NOTE: le solite e, in più, c’è una nota finale, questa volta, che mi sta molto a cuore. Vorrei che la leggeste.




Neve e ghiaccio

parte XIII

di Dhely


Pietro aveva pianto. Per ore, lunghissime ore che scivolarono via, su di loro, giù dal cielo che divenne scuro, sempre più scuro, per poi quasi impallidire, ora, al tocco lontano di un’alba che, da qualche parte nel mondo, stava facendo la sua comparsa. Aveva pianto in silenzio, lacrime gentili e immobili a sfiorargli il viso, gli occhi chiusi come a tentare di arginare la pena, il dolore, come se esse, davvero, avessero il potere magico di mondare il cuore di tutta la sozzura che la vita ci aveva ammassato sopra, di cicatrizzare le ferite, disinfettare i tagli, anestetizzare il dolore.

 

Jean Paul sentiva il petto più leggero: era giusta quella reazione, era corretta e umana. Nessuno poteva sopportare così tanto dolore, così tanta sofferenza chiusa dentro sé, senza permettersi un solo cedimento, senza un solo cenno, senza un gesto, senza permettersi un tremito di paura, di timore. Era normale piangere, anche se entrambi erano professionisti, anche se entrambi lo sapevano, erano consapevoli ed addestrati a sopportare tutto quello: erano professionisti, sì, ma erano e rimanevano uomini.

 

E Pietro..

 

Gli passò una mano sul viso, gli sorrise. S’era assopito appena, le spalle coperte da un plaid leggero che Jean Paul gli aveva appoggiato addosso nel cuore della notte, quando il freddo rischiava di divenire troppo mordente per poter essere tenuto a bada semplicemente dalla vicinanza dei loro corpi.

 

Era bellissimo: più duro adesso di quanto non si fosse mai mostrato. Così.. pulito.

 

Pietro: era un bel nome per lui. Stupidamente ora gli venne in mente Peter Pan: il bambino che non cresceva mai, che rimaneva sempre giovane. L’anima di Pietro era quella, candida, pulita, di un ragazzino, sì, al di sotto dello strato di ghiaccio e dolore che si era creato per proteggersi. Nulla l’aveva cambiato davvero, i dolori l’avevano solo spaventato, e fatto ritrarre, ma gli parve che nulla l’avesse toccato. O meglio, che molte cose l’avessero toccato, ferito, fatto sanguinare, ma niente avesse stravolto il suo cuore.

 

Era questo ciò che lo attraeva davvero in lui? Era questo che lo rendeva affascinante, e che rendeva secondario, davvero, il suo aspetto, il suo sguardo, il suo corpo?

 

Posò lentamente le labbra sui suoi capelli candidi, così strani e insieme luminosi e avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì, che non un solo attimo scivolasse via dalle loro dita, che il mondo iniziasse e finisse lì, rinchiuso nel suo abbraccio e protetto da lui come mai aveva custodito null’altro con tanta passione, e forza.

 

Lo sentì prendere un respiro più profondo, sentì i suoi muscoli tendersi, poi come ritrarsi, tremando, una specie di crampo doloroso che gli strappò appena un gemito dalle labbra pallide. Sofferenza.

 

Il suo corpo gli si stava rivoltando contro, si stava uccidendo. Doveva stare soffrendo, eppure quello era il primo singhiozzo che sentiva provenire da lui. Il viso era segnato, anche se riposato: sembrava uno che stesse lottando da mesi contro una qualche malattia terribile. Eppure erano solo tre giorni: ma era il metabolismo di Pietro, la sua maledizione, e, insieme, la sua fortuna, ciò che lo rendeva così speciale, così unico, così..

 

Gli sfiorò il viso, delicatamente.

 

“Va tutto bene, Pietro.”

 

Uno sguardo luminoso e assonnato, insieme, si aprì su di lui. Il tentativo di dire qualcosa ma poi Pietro cambiò idea. Si limitò a sorridere scuotendo il capo, come se fosse davvero troppo stanco per fare altro, lui che non era *mai* stato stanco, lui che poteva non dormire per una settimana di fila ed essere ancora presente e sveglio come qualunque altra persona appena dopo un riposo di nove ore filate.

 

No, non andava tutto bene, Jean Paul lo sapeva, Pietro lo sapeva. Non si poteva fermare quella maledizione, nessuno conosceva una cura per quel.. per quell’incidente, perché *dannazione* era stato davvero solo quello! Il gas non avrebbe dovuto dare quella reazione, non avrebbe dovuto combinarsi con il narcotico in quel modo! Era avvenuto a causa del metabolismo di Pietro, questo era stato accertato: solo dentro il suo corpo, con quel peculiare livello di enzimi si poteva raggiungere il livello ottimale per una cosa ..simile.

 

Il braccio che gli cingeva le spalle si strinse, sentì il capo di Pietro appoggiarsi pesantemente al suo petto e questo, per un attimo, parve avere il potere di allentare la pressione che sentiva dentro. Prese un respiro e scoprì che gli tremava il cuore.

 

Per la prima volta dopo anni Jean Paul si sentì ancora, *davvero* indifeso. E non era come essere una cavia, nudo ed esposto, vulnerabile ad ogni desiderio, ad ogni macchinario, ad ogni strumento la mente umana avesse potuto inventare, no. Era qualcosa di peggio. Era essere lì, le braccia tese, le mani in cui si porgeva il proprio cuore, la propria anima, con un sorriso e null’altro: non attendere niente, non sperare nulla. Non c’era lì, ora, la sicurezza del dolore fisico, del *proprio* dolore fisico che lo avrebbe consegnato ad un oblio desiderato, dal quale destarsi potendosi aspettare chissà cosa di nuovo. Lì era tutto fermo, immobile. Nulla riguardava lui, nulla dipendeva da lui.

 

Pietro: Pietro era ora il suo orizzonte, il suo riferimento, la sua possibilità di ridere o piangere, il suo pensiero, la sua stella.

 

Logan lo aveva avvisato di stargli lontano, ed aveva avuto ragione lui. Pietro era pericoloso, era uno di quelli che ti poteva fare a pezzi con la leggera indifferenza di chi non si preoccupi assolutamente di chi lo circondi, troppo avvolto nei suoi propri scopi: proprio come .. un ragazzino. E Pietro.. Pietro era lì, e stava *morendo* fra le sue braccia e non ci poteva fare nulla, non poteva neppure piangere per lui, ora, perché l’altro non l’avrebbe capito, avrebbe avuto paura, perché le lacrime a volte sanno essere più terrorizzanti dei pugni, e l’avrebbe allontanato, e Jean Paul non voleva passare un solo secondo lontano da lui.

 

Un sussurro strano, appena strozzato lo distolse, violento, da certe riflessioni.

 

Jean Paul passò una mano fra i suoi capelli, premuti contro la sua spalla e sorrise, sentendosi stupidamente felice di potersi permettere un gesto così.. piccolo. Eppure così profondo.

 

“Cosa, Pietro? – abbassò il viso sfiorandogli il lobo con un labbro, sussurrando - Non ho capito, scusa.”

 

Un sorriso leggero, pallidissimo e come un tremito che non riuscisse, Pietro, a tenere a bada, come se il male, il dolore si fosse ormai stabilito definitivamente dentro di lui.

 

“Ho freddo..”

___

 

Le ore erano passate, ancora, in silenzio. Il tempo gli sarebbe parso starsi dilatandosi se non avesse seguito la luce crescere per poi decrescere delicatamente, fuori dalla finestra, morbide carezze che superavano i vetri e si posavano, leggere come farfalle, sulle coperte e le lenzuola, posate, avvolte sui corpi stretti in un abbraccio che sembrava quello, inscindibile, d’una statua d’amanti.

 

Jean Paul aveva il capo posato sul cuscino morbido, e le braccia strette attorno a quel corpo leggermente addormentato, come se fosse calato in un placido, tranquillo torpore e da lì nessuno avesse mai potuto avere il cuore di destarlo.

 

Ogni tanto le sue ciglia scure si muovevano leggere nell’aria e quegli occhi chiari, chiarissimi, si posavano per la stanza, curiosi e dubbiosi insieme, come se la consapevolezza non facesse nascere altro se non domande, fino a che non si puntavano sul viso del canadese e allora Pietro sorrideva. Sussurrava qualcosa. Lasciava che la mano dell’altro lo sfiorasse gentilmente, gli toccasse una spalla, seguisse la curva del suo collo, sprofondasse le dita nei capelli. Un sussurro, una parola lieve appena abbozzata, un nome, che conteneva in sé tutta l’infinita profondità del cuore di un uomo.

 

“Jean.”

 

In risposta?

 

Labbra sulle labbra. Un bacio, dolce, lento, infinito, morbido, movimenti calmi ed armoniosi, desiderio che bruciava, ma piano, come braci sotto un palmo di ceneri fredde e bastava quello, a Jean Paul, per sentirsi sospeso perfettamente a metà fra il paradiso e l’inferno: patetico e stupido, ma così era come si sentiva, questo era quello che viveva.

 

Ogni bacio era un sorso d’ambrosia che il destino gli aveva immeritatamente donato, ogni sorriso era uno spicchio di sole solo per lui. Ogni sguardo, ogni respiro, ogni sospiro..

 

“Jean? – un sorriso strano, ora, questa volta più freddo, curiosità dura dipinta su quel volto, qualcosa di doloroso scolpito in quello sguardo – Jean Paul, vorrei sapere.. capire una cosa..”

 

“Dimmi.”

 

Se gli avesse chiesto di prendere un coltello e strapparsi il cuore per farglielo mangiare, anche se l’idea era assolutamente stupida e patetica ..indegna di quello che Jean Paul sapeva di essere, bhè, lui sapeva che l’avrebbe fatto, e che non gli sarebbe fregato nulla di quello che gli altri si aspettavano da lui, del suo orgoglio e di..

 

“Perché?”

 

Uno sguardo scuro, quasi arrabbiato.

 

“Ancora? Pietro, quante volte devo..”

 

“Non sto dicendo che tu mi hai mentito. Però.. – si leccò le labbra, come se fosse difficile pensarlo, non solo dirlo - .. però non hai mai pensato che, forse, sono io a farlo? Non hai mai pensato che io avessi.. bisogno di..”

 

“Pietro. – un sorriso, dolce. Jean Paul non aveva bisogno di preoccuparsi per se stesso, perché, per assurdo, ci pensava già Pietro, e lo faceva molto meglio di quanto avrebbe mai potuto fare da solo– Ho passato la mia vita a sommergermi di domande, a cercare di mantenere un determinato ‘standard’, di non dare mai più di quello che mi veniva dato in cambio. Mai. Tu sei.. un miracolo, per me, sai? Tu mi stai salvando, anche se non lo sai, e anche se forse non mi crederai mai. Io ti guardo e ti credo, anche quando non dici niente.”

 

“No, tu non capisci. Io stesso non so perché..”

 

“Tanto tempo fa, qualcuno – e sorrise, pensando a quanto sarebbe stato *felice* Logan a sapere che aveva utilizzato una frase sua per mettere Pietro a suo agio – mi disse che l’importante non è cosa si dice. Perché le parole sono bugiarde, e possono avere molti significati e ognuno può capire solo quello che vuole, anche con le migliori intenzioni. Sai? Ho scoperto che, e non so il perché, mi basta guardarti negli occhi, mi basta baciarti, e so tutto quello che voglio. Sei tutto quello che voglio.”

 

“Jean..”

 

“Non mi serve che tu mi prometta qualcosa, non voglio le tue parole. Non è necessario che ci diciamo ‘ti amo’, o ‘per sempre’. Sai quante volte le ho dette a caso? Ora non importa, non ho bisogno delle tue parole, non ho bisogno di essere rassicurato. – un sorriso, vide la sua espressione ammorbidirsi appena. – Sono qui per te, Pietro. Solo per questo. Non per me, ma per te. Voglio stare qui, per favore, voglio solo stare qui.”

 

Un sussulto quasi ferito, le sue belle labbra si torsero dolorosamente.

 

“Ti faccio pena?”

 

Una risata per risposta.

 

Jean Paul lo abbracciò, con forza.

 

“Ma ti pare che io sia il tipo del buon samaritano, Pietro? Guardami! Mi vedi? Sai *chi* sono? Non vado in giro per il mondo a fare la carità a chi non è degno di me. Io m’interesso solo delle persone che ritengo alla mia altezza. Ora voglio solo te. Capisci? Te, Pietro.”

 

Un sospiro, le braccia dell’altro lo tennero vicino, stretto, ed era incredibile quanto la poca forza che Pietro possedeva ancora nei muscoli riuscisse a inchiodare Jean Paul lì, in una posizione scomoda, addosso a lui, stretto a lui..

 

“Jean? – il fiato gli solleticò il lobo dell’orecchio, la serietà sussurrata spedì mille e mille scariche elettriche lungo il sistema nervoso di Jean Paul – Ti sei mai chiesto perché.. perché ti ho .. assecondato quando.. in missione, ecco..”

 

Jean Paul chiuse gli occhi e di nuovo sentì forte il desiderio di ridere. Era certo che, se si fosse allontanato abbastanza per guardarlo in viso, avrebbe scoperto Pietro arrossire. Ed era un pensiero delizioso, immaginare quegli zigomi affilati, e sempre troppo pallidi, spolverati di un rossore vergognoso, e chissà come si sarebbero illuminati quegli occhi di un sentimento così raro, in lui..

 

“Pietro, non sono così stupido, sai? Lo so che si può ‘scopare’ con il primo che passa senza un particolare motivo. E so anche che tu non avevi alcun motivo per.. per amarmi in qualche maniera speciale.”

 

Un sospiro profondo, intenso, le braccia di Pietro che aumentarono la pressione addosso alla pelle di Jean Paul, stupendolo. E un sussurro.

 

Una richiesta.

 

Una.. domanda.

 

“Vuoi fare l’amore con me?”

 

La risposta fu un sorriso sconvolto, fu uno scrollarsi via da quell’abbraccio, fu fissare i suoi occhi grigi in quelli azzurri, freddissimi di Pietro, e cercare, scavando, una risposta, una spiegazione, un..

 

Non  trovò nulla. Solo uno sguardo. Solo un’espressione quasi piana, lievemente ansiosa, un’attesa pallidamente velata di dolcezza, una speranza che non trovava modo di essere espressa a parole. O forse, non c’era nulla che potesse essere detto, perché non si poteva, era inutile, era..

 

Un bacio come risposta bastava, sarebbe di sicuro bastato.. e Pietro parve non stare chiedendo null’altro, nulla di più o di diverso. Un bacio e una carezza, lunga, sul fianco, estenuante, che suscitò un brivido e un movimento sinuoso: Pietro che si mosse, assecondandolo, sorridendo un morso leggero, che gli imprigionò un labbro e poi, ancora un bacio e di nuovo una carezza, e ancora..

 

Jean Paul chiuse gli occhi e si lasciò cadere. Lasciò che il suo corpo si muovesse da solo, ad eseguire le azioni, i movimenti cui era così abituato da non doverci pensare, per potersi concentrare sul cuore, per metterci esso, in ogni respiro, in ogni movimento, in ogni pensiero. Le mani che scostavano gli abiti, alla ricerca di quella pelle, per poter palpare quel profumo, quell’aroma che aveva imparato a conoscere, che aveva assaporato appena, un pizzico che non aveva fatto altro che aumentare il desiderio, l’aspettativa, il *bisogno*..

 

Le labbra sul suo collo, bianco e morbido, una lunga scia di baci, e colpi di lingua, sapore incantevole, magico, che lo drogava, che gli penetrava dentro, nelle cellule, nei neuroni, lasciando come un marchio, ardente, suadente. Pietro che si svelava sotto le sue dita, come un sogno che prendesse consistenza, e carne, suscitando un desiderio che Jean Paul non riusciva a dominare, ad arginare: che non *voleva* negarsi.

 

Pietro era lì, per lui. Lo voleva tanto quanto avveniva il contrario. Lo vedeva, lo sentiva sorridere, gemere, desiderarlo, muoversi, toccarlo e lasciarsi toccare, movimenti lenti, ritmati, forse obbligati dal dolore, da quello che gli avevano.. fatto. Ma ora non importava, ora non c’era nulla che avesse valore, che non fosse loro due, che non si potesse contenere tra le loro braccia, che non nascesse sulle loro labbra, che non facesse fiorire sulla pelle di entrambi un piacere, un desiderio, un assoluto, incredibile incanto che non poteva essere detto.

 

Le lenzuola, mischiate alle coperte, scivolarono giù dal materasso, lasciando nudi i loro corpi, a contatto con l’aria fredda della stanza, ma non era abbastanza per far loro provare un qualcosa che non fosse calore, terribile ed ardente, che sconvolgeva la mente, i desideri.

 

Piacere, solo piacere in cui affogare, in cui perdere l’orientamento, in cui annullare il presente, il dolore, la morte che attendeva in agguato, lì appena oltre la soglia. Era come, in parte ritornare a vivere l’uno sulle labbra dell’altro, l’uno sulla carne dell’altro.

 

E le carezze, poi, che frugavano, spogliavano, tormentavano, facevano ridere e tendere i muscoli e fremere la pelle e crescere l’eccitazione sfiorata, toccata, baciata, succhiata..

 

Pietro sollevò le gambe, stringendogliele intorno alla vita, arcuando la schiena, i muscoli segnati dell’addome come un invito scintillante, una richiesta, un bisogno urlato a pieni polmoni nel silenzio sussurrato di quella stanza, in un luogo di cui Jean Paul non sapeva neppure dove fosse.

 

Non si era mai permesso di sognare una cosa così: un orgasmo simile, un corpo così bello stretto al suo, uno sguardo che scintillasse in quel modo dentro il suo, sussurrandogli nella mente cose che non credeva possibili.

 

Pietro era lì per lui.

 

Pietro chiamava il suo nome, voleva il suo corpo, ne aveva bisogno, e sorrideva e gemeva ed era così bello come mai l’aveva visto, come mai avrebbe potuto mostrarsi.

 

Sesso: era sesso, quello. Jean Paul lo sapeva, lo conosceva, ma aveva un sottofondo differente, era tutto diverso, ora: la luce, il sapore, il cuore che pesava e batteva come un pazzo in petto ..

 

Era bellissimo, incredibile, era ubriacarsi, affogare, morire dal troppo piacere eppure rimanere in vita e respirare un’aria che non era aria ma qualcosa di dorato, prezioso, era unico, era qualcosa che poteva farlo vivere per sempre, all’interno di un istante eterno.. ghiacciato.

 

Sì. Come vivere entro un cristallo di neve ghiacciato, dall’immobile, completa perfezione, eppure affogato in un calore assurdo e insopportabile.

 

Jean Paul affondò le unghie nella pelle bianca di Pietro e singhiozzò un gemito, il mondo intorno svanì e ondeggiò, scomparendo in mille frammenti di nubi di sogno: fu come perdere i sensi per una frazione di secondo, fu come non essere più lì, ma fuso, confuso con Pietro fino al punto di non sapere più di essere due.

 

Insieme.

 

Con lui, e *per* lui.

 

Chiuse gli occhi e cadde. Per un tempo infinitamente lungo, o per un istante, non aveva importanza.

 

L’istinto fu quello di prendere a respirare e voltarsi, cercando una posizione più comoda, disinteressandosi del resto del mondo, invece si obbligò a guardarsi intorno, allungando le mani, toccandolo e sfiorandolo: la pelle bianca e calda, caldissima, un lieve sorriso sul volto, uno strano sguardo ad accogliere il suo.

 

“Jean.”

 

La sua voce roca si spense lentamente nella stanza, tra loro. Pietro chiuse gli occhi, si voltò su un fianco, fregando la fronte contro il lino del cuscino, poi sorrise. Allungò la mano, quasi lo sfiorò, ma non lo fece, non annullando il contatto della pelle con la pelle: un gesto istintivo e dolce, in un certo modo, ma non invadente.

 

Jean Paul osservò quella mano bianca, nuda, che portava addosso quel segno, quella ferita che, da sola urlava come una bestemmia perché aveva spezzato l’incanto di una figura perfetta e armoniosa, ma nessuno dei due parve farci caso, ora. Essa era posata accanto al suo braccio, come a cercare il suo calore, senza imporgli la sua presenza, ed era un gesto gentile, dolce. Una forma di ..rispetto, un qualcosa che avrebbe dovuto aspettarsi da uno come Pietro, così assolutamente geloso del suo spazio vitale, ma un atteggiamento comunque gradevole e gradito.

 

“Sei bellissimo.”

 

Sussurrò, lo vide sorridere e socchiudere un occhio, osservandolo tendersi verso il lenzuolo per coprire entrambi, in silenzio. Era un bello sguardo, velato e dolce, ma acuto, allo stesso tempo, come se neppure il piacere, come se neppure l’affogare fosse riuscito a fargli perdere la coscienza di sé.

 

Pietro era meraviglioso. Pietro era.. sorrise di nuovo, chiudendo gli occhi, soffocando uno sbadiglio. Tutto era lì, a portata di mano, tutto quello che gli importava, tutto quello che aveva valore, e peso. Jean Paul si sentì, in una parola: felice.

___

 

Un brivido. O qualcosa di simile.

 

Un tremito, sì, che si facesse strada tra strati e strati di coperte, calore, piacere, sonno, vicinanza, un rumore quasi fisico che sfiorava appena i timpani ma che faceva scattare dentro come un meccanismo istintivo, un urlo, un richiamo impellente, un..

 

Pietro si mise a sedere, sbattendo le palpebre e guardandosi intorno, rigido e nervoso. Ringhiò qualcosa, tra se e se, e allungò una mano, frugando sotto le lenzuola, sollevò il cuscino per liberare il capo di Jean Paul e lo scosse con forza.

 

“Northstar! Svegliati!”

 

Osservò seccato il canadese uscire lentamente dal sonno, ancora avvolto da una piacevolezza tiepida, stemperata appena dal brusco risveglio, il tendersi elegante delle braccia per sciogliersi i muscoli e il sorriso disegnato su quelle labbra.. lo vide e poi gli parve di essere portato, per un istante di puro dolore, via da lì. Come se una sciabolata di lama velenosa lo spaccasse in due, lasciandogli i nervi in fiamme, e il cervello colmo solo di sofferenza. Il mondo ondeggiò intorno a lui, ma Pietro strinse i denti, e non disse nulla.

 

“Ben svegliato, Pietro! – un sorriso luminoso come un’alba, ed era così bello.. Pietro si sentì stanco. – Stai me-”

 

No: il suo sguardo non era quello di uno che ‘stesse meglio’.

 

“Lo senti? E’ il tuo!”

 

Cosa? Jean Paul sbatté le palpebre cercando di capire a che si stesse riferendo, poi scosse il capo.

 

“Non-”

 

“Il *comunicatore*! Io non c’è l’ho con me, dev’essere il tuo. Ti stanno chiamando.”

 

Uno sguardo freddo, pragmatico, di un uomo che sia sempre vissuto senza una vita propria, ma lavorando, obbedendo ad ordini, cercando di fare quello che doveva, e non quello che *voleva*. Jean Paul scosse il capo: gli X Men in quel momento potevano andare a .. osservò stupito Pietro alzarsi, e andare a frugare nella sua divisa, per poi lanciargli un apparecchio metallico, che atterrò sul materasso con un suono ovattato.

 

Era quello che vibrava, sì, un suono remoto ma urgente.

 

“Sono in ferie.”

 

Pietro parve rabbuiarsi.

 

“E’ la tua squadra! Rispondi!”

 

Era, nonostante tutto quello che pensava di se stesso, un uomo abituato a *comandare*, e ancor più abituato a *farsi ubbidire*. Jean Paul se ne accorse in quel preciso istante, quando seppe che non avrebbe potuto dirgli di no.

 

Che palle. Chiunque fosse stato dall’altro capo del comunicatore, avrebbe avuto tutto il suo odio infinito e il suo sdegno eterno per averlo disturbato in un momento simile. Se poi fosse stato Robert, con uno dei suoi soliti scherzi inopportuni, giurò su Dio che l’avrebbe ucciso.

 

“Che c’è?!”

 

“JP!”

 

*Era* Robert! L’avrebbe ucciso, fatto a pezzi, avrebbe gettato i brandelli del suo corpo nelle gabbie dei leoni dello zoo di Timbuctu, e.. ma c’era qualcosa nel suo tono, qualcosa di urgente, preoccupato, maturo, violento. Qualcosa che lo ghiacciò lì, sul posto, che gli levò anche il fiato dai polmoni, qualcosa che gli rendeva insopportabile lo sguardo di Pietro addosso, qualcosa che gli stappava come dei legami vitali, dentro..

 

“Robert.”

 

“Devi tornare! – non stava piangendo. I suoi occhi erano asciutti, la sua voce era salda, ma era come se, tramite la gola, Jean Paul potesse udire le urla straziate del suo cuore. – L’attentato, l’hanno fatto! Hanno messo una bomba!”

 

Guardò Pietro: aveva sentito. Non poteva aver sentito nel silenzio di tomba che gravava su di loro, su tutto il mondo, in quell’istante. E vide, in quegli occhi, un solo pensiero: i ragazzi. Li avevano addestrati loro. Jean Paul si obbligò a pensare che fossero pronti, che fossero abbastanza forti, che ..

 

“Dove?”

 

“In palestra.”

 

“Ok.”

 

Spense il comunicatore e se lo lasciò cadere in grembo.

 

Li aveva addestrati lui, insieme a Pietro. Li conosceva. Sapeva che erano forti e che avevano imparato a.. non volle guardare Pietro, ora, perché non *voleva* tornare a New York. Voleva stare lì.

 

Alla scuola c’erano gli X Men.

 

Erano tutti là, c’era un sacco di gente che si poteva occupare dei suoi.. dei ragazzi. Non c’era bisogno di lui. Non avrebbe potuto fare nulla di più o di differente di quello che avrebbero potuto fare i suoi compagni di squadra, e lasciare Pietro, adesso.. oh, no, non che non se ne sarebbe andato!

 

“Northstar.”

 

“Non chiamarmi così! Lo sai il mio nome!”

 

Pietro strinse i pugni.

 

“Devi andare.”

 

“No che non devo! Tu sei qui da *solo*, là sono in.. in tantissimi! Non..”

 

“Sono bambini.”

 

“No che non lo sono! Sono ragazzi! Che *sanno* difendersi.”

 

“Non fa differenza. Devi andare.”

 

Jean Paul scattò in piedi, furioso, arrabbiato. Ferito e spaventato.

 

“Piantala! Piantala di pensare che qualunque piccolo mutante sia una creaturina indifesa fra le mani di qualcuno di troppo potente perché si possa salvare! Sono al sicuro!”

 

“Se lo fossero non sarebbero successo. – una ruga profonda a solcargli la fronte – E tu devi andare, sono una tua responsabilità. Una *nostra* responsabilità. – un sospiro doloroso, arrabbiato – Se potessi verrei anche io, cosa credi? Sono bambini, e sono una *nostra* responsabilità, di *tutti* noi. Non puoi stare qui quando hanno bisogno di te.”

 

“Nessuno ha bisogno di me!”

 

Pietro si ritrasse, furioso.

 

“Sono bambini, e tu sei un adulto. Tu *dovresti* andare da loro anche se non fossero i tuoi ragazzi. – Jean Paul fece per rispondere qualcosa ma Pietro non gli diede tempo – Io non posso far altro che prometterti che ti aspetterò, Jean Paul – la sua voce, ora, si addolcì, davvero. E fu come un colpo al cuore – ma tu devi andare da loro. Hanno bisogno di te.”

 

“Pietro..”

 

“E’ un tuo dovere.”

 

“Pietro..”

 

“Non come X Men. E forse neppure come loro insegnante. Ma come *uomo*. I figli sono una responsabilità di tutti, anche di chi non ha figli, o di chi non è loro *parente*. Nessuno deve toccare i bambini.”

 

___CONTINUA..

 

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NOTA FINALE: chiedo scusa a tutti coloro che si sono sentiti toccati, infastiditi, che si sono sentiti *offesi* dall’andamento della trama che sto portando avanti.

Questo capitolo è stato pensato verso la metà del mese di agosto, la prima stesura su pc ha la data 30 agosto, per essere precisi. Dopo quello che è successo all’inizio di settembre, in quella scuola nell’Ossezia [e qui vorrei per favore prescindere da qualsiasi commento di tipo politico], sono stata per giorni indecisa se continuarla o no, se modificare ogni cosa. Sono stata ad un passo dal cancellare tutto, perché era troppo terribile quello che era successo, e scrivere questo, anche se le similitudini sono davvero poche, pure se sostanziali, mi pareva un dissacrare qualcosa di terribile, che è successo *davvero*.

Questa è solo una fic, mi dicevo, non succede niente se non viene letta, anzi, forse è meglio, è troppo tremendo il paragone, la similitudine, è troppo pesante, è tutto troppo.. *troppo*. Punto.

In fondo io scrivo di cose non vere, e a furia di farlo a volte, magari, ci si dimentica che ogni lacrima fatta versare da un pg inventato, sarebbe un insieme di dolore infinito, se fosse versato da un essere umano.

Ho tentennato, indecisa su cosa fare, per giorni, tormentando le persone che mi seguivano nella stesura di questa fic –a cui vanno i miei più profondi ringraziamenti per la pazienza e l’amicizia dimostratami-, fino a che ho deciso di proseguirla, secondo i binari che mi ero prefissata. Vorrei poter dire che non l’ho fatto solo per egoismo, ma non so davvero se un pizzico di odioso amor proprio non ci abbia messo lo zampino. Non vorrei neppure dire quello che troppo spesso, dopo questi *crimini* (qualcuno le chiama ‘tragedie’, ma per me le tragedie sono altre: un terremoto, un uragano), non dobbiamo lasciarci mettere i piedi in testa dalla paura e continuare a fare quello che stavamo facendo prima perché se no questi criminali avrebbero già vinto, perché non è proprio vero: se non l’avessi pubblicata, questa fic, sarebbe stato per rispetto verso coloro che non ci sono più, e non per paura.

Alla fine però, non ero certa che il *non* mandarvi questa stupidissima fic sarebbe stato davvero segno di rispetto o meno.

Forse, ho pensato, era meglio questo: una dedica.

Come il 4 settembre, sabato sera, è stato chiesto di accendere una candela alla finestra per i piccoli caduti dell’Ossezia, così vorrei che, se questa cosa che ho scritto, e che continuerò a scrivere, susciterà, o ha suscitato una piccola emozione, ecco, io vorrei che questo sentimento sia per loro.

Questa fic è la mia personalissima candela.

Milano, 5 settembre 2004

 

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