NOTE: E’ ilseguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)




Neve e ghiaccio

parte XX

di Dhely


Che rumore fa un’alba?


Non era un’alba, quella. Era solo una mattina, senza nessun posto dove dover andare, senza la necessità di correre via.


Niente, nessun colore, nessuna immagine.


Solo la sensazione delle lenzuola bianche, addosso, il tepore che si avvolgeva intorno ai corpi, come una pianta rampicante nel rigoglio fiorente degli inizi della primavera
. Un calore che era proprio, e  che insieme, era figlio di una lunga notte, fredda, in cui in cielo avrebbero potuto brillare schegge di ghiaccio e sulla terra cantare al vento sinuose colonne di brina, eppure due corpi bastavano a tenere acceso un fuoco che non si sarebbe mai potuto spegnere.


Era una mattina?


Era solo un risveglio.


Chiunque aveva avuto risvegli nella sua vita. Anche chi non andava a dormire che a notte inoltrata. Anche chi si svegliava dopo due ore scarse di sonno. Anche chi avrebbe potuto vivere l’infinito ad ogni respiro.


Non si ricordava di aver mai vissuto un risveglio così. Non aveva *mai* avuto un risveglio simile: un sapore di quel tipo sotto le palpebre, un profumo simile scivolatogli tra la pelle e il fiato.


Pietro aveva avuto tanti, tantissimi risvegli, ma non ricordava nulla che si potesse paragonare a quello. Non aveva mai avuto *niente * di simile.


La cosa avrebbe forse dovuto creargli stupore, ma lo stupirsi, ora, avrebbe cancellato la placida, assoluta tranquillità in cui era calato e non lo voleva. Avrebbe quasi voluto potersi lamentare, per la stanchezza, per il peso che si era portato addosso e che gli aveva lasciato segni lividi sull’anima, ma sarebbe stato inutile, e sciocco.


E
Pietro, più di tutto, odiava essere sciocco.


I lividi erano fatti per essere riassorbiti, le ferite per rimarginarsi, e le cicatrici..


Socchiuse un occhio, appena. Sentì il tocco di un’altra pelle, che era stata la *sua pelle* per una notte intera, sul dorso delle mani, a seguire linee e contorni irregolari e frastagliati, il bordo come di un’isola dalla consistenza traslucida, più pallida del resto, quasi. La sentiva, Pietro, sensibile, sensibilissima al minimo fiato di vento, ma quello non gli dava fastidio.


Il fiato di Jean Paul, il suo tocco. Tutto quello che con un contatto poteva venire espresso. Forse Jean Paul era l’unico che potesse davvero comprendere quanti stimoli sensoriali separati e distinti si potevano percepire quando si viveva a una velocità superiore alla norma: quando un bacio durava un anno e un tocco millenni, quando tutto, ogni singolo respiro poteva diventare infinito, dilatarsi al di là dello spazio e del tempo, ogni millesimo di millimetro, ogni pressione, anche la più impercettibile, diveniva un segnale chiaro, che si poteva cogliere, che si vedeva, che si provava, che si decodificava, interpretava. E aveva un senso.


Tutto, con Jean Paul, aveva un senso, perché Pietro sentiva, vedeva, toccava un significato in ogni cosa. E Jean Paul, molto spesso, faceva qualsiasi cosa consapevolmente.


Guardò gli occhi grigi di Jean Paul e si lasciò scappare un sorriso, che rispecchiava quello dell’altro.


“Non volevo svegliarti.”


Sfregò la fronte contro il cuscino, si schermò gli occhi con la curva nuda del braccio, un misto di strano pudore, come se la vera nudità non fosse nel corpo e falso fastidio. Un gioco appena abbozzato, qualcosa che conoscevano solo loro due.


Un gioco?


Un.. segnale.


Sì. Un legame che non si poteva dire.


Uno sguardo e un tocco che non avevano un significato razionale, o almeno, difficilmente razionalizzabile
.


Andava bene così: entrambi avevano passato la loro vita ad analizzare, portare a galla, far rivivere, spiegare e rispiegarsi i motivi, le azioni, il destino, il tempo.. tutto. Ora nulla di tutto quello aveva più un senso.


Ora non importava più se Pietro si fosse meritato *davvero* quel trattamento da suo padre, se Jean Paul si fosse cercato la sua prigionia, se quello che era accaduto era ‘scritto’ o era solo stato causato da una loro *colpa *.


Non c’erano più colpe, né punizioni, non c’era nulla del genere.


Di certe cose era rimasto solo il ricordo sbiadito, un pupazzo di neve che si prepari ad affrontare l’arrivo di una primavera, pronto a rimanere lì come immagine stampata nella memoria dei bambini quando, sotto il solleone sogneranno una granita, ma null’altro. E se era, e rimaneva, vero che per chi poteva vivere un istante come se fosse stato una vita, una tortura di giorni scavava qualcosa dentro di inenarrabile, tortuosi sentieri così oscuri e profondi, insanguinati di ricordi terrorizzanti, taglienti come lame, al punto da strapparti il cuore dal costato e amputarti ogni sentimento potesse provare a nascere in quel vuoto che era rimasto, come unico compagno, era pur vero che a volte la notte terminava. Che non poteva essere inverno per sempre, che il ghiaccio diventava acqua e sgocciolava lentamente, portando via la sporcizia, il lordume, il sangue secco, le lacrime non versate, le parole dette, pensate, le azioni patite e quelle commesse.


“Non preoccuparti.”


Si stupì nel sentirsi sussurrare: quello non era mai stato un tono che aveva sentito proprio. Eppure, ora, era lì, arrotolato appena sulla punta della lingua, e aveva un buon sapore, e dava una bella sensazione addosso.


Come la mano di Jean Paul  che gli sfiorava la pelle, il polso e poi ritornava lì, sul dorso, come se da esso fosse affascinato, come se non riuscisse a staccare gli occhi, e l’attenzione.


“Mon Dieu, che belle mani che hai..


In un altro tempo, in un altro momento, l’avrebbe preso come un insulto, e all’insulto avrebbe reagito: arrogante, stizzito, nervoso, freddissimo.


Quel tempo, però, non era ‘ora’.


Non era ‘lì’.


E
sicuramente non era ‘con Jean Paul’.


Prese un lungo, lento respiro tranquillo, profondo, che gli scivolò giù fino a lambire il diaframma e mosse le dita. Lentamente, delicatamente.


L’aria luminosa intorno a loro parve essere lì solo per rendere più manifesto quel danzare senza suoni, quel movimento elastico ed aggraziato, quello splendore elegante che niente avrebbe potuto fare a pezzi.


Le dita si aprirono, sfiorarono le dita, s’intrecciarono a quelle di Jean Paul e ad esse si strinsero appena. Un cenno leggero, un lambirsi profondo, che sottolineava un legame, un essere lì uniti, solo tramite quello.


Una mano nella mano.


Le dita tra le dita.


Non c’erano più ferite, cicatrici, ricordi. Non c’era più un tempo da misurare, il ticchettio di orologi o il risuonare frenetico del battito di un cuore solitario che pompi in mezzo al silenzio più assoluto, nel vuoto, nel senza senso.


Pietro chiuse gli occhi.


Lasciò che tutto si dilatasse e che, insieme, gli si stringesse addosso come un abbraccio tiepido.


Era sempre stato affascinato dalla neve, dal gelo, proprio come da sempre aveva desiderato il caldo: e da sempre aveva maledetto la sua carnagione troppo bianca, per la quale stare sdraiato troppo al sole era solo una tortura posticipata. Aveva sempre assaporato golosamente la sensazione dei raggi del sole che trapassavano la pelle, per tuffarsi nella carne, per infiggersi nelle ossa, bianche e fredde, e sciogliere tutti i grumi che pareva portarsi dentro, e far fiorire ciò che poteva ancora portare frutto.


Ora, amava il tepore gentile che era quasi tattile e mobile, che lo prendeva da ogni parte ed era un po’ come affogare in un mare caldo, tropicale e denso. Ora era poter soffocare in esso, ora era morirci, lì, e risvegliarsi sempre, ogni mattina, in un nuovo abbraccio, in un calore che era sempre quello, ed era sempre per lui, e..


Assecondò il movimento di Jean Paul, gli permise di passargli un braccio sotto il capo, per poi spingerlo a girarsi, la pelle contro la pelle, la schiena appoggiata al suo petto, le labbra che gli sfioravano la pelle della nuca e lo facevano rabbrividire, tra un sorriso e l’altro, e le mani sempre strette, e un braccio a tenerlo per la vita, possesso e desiderio insieme e calore, calore ancora, sempre, senza fine..

___

 

Una mano posata sul fianco nudo, bianco, che cantava di tepore e lieve malizia, di piacere e un sorriso soffocato appena in fondo alla gola. L’altra a trattenere, immobile e morbida, un’altra mano, più candida della propria, dalle dita più sottili, dal palmo più affusolato.

 

Jean Paul aveva avuto.. non sapeva neppure lui dire *quanti* avevano diviso un letto con lui. Senza contare quelli con cui aveva fatto sesso, ma *non* in un letto, ovviamente..

 

Nonostante questo, nonostante tutto, aveva sempre avuto un debole per le mani. Qualcuno avrebbe potuto dire che era solo un feticista: niente di male, dal suo personalissimo punto di vista. A lui non piacevano le donne, eppure di alcune di loro aveva *amato* le mani, il modo in cui solcavano l’aria a sottolineare il suono di alcune parole, l’eleganza, la leggerezza.

 

Le mani erano sempre state un qualcosa di cui incantarsi, da cui lasciarsi affascinare ma, proprio come se fossero un bel tramonto, o un cielo stellato, erano, allo stesso tempo, qualcosa che non avrebbe mai potuto desiderare per sé. Nessuno poteva essere così pazzo dal pretendere di possedere in esclusiva una cosa simile.

 

Strinse un poco le dita, e sorrise.

 

Si era sbagliato.

 

Le mani di Pietro erano diverse dalle sue: erano più sottili, davvero le sue ossa erano differenti, più flessibili, a un passo dall’essere quasi inconsistenti. Non sembravano affatto le mani di una donna, né si poteva dire che si mostrassero fragili, anzi. Erano .. elastiche e resistenti, le dita così lunghe sembravano sensibilissime, fatte di un qualche materiale non ancora inventato, bianco come un opale e .. forse non erano proprio nulla del genere, forse erano solo delle mani.

 

Forse.

 

Jean Paul aveva amato molti uomini, c’erano state ennesime ‘mattine dopo’ nella sua vita. Ma mai aveva provato *quello*: come se stesse, fra le braccia, trattenendo un sogno, o la sua stessa felicità.

 

Lo guardava e lo sentiva: aveva la sua immagine stampata a fuoco sulla retina e anche se avesse chiuso gli occhi non sarebbe cambiato nulla. In quell’istante, che per lui poteva durare per sempre, perché sentiva che non gli sarebbe mai servito null’altro, in tutta la sua vita, si sentiva appagato.

 

Non ci sarebbe stato un risveglio, ora. Mai, forse. O forse sì, ma era così lontano che non aveva senso pensarci.

 

Fra le braccia gli sembrava di trattenere qualcosa che davvero non esistesse. Era stato sfiorato più volte dal dubbio di stare sognando, perché non c’era nulla che potesse ripagarlo dal rimanere lì immobile, a fissare la curva della spalla che scivolava fuori dal lenzuolo, il collo sfiorato appena da capelli sottili e color del platino, il braccio a riposo, il gomito piegato, e la mano, *quella mano* appoggiata al suo palmo.

 

Tutto lì. Tutto immobile. Solo il suo respiro che smuoveva appena i capelli, e quello di Pietro, lento, regolare, che suonava quasi dissonante con il flusso costante e rapidissimo del sangue che, sotto la sua pelle di marmo bianco, formava correnti rapidissime, impossibili da seguire.

 

Eppure, anche se sembrava sciocco, e forse era tutta una follia, una stupidaggine, ecco, tutto aveva un significato speciale, ed era essere felici, e sentirne il sapore, udirne il suono in quella stanza piena solo di loro due, che poteva essere ovunque, anche in nessun luogo.

 

Era bello. Ma la bellezza questa volta, non era un qualcosa che potesse percepire solo il suo sguardo, ma era un sentimento che ogni suo senso coglieva, afferrava, intuiva, e in esso si beava, affogava, e si perdeva.

 

Pietro era bello: lo aveva sempre saputo, Jean Paul non era cieco e sapeva distinguere un bel corpo da uno che lo sembrasse soltanto, però.. era solamente *tutto* diverso. Anche la bellezza che vedeva era nuova, perché vedere era intuire, era provare, era sentire, era essere certo di cose che non sapeva neppure che esistessero, prima.

 

Pietro era lì, e sarebbe *rimasto* lì.

 

Pietro che poteva muoversi alla velocità del suono –non della luce, perché quell’altro era Superman, e Superman era il protagonista di un fumetto, non era *reale* -, e forse superarla, che poteva, se avesse voluto, essere più rapido di un *pensiero*, Pietro la cui essenza stessa era racchiusa nel suo nome in codice: Quicksilver, mercurio, argento vivo, qualcosa di instabile, di senza forma, sinuoso e perennemente in movimento, vita pura, ancora prima che sia incarnata in una figura definitiva. Pietro era lì, e da lì non si sarebbe mosso.

 

Jean Paul lo sapeva.

 

Di più: sapeva che Pietro lo sapeva, e che gli andava bene così. Entrambi non volevano essere da nessun’altra parte, ed era meraviglioso così. Era incontrarsi a metà strada dopo aver, alle spalle, due percorsi completamente differenti, distanti, alieni. E mai nessuno avrebbe potuto immaginare di trovarli così, una mattina. Neppure loro, forse, avevano mai formulato un simile pensiero.

 

Jean Paul sorrise, posando, lieve, un bacio, proprio dove la pelle del collo si tramutava in quella della spalla, e la toccò morbida sotto le labbra, profumatissima. Lo sentì tremare, appena, un brivido che gli pervase le terminazioni nervose e lo lasciò un attimo senza fiato.

 

Poi si allungò un poco per intuire il profilo di Pietro e si trovò a sussurrare dal piacere ad osservare le sue palpebre ornate di ciglia folte solcare delicatamente l’aria: era un movimento lento, elegante, come se fosse ancora sulla soglia tra il sonno e la veglia. Jean Paul adorava quando accadeva. Era splendido quando la realtà non aveva ancora preso possesso di loro, ed essi erano ancora liberi di lasciarsi cullare, indecisi, come acrobati sul punto di perdere l’equilibrio o meno, chiedendosi se non si potesse volare davvero, o se fosse necessaria solamente abbastanza convinzione, sufficiente decisione per farlo.

 

Prese un respiro: una boccata del profumo di Pietro, della sua aria.

 

Sentiva la sua schiena nuda premere contro il petto, e amava sentirlo addosso in quel modo: così vicini e uniti, così stretti, anche se in un abbraccio morbido, ben avviluppati in tanti sentimenti e legami e pressioni, e mete e desideri e..

 

“Andiamo a fare un viaggio?”

 

Pietro sospirò, chiudendo gli occhi. Tentò di assumere un tono seccato ma la dolcezza superava le barriere dell’abitudine.

 

“Non qui. Sei troppo famoso: non voglio essere assediato da torme di fans *tuoi* ogni volta che metto piede in strada!”

 

“No, pensavo all’Europa. Non ci sono mai stato, dev’essere bella.”

 

Un silenzio un po’ più lungo dei precedenti, poteva quasi *sentire* i pensieri di Pietro vorticargli nella testa. Un sorriso.

 

“E’ bella. Cos’hai visto?”

 

“Ho cenato sulla Tour Eifell e sono stato a..”

 

Un ringhio, *divertito*.

 

“Facciamo un patto, Jean Paul?”

 

Cosa?”

 

“Io ti accompagno, e ti faccio vedere l’Europa. E tu.. tu farai il giro a .. *modo mio*.”

 

Jean Paul si sollevò su un gomito per guardare Pietro negli occhi: sorrideva, sembrava ..felice, pulito come il vento freddo dell’inverno che spazza via ogni nuvola, ogni residuo di neve. Sole, anche se pallido, anche se lontano, ma tiepido: quel sole che poteva far fiorire i ciliegi anche a febbraio.

 

Cioè?”

 

L’incarnazione di un sogno.

 

Meglio. La possibilità di rendere reale un sogno.

 

“Niente hotel cinque stelle, o sei, o sette. Niente taxi, limousine, concorde o aerei strani. Io te, due zaini e tre mesi di tempo. Voglio.. vorrei viaggiare in treno. I treni locali, quelli che vanno *piano*. O l’autostop. Voglio vedere il più possibile, voglio sapere, voglio..

 

‘Vivere.’

 

Non lo disse. Jean Paul non aveva bisogno, però di udirlo, per saperlo, né per percepire tutto quello che dietro a quella richiesta era nascosta. Sorrise.

 

“Tre mesi sono tanti.”

 

“Fra due settimane la scuola è finita. Avremo una pausa lunga.”

 

“Non tre mesi.”

 

“Ce la faremo bastare.”

 

Sorrise, di nuovo, un sorriso che non era mai terminato. Sarebbe stato bellissimo. Sarebbe partito per qualunque posto Pietro gli avrebbe proposto, e pure in qualunque *modo*. Gli piaceva fare lo snob, ma sapeva che esisteva dentro di lui, una parte ben più profonda, e molto più attenta ad altri particolari.

 

Non doveva fare il sostenuto per piacere a Pietro, anzi.

 

Non doveva fare nulla che non volesse fare davvero. E poi.. quella proposta lo faceva sentire più giovane di dieci anni. Giovane e stupido, forse, però..

 

“Dovremo organizzarci.”

 

Pietro arrossì appena, chiudendo gli occhi, sussurrando un sorriso così pallido che Jean Paul credette di esserselo sognato.

 

“Se vuoi puoi vedere gli abbozzi dei.. miei programmi. E’ da anni che ci penso, ma poi non sono mai partito.

 

Perché?”

 

Silenzio, di nuovo, poi un movimento lento, sinuoso, il suo corpo che si mosse fra le sue braccia, voltandosi. Occhi negli occhi. Un lieve timore, paura.

 

*Timidezza*.

 

Perché viaggiare non è mai solo spostarsi e vedere posti. Viaggiare è ..cambiare la propria prospettiva sul mondo, è confrontarsi con esso e non.. non ero certo, non *sono* certo di poterlo fare da solo.”

 

“E’ confrontarsi con ciò che il mondo ci suscita..

 

“Già. Non so se posso farlo da solo. E non avrei mai potuto farlo con.. perfetti sconosciuti. – mancò il fiato, i suoi occhi arsero di calor bianco- Tu.. – tacque di nuovo, le sue labbra s’irrigidirono, tendendosi – tu sei diverso, ma non so se..”

 

“Sarebbe .. *grandioso* Pietro. Davvero. Sarà.. un’avventura.”

 

Un termine stupido, ma non aveva trovato altro. Aveva percepito il peso che tutto quello aveva per Pietro, aveva intuito appena quello che si aspettava, cercava, *sapeva* di trovare fra vecchie pietre e monumenti cadenti. E capiva bene perché volesse *non* correre.

 

Tenne strettamente gli occhi chiusi, ora, Pietro, come se tutto fosse troppo da reggere, da sopportare, da.. sognare.

 

Il suo mondo iniziava e moriva lì, fra le sue braccia, avvolto nel suo calore.

 

Ma era una finzione. Pietro aveva vissuto unprima’, fuori dal suo abbraccio, e ci sarebbe stato un dopo, quando Jean Paul sarebbe semplicemente stato al sua fianco ma non più così stretti, uniti, avvinghiati. Così interdipendenti e *bisognosi*.

 

Era crescere.

 

Crescere insieme, ma era sempre crescere.

 

Il viaggio era un’idea magnifica, anche se lo standard minimo di comodità a cui Jean Paul si era abituato era molto altro, avrebbe accettato un sano compromesso per Pietro. In più, sapeva, non sarebbe morto per così poco.

 

“Hai già una qualche idea?”

 

Un rossore ancor più deciso gli rispose, al posto della sua voce, ma Pietro non era mai stato così vigliacco da non possedere la forza di mettere in parole la sua idea.

 

“Ho tracciato una rotta, anni fa. Non so se può andare bene: era solo una linea di massima, possiamo cambiarla, se vuoi..

 

Jean Paul rise, baciandogli la fronte, seguendo la linea delle sopraciglia e poi del naso, per poi divorargli le labbra con le labbra: felice, si sentiva *felice* e pronto ad accettare ogni cosa.

 

“Mon coeur, sarà con *te* il viaggio, no? Allora per me è perfetto. – un nuovo bacio – Ma non so quanto tu sia esperto ad organizzare le cose, dovremo metterci a lavorare un po’per raccogliere informazioni in internet su posti per andare a dormire. Niente Hotel carissimi, ma neppure bettole, ti prego!”

 

Pietro sorrise. “Non sono intenzionato a dormire sotto i ponti!”

 

Risate, abbracci.

 

I loro corpi si unirono, sfregandosi, scaldandosi, trasmettendosi calore e amore. Baci, carezze. Baci.

 

Ancora baci.

 

Jean Paul si allontanò di una spanna e fisso quegli occhi di ghiaccio a una spanna dai suoi. “Hai fatto una *mappa* dicevi?”

 

“Certo!” Un tono quasi seccato: come se i sogni non andassero, anch’essi pianificati.

 

Che ne dici se me la farai vedere dopo colazione?”

 

Pietro annuì, lasciandosi cadere morbido fra le lenzuola, soffocando uno sbadiglio.

 

“Colazione c’è stata un ora fa. Fra dieci minuti sarai in ritardo sull’anticipo con cui solitamente ti presenti in classe.

 

Jean Paul cercò qualcosa di intelligente da rispondere ma non lo trovò, scosse il capo.

 

“A dopo allora.”

 

Un nuovo bacio, due frazioni di secondi per vestirsi e, prima di voltarsi di nuovo per salutarlo prima di andarsene lo trovò.. addormentato?

 

Era *davvero* esausto.

 

Anche se era da giorni e notti che non faceva altro che dormire. McCoy diceva che era normale, e Jean Paul, più di chiunque altro, ci credeva.

 

Ma ci volevano ancora venti giorni alla fine delle lezioni, in quell’arco di tempo Pietro si sarebbe di sicuro messo in senso, avrebbero organizzato il loro viaggio, e sarebbero partiti.

 

Il loro viaggio. Non solo un movimento di corpi, ma un cambiamento di .. prospettiva.

 

Pietro, più di Jean Paul, aveva bisogno di questo: allontanarsi davvero dal suo passato, dimenticarlo per un po’, per esorcizzare i demoni in esso nascosti. E il canadese non si sarebbe mai allontanato dal suo fianco, soprattutto ora, soprattutto con una prova così dura da affrontare.

 

Jean Paul era più fortunato: aveva meno cose da sfidare, in fondo lui voleva *solo* stare con Pietro, ed era Pietro, ora, che stava per duellare con cose che avrebbero potuto rischiare di farlo a pezzi. Jean Paul non gliel’avrebbe permesso. L’avrebbe reso.. felice.

 

O meglio: avrebbe fatto qualsiasi cosa perché Pietro potesse trovare la sua felicità, e l’avrebbero condivisa e insieme tutto sarebbe stato.. giusto, e bellissimo, e.. sentì il cuore stringerglisi in petto e riuscì a non sentirsi idiota per questo, anzi

 

Stava per uscire dalla stanza, ma si voltò e improvvisamente la sua figura divenne una bava di vento.

 

Pietro percepì braccia a cingergli le spalle, un bacio casto, dolce, gentile, sulla tempia, un sussurro lieve a solleticargli un orecchio: “Cerca di riposare ancora un po’, Pietro, sarò di ritorno presto.”

 

Al contrario di tutto quello che il suo carattere impassibilmente acido avrebbe potuto far supporre, Pietro tacque, osservò Jean Paul scomparire dalla stanza e, nella sua lontananza si limitò a chiudere gli occhi, lasciando che il suo capo crollasse di nuovo sul cuscino, gli occhi stretti, la mente che annodava pensieri e schemi intorno a un sogno che da anni aveva cullato, un desiderio che s’era tenuto dentro, in silenzio per troppo tempo, a cui era giunto il momento o di rinunciare e di seppellirlo, o di renderlo finalmente concreto.

 

Concreto.

 

Senza suo padre che gli dicesse come fare, e perché, e gli spiegasse gli schemi, l’ideologia e tutto il resto. Senza sua sorella da proteggere, o sua moglie, o sua figlia, o il mondo, senza la sua responsabilità che gli premeva sul cuore, sull’anima, e.. chiuse gli occhi: era solo il suo desiderio. Da condividere con Jean Paul.

 

L’idea era così dolce e piacevole che non riuscì a pensare a molto altro, prima di addormentarsi, di nuovo. Sicuro e tranquillo.

 

Sperò solo che, la prima cosa avesse veduto al suo risveglio sarebbero stati gli occhi di Jean Paul.

 

____ FINE