NOTE: E’ il ‘seguito’
di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito
dell’Ysal che
sul mio
http://www.dhely.altervista.org.
I pg non mi
appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure
un po’ OOC.. ma,
veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN
character visto che pure
loro
ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non
parlare del colore dei *capelli*,
cosa che dovrebbe più semplice da tenere
a mente, penso!!
Sig.)
NOTE2: *non* sono un medico, certe cose,
certe sostanze sono state
utilizzate solo come ‘nomi’ e ovviamente *non*
vi dico di andare a prendere
il vostro amico mutante con superpoteri (chiunque di
voi ne ha uno, penso!)per somministrargli chissà
che intruglio e vedere che effetto che fa!
Neve e ghiaccio
parte XIV
di Dhely
Un sogno, o un incubo: molto spesso i confini tra queste due
parti della
mente, tra queste due classificazioni sono così labili che quasi non si
conosce come definire le cose che abbiamo
di fronte.
Jean
Paul aveva impiegato
ventinove secondi da New York a quel posto
sperduto in Romania (o qualunque posto
fosse quello dove Pietro gli aveva
detto che erano). Ora, da solo, senza un altro uomo da trasportare, senza la
paura di non dover correre troppo, era
tornato a casa in quindici. E si era
maledetto per non essere
stato più veloce.
Pietro era più veloce di lui.
Ma Pietro non era lì. Forse, Pietro, in quella
scuola, in quel campus, non ci avrebbe
mai più messo piede: eppure, ora,
l’idea era quasi un
sollievo.
Ricordava l’espressione di Pietro quando parlava di ‘bambini’.
Il suo
bisogno, il suo assoluto desiderio di ..
proteggerli. Pietro non era come
lui,
forse era vero, forse Pietro non aveva mai *smesso* di essere un
bambino spaventato da qualcosa di troppo
potente, o troppo terribile. Ma
questo non gli aveva mai impedito di fare
sempre in modo che nessun altro
bambino dovesse trovarsi ad affrontare qualcosa più grande di sé. *Nessun*
bambino, mutante o meno.
Pietro non era come lui: Pietro possedeva
un mondo, dentro, che Jean
Paul non riusciva neppure ad immaginare. Ma,
nonostante quanto sapesse di amare quei ragazzi, sapesse di quanto doveva a
quella scuola, agli insegnanti, ai suoi alunni, non era certo che sarebbe
stato lì, ora, se Pietro avesse insistito appena un po’ meno. Per
Pietro la sua non era una scelta, era un
obbligo, una necessità. Per lui i più
piccoli andavano protetti, sempre, a
rischio
di ogni cosa, nonostante il dolore, la fatica e
l’indifferenza.
Pietro era strano, unico,
speciale.
Ma
non ebbe tempo per pensare ancora a lui quando si posò nel cortile
interno, di fronte alla struttura di
mattoni sventrata, calcinacci e schegge
di vetro gettate ovunque dalla
deflagrazione. Urla, pianti, gente che
correva, qualcuno che urlava ordini, una
sorta di composta organizzazione
azzannata alle costole dal
terrore, dall’idea dell’orrore appena avvenuto.
“Northstar! –
Scott lo richiamò, secco, urgente, indicando un
gruppo di
persone poste ad una decina di passi da loro, a metà strada tra l’ala
dell’edificio crollato e
quello che sembrava un’infermeria di fortuna –Occupati
dei ragazzi!”
Sembrava una maledizione. Stava per
dirgli che con i suoi poteri avrebbe
potuto raggiungere qualsiasi posto e ottenere qualsiasi macchinario,
medicina, avrebbe potuto rapire ogni
specialista, tutto quanto avessero
avuto bisogno, non
preoccuparsi di..
“Professore!”
Kitty
fu la prima a vederlo: sconvolta, in lacrime. La polvere era posata
ovunque, su di loro, e le tracce sul suo
viso di lacrime secche sembravano
grotteschi disegni. Vide Robert correre qua e
là, a badare ai bambini più
piccoli, portandoli in braccio, riunendoli in gruppi, carezzandoli
gentilmente, cercando di sorridere,
organizzando il meglio che potesse quel
poco che gli era stato affidato e
qualcuno dei mutanti più grandi
affaccendarsi intorno al dottore, ma Kitty gli
si appoggiò al petto,
lasciandosi andare ai suoi piedi.
L’afferrò prima che cadesse, senza
pensarci e le disse delle cose che
avrebbero dovuto essere tranquillizzanti ma che non riuscì ad intuire.
Soprattutto perché, dopo pochi attimi, si
trovò avvolto, abbracciato,
ricercato, desiderato, al centro della sua classe.
Ragazzi spaventati, non
feriti, ma con il terrore negli occhi, che chiedevano in lui, più grande,
più forte, una
rassicurazione, un conforto.
‘Proteggici’
gli chiedevano con gli occhi. E
Jean Paul si accorse
di non
poter far altro che mentire, sorridendo e spingendoli via, allontanandoli il
più possibile dal luogo dell’esplosione.
Alcuni non vollero farsi visitare
da
un paio di infermiere senza che lui desse il
permesso, non li lasciò soli
un
solo attimo, come se fosse consapevole che quella misera unione sarebbe
resistita solo in sua presenza. Poi il
sole sorse, e lo scenario divenne più
crudo, più netti
i contorni di quell’incubo da cui non ci si
riusciva a
svegliare. Ma Scott
gli corse accanto, una pacca sulla spalla, chiedendo
come andavano le cose.
“Bene, credo” rispose.
Scott
gli disse che non era morto nessuno, e c’era infinito stupore in
quegli occhi schermati da vetro al quarzo
rubino, perché i ragazzi, che
dovevano essere in palestra per una partita, avevano
optato per giocare
fuori, visto il bel tempo. Bobby aveva dato loro
il permesso all’ultimo
momento senza dover passare dall’ufficio del preside e si erano salvati. Un
colpo di fortuna per il quale non
sapevano a chi avrebbero dovuto rendere
grazie.
Jean
Paul seppe che avrebbe baciato
Robert fino a strappargli le tonsille
per la sua totale, assoluta mancanza di
disciplina, quando le cose si
fossero messe in sesto.
C’erano i ragazzi, ora, che si mostravano coraggiosi, alcuni,
alcuni
pietosi, e chiedevano se potevano aiutare, e
stavano accanto ai compagni più
fragili e sembravano più
forti solo a sollevare lo sguardo e vedere lui lì.
Non fece nulla, in quelle ore convulse e
terribili, se non esserci e parlare
con
voce calma, e dir loro cosa fare, e cosa no, dando loro fiducia e
responsabilità, facendo vedere loro che
lui era lì, e che con lui non avrebbero più avuto paura. Era quello che ora
volevano, non chiedevano
altro, erano solo.. bambini.
Bambini: come diceva
Pietro.
Faceva male il cuore, e il dolore era
rabbia e furia, e sapeva, Jean
Paul,
che
se avesse potuto mettere le mani su quelli che
avevano compiuto uno
scempio tale, li avrebbe distrutti a livello molecolare: era
un desiderio che andava oltre lo sdegno, oltre la sete di vendetta, era..
peggio..
Seppe, una parola appena sussurrata,
sfuggita ad un medico, che forse
avevano
ottenuto finalmente tracce concrete degli attentatori.
Jean
Paul si gelò e si scoprì combattuto. Sapeva che
se fosse stato ancora
il
vecchio Northstar sarebbe partito, ora,
immediatamente, alla loro
ricerca, e li avrebbe fatti a brandelli e avrebbe
ottenuto, tramite il loro
sangue, la vendetta che desiderava. Ma qualcosa ora lo teneva lì: erano..
degli sguardi. Dei ragazzi spaventati,
che lo guardavano e non si mettevano
a
piangere solo per la sua vicinanza, solo perché lui era lì, e perché era
lì per loro.
Terminò la notte e iniziò il giorno, il
pomeriggio li trovò tutti
altrettanto indaffarati ma affogati in istanti meno convulsi: l’odore del
terrore stava svanendo. Alcuni bambini dormivano, sotto tranquillanti, altri
ragazzi stringevano dentro
qualcosa di indicibile e si vedeva che stavano
maturando nuove ferite, più difficili da
raggiungere, più dure da guarire.
Ma
la fiducia poteva fare miracoli, e Jean
Paul, anche se i miracoli non li
sapeva
fare, e non era neppure certo di essere uno abile a trasmettere
fiducia, non fece altro per ore e ore,
senza sollevare il capo al cielo
sopra di lui, dove il sole
si levò e tese ad abbassarsi di nuovo.
La notte, spaventosa, foriera di nuovo
incubi, sobillati anche da una nuova debolezza, doveva
essere tenuta a bada, e con poche parole scambiate con gli
altri accettò questo suo nuovo compito,
un po’ perché ora i *suoi* ragazzi
avrebbero voluto solo lui, e si potevano fidare solo di lui, un po’ perché
non *poteva* lasciarli.
Era un lavoro duro e
pesante, ma era per lui e per loro. Per entrambi.
Non si era mai accorto di aver avuto così bisogno di quei
ragazzi, di
quell’angolo
di normalità che essi portavano nel disastro che era la sua
vita. Le loro risate, le loro sciocche
aspettative, i loro commenti, il loro
non aver voglia di impegnarsi, il loro
non aver mai paura del domani, ma
essere sempre certi che le cose brutte potevano accadere, ma sarebbero
sempre finite, che nel mondo vincevano
sempre i buoni e che bastava volerlo,
e impegnarsi, per ottenere
ogni cosa.
Ragazzini puliti, belli, preziosi: quello
che lui non era mai stato.
In loro
lui
vedeva i suoi propri anni strappati, violentati, e sentiva con forza il
bisogno di sapere che mai più nulla di
tutto quello avrebbe potuto
ripetersi.
L’alba, la seconda, lo scoprì lì: gli
edifici rimanenti da controllare, i
ragazzi da convincere ad entrare nelle loro stanze, organizzare sale ampie,
in cui farli riposare insieme, come se in
questo modo fosse più semplice
affrontare l’incubo, la
paura. E il suo nome chiamato e ripetuto, pianto,
urlato, il bisogno di vederlo, di sentirlo vicino finché la paura non si
trasformasse in fatica e la fatica stemperasse in un sonno leggero ma
necessario. E gli edifici
di cui controllare la stabilità, l’eliminare le macerie, le tracce più
evidenti.
Raccogliere le tracce e
permettere che il resto venisse annientato.
Prendere i ragazzi più forti, i più
rancorosi e obbligarli, con un pennello
in mano, a
imbiancare di nuovo i muri più provati dallo spostamento d’aria.
Lasciare che gli altri, più fragili e
spaventati, più deboli, si sentissero
utili, raccogliendo cocci della loro
fiducia infranta per cercare di
plasmarla in qualcosa di
altrettanto forte, e più resistente.
Vide Robert
che sorrideva all’arrivo di un camion pieno di nuove viole per
rendere più accogliente il prato, e le
ragazze che gli avevano ubbidito,
mettendosi a sistemare il prato grigio, mentre si chiacchierava di come
fosse ormai venuto il momento di
sostituire i vecchi palloni e che, dopo
tutto,
il pavimento della vecchia palestra faceva schifo.
I lavori per quella nuova, diceva
Robert, sarebbero durati mesi, ma sarebbe
stato uno spettacolo,
assicurava. E tutti annuivano e
sorridevano. Solo
Robert
riusciva a farli sorridere.
La terza alba: i ragazzi dormivano.
Alcuni del gruppo erano sfiniti, il
dottore si era quasi addormentato su una poltrona di fronte ad uno schermo
pieno di dati che lampeggiavano di una
luce verdina, con una decina appena
di
ragazzini in infermeria e nessuno di grave, ma troppi psicofarmaci
distribuiti e da dover distribuire, nei
giorni successivi. Kitty e pochi
altri erano ancora in piedi, confusi ma
tranquilli, ora, come se fossero
sopravvissuti ad un uragano: spaventati e provati, ma vivi, e con qualcosa
di cui essere orgogliosi.
Il Professore fece la sua comparsa su un
pavimento stranamente lucido, dopo
tutto
quello che era successo. Li guardò e sorrise. La sua gatta miagolò e
gli saltò in grembo.
“Per la squadra: riunione immediata. – la
sua voce era un sussurro, la
fatica impressa a chiare lettere in lui – Che Hank
si riposi. E tu,
Northstar
– lo fissò e parve modulare sul suo viso un’espressione
incredibilmente matura e saggia, dolce.
Lui era il Professore, era
l’ideatore di quel gruppo, l’anima di quella follia, il sognatore che aveva,
per primo, osato sognare *quel* presente.
E sapeva cosa dire, o almeno era
quello che sembrava, sempre, in ogni istante, come se in quegli occhi mai si
fossero aperte delle crepe, come se mai
avesse sofferto, o fosse stato
lacerato da dubbi.- Tu devi andare da un’altra parte, tu ti devi occupare di
..
qualcun altro.”
Pietro, sì..
l’ansia gli morse il cuore, e la preoccupazione.. poi posò lo
sguardo su Kitty
e udì la sua voce ‘i bambini, Jean
Paul. I bambini.’ Ora
non avrebbe avuto il cuore
di lasciarli lì quando loro avevano..
Kitty
gli si avvicinò, e anche se aveva quindici anni, ed era una ragazzina
spaventata che aveva pianto per ore in un
angolo, impaurita che qualcuno la
potesse vedere, odiandosi per non essere abbastanza forte, né abbastanza
sicura, lo fissò, ora, direttamente negli
occhi asciutti, e sorrideva,
quasi. Quasi: ma c’era pace nel suo sguardo.
Quella pace che aveva
fatto fiorire lui, con .. con nulla.
“Sì, professore, vai. Noi stiamo bene,
adesso. Possiamo farcela anche senza
di te. Ci mancherai ma..
tornerai presto, vero?”
Lui sorrise.
“Oui,
mon coeur.”
Disse socchiudendo gli
occhi.
Erano stati fortunati, per la presenza di
nessuno in palestra e per avere
degli studenti così meravigliosi, così assolutamente vitali e.. non riuscì a
pensare ad altro, ora, se
non a una promessa che qualcuno gli aveva fatto.
Qualcuno che lo stava aspettando e che
ora, aveva bisogno di lui più di
quanto
ne avessero bisogno i suoi ragazzi.
Si stupì ad abbracciarla, passandole una
mano fra i capelli, le regalò un
sorriso che non sentiva di possedere e si voltò verso la finestra
spalancata.
Robert
gli sorrise a sua volta.
“Quando tornerete, JP, ti prometto che
troverete un cortile perfetto, e
delle nuove aiuole.”
Kitty
annuì.
“Anche
il viale d’ingresso va messo a posto!”
“E
gli altri finiranno presto di imbiancare la facciata!”
___
Passi attenti, quasi spaventati di
sollevare un solo rumore. Lì in Romania
Jean
Paul non sapeva che ore fossero, non sapeva
neppure se fosse ‘ieri’ o
‘domani’, e
non aveva nessuno a cui chiederlo. La casa era ..
vuota, almeno
silenziosa. Terribilmente silenziosa.
C’erano dei fiori in un vaso dove prima,
quand’era partito, non c’erano:
qualcuno era venuto, durante la sua assenza. Pensò a
coloro che avevano
l’incarico di tenere pulita e in ordine la casa e non riuscì a convincersi
di altro, come se poi
potesse davvero importare.
Jean
Paul si sentiva un..
un ragazzino, un adolescente alle sue prime
esperienze, non l’uomo navigato che
credeva di essere. Non sapeva di essere
così vulnerabile..
o forse era solo che il cuore faceva dannatamente male e
lui non conosceva un modo
qualsiasi per farlo smettere di dolergli?
Strinse le dita e abbassò lo sguardo
sulla custodia medica che Mc
Coy gli
aveva porto un attimo prima di andarsene. Si era
sentito così vuoto, così
infinitamente solo.. avrebbe dovuto essere
stanco, sfinito, avrebbe dovuto
sognare una doccia e un letto, pulito, vuoto, in cui dormire per ore e
giorni, in cui far evaporare il dolore,
la sofferenza, i ricordi, e in cui
svegliarsi come se fosse appena nato a un mondo differente, pulito. Forse
non perfetto, ma almeno
più sopportabile.
Sarebbe bastato.
Aveva guardato il dottore, e poi la
confezione che gli aveva messa tra le
dita.
‘Portala con te, e
dalla a Pietro.’ aveva detto.
‘Cos’è?’
Mc
Coy aveva esitato un attimo, poi aveva come
cercato delle parole, che,
non trovate, s’erano tramutate in un pallido sospiro triste.
‘Jean
Paul, la morfina sarebbe inutile, e poi per la
terapia del dolore ci
vuole tempo, e una struttura medica adeguata. Il primo non l’abbiamo, la
seconda non la vuole..’
Un respiro, Jean
Paul aveva sbattuto le palpebre, incapace di
capire
davvero.
‘Ha già iniziato a ..provare
dolore?- gli aveva domandato il medico di
fronte al suo stupore e di fronte a un
suo cenno affermativo, dubbioso e
tentennante, s’era semplicemente obbligato a proseguire.- Me l’aveva chiesto
lui, quando era qui.
Allora mi ero rifiutato..’
‘Perché
hai cambiato idea?’
‘Perché comunque
non c’è più nulla da fare, e perché, forse, quella è una
strana speranza. Non ho potuto proseguire
i miei esami, i miei studi, ma
forse in questo momento un soppressore di impulsi
nervosi potrebbe aiutarlo.
Se
la causa di tutto è stata davvero un malaugurato miscuglio di
neurotossine
con gas nervino, questo potrebbe disattivare il meccanismo.’
‘Potrebbe.’
‘Potrebbe. E’ cianuro.- un sorriso che
era solo un ghigno, e forse delle
lacrime che non potevano venire, dopo giorni simili, una pena che non
riusciva più a provare e l’idea, forse,
sconvolgente e mai creduta che, per
una
volta, quello sarebbe stato un vero atto di pietà – Pietro è sempre
stato preciso nelle sue
richieste.’
Distolse lo sguardo, e cancellò quel
discorso dalla sua mente. Non aveva
voglia di parlare di eutanasia, o di pietà. Lui
aveva sempre professato, con
sufficiente leggerezza che qualunque adulto dotato di raziocinio
potesse
decidere della propria vita, e che i medici, al diavolo uno stupido
giuramento scritto
non-so-quanti-millenni-fa!, avevano il dovere di
accordare. Ogni giorno, quanta gente si
avvelenava di alcol, nicotina,
pastiglie e roba varia?
Perché non un medicinale serio?
Che servisse solo
per quello?
Perché?
Ora lo sapeva: perché un conto era quando
si parlava di un ‘adulto
consenziente in grado di intendere e di
volere’, un conto era.. era una
persona vicina al proprio cuore. Con
questo Jean Paul non
sapeva se fosse
giusto o sbagliato quello che aveva creduto fino a pochi giorni prima, solo
che.. solo che
era una decisione così difficile, così pesante, così
assurda.. come poteva credere che
qualcuno potesse essere messo di fronte a
una scelta simile e ne uscisse tranquillo
come se avesse semplicemente
firmato un contratto conto terzi? Lui.. lui non
sapeva decidere, e non
doveva, dopo tutto: ma una parte dentro di sé non voleva.
Non voleva che Pietro se
ne andasse.
Non voleva che Pietro lo
lasciasse in quel modo.
Non voleva che..
Il silenzio si fece più leggero nell’aria
chiara che entrava, luminosa,
dalla finestra. Niente tende candide di mussola di cotone, via quel leggero
velo che divideva lo sguardo dal cielo
azzurro e infinito e chiaro e
lucente.
Pietro sedeva lì accanto e guardava
fuori. Senza un movimento, un cenno,
un’espressione, ma gli diede l’impressione che stesse
sorridendo, pallido e
dolente. A lui.
Un saluto.
“Come stanno i bambini?”
Aveva la voce roca, sembrava faticare un
poco ad uscire dai polmoni come se
avesse corso, o non ci
fosse aria bastante per tenerlo in vita.
“Bene. – tentò di non infrangere, con la
sua sola presenza, quello strano
equilibrio di cui si
sentiva spettatore, avvicinandoglisi piano –
Tutti bene.”
Avrebbe voluto chiedergli come stava, ma
non ne ebbe la forza: lo vedeva.
Così pallido, così sottile..
non era mai stato un amante dei fisici patiti
ed emaciati, di quei ragazzini dal
fascino acquatico e nervoso che
sembravano un filo di fiato tenuti insieme da un nome, i cui occhi
spiccavano, enormi e spalancati, lucidi e
bellissimi su un corpo
inconsistente. Gli piacevano gli uomini, anche graziosi e flessuosi, pure
sottili ed eleganti ma quello che alcuni
definivano fascino efebico non
aveva
mai fatto per lui.
E non era un fatto
di età.
Era.. Pietro
stava male, non c’era nulla di bello o affascinante in quello,
nel viso tirato, nelle guance leggermente
scavate, nello sguardo sofferente,
in
quella camicia che tre giorni fa gli andava bene e ora, già, sembrava
troppo grande. E non era come se Pietro
sembrasse più giovane, no. Sembrava
più..
consumato.
Ed era una cosa bruttissima, orribile, il
solo pensiero che Pietro stesse
svanendo, un respiro dopo l’altro, che qualcosa di
indicibile, che un
‘caso’,
che una concatenazione di eventi, che un qualcosa come quello stesse
*uccidendo* Pietro.
Jean
Paul si fermò ad un passo da lui e si ritrovò a
fissarlo: sconvolto.
L’aveva pensato, ora l’incantesimo, in un certo modo, era rotto, e Pietro
sarebbe potuto
morire davvero.
Davvero: adesso che l’aveva trovato,
adesso che avrebbe potuto essere un po’
felice, forse per un istante almeno, ma
per un po’.. perché la felicità,
Jean
Paul credeva, era l’unica cosa che potessero
davvero conquistarsi gli
esseri umani, era l’unica cosa per cui valesse soffrire, impegnarsi,
combattere.. e ora tutto sarebbe finito,
perché la morte forse non era
orribile in sé, ma per quello che toglieva: la possibilità di soffrire, sì,
ma anche quella di essere felici. Ed era
proprio quella dannata possibilità
che
rendeva la vita degna di essere vissuta, di essere conquistata e di
piangere per
essa e di..
Si ritrovò a pensare che, forse,
era davvero un ragazzino, che non era mai
stato nulla di più o di meglio oltre a
quello: un ragazzino che, come tutti
i
bambini, era spavaldo e sicuro, tanto testardo da non piangere per sé, ma
incapace di affrontare il
dolore altrui.
Avrebbe voluto abbracciarlo e si
accorse di non riuscire a farlo, a muovere
un solo passo, a tendere un solo muscolo
verso di lui, neppure a sollevare
lo sguardo nel suo.
“Ne sono felice.”
Lo *sentì*.
L’aveva visto forte, luminoso, arrogante,
duro e deciso. Lo aveva conosciuto
tagliente e impossibile, l’aveva ammirato, solitario e orgoglioso. Forte.
Indifferente. Intelligente, spietato.
Qualcuno avrebbe detto ‘senza cuore’,
e forse non aveva tutti i torti, forse
era proprio questo ciò che Pietro
sembrava. Ora, seguendo i cliché più
classici e scontati, invece, si
mostrava assurdamente,
infinitamente diverso.
Se avesse potuto esprimere quello che
sentiva dentro, Jean Paul
avrebbe
detto che aveva di fronte qualcuno che non avesse fatto altro, in tutta la
sua vita, che cercare disperatamente di
essere.. amato. Considerato,
accettato, benvoluto. Qualcuno che
avesse bisogno di essere guardato e
carezzato, qualcuno che forse aveva
bisogno di dolcezza e non di ordini
sparati a zero, di un sorriso anche nascosto tra i mille veli che solo una
lunga conoscenza possono far dipanare,
che Pietro, nei suoi silenzi, non
aveva mai smesso un attimo di chiedere, di pregare: per un sorriso, per un
bacio, per un segno
d’affetto.
Pietro.
No, Pietro non era così.
Non era il Pietro che conosceva lui..
non era neppure il Pietro che
conoscevano tutti.
Davanti alla morte cadevano davvero tutti
i veli? Per questo si era così
pudici
e spaventati, timorosi, di fronte ad essa?
E..
Sentì le mani di Pietro tendersi a
sfiorare le sue, dallo stupore quasi
urlò.
“E’ per me, quello.
–indicò ciò che teneva ancora stretto – Sbaglio?”
Non avrebbe voluto
rispondere.
“Mc
Coy ha detto che gliel’avevi
chiesto.”
Un sorriso, che sembrava un fantasma, una
grottesca immagine di ciò che
sapeva essere il vero
sorriso di Pietro.
“Grazie.- sospiro, nuova
fatica – Ora.. ora è meglio che tu vada.”
___ CONTINUA…
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