo, al volto. Il ragazzo perde l'equilibrio e cade contro un banco.

Dopo il frastuono tutto è silenzio. Kaede rimane immobile, in guardia, mentre gli altri fissano alternativamente lui e i loro capo, a terra, ansimante, con un labbro spaccato.

Kaede aspetta un loro attacco. Ma prima che riescano a decidersi sul da farsi la porta si apre.

E' Sukidara. Guarda Kaede, poi il ragazzo che si sta rialzando da terra e poi di nuovo Kaede.

"Allora? Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo qui dentro?"

"Questo piccolo bastardo -" comincia il ragazzo ferito.

"Ti ha steso," Sukidara interviene. "Quattro contro uno. Complimenti, Iwamura," commenta scuotendo la testa. Sospira. "Ma perché non riuscite mai a cavarvela da soli?"

Torna a guardare Kaede che osserva la scena come da troppo lontano. E' carico di adrenalina e non capisce che cosa stia succedendo, ma sente che c'è qualcosa che non va nel tono del prefetto, nel modo in cui lo guarda ora.

"Quanto a te," Sukidara gli dice, freddo. "Non sei nella posizione di fare l'eroe. Cosa credi che farebbe il preside se gli dicessi che hai colpito un tuo senpai?"

Kaede sgrana gli occhi ed improvvisamente è di nuovo lì, nella classe. E tutto diventa molto chiaro.

"Ora chiedi scusa."

Kaede resta immobile, come di sale. Sukidara non batte ciglio. Sanno entrambi che la partita si gioca ora, che ne verranno fuori un vincitore e un perdente e che il primo ne avrà guadagnato un potere praticamente immenso sul secondo.

Il momento sembra durare all'infinito.

Kaede pensa a cose come Conseguenze, Reputazione, Ingiustizia. Poi pensa al basket, a quello che significa per lui non poter più giocare. Gli si blocca il respiro al solo pensiero. Ed è allora che fa la sua scelta.

Abbassa i pugni, ingoia il suo orgoglio, china la testa e dice: "Scusa."

Sukidara non trattiene un sorriso di trionfo. Gli altri rimangono interdetti per un attimo invece, almeno fino a che non si rendono conto della situazione. E cioè che Kaede non può difendersi.

Quando questa nuova realtà prende forma i loro sguardi diventano famelici. Kaede serra i denti e si costringe a non indietreggiare.

"Allora, Iwamura. Credi che le scuse di Rukawa siano soddisfacenti?" Sukidara chiede.

"Oh, no. Non credo proprio. Dovrà sforzarsi di essere molto più convincente di così," risponde massaggiandosi la mandibola significativamente.

Sukidara alza le spalle, disinteressato: la sua battaglia l'ha già vinta.

"Solo una cosa. Ricordatevi che deve finire di pulire, dopo," dice, sorridendo verso Kaede. "Quindi cercate di non esagerare."

Iwamura sorride a sua volta.

"Cercheremo," assicura mentre il prefetto esce, chiudendosi la porta alle spalle. Poi torna a volgersi verso gli altri e sputa per terra, sangue e saliva.

Guarda Kaede.

"Tenetelo fermo."



*

continua...