NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
parte XIX di Dhely Attendere.
Pietro non era certo di saperlo fare. Troppe volte aveva sentito di non averne la pazienza, la forza. Troppe volte non aveva avuto il tempo di permetterselo.
Ora il passato sembrava solo una tela incomprensibile di un pittore che non riusciva a parlargli all’anima, e il futuro era camminare su una lastra di ghiaccio di cui non si conosceva lo spessore, che poteva infrangersi sotto il suo peso.
Esisteva qualcosa che era decisamente più terrorizzante di morire, pensò Pietro, ed era vivere.
Vivere annullando il desiderio, le aspettative, il bisogno; oppure vivere lottando perché i sogni trovassero realizzazione. Vivere e lasciarsi vivere.. aveva sempre *saputo* fosse una cosa terribilmente estenuante.
Lo sapeva benissimo anche ora.
Ma ora il tempo lo poteva quasi toccare, come granelli di sabbia fine che gli scivolasse sulle mani nude, di cui poteva percepire gli spigoli aguzzi, il peso, intuirne il volume. Tutto era cambiato, anche se, in effetti, ogni cosa era tranquillamente al suo posto.
Se, in seguito all’esplosione fossero rimaste delle macerie, erano state spostate, il prato era perfetto come sempre e, sopra, dei ragazzi rincorrevano urlando le traiettorie di una palla. Il viale d’ingresso era sottolineato da una fioritura di viole, il lago artificiale al centro del parco scintillava placido, gli alberi frusciavano e voci s’imponevano, giovani, al silenzio. Pure la facciata della scuola, che sembrava tinteggiata di fresco, mostrava il suo solito, abituale colore.
Niente era cambiato. Forse erano i suoi occhi ad essere differenti?
Foglio a foglio, il futuro, lentamente si faceva più chiaro, più vicino, e l’ansia che aveva sempre affondato i denti nell’anima, ora, svaniva piano pure lei, come neve al sole.
Pietro sentiva di stare perdendo lentamente l’equilibrio: il ghiaccio che sosteneva i suoi passi si crepava, sempre più profondamente, e presto tutto sarebbe crollato, e lui sarebbe affogato in una vita che non era mai riuscito a gestire.. non provava dolore, né paura. Si sentiva rassegnato, semplicemente.
Tutto ciò a cui, negli anni, si era aggrappato per non scivolare via, rapito dalla corrente, gli si era dissolto sotto le dita.
Socchiuse gli occhi alla luce troppo forte e troppo chiara di quel pomeriggio che non gli lasciava scampo. Per un attimo, per un istante solo pensò che sarebbe stato bello, infinitamente dolce avere, finalmente, un posto dove andare, un modo per poter scappare lontano da lì e vedere se sarebbe mai riuscito a correre più veloce di sé, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti.
Una volta sola: perdersi davvero, mentirsi, rinchiudersi in una morsa trasparente dagli infiniti riflessi che gli avrebbe reso impossibile sentire, provare sensazioni.. di nuovo, ed essere ancora così lontano, così indifferente da essere *davvero* al sicuro.
Un brivido violento gli trapassò le ossa: tutto nuovo.
Tutto *da capo*.
Occhi scuri, pericolosi, che lo fissavano da poco più in là, un predatore che lo attendeva e niente da dire, nessun posto dove scappare.
Passi che sapevano essere più silenziosi che quelli di un gatto si diressero verso di lui e Pietro non fece altro che stare lì a fissarlo avanzare: non poteva fare altro. Forse non lo voleva neppure.
Non immaginava avrebbe mai potuto essere così *stanco* di correre via. Di scappare.
Ora lo era.
“Quicksilver.”
La sua voce roca e pericolosa lo raggiunse, colpendolo quasi fisicamente, anche se, in effetti, più che un pugno sferrato al viso con piena forza parve lo scivolare di una lama tagliente sulla pelle, sulla carne, ad esporre il sangue, il dolore. La vita.
Tutto nuovo e, insieme, tutto da capo: il sentirsi vulnerabile, fragile, esposto, il bisogno di costruirsi delle difese, di non mostrarsi fragile perché, allora, gli si sarebbero avventati addosso, facendogli a brandelli il cuore.. di nuovo.
Gli mancò il fiato nei polmoni.
Il ghiaccio ai suoi piedi si spaccò ancora un po’ di più e il mondo prese a non essere, visibilmente, più stabile.
“Wolverine.”
Rispose lui, più per infrangere il silenzio che per un vero bisogno di comunicare chissà cosa. Non aveva bisogno di rassicurarlo di averlo riconosciuto, perché nessuno avrebbe potuto non farlo. Nessuno, tantomeno lui.
Logan. Il migliore in quello che faceva.
Logan: l’arma perfetta, il soldato definitivo.
Logan. Quello che sapeva fare di tutto, e lo faceva pure bene e non importava mai quanto difficile fosse il compito assegnato, quanto folle o impossibile perché, alla fine, lui ritornava sempre con quello che s’era prefissato. Sempre.
Visto il loro ultimo incontro, poteva immaginarsi tutto il male del mondo e non era neppure certo che sarebbe sopravvissuto. A quel punto gli importava anche poco, anche se la cosa rasentava il ridicolo: era sopravvissuto al più letale dei nemici che avesse mai incontrato, per morire sotto gli artigli di uno che doveva essere un ‘alleato’? Charles avrebbe sicuramente avuto qualcosa da ridire.
Al di là di tutto quello che Logan era, viveva una persona. Un uomo che amava e odiava, soffriva e gioiva, faceva e pativa.. una soffocante ‘normalità’ che Pietro non aveva mai posseduto e che, forse, *mai* avrebbe posseduto.. il ghiaccio era sempre più sottile, e sentiva lo scorrere dell’acqua al di sotto di esso, un richiamo strano, vischioso. Urgente.
Lui era cambiato.
Forse pure Logan stesso era diverso, da prima, ma la cosa non gli sembrava un problema. O, per lo meno, se lo era, era un qualcosa che lo riguardava poco.
Eppure si sentiva trasparente come il ghiaccio e altrettanto fragile. E la cosa lo spaventava. Di ghiaccio lui, ghiaccio che si ergeva sul ghiaccio, instabile banchisa che nuotava in un mare denso e oscuro e ignoto.
Stupefacente.
Sfiorargli.
Logan non era quello che sbagliava a prendere le misure e Pietro non s’era mosso d’un millimetro.
Vide, estenuantemente lento, il polso di Logan torcersi, per poi scattare, veloce, la lama di metallo solcò l’aria, un sibilo ovattato, e un leggero ciuffo di capelli color del platino si persero nell’aria intorno a loro. Appena una punta, ma bastante perché non potessero più rimanere a posto, dietro le orecchie, perché gli scivolassero di nuovo, odiosamente, sugli occhi.
Jean Paul.
Questa volta *udì* distintamente il ghiaccio scricchiolare e fendersi fin nel cuore.
Logan non gli rivolse più uno sguardo, si strinse nelle spalle, si voltò. E scomparve, forse. Più semplicemente: uscì dal suo campo visivo, ma a Pietro, in quell’istante non importò.
Non importava più nulla: né Logan, né suo padre, né il passato né il futuro, né il ghiaccio sotto di sé.. solo..
La lastra gelida ebbe un sussulto, un ultimo, per sciogliersi, di colpo, facendolo cadere, giù, dentro un mare vischioso e terrorizzante, ma Pietro non ebbe paura. Era troppo *occupato* per aver paura.
Jean Paul era lì, e lo guardava.
Da dove era arrivato non lo sapeva, non aveva importanza.
Forse era sceso dal cielo: lui sapeva *volare*.
E volare era l’estremo opposto che affogare in .. in ..
Affogare? Quello era affogare? Perdersi? Dimenticare di sé stessi e di tutto per sciogliersi in un flusso di sentimenti inimmaginabili?
Affogare era non avere più fiato, era boccheggiare disperatamente tra un cavallone e l’altro, in mezzo alla tempesta, era riempirsi la bocca d’acqua pesante e nera al posto dell’aria fresca, era non riuscire più a pensare, era non *potere* farlo.
Ed era tutto lì, ora. Non c’era più ghiaccio. Forse solo piccoli frammenti che si potevano conficcare nella pelle, che potevano ferire, far sanguinare, ma che non sarebbero più riusciti a tenere in piedi una menzogna, come a rendere più credibile una maschera. Era finito: tutto era finito.
Forse *lui* stesso era finito.
Il Pietro che era stato fino a quell’istante si perse, affogò, respirò acqua al posto di aria, smise di pensare e.. si sciolse.
Come neve al sole: mai modo di dire fu più azzeccato.
Pietro sospirò, poi sorrise. Un sorriso che da anni non sorrideva più: fu strano sentirsi addosso quell’espressione, e stupefacentemente facile modularla.
Guardò Jean Paul, in quei suoi occhi così strani, grigi come specchi d’argento e insieme, come il mare appena prima d’una tempesta, prese un profondo respiro e, sorridendo, mosse appena il capo in un gesto di saluto.
I capelli gli caddero negli occhi, Pietro sollevò una mano per tirarli indietro.
Affogare? Forse.. ma solo ‘forse’.. ebbene.. forse, ecco, poteva essere bello farlo. Piacevole.
L’acqua del mare avrebbe, forse potuto diventare tiepida, avrebbe potuto non mordere la carne con quegli artigli di gelo e, forse, avrebbe potuto imparare a respirare in un modo nuovo.. perchè lo sapeva che c’era un altro modo per vivere giù, dove viveva tanta gente, dentro il mondo, permettendosi di.. vivere. Di sognare. Di sperare. Di..
Di amare.
“Ciao.”
Disse, e scoprì di avere il fiato corto nei polmoni come dopo una lunghissima corsa, una di quelle in cui, da bambino, sfidava il vento e l’aquilone di sua sorella, e correva correva per quanto le sue gambe di allora gli permettevano, e allargava le braccia e gli sembrava di volare e rideva fino a che non sentiva male al costato, dentro, come se ci fosse un fuoco asciutto, e il cuore batteva come un pazzo e tutto il resto era niente, era solo leggerezza e velocità, brezza rapida che passava sui monti, raffreddandosi e cadendo a picco giù nelle valli, incuneandosi nella pianura infinita.. e lui che era solo un bambino che avrebbe corso fino a morire, senza alcuna meta, solo per la gioia di farlo.
Jean Paul lo fissò, ancora in silenzio. Un attimo passava sempre troppo lento per chi, come loro, poteva renderlo veloce e insignificante come un nulla e, insieme, ogni istante diveniva il peso di un’intera eternità.
Era tutta una follia: Pietro ne fu assolutamente consapevole, ma non gli importò. Mostrarsi fragile, senza difese, avere tutto, di quel se stesso a cui aveva tanto sacrificato, sciolto, dissolto in qualcosa che non comprendeva e che non si poteva capire. Ed essere.. felici. La gioia che esiste solo nell’avventata partecipazione, nella corsa senza meta, nel vivere, lì, ora, facendo che quell’istante diventasse ogni cosa.
Il ghiaccio c’era, c’era stato, ed ora era lontano da lì. Da qualche parte.
Avrebbe forse potuto cercarlo, ma non ora.
Ora aveva altro da fare.
Jean Paul lo osservò stupito e.. felice? Curioso? Indeciso? Entusiasta? *Innamorato*? Pietro non sapeva come si chiamava quella *cosa* che vedeva, ma sapeva di vederla, e sapeva che in lui suscitava echi che non avrebbe soffocato.
Affogare. L’avrebbe fatto, ma ad occhi aperti. Non voleva perdersi *nulla* di lui, e di quello che stava succedendo. Ed aveva la strana sensazione che, alla fine, non gli sarebbe dispiaciuto davvero, se avesse potuto avere la mano di Jean Paul a tenere la sua, a spiegargli come fare, come prendere le correnti per scivolare a sud, verso il caldo, verso placide ombre cristalline e dense, piene di vita e di sole.
Forse avrebbero dovuto imparare entrambi: avrebbero imparato.
“Pietro! – due, distinti, fortissimi battiti di cuore, qualcosa di inspiegabile a velargli il volto – Sei.. stai meglio?”
Pietro annuì. Jean Paul era stato sul punto di dirgli altro, ma non avrebbe avuto la forza, ora, di domandargli cosa fosse. Ora andava bene anche così: guardarsi un po’ da lontani, scrutarsi come due animali che devono ancora capire cosa fare l’uno dell’altro.
“Sì. E tu?”
Banale: ci sarebbe stato da aggiungere altro, ma la lingua non rispondeva. Sperò che Jean Paul capisse lo stesso.
Forse lo fece: sorrise. Si avvicinò di un passo.
“Ci hai fatto spaventare!”
Una voce morbida, dolce, stemperata di una preoccupazione sincera che Pietro non sapeva potesse essere rivolta a lui. Sentì quasi male, sul fondo del cuore, ma fu solo un attimo.
“Mi spiace. – infantile, istintivo. Perché non riusciva più a pensare prima di dire qualsiasi cosa? Perché si sentiva tanto stupido quanto.. *felice* di esserlo? – Non volevo.”
Sollevò la mano, per la terza volta in pochi minuti, se la passò fra i capelli e vide, in effetti, il sorriso di Jean Paul mutare, per un istante tremolare, riverberare di sensazioni differenti. Non spiacevoli, ma.. diverse, appunto.
Però era stato sciocco comunque: per dire qualcosa, ora, avrebbe dovuto essere qualcosa che spezzava la tensione creatasi tra di loro, che faceva sfumare l’ansia, che annientava il senso di .. imbarazzo; qualcosa di intelligente, insomma, non..
Jean Paul arrossì, leggermente, chinando la fronte, abbassando la voce.
“Sono così felice di.. –un sussurro, una pausa - che stai bene.”
Pietro chiuse gli occhi.
“Sono felice che.. che sei qui.”
‘E che sei stato con me tutto questo tempo, e che mi hai sopportato, e che mi hai dato calore, fiducia, sorrisi, amore, e che..’ avrebbe voluto dirlo, ma non vi riuscì.
“Sono felice che *siamo* qui, Pietro.”
Il cuore perse un colpo, sonoramente. Poi un altro.
Pietro allungò una mano e toccò appena il braccio di lui.
“Grazie a te.”
“Non ci sono ringraziamenti da fare, ognuno.. troppo spesso ognuno agisce solo per il proprio tornaconto, e io non faccio eccezione. Non ho fatto eccezione neppure stavolta.”
Un ghigno che sembrava una pallida richiesta di scusa. Si guardarono, si fissarono, indecisi, imbarazzati, confusi..
Una voce alle loro spalle obbligò entrambi a distogliere l’attenzione l’uno dall’altro, una voce *urlata* dall’ingresso della scuola, una voce che non poteva essere scambiata per altro.
“Ma allora, voi due, vi baciate o no?! E’ mezz’ora, qui, che aspettiamo!”
___ CONTINUA.. |