NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)




Neve e ghiaccio

parte XV

di Dhely


Un uomo maturo e navigato, non un ragazzino terrorizzato: ecco che idea avrebbe dovuto dare di se al mondo. Non che a Jean Paul fosse mai importato davvero cosa gli altri pensavano di lui, era solamente una questione di rispetto che doveva a se stesso. Non era *mai* stato un ragazzino stupido, perché doveva comportarsi in quel modo? Non era una creatura alle sue prime esperienze sentimentali che andava in crisi per un nonnulla, e allora perché farlo?

 

Come si sarebbe comportato un ‘uomo maturo’ nella sua posizione, ora?

 

Guardò la porta chiusa e le voltò le spalle.

 

Non aveva nulla da fare lì, Pietro gliel’aveva chiesto e, in fondo, anche lui sapeva che era inutile: inutile che si fermasse lì, inutile che aspettasse chissà cosa perché non c’era nulla di positivo che potesse accadere.

 

Ai miracoli non aveva mai creduto, e di sicuro erano passati i tempi in cui un dio misericordioso dispensava azioni e consigli a chi aveva il cuore troppo pesante di sofferenza. A *lui*, poi, di certo nessuno aveva mai regalato nulla, non c’era un solo, singolo, stupidissimo motivo perché iniziasse ora.

 

Andarsene sarebbe stato mostrare rispetto alla richiesta di Pietro e non mostrarsi stupido, insieme.

 

Andarsene sarebbe stata un’ottima uscita, come quegli eroi che si concedono il lusso di soffrire solo fuori della scena.

 

Superò la soglia d’ingresso, ancora titubante e si voltò a chiudere anche quella porta. L’ultima porta che lo divideva da Pietro.

 

Non poteva fare nulla per lui, ora, non aveva mai potuto farlo. Perché intestardirsi a rimanere? E poi, magari, prima era stato differente, magari prima Pietro aveva davvero avuto bisogno della sua compagnia, della presenza di *qualcuno*.. gli mancò il fiato, la vista gli si annebbiò.

 

Jean Paul si passò una mano sugli occhi per cercare di ritornare padrone di sé stesso, almeno per riuscire ad andarsene con dignità. Ricordava cos’era avere quel corpo fra le braccia, cosa si provava a sentirlo lì, abbandonato e tranquillo. Ricordava ogni cosa, il suo sguardo, i suoi silenzi. Ricordava anche, perfettamente, quando Pietro non era il *suo* Pietro, ma solo un uomo troppo avanti, troppo veloce, troppo in là per lui, e lui che si limitava a guardarlo, come lo stupido che era. Ricordava le sue mani ghiacciate, addosso, come gli appoggiava la fronte nell’incavo della spalla per cercare un po’ di calore, istintivamente, mentre dormiva, o protezione. Rivide lo stupore, le domande non espresse, i dubbi, i pensieri silenti che inseguivano i pensieri.. e ricordava i sorrisi.

 

*Quel* sorriso solo per lui.

 

Ricordava lo sguardo limpidissimo di quando l’accoglieva, di quando lo stava aspettando. La curiosità e la .. la *gioia*. Il piacere.

 

Le sue lacrime.

 

La sua voce. In una notte piena di nulla, se non oscurità e freddo, in una struttura a tantissimi chilometri da lì, in cui per la prima volta si erano scoperti soli, e insieme. In giorni che rincorrevano i giorni, sempre fredda e distante, sempre rigida e dura, sempre arrogante e urgente. In istanti in cui il suo cuore, e non i suoi polmoni, parevano stare modulando la voce. I gemiti, i sussurri.

 

Le sue lacrime. Il suo dolore che si condensava in acqua salata che gli sfiorava il viso, e il suo mostrarsi vulnerabile, umano. Senza fuggire, senza nascondersi.

 

Le sue mani. Nude.

 

Pietro.

 

E quando la sua voce aveva chiamato il suo nome, il modo in cui l’aveva modulato, cadenzato, quello che gli aveva detto solo con il tono, e il riverberarsi di quelle iridi così chiare che sembravano davvero picchi di ghiaccio e il freddo, il gelo che trovava la via per farsi strada e ficcarsi dentro il cuore, e lì rimanere..

 

.. e sciogliersi.

 

Le lacrime di Pietro sulle mani: come se fosse stato la corazza che aveva addosso mentre si scioglieva al suo tocco. Mentre evaporava, spariva.

 

Quando la paura di mostrarsi per quello che era scompariva, affogata nel.. nel bisogno, forse, o forse, meglio, nella .. nella *speranza* di aver trovato qualcuno di cui non avere paura.

 

La paura, Jean Paul, la conosceva. L’aveva provata e sentita, dentro, e addosso. Per essa si era rifiutato mille volte di cadere nell’incantesimo di un sorriso che lui stesso aveva suscitato, mille volte aveva giocato e s’era ritratto un attimo prima di scottarsi, soddisfatto della sua abilità. Aveva creduto d’essere invulnerabile, o almeno troppo agile per cadere in quella trappola e ora?

 

Ora, in quella ‘trappola’ c’era finito di sua spontanea volontà. L’aveva forse intessuta lui, e lui l’aveva fatta scattare, in essa s’era fatto avvolgere, in essa aveva perduto sangue e respiro e aveva creduto che lì avrebbe potuto rimanere fino a morire, fino a consumarsi, fino a ..

 

Era stato sciocco, e lo era ancora.

 

Non si moriva per amore.

 

Nessuno lo faceva.

 

Non era vero quello che si vedeva nei film: gente che si lasciava consumare per un sentimento non ricambiato, o ricambiato anche se finito. O peggio. Qualcosa che esistesse oltre la morte, come se la morte non fosse altro che un velo, che si potesse solcare, una distanza che, in base alla forza di un qualche assurdo sentimento, si potesse annientare.

 

Jean Paul aveva amato. E aveva conosciuto molta gente che l’aveva fatto, sì.

 

Mai un amore aveva potuto riportare l’amato in vita.

 

Mai.

 

E non c’erano segni dolci che rincuoravano coloro che erano rimasti come se non ci fosse una fine che non fosse ‘per sempre’, che rimaneva qualcosa, che c’era altro, un altro posto dove aspettarsi, un altro destino. Come se la vita non fosse solo quella che si viveva ma anche un’attesa di qualcos’altro.

 

Jean Paul non sapeva neppure se ‘amore’ esisteva davvero, o se non era altro che una convinzione, uno stato d’animo, un modo che gli uomini si inventavano per solcare con più facilità il mare della loro esistenza.

 

Non lo sapeva: non lo voleva sapere.

 

Strinse i denti obbligandosi ad aprire gli occhi, come se quelle assi di legno avessero potuto dargli chissà che risposta.

 

Invece non ebbe niente, in cambio, se non il silenzio del vento che sibilava alle sue spalle e il vuoto rimbombare dentro il suo petto.

 

In fondo le cose non hanno voci, non hanno neppure parole: esse portano solo i significati che gli uomini vi mettono col loro sguardo.

 

Prese un profondo respiro, radunò tutta la forza di cui disponeva.

 

Ricordava il ghiaccio, gli arabeschi incantati che disegnavano sulle finestre della sua casa in Canada, le stalattiti appuntite che immobili riproducevano una cascata silente che scintillava nel cuore di una notte artica, le stelle che brillavano così tanto da far male agli occhi. Ricordò il dolore d’oggetti che affondavano nella carne, aghi, bisturi, artigli, e l’urlo di un cuore che piangeva, nel nulla, la sua pena.

 

Ricordò la speranza, e il calore da essa scaturita.

 

Un uomo come si sarebbe comportato, ora?

 

Non un ragazzino spaventato.

 

Non uno stupido che non sapeva come andava la vita e che voleva a tutti i costi che ogni cosa seguisse i propri desideri.

 

Perché era così difficile essere quello che *sapeva*? Quello che *era*?

 

In fondo essere forti significava solo fare una scelta e prendersene la responsabilità, sopportarne il peso, null’altro. Essere maturi era solo guardare e accettare che certe cose non si potevano cambiare, che il destino non sempre lo si poteva modificare con le proprie mani, che certe cose non potevano non succedere e che ogni tanto, esisteva l’onore anche nel deporre le armi: vedere un dolore, riconoscerlo, e, dopo aver fatto tutto per allontanarlo e non esserci riusciti .. accettarlo, perché non c’era scelta.

 

Perché era solo un uomo e non si poteva vincere sempre.

 

Perché non sempre si vincevano le ‘battaglie importanti’. Non sempre le cose che davvero contavano, e pesavano, per quanto si combattesse e si piangesse, per quanto si desiderassero e si bramassero, non sempre erano lì per noi.

 

Perché la vita era uno schifo, quasi mai finiva come nei film, o nei libri.

 

Perché l’importante non era combattere e vincere, ma ‘come’ si combatteva. Come si viveva, giorno per giorno, anche dopo aver perduto qualcosa che si credeva importante, fondamentale. Qualcosa che stava al centro del proprio cuore.

 

C’erano i ragazzi, i *suoi* ragazzi, e la Scuola. Robert, il professore, gli X men, un intero mondo fuori di lì.

 

Poteva voltare le spalle a quel posto come se nulla fosse e tornare alla sua vita, fingendo che nulla fosse accaduto.

 

Poteva andarsene e rintanarsi da qualche parte a piangere, consumandosi dal dolore e dalla disperazione.

 

Poteva.. rimanere. E non servire comunque a nulla, ma rimanere. E *poi* voltarsi, ritornare alla Scuola, ai ragazzi. Ai suoi ragazzi. E soffrire e continuare a vivere, senza lasciarsi annientare dal dolore, sopportando il peso che il destino aveva costruito per lui, e che lui stesso si era preso sulle spalle. Continuare a vivere, correndo il rischio di poter essere ancora felice, ogni tanto: e questo era, ora il pensiero più terribile di tutti, essere felice, ancora, nonostante essere senza Pietro, nonostante aver vissuto quell’amore, quel dolore.

 

Il cuore faceva male, e tutto il mondo era in silente attesa, come se ogni singolo atomo esistente fosse immobile, a fissare lui, a vedere che cosa avrebbe fatto, che scelta avrebbe compiuta, che strada avrebbe preso. Come se da quella scelta fosse dipeso il destino stesso del mondo.

 

E se il mondo era la donazione di senso da parte del singolo, allora, davvero: decidere lì era decidere dell’universo stesso.

 

Jean Paul si ritrovò a sorridere: erano discorsi, quelli, che gli aveva fatto Pietro, un giorno, tanto tempo prima e lui li aveva trovati strani e forse.. forse sciocchi, inconcludenti, stupidi, e..

 

Ora non aveva altro.

 

I cardini scivolarono l’uno sull’altro, in silenzio. L’assito non fu neppure sfiorato dall’ombra di passi leggeri. Lo sguardo di Pietro che non si mosse dal contemplare, attento, un paio di nubi sottili e gonfie che stanziavano appena sopra la linea dell’orizzonte come se lì, da qualche parte, ci fosse nascosto il senso di ogni attimo, di ogni respiro.

 

Nessuna domanda, perché non poteva esserci alcuna risposta, di nessun tipo.

 

Una mano di Pietro era appoggiata, bianca, tra le lenzuola candide e tiepide. Il segno della cicatrice spiccava, forte, contro la pelle sottile, ed era un simbolo di vita, quello. Vita, sì, perché nella morte la follia di quel marchio deturpante non avrebbe più avuto senso, forse non avrebbe più urlato disprezzo e violenza e dolore.

 

La vita, dunque, trattenuta in quella mano bastò, o dovette bastare a Jean Paul.

 

Si sedette lì e non disse nulla, solo gli occhi di Pietro che, ora, incontrarono i suoi, servirono a scovare tutti  i significati, i motivi, anche quelli che lui stesso non sapeva che esistessero.

 

E ci fu un sorriso pallido, esilissimo, per il quale, Jean Paul scoprì, valeva la pena affrontare ogni sofferenza.

 

“Sei tornato.”

 

Non poteva andare da nessun’altra parte.

 

Non sarebbe stato degno.

 

Non avrebbe mai potuto sentirsi in pace con se stesso.

 

Non..

 

Stare lì e aspettare. Quella era l’unica azione che avrebbe potuto dare un significato a tutto quello che era successo, a tutto ciò che aveva provato, e che stava ancora sentendo, dentro. Dopo sarebbe stato quello che il destino avrebbe deciso, ma ora.. ora era diverso.

 

“Pensavo mi stessi aspettando, Pietro.”

 

Silenzio. Lo sguardo si abbassò di nuovo, prima di spegnersi sotto le palpebre divenute pesanti.

 

Uno strano raggio di sole trasse uno scintillio freddo, terribile da una fiala di vetro, posata sul comodino, vuota. Pesante, più adesso di quando era stata piena.

 

“Sì. – c’era.. gentilezza in quella voce, una strana ombra di felicità, pace. – Lo speravo.”

 

Jean Paul sorrise, a sua volta e scoprì che *davvero* non avrebbe potuto essere in nessun altro posto.

___

 

Il mondo sarebbe potuto terminare o con un’esplosione enorme, o semplicemente in un sussurro appena esalato, tremolante e leggero.

 

Pietro non lo sapeva, non ci aveva mai pensato, forse non gli era mai importato. Neppure ora, in effetti gli *importava*.

 

C’erano tante cose a cui pensare, ora. Ciò che si stava lasciando alle spalle, le persone, le cose non terminate, i legami, gli affetti.

 

E invece.

 

Tutto era pallido, scoloriva lentamente, come una pellicola troppo esposta alla luce, che si bruciasse ad ogni istante un po’ di più, perdendo i particolari, annientando i contorni, fino a che tutto si trasformava in un grigio perlaceo indistinto, forse senza valore.

 

Forse com’era stata la sua vita.

 

Forse.

 

Invece: si sentiva ricco. Gratificato. Era una sciocchezza, forse, ma .. ma non era solo. Pensava a sua figlia, che lasciava lì, e che gli sarebbe mancata, ma che avrebbe continuato a vivere, pensò a tutto l’amore che le aveva dato e a quanto si sentiva orgoglioso di lei. Un poco gli dispiaceva non poter vederla crescere, migliorare, non poter essere lì per ognuna delle mille cose per cui l’avrebbe reso orgoglioso, ma lui era *già* fiero, anche per quello che non era ancora accaduto.

 

L’idea lo fece sorridere.

 

Era silenzio dolce, e morbido, ad avvolgerlo.

 

Il ricordo di sua moglie, di quanto l’aveva amata, di quanto lei l’aveva amato.

 

Il passato che era finito, sì, ma che era lì, con lui, alle sue spalle, a renderlo forte, e .. e che lo rendeva quello che era.

 

I suoi compagni, i suoi amici.

 

Ripensò a ciò che gli era stato donato, a quelle persone che l’avevano cresciuto, lì, come se fosse loro figlio, senza chiedere mai nulla in cambio, con tutto l’affetto e la dedizione che avevano saputo, e potuto. All’amicizia, alla fiducia, rara, costruita nel tempo, con fatica.

 

Ripensò a sua sorella, una parte di se stesso in un altro corpo, quando separarsi era stato quasi come amputarsi di una parte della sua anima: e i suoi sorrisi, le sue risate, tutte le volte che lei aveva pianto e che lui aveva cercato di confortarla e, al contrario, di quando lei aveva consolato lui.

 

Si diceva che, prima di morire, si vedeva scorrere tutta la propria vita di fronte agli occhi, ma come poteva accadere? Pietro si accorse che la sua vita era troppo piena di troppi avvenimenti perché potesse rivederli tutti, ora, anche se avesse avuto millenni a disposizione. Solo alcune schegge impazzite, sentimenti che si mischiavano a ricordi, e che *suscitavano* ricordi..

 

Affetto, piacevolezza, solitudine infinita, dolce, ma mai totale, la sicurezza di essere lì, ma di avere sempre qualcuno accanto, qualcuno che era parte di sé, in un modo o in un altro. I silenzi che parlavano e poi.. i dolori, anche.

 

Fiducia infranta, lacrime, fatica.

 

Sangue.

 

Rosso: lame bianche di sofferenza piantate nel cervello, schegge di metallo a spaccargli le ossa e i tendini. Dolore, disprezzo.

 

Dolore: suo padre.

 

Uno sguardo, ti prego. Non un sorriso, no, perché forse i suoi sorrisi erano davvero troppo preziosi per lui ma .. tutto, obbedire a qualunque cosa, a qualunque desiderio. Uccidere, devastare: per lui e per se stesso. Era stato debole, aveva avuto bisogno di lui. E lui mai lo aveva capito. Forse non voleva farlo.

 

Forse davvero pensava che non fosse abbastanza..

 

Forse il sangue che sentiva ora, sulle mani, non era il proprio, ma quello di coloro che aveva ucciso. Lui.

 

Pietro sapeva, ricordava di aver ucciso innocenti. Per suo padre, per un suo ordine. Soprattutto: per se stesso, perché suo padre lo ..considerasse degno, perché lo guardasse e non lo trovasse inutile e inetto, perché potesse essere ..orgoglioso?

 

Sarebbe bastato sentirsi *accettato* da lui.

 

Era una cosa stupida. Una perfetta crisi adolescenziale, lo sapeva, ma che non aveva mai potuto togliersi da dosso, per la quale non aveva mai smesso di soffrire, per la quale non aveva mai cessato di sbagliare. Il suo peccato più grosso era quello: avrebbe voluto odiare suo padre, per quanto sapeva che l’odio non era più costruttivo che una bomba, però non ci era mai riuscito, e anche ora.. anche ora, sapeva, avrebbe dato tutto per .. per un gesto.

 

Ma ora nessun gesto sarebbe venuto, perché non aveva più nulla da dare, in cambio.

 

La sofferenza fu come un panno scuro steso sulla sua anima, togliendogli luce e aria, soffocandolo sotto un peso di piombo. Era quello morire? Soffocare lentamente, affogando nei rimorsi e nelle colpe? Senza possibilità di conforto? Senza..

 

Do ut des.

 

Dare affinché si ricevesse.

 

Gliel’aveva insegnato suo padre, ma lui non gli aveva insegnato solo quello, no. Sarebbe stato scorretto, ora, quel pensiero. A volte si dava senza che nessuno chiedesse, e senza voler ricevere nulla in cambio: e gliel’aveva fatto vedere suo padre, questo.

 

E.. e se lo sentiva addosso, adesso.

 

Avrebbe voluto avere la forza di aprire gli occhi, ma le palpebre erano pesanti, più che se fossero state saldate da qualche terribile incantesimo. Però non aveva bisogno di guardare per .. per sentire. Per *sapere*.

 

Jean Paul era lì.

 

Lo sapeva, lo aveva saputo da sempre, forse dalla prima volta in cui l’aveva visto, su una copertina di People quando, anni prima, era solo un famosissimo sciatore ricco e snob che vinceva medaglie su medaglie come se per lui fosse una sciocchezza. Se esisteva davvero un destino, allora sì, allora lo aveva dovuto sapere da allora.

 

Sapeva che era lì, e che non poteva essere da nessun’altra parte. Era lì per *lui*.

 

E non c’erano perché da domandare, né spiegazioni, né altro..

 

La vera pena, ora, era non riuscire a muoversi, perché avrebbe voluto avere la forza per allungare una mano e sfiorargli le dita, per cercare di fargli capire che ora sapeva, che aveva davvero compreso quello che aveva cercato di dirgli. Che era *felice* fosse lì, con lui, e che se avesse avuto tempo avrebbe voluto poter.. poter provare a .. a fare qualcosa, anche se non sapeva di preciso cosa.

 

Ma il suo corpo era come una bambola rotta, una marionetta a cui avessero tagliati i fili, e non rispondeva più. Si sentiva pesante, come avvolto in un bozzolo oscuro e denso.

 

Morto.

 

Stranamente Pietro pensò che, se avesse potuto, avrebbe sorriso di nuovo.

 

Non sapeva se il suo mondo sarebbe terminato in una meravigliosa, cacofonica esplosione, oppure si sarebbe spento come una fiammella che avesse bruciato fino in fondo il suo stoppino, senza un suono, solo il pallido ondeggiare di una luce morente.

 

Non lo sapeva.

 

E non lo avrebbe *potuto* sapere.

 

Si sentì come se tutto, ormai fosse alle sue spalle. E che gli si stava aprendo, di fronte qualcosa di indicibile. Era una sensazione, non una visione, ed era una cosa mai provata, e la paura si mischiò alla curiosità e seppe, in quell’istante, che di tutto quello che aveva vissuto, di tutto quello che aveva pensato fosse importante, solo pochissimo aveva avuto un vero valore, che scarso era il peso che si portava dentro, che sottili erano le cose da rinchiudere, preziosissime, in uno scrigno, per portarle sempre con sé e non dimenticarle mai.

 

Se poteva scegliere avrebbe scelto: il sorriso di sua figlia quando gli tendeva le braccia; lo sguardo di suo padre quando si ammorbidiva appena, nelle luci sfumate della sera, e raccontava di una passato lontano e di un altrettanto lontano futuro da costruire, pieno di luminosa speranza; e la sensazione della mano di Jean Paul, posata appena sulla propria.

 

Avrebbe voluto ridere, o piangere.

 

Non ci fu niente del genere: solo il silenzio.

 

Il silenzio che avrebbe preceduto un’esplosione, o un silenzio che si sarebbe dilatato all’infinito?

 

Domanda senza senso.

 

Comunque fosse, lui non sarebbe già stato più lì per vederlo.. ci sarebbe solo una mano sulla sua, anche quando non avrebbe più potuto accorgersene.

 

___ CONTINUA..