NOTE: E’ ilseguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.
I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere
a mente, penso!! Sig.)


NOTE2: *non* sono un medico, certe cose, certe sostanze sono state utilizzate solo come ‘nomi’ e ovviamente *non* vi dico di andare a prendere
il vostro amico mutante con superpoteri (chiunque di voi ne ha uno, penso!)per somministrargli chissà che intruglio e vedere che effetto che fa!




Neve e ghiaccio

parte XIV

di Dhely


Un sogno, o un incubo: molto spesso i confini tra queste due parti della mente, tra queste due classificazioni sono così labili che quasi non si conosce come definire le cose che abbiamo di fronte.

Jean Paul aveva impiegato ventinove secondi da New York a quel posto sperduto in Romania (o qualunque posto fosse quello dove Pietro gli aveva detto che erano). Ora, da solo, senza un altro uomo da trasportare, senza la paura di non dover correre troppo, era tornato a casa in quindici. E si era
maledetto per non essere stato più veloce.


Pietro era più veloce di lui. Ma Pietro non era lì. Forse, Pietro, in quella scuola, in quel campus, non ci avrebbe mai più messo piede: eppure, ora,
l’idea era quasi un sollievo.

 

Ricordava l’espressione di Pietro quando parlava di ‘bambini’. Il suo bisogno, il suo assoluto desiderio di .. proteggerli. Pietro non era come lui, forse era vero, forse Pietro non aveva mai *smesso* di essere un bambino spaventato da qualcosa di troppo potente, o troppo terribile. Ma questo non gli aveva mai impedito di fare sempre in modo che nessun altro bambino dovesse trovarsi ad affrontare qualcosa più grande di sé. *Nessun* bambino, mutante o meno.


Pietro non era come lui: Pietro possedeva un mondo, dentro, che Jean Paul non riusciva neppure ad immaginare. Ma, nonostante quanto sapesse di amare quei ragazzi, sapesse di quanto doveva a quella scuola, agli insegnanti, ai suoi alunni, non era certo che sarebbe stato lì, ora, se Pietro avesse insistito appena un po’ meno. Per Pietro la sua non era una scelta, era un obbligo, una necessità. Per lui i più piccoli andavano protetti, sempre, a
rischio di ogni cosa, nonostante il dolore, la fatica e l’indifferenza.


Pietro era strano, unico, speciale.


Ma non ebbe tempo per pensare ancora a lui quando si posò nel cortile interno, di fronte alla struttura di mattoni sventrata, calcinacci e schegge di vetro gettate ovunque dalla deflagrazione. Urla, pianti, gente che correva, qualcuno che urlava ordini, una sorta di composta organizzazione
azzannata alle costole dal terrore, dall’idea dell’orrore appena avvenuto.


Northstar! – Scott lo richiamò, secco, urgente, indicando un gruppo di persone poste ad una decina di passi da loro, a metà strada tra l’ala
dell’edificio crollato e quello che sembrava un’infermeria di fortuna –Occupati dei ragazzi!”


Sembrava una maledizione. Stava per dirgli che con i suoi poteri avrebbe potuto raggiungere qualsiasi posto e ottenere qualsiasi macchinario, medicina, avrebbe potuto rapire ogni specialista, tutto quanto avessero
avuto bisogno, non preoccuparsi di..


“Professore!”

Kitty fu la prima a vederlo: sconvolta, in lacrime. La polvere era posata ovunque, su di loro, e le tracce sul suo viso di lacrime secche sembravano grotteschi disegni. Vide Robert correre qua e là, a badare ai bambini più piccoli, portandoli in braccio, riunendoli in gruppi, carezzandoli gentilmente, cercando di sorridere, organizzando il meglio che potesse quel poco che gli era stato affidato e qualcuno dei mutanti più grandi affaccendarsi intorno al dottore, ma Kitty gli si appoggiò al petto,
lasciandosi andare ai suoi piedi.


L’afferrò prima che cadesse, senza pensarci e le disse delle cose che avrebbero dovuto essere tranquillizzanti ma che non riuscì ad intuire. Soprattutto perché, dopo pochi attimi, si trovò avvolto, abbracciato, ricercato, desiderato, al centro della sua classe. Ragazzi spaventati, non feriti, ma con il terrore negli occhi, che chiedevano in lui, più grande,
più forte, una rassicurazione, un conforto.



Proteggici gli chiedevano con gli occhi. E Jean Paul si accorse di non poter far altro che mentire, sorridendo e spingendoli via, allontanandoli il più possibile dal luogo dell’esplosione. Alcuni non vollero farsi visitare da un paio di infermiere senza che lui desse il permesso, non li lasciò soli un solo attimo, come se fosse consapevole che quella misera unione sarebbe resistita solo in sua presenza. Poi il sole sorse, e lo scenario divenne più crudo, più netti i contorni di quell’incubo da cui non ci si riusciva a svegliare. Ma Scott gli corse accanto, una pacca sulla spalla, chiedendo
come andavano le cose.


“Bene, credo” rispose.


Scott gli disse che non era morto nessuno, e c’era infinito stupore in quegli occhi schermati da vetro al quarzo rubino, perché i ragazzi, che dovevano essere in palestra per una partita, avevano optato per giocare fuori, visto il bel tempo. Bobby aveva dato loro il permesso all’ultimo momento senza dover passare dall’ufficio del preside e si erano salvati. Un colpo di fortuna per il quale non sapevano a chi avrebbero dovuto rendere
grazie.


Jean Paul seppe che avrebbe baciato Robert fino a strappargli le tonsille per la sua totale, assoluta mancanza di disciplina, quando le cose si
fossero messe in sesto.

 

C’erano i ragazzi, ora, che si mostravano coraggiosi, alcuni, alcuni pietosi, e chiedevano se potevano aiutare, e stavano accanto ai compagni più fragili e sembravano più forti solo a sollevare lo sguardo e vedere lui lì.


Non fece nulla, in quelle ore convulse e terribili, se non esserci e parlare con voce calma, e dir loro cosa fare, e cosa no, dando loro fiducia e responsabilità, facendo vedere loro che lui era lì, e che con lui non avrebbero più avuto paura. Era quello che ora volevano, non chiedevano altro, erano solo.. bambini.

Bambini: come diceva Pietro.


Faceva male il cuore, e il dolore era rabbia e furia, e sapeva, Jean Paul, che se avesse potuto mettere le mani su quelli che avevano compiuto uno
scempio tale, li avrebbe distrutti a livello molecolare: era un desiderio che andava oltre lo sdegno, oltre la sete di vendetta, era.. peggio..


Seppe, una parola appena sussurrata, sfuggita ad un medico, che forse avevano
ottenuto finalmente tracce concrete degli attentatori.


Jean Paul si gelò e si scoprì combattuto. Sapeva che se fosse stato ancora il vecchio Northstar sarebbe partito, ora, immediatamente, alla loro ricerca, e li avrebbe fatti a brandelli e avrebbe ottenuto, tramite il loro sangue, la vendetta che desiderava. Ma qualcosa ora lo teneva lì: erano.. degli sguardi. Dei ragazzi spaventati, che lo guardavano e non si mettevano a piangere solo per la sua vicinanza, solo perché lui era lì, e perché era
lì per loro.


Terminò la notte e iniziò il giorno, il pomeriggio li trovò tutti altrettanto indaffarati ma affogati in istanti meno convulsi: l’odore del terrore stava svanendo. Alcuni bambini dormivano, sotto tranquillanti, altri ragazzi stringevano dentro qualcosa di indicibile e si vedeva che stavano maturando nuove ferite, più difficili da raggiungere, più dure da guarire. Ma la fiducia poteva fare miracoli, e Jean Paul, anche se i miracoli non li sapeva fare, e non era neppure certo di essere uno abile a trasmettere fiducia, non fece altro per ore e ore, senza sollevare il capo al cielo
sopra di lui, dove il sole si levò e tese ad abbassarsi di nuovo.


La notte, spaventosa, foriera di nuovo incubi, sobillati anche da una nuova debolezza, doveva essere tenuta a bada, e con poche parole scambiate con gli altri accettò questo suo nuovo compito, un po’ perché ora i *suoi* ragazzi avrebbero voluto solo lui, e si potevano fidare solo di lui, un po’ perché
non *poteva* lasciarli.


Era un lavoro duro e pesante, ma era per lui e per loro. Per entrambi.

 

Non si era mai accorto di aver avuto così bisogno di quei ragazzi, di quell’angolo di normalità che essi portavano nel disastro che era la sua vita. Le loro risate, le loro sciocche aspettative, i loro commenti, il loro non aver voglia di impegnarsi, il loro non aver mai paura del domani, ma essere sempre certi che le cose brutte potevano accadere, ma sarebbero sempre finite, che nel mondo vincevano sempre i buoni e che bastava volerlo, e impegnarsi, per ottenere ogni cosa.


Ragazzini puliti, belli, preziosi: quello che lui non era mai stato. In loro lui vedeva i suoi propri anni strappati, violentati, e sentiva con forza il bisogno di sapere che mai più nulla di tutto quello avrebbe potuto
ripetersi.


L’alba, la seconda, lo scoprì lì: gli edifici rimanenti da controllare, i ragazzi da convincere ad entrare nelle loro stanze, organizzare sale ampie, in cui farli riposare insieme, come se in questo modo fosse più semplice
affrontare l’incubo, la paura. E il suo nome chiamato e ripetuto, pianto, urlato, il bisogno di vederlo, di sentirlo vicino finché la paura non si trasformasse in fatica e la fatica stemperasse in un sonno leggero ma necessario. E gli edifici di cui controllare la stabilità, l’eliminare le macerie, le tracce più evidenti.



Raccogliere le tracce e permettere che il resto venisse annientato.


Prendere i ragazzi più forti, i più rancorosi e obbligarli, con un pennello in mano, a imbiancare di nuovo i muri più provati dallo spostamento d’aria. Lasciare che gli altri, più fragili e spaventati, più deboli, si sentissero utili, raccogliendo cocci della loro fiducia infranta per cercare di
plasmarla in qualcosa di altrettanto forte, e più resistente.


Vide Robert che sorrideva all’arrivo di un camion pieno di nuove viole per rendere più accogliente il prato, e le ragazze che gli avevano ubbidito, mettendosi a sistemare il prato grigio, mentre si chiacchierava di come fosse ormai venuto il momento di sostituire i vecchi palloni e che, dopo tutto
, il pavimento della vecchia palestra faceva schifo.


I lavori per quella nuova, diceva Robert, sarebbero durati mesi, ma sarebbe stato uno spettacolo, assicurava. E tutti annuivano e sorridevano. Solo Robert
riusciva a farli sorridere.


La terza alba: i ragazzi dormivano. Alcuni del gruppo erano sfiniti, il dottore si era quasi addormentato su una poltrona di fronte ad uno schermo pieno di dati che lampeggiavano di una luce verdina, con una decina appena di ragazzini in infermeria e nessuno di grave, ma troppi psicofarmaci distribuiti e da dover distribuire, nei giorni successivi. Kitty e pochi altri erano ancora in piedi, confusi ma tranquilli, ora, come se fossero sopravvissuti ad un uragano: spaventati e provati, ma vivi, e con qualcosa
di cui essere orgogliosi.


Il Professore fece la sua comparsa su un pavimento stranamente lucido, dopo tutto quello che era successo. Li guardò e sorrise. La sua gatta miagolò e
gli saltò in grembo.


“Per la squadra: riunione immediata. – la sua voce era un sussurro, la fatica impressa a chiare lettere in lui – Che Hank si riposi. E tu, Northstar – lo fissò e parve modulare sul suo viso un’espressione incredibilmente matura e saggia, dolce. Lui era il Professore, era l’ideatore di quel gruppo, l’anima di quella follia, il sognatore che aveva, per primo, osato sognare *quel* presente. E sapeva cosa dire, o almeno era quello che sembrava, sempre, in ogni istante, come se in quegli occhi mai si fossero aperte delle crepe, come se mai avesse sofferto, o fosse stato lacerato da dubbi.- Tu devi andare da un’altra parte, tu ti devi occupare di ..
qualcun altro.”


Pietro, sì.. l’ansia gli morse il cuore, e la preoccupazione.. poi posò lo sguardo su Kitty e udì la sua voce ‘i bambini, Jean Paul. I bambini.’ Ora
non avrebbe avuto il cuore di lasciarli lì quando loro avevano..


Kitty gli si avvicinò, e anche se aveva quindici anni, ed era una ragazzina spaventata che aveva pianto per ore in un angolo, impaurita che qualcuno la potesse vedere, odiandosi per non essere abbastanza forte, né abbastanza sicura, lo fissò, ora, direttamente negli occhi asciutti, e sorrideva,
quasi. Quasi: ma c’era pace nel suo sguardo.


Quella pace che aveva fatto fiorire lui, con .. con nulla.


“Sì, professore, vai. Noi stiamo bene, adesso. Possiamo farcela anche senza
di te. Ci mancherai ma.. tornerai presto, vero?”


Lui sorrise.


Oui, mon coeur.”


Disse socchiudendo gli occhi.


Erano stati fortunati, per la presenza di nessuno in palestra e per avere degli studenti così meravigliosi, così assolutamente vitali e.. non riuscì a
pensare ad altro, ora, se non a una promessa che qualcuno gli aveva fatto.


Qualcuno che lo stava aspettando e che ora, aveva bisogno di lui più di
quanto ne avessero bisogno i suoi ragazzi.


Si stupì ad abbracciarla, passandole una mano fra i capelli, le regalò un sorriso che non sentiva di possedere e si voltò verso la finestra
spalancata.


Robert
gli sorrise a sua volta.


“Quando tornerete, JP, ti prometto che troverete un cortile perfetto, e
delle nuove aiuole.


Kitty
annuì.


Anche il viale d’ingresso va messo a posto!”


E gli altri finiranno presto di imbiancare la facciata!”


___

Passi attenti, quasi spaventati di sollevare un solo rumore. Lì in Romania Jean Paul non sapeva che ore fossero, non sapeva neppure se fosse ‘ieri’ o domani’, e non aveva nessuno a cui chiederlo. La casa era .. vuota, almeno
silenziosa. Terribilmente silenziosa.


C’erano dei fiori in un vaso dove prima, quand’era partito, non c’erano: qualcuno era venuto, durante la sua assenza. Pensò a coloro che avevano l’incarico di tenere pulita e in ordine la casa e non riuscì a convincersi
di altro, come se poi potesse davvero importare.


Jean Paul si sentiva un.. un ragazzino, un adolescente alle sue prime esperienze, non l’uomo navigato che credeva di essere. Non sapeva di essere così vulnerabile.. o forse era solo che il cuore faceva dannatamente male e
lui non conosceva un modo qualsiasi per farlo smettere di dolergli?


Strinse le dita e abbassò lo sguardo sulla custodia medica che Mc Coy gli aveva porto un attimo prima di andarsene. Si era sentito così vuoto, così infinitamente solo.. avrebbe dovuto essere stanco, sfinito, avrebbe dovuto sognare una doccia e un letto, pulito, vuoto, in cui dormire per ore e giorni, in cui far evaporare il dolore, la sofferenza, i ricordi, e in cui svegliarsi come se fosse appena nato a un mondo differente, pulito. Forse
non perfetto, ma almeno più sopportabile.


Sarebbe bastato.


Aveva guardato il dottore, e poi la confezione che gli aveva messa tra le
dita.


‘Portala con te, e dalla a Pietro.’ aveva detto.


‘Cos
’è?’


Mc Coy aveva esitato un attimo, poi aveva come cercato delle parole, che,
non trovate, s’erano tramutate in un pallido sospiro triste.



Jean Paul, la morfina sarebbe inutile, e poi per la terapia del dolore ci vuole tempo, e una struttura medica adeguata. Il primo non l’abbiamo, la
seconda non la vuole..


Un respiro, Jean Paul aveva sbattuto le palpebre, incapace di capire
davvero.


‘Ha già iniziato a ..provare dolore?- gli aveva domandato il medico di fronte al suo stupore e di fronte a un suo cenno affermativo, dubbioso e tentennante, s’era semplicemente obbligato a proseguire.- Me l’aveva chiesto
lui, quando era qui. Allora mi ero rifiutato..


‘Perché
hai cambiato idea?’


‘Perché comunque non c’è più nulla da fare, e perché, forse, quella è una strana speranza. Non ho potuto proseguire i miei esami, i miei studi, ma forse in questo momento un soppressore di impulsi nervosi potrebbe aiutarlo. Se la causa di tutto è stata davvero un malaugurato miscuglio di neurotossine
con gas nervino, questo potrebbe disattivare il meccanismo.


‘Potrebbe.’

‘Potrebbe. E’ cianuro.- un sorriso che era solo un ghigno, e forse delle lacrime che non potevano venire, dopo giorni simili, una pena che non riusciva più a provare e l’idea, forse, sconvolgente e mai creduta che, per una volta, quello sarebbe stato un vero atto di pietà – Pietro è sempre
stato preciso nelle sue richieste.


Distolse lo sguardo, e cancellò quel discorso dalla sua mente. Non aveva voglia di parlare di eutanasia, o di pietà. Lui aveva sempre professato, con sufficiente leggerezza che qualunque adulto dotato di raziocinio potesse decidere della propria vita, e che i medici, al diavolo uno stupido giuramento scritto non-so-quanti-millenni-fa!, avevano il dovere di accordare. Ogni giorno, quanta gente si avvelenava di alcol, nicotina, pastiglie e roba varia? Perché non un medicinale serio? Che servisse solo
per quello?


Perché?


Ora lo sapeva: perché un conto era quando si parlava di unadulto consenziente in grado di intendere e di volere’, un conto era.. era una persona vicina al proprio cuore. Con questo Jean Paul non sapeva se fosse giusto o sbagliato quello che aveva creduto fino a pochi giorni prima, solo che.. solo che era una decisione così difficile, così pesante, così assurda.. come poteva credere che qualcuno potesse essere messo di fronte a una scelta simile e ne uscisse tranquillo come se avesse semplicemente firmato un contratto conto terzi? Lui.. lui non sapeva decidere, e non
doveva, dopo tutto: ma una parte dentro di sé non voleva.


Non voleva che Pietro se ne andasse.


Non voleva che Pietro lo lasciasse in quel modo.


Non voleva che..


Il silenzio si fece più leggero nell’aria chiara che entrava, luminosa, dalla finestra. Niente tende candide di mussola di cotone, via quel leggero velo che divideva lo sguardo dal cielo azzurro e infinito e chiaro e
lucente.


Pietro sedeva lì accanto e guardava fuori. Senza un movimento, un cenno, un’espressione, ma gli diede l’impressione che stesse sorridendo, pallido e
dolente. A lui.


Un saluto.


“Come stanno i bambini?”


Aveva la voce roca, sembrava faticare un poco ad uscire dai polmoni come se
avesse corso, o non ci fosse aria bastante per tenerlo in vita.


“Bene. – tentò di non infrangere, con la sua sola presenza, quello strano
equilibrio di cui si sentiva spettatore, avvicinandoglisi piano – Tutti bene.”


Avrebbe voluto chiedergli come stava, ma non ne ebbe la forza: lo vedeva. Così pallido, così sottile.. non era mai stato un amante dei fisici patiti ed emaciati, di quei ragazzini dal fascino acquatico e nervoso che sembravano un filo di fiato tenuti insieme da un nome, i cui occhi spiccavano, enormi e spalancati, lucidi e bellissimi su un corpo inconsistente. Gli piacevano gli uomini, anche graziosi e flessuosi, pure sottili ed eleganti ma quello che alcuni definivano fascino efebico non aveva
mai fatto per lui.


E non era un fatto di età.


Era.. Pietro stava male, non c’era nulla di bello o affascinante in quello, nel viso tirato, nelle guance leggermente scavate, nello sguardo sofferente, in quella camicia che tre giorni fa gli andava bene e ora, già, sembrava troppo grande. E non era come se Pietro sembrasse più giovane, no. Sembrava
più.. consumato.


Ed era una cosa bruttissima, orribile, il solo pensiero che Pietro stesse svanendo, un respiro dopo l’altro, che qualcosa di indicibile, che un caso’, che una concatenazione di eventi, che un qualcosa come quello stesse
*uccidendo* Pietro.


Jean Paul si fermò ad un passo da lui e si ritrovò a fissarlo: sconvolto. L’aveva pensato, ora l’incantesimo, in un certo modo, era rotto, e Pietro sarebbe potuto
morire davvero.


Davvero: adesso che l’aveva trovato, adesso che avrebbe potuto essere un po’ felice, forse per un istante almeno, ma per un po’.. perché la felicità, Jean Paul credeva, era l’unica cosa che potessero davvero conquistarsi gli esseri umani, era l’unica cosa per cui valesse soffrire, impegnarsi, combattere.. e ora tutto sarebbe finito, perché la morte forse non era orribile in sé, ma per quello che toglieva: la possibilità di soffrire, sì, ma anche quella di essere felici. Ed era proprio quella dannata possibilità che rendeva la vita degna di essere vissuta, di essere conquistata e di
piangere per essa e di..


Si ritrovò a pensare che, forse, era davvero un ragazzino, che non era mai stato nulla di più o di meglio oltre a quello: un ragazzino che, come tutti i bambini, era spavaldo e sicuro, tanto testardo da non piangere per sé, ma
incapace di affrontare il dolore altrui.


Avrebbe voluto abbracciarlo e si accorse di non riuscire a farlo, a muovere un solo passo, a tendere un solo muscolo verso di lui, neppure a sollevare
lo sguardo nel suo.


“Ne sono felice.”


Lo *sentì*.


L’aveva visto forte, luminoso, arrogante, duro e deciso. Lo aveva conosciuto tagliente e impossibile, l’aveva ammirato, solitario e orgoglioso. Forte. Indifferente. Intelligente, spietato. Qualcuno avrebbe detto ‘senza cuore’, e forse non aveva tutti i torti, forse era proprio questo ciò che Pietro sembrava. Ora, seguendo i cliché più classici e scontati, invece, si
mostrava assurdamente, infinitamente diverso.


Se avesse potuto esprimere quello che sentiva dentro, Jean Paul avrebbe detto che aveva di fronte qualcuno che non avesse fatto altro, in tutta la sua vita, che cercare disperatamente di essere.. amato. Considerato, accettato, benvoluto. Qualcuno che avesse bisogno di essere guardato e carezzato, qualcuno che forse aveva bisogno di dolcezza e non di ordini sparati a zero, di un sorriso anche nascosto tra i mille veli che solo una lunga conoscenza possono far dipanare, che Pietro, nei suoi silenzi, non aveva mai smesso un attimo di chiedere, di pregare: per un sorriso, per un
bacio, per un segno d’affetto.


Pietro.

No, Pietro non era così.


Non era il Pietro che conosceva lui.. non era neppure il Pietro che
conoscevano tutti.


Davanti alla morte cadevano davvero tutti i veli? Per questo si era così pudici
e spaventati, timorosi, di fronte ad essa? E..


Sentì le mani di Pietro tendersi a sfiorare le sue, dallo stupore quasi
urlò.


“E’ per me, quello. –indicò ciò che teneva ancora stretto – Sbaglio?”


Non avrebbe voluto rispondere.


Mc Coy ha detto che gliel’avevi chiesto.”


Un sorriso, che sembrava un fantasma, una grottesca immagine di ciò che
sapeva essere il vero sorriso di Pietro.


“Grazie.- sospiro, nuova fatica – Ora.. ora è meglio che tu vada.”


___ CONTINUA…