Ciao a tutti!
Questa fic era stata pensata in origine per l'archivio Ysal. Insicura del
risultato però, ho deciso, prima di proporla qui, di provare a sentire un
po' di pareri in merito su EFP. Mi scuso quindi se qualcuno che l'ha già
letta lì dovesse imbattercisi di nuovo...
Disclaimer: i personaggi di "Slam Dunk!" appartengono ai legittimi
proprietari
Titolo: Niente di Male
Autore: bluejusttooblue
Serie: SlamDunk!
Pairing: Hanamichi Sakuragi x Kaede Rukawa
Rating: R
Sommario: Un bacio può cambiarti la vita. Completamente. Ma questo, a Kaede
Rukawa, non l'aveva mai detto nessuno.
Niente
di male
parte 1
di bluejusttooblue
Allora, Rukawa. Vuoi ancora
giocare basket?
Si. Voglio giocare.
Posso farlo, sai? Posso farti tornare a giocare.
Perché.
Perché cosa?
Perché mi stai aiutando.
Non ti sto aiutando. Ti sto proponendo un accordo.
Un accordo?
Si. Io faccio qualcosa per te e tu - tu fai qualcosa per me.
E cosa?
Tu cosa sei disposto a fare?
Qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa tu voglia.
Uno
Lo straniero non fa altro che fissarlo. Se ne sono accorti tutti. E
nonostante sia da poco tornato dal ritiro con la nazionale juniores e i suoi
pensieri siano ancora un po', come dire,
distanti da quanto accada nella palestra del liceo, alla fine se ne
accorge anche Kaede.
D'altra parte, come evitarlo? Lo straniero è sempre lì, sulla porta o sugli
spalti, sempre presente alle sessioni di allenamento dello Shohoku, gli
occhi, verdi, sempre attenti, sempre su di lui.
Alcuni sono incuriositi da quello strano comportamento. Altri infastiditi.
Kaede, invece, non ha sentimenti al riguardo. Il ragazzo non parla mai: non
cerca di attirare la sua attenzione come quelle pazze del suo fanclub, né lo
incoraggia come i compagni, né lo critica come Sakuragi.
Non fa assolutamente niente. A parte fissarlo, certo.
E forse se Kaede non fosse Kaede magari già da un pezzo lo avrebbe preso e
sbattuto contro un muro chiedendogli non troppo gentilmente cosa cazzo abbia
poi da fissare.
Ma Kaede è Kaede e neanche lui va famoso per la sua loquacità.
Quindi, quando Miyagi o Ayako gli fanno notare l'attenzione riservatagli dal
ragazzo biondo con una gomitata o con una risatina, lui si limita ad alzare
le spalle. E quando Sakuragi si lancia in battute malevole
sull'irresistibilità del fascino femminile di Kaede, quest'ultimo si limita
a ricordargli a monosillabi quello che è: un idiota.
A parte questo, Kaede non si preoccupa affatto dell'insolita situazione.
Perché dovrebbe? Del resto tutto procede come al solito: lo Shohoku si sta
preparando per il campionato nazionale, la scuola è iniziata da meno di un
mese, la primavera è più calda rispetto all'anno passato e Kaede –
Kaede si limita a dividere equamente le sue giornate fra lunghi allenamenti
e lunghi sonni, ignaro del baratro verso cui la sua vita si sta dirigendo,
con passo leggero ma inesorabile.
*
Salta ed è come se non dovesse più tornare giù, come se potesse volare. E’
una sensazione che lo invade, sempre, indipendentemente dalla stanchezza e
dall'esito della partita. Improvvisamente gli torna in mente il salto che
aveva spiccato durante l'ultima manciata di secondi prima della fine della
partita contro il Sannoh, prima di passare a Sakuragi.
Schiaccia. L'anello arrugginito del canestro del campetto dietro casa si
adatta perfettamente al palmo della sua mano. Lo stringe leggermente
rallentando l'atterraggio mentre la palla schizza via sul cemento crepato e
finisce sulla striscia di prato incolto che lo costeggia.
"Bravo."
Kaede si gira quasi di scatto e quasi si aspetta di vedere un allibito
Sakuragi che viene a cercare la sua mano per battere cinque. E invece si
trova faccia a faccia con lo straniero, che stringe la sua palla fra le
mani, ma che non sembra avere intenzione di restituirgliela.
Infastidito dall'intrusione, resta indeciso un istante se strappargliela di
mano o meno. Ma poi, inaspettatamente, quello sorride e dice:
"Corri."
E Kaede lo guarda lanciare la palla in alto, molto in alto, e resta un
attimo interdetto prima di avvertire il fruscio accanto a sé. L'altro è
scattato, come Sawakita quando ancora si credeva invincibile.
E d'istinto scatta anche Kaede, come era scattato all’inseguimento dell'asso
del Sannoh.
Lo straniero è leggermente più piccolo, ma è veloce e Kaede è in ritardo di
una frazione di secondo. Lo vede agguantare la palla appena dopo il rimbalzo
e saltare. E in quell'istante Kaede capisce che anche lo straniero sa cosa
voglia dire volare. Rimane fermo a guardare il modo in cui la palla si
stacca dalle mani e si infila nel canestro, facilmente, come se seguisse una
sua naturale inclinazione, mentre l'altro atterra piegandosi sulle ginocchia
fino quasi a sfiorare terra con una mano.
"Non ci hai neanche provato," dice.
Kaede rimane in silenzio.
"Comunque io sono Daniel," continua imperterrito, scansando una ciocca di
capelli dalla fronte e tendendo una mano. "E tu sei Kaede, giusto?"
"Rukawa," Kaede corregge automaticamente, ignorando il gesto dell'altro.
"Dove hai imparato a giocare?"
Daniel scrolla le spalle con facilità alla sua scortesia, si infila le mani
nelle tasche dei jeans sdruciti e gli sorride lo stesso, caldo e sfacciato,
prima di rispondere.
"In un campetto come questo, sotto casa," lo guarda negli occhi, e Kaede si
trova a pensare che pochi lo hanno mai fatto. "A Boston."
"Sei americano?" Kaede è stupito, e
non si preoccupa di nasconderlo: altra cosa che gli capita di rado. Qualcun
altro si sarebbe preoccupato alla sua reazione. Daniel invece sembra solo
divertito.
"Yeah. One on one, Kaede?" lo sfida,
ironico. E sorride. Di nuovo.
*
Se quel giorno Kaede avesse avuto anche solo la più pallida idea di dove a
lungo andare Daniel lo avrebbe portato a insaputa di entrambi, sarebbe
fuggito il più lontano possibile da lui.
Forse.
E forse no.
Perché sembra proprio che quel giorno abbia rotto un ghiaccio vecchio di
anni e una cosa del genere a Kaede non era mai successa prima se non, si
sente costretto ad ammettere suo malgrado, con quella testa calda di
Sakuragi.
E così, senza starci a pensare più di tanto, con Daniel prendono ad
incontrarsi spesso. Forse troppo spesso. E forse se Kaede si fermasse a
riflettere, anche solo un istante, potrebbe rendersi conto di qual'è la
direzione che stanno prendendo, quanto brutta la piega.
Ma Kaede non vuole fermarsi, vuole correre. Non vuole riflettere, vuole
giocare e sentire Daniel imprecare in quella sua lingua straniera e morbida
quando riesce ad eludere la sua marcatura e schiacciare a canestro. Vuole
sentirlo parlare del suo paese, del motivo per cui è lì ora, perché lo
fissava e soprattutto perché continua a fissarlo.
Giocano per ore e parlano per ore, in un modo che può funzionare solo tra
loro, perché è quasi sempre e solo Daniel a parlare. E quando parla, Kaede
crede di sentirla l'America. E quando è con lui, molte cose passano in
secondo piano. E solo più tardi, quando sarà troppo tardi capirà che non
avrebbe dovuto lasciar correre.
Come quando, camminando insieme, Daniel lo chiama per nome e gli sorride e
gli passa un braccio intorno alle spalle e il mondo li fissa morbosamente e
Kaede non se ne cura.
Come quando Daniel gli dice "mi sei piaciuto dal primo momento che ti ho
visto" e Kaede non si sforza di leggere nessun ulteriore significato dietro
a quelle parole e invece si trova a pensare, ingenuo, anche tu.
Come quando dopo una sfida particolarmente stancante Daniel si siede sotto
il vecchio ciliegio nel parco, la schiena appoggiata contro il tronco e fa
segno a Kaede di unirsi a lui e Kaede finisce per sdraiarsi e appoggiargli
la testa in grembo mentre Daniel gli racconta di casa sua e gli scosta una
ciocca di capelli sudati dalla fronte.
Prima di Daniel Kaede aveva solo il basket. Gli altri lo trovavano strano,
ma andava bene così. Adesso Kaede ha Daniel e il basket. Che per lui sono la
stessa cosa. Ma gli altri non si preoccupano di cosa passa per la sua testa.
Gli altri si preoccupano del fatto che Kaede è un ragazzo e Daniel pure. E
che questo non va bene.
Non va bene per niente.
*
continua...
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