NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
parte XII di Dhely La solitudine era una sensazione a cui era abituato, ma forse non quanto avrebbe voluto. In anni aveva letto, sentito, di bambini terrorizzati perché chiusi al buio in uno sgabuzzino e lasciati lì, da soli, nell’oscurità più densa, per ore e ore, per essere puniti di qualche nefandezza infantile da genitori che non sapevano mettere in prospettiva i crimini.
E si era stupito di quanto, per lui, quell’idea avesse una sorta di .. vasta, opaca, attrattiva. Chiuso, da qualche parte, al buio. *Fermo*. Senza rumori, senza dover andare da qualche parte, senza dover fare, o correre, senza nessuno. Da solo.
Aveva *desiderato* la solitudine con tutta la forza che possedeva, per anni. Aveva pregato, in un silenzio tale che neppure un telepate avrebbe potuto udire quei suoi pensieri, che suo padre lo mettesse da parte, che lo buttasse in un angolo, e se lo dimenticasse lì.
Chiudere gli occhi e lasciare che il mondo intorno continuasse a correre senza doversi preoccupare di nulla.
Anche quando era stato un bambino non aveva mai avuto paura di essere solo.
La paura era venuta dopo, da ragazzo. La paura era stato sapersi diverso, era sentire i suoi poteri cambiargli la struttura del corpo e accorgersi che non era una cosa ‘normale’, che non capitava a nessuno, e che qualcuno avrebbe potuto fargli del male, ucciderlo, magari, per quello che era. La paura era venuta dopo, negli occhi di suo padre arrivato a strapparlo da lì, da quel luogo che gli aveva sì insegnato la paura e il dolore, ma anche il colore delle montagne e il freddo della neve sulla pelle, le risate alla fine di una giornata estiva e il canto di chi ringrazia dio per la sua esistenza. La paura era arrivata nel non sentirsi all’altezza, nella fatica mai ripagata, nell’errore che si sommava all’errore e che non aveva mai fine, e che lo tirava sempre più giù, sul fondo di un pozzo oscuro dal quale non poteva scappare allo sguardo di tutti quelli che gli stavano intorno.
La solitudine era quiete, pace. Non aveva senso aver paura di stare solo, no. Amava essere solo. Senza osservatori o persone che avevano pietà di lui e che, alla fine, come tutti, non facevano altro che giudicare chi fosse. Perché davvero credevano che una persona fosse soltanto ciò che faceva? Non esisteva forse una parte così profonda che non si poteva ‘vedere’, che non poteva ‘fare’ nulla e che, quindi ci si limitava a portarsela dentro in silenzio, con pazienza e reverenza? Qualcuno la chiamava anima, Pietro non sapeva che nome dargli, ma sapeva che c’era, ed era lì, dentro di lui, una parte di sé dura e forte, che nessuno mai avrebbe potuto spezzare, che non si poteva uccidere se non lo avesse voluto lui.
Lui amava la solitudine. Jean Paul non lo comprendeva: ovvio, ma, ad essere sincero, non sapeva cosa si era aspettato da lui, per che motivo l’aveva portato lì.
E perché ora lo osservava in quel modo, come se .. come se gli importasse. Come se volesse capire. Pietro si concesse un sorriso, amaro, solo per se stesso: era un ingenuo, come sempre lo era stato. A nessuno mai era *importato capire*.
A nessuno.
Lui l’aveva sperato, a volte. A volte ne.. ne aveva avuto bisogno, ma non era mai successo davvero. Ognuno seguiva i propri scopi, ognuno aveva i propri motivi e, solitamente, comprendere i suoi pensieri non era in cima agli interessi di nessuno. In tutta sincerità, perché poi Jean Paul Beaubier avrebbe dovuto fare eccezione? Cos’aveva, quel canadese, che nessun altro aveva mai mostrato?
Pietà?
La riconosceva, la pietà, lui, perché la odiava. Era un sentimento che spesse volte lo aveva toccato e lo aveva sempre lasciato.. sporco, insudiciato. Era un contatto che non voleva sopportare, e che ormai poteva riconoscere ad occhi chiusi. No, non era pietà.
Allora, cosa?
Rispetto? Ma non lo conosceva neppure! Senso di colpa? Non era colpevole di nulla, e poi Jean Paul era un professionista come lui, sapeva che certe cose, in missione potevano capitare.
.. affetto..
Affetto?
Per *lui*?
Jean Paul?
Pietro guardò il canadese che aveva di fronte e non disse nulla, registrò appena il lungo soliloquio che stava facendo sul fatto che non l’avrebbe lasciato da solo, che doveva sbatterlo fuori per non avercelo fra i piedi e altre sciocchezze simili. Tacque, immobile, e lo fissò.
Affetto?
Pietro.. Pietro aveva amato, nella sua vita, come chiunque. Ed era stato riamato, pure. Ma i sentimenti erano un affare complesso e confuso, e spesso si sbagliava proprio perché era difficile nominarli con precisione.
Senza tema di smentita, amava sua figlia, ma quello era un amore differente da tutti gli altri, non poteva essere paragonato a null’altro. Amava.. meglio, forse: aveva amato sua moglie, e anche ora c’era affetto, e desiderio, e tristezza. Ma era sua moglie appunto. E Wanda, poi? Sua sorella, sua sorella *gemella*: avevano condiviso la nascita, i primi anni di vita, e anche oltre. Erano stati una famiglia, loro due, l’unica famiglia che avevano, ed erano vissuti per anni, da soli, solo l’uno per l’altra. Lui che doveva proteggere Wanda, e lei che doveva preoccuparsi di Pietro e null’altro nel loro mondo. Erano stati così uniti da essere stati quasi una cosa sola, e c’era stato molto dolore quando entrambi s’erano semplicemente accorti di essere due individui singoli che avrebbero dovuto costruire singolarmente la propria vita.
Affetto? Jean Paul?
“Nei dossier c’era.”
Si stupì ad udire la sua propria voce che, in un sussurro, riuscì a bloccare le parole dell’altro. Uno sguardo corrucciato in risposta. Pietro forse avrebbe preferito che non sentisse.
“Cosa?”
Chiuse gli occhi.
Che bello era stato! Per un attimo, una frazione di secondo.. anche se ormai tutto era fermo e immobile, anche se ora i suoi poteri erano morti, e presto lo sarebbe stato anche lui, era bastato un minimo, infinitesimale sospetto per fargli battere il cuore forte, come non sapeva più potesse capitargli.
Non voleva vederlo, ora, non voleva vederlo più. Voleva ricordarlo come l’aveva visto appena un attimo prima, quando tutto era sembrato bello e meraviglioso, quando l’aria stessa sembrava profumare di un’aspettativa di felicità che.. che non c’era. Che non poteva esserci.
Cercare le parole non era mai facile, perché Pietro sapeva di stare dicendo una banalità, ma se l’avessa detta nella maniera sbagliata, Jean Paul avrebbe pure potuto offendersi e lui.. voleva solo che se ne andasse, non che lo odiasse. Voleva solamente che lo lasciasse da solo con le sue fantasie, col suo passato, lì, e sarebbe stato tutto perfetto: non avrebbe chiesto nulla di più, non gli sarebbe mai servito altro.
Si leccò le labbra e trovò pochissima voce per modulare le parole.
“Che sei gay.”
“Che scoperta!”
“E che ti portavi a letto tutti quelli che ti capitavano a tiro.”
Silenzio.
Pietro riuscì a riprendere a respirare.
Forse, se quello che aveva di fronte non fosse stato *lui*, avrebbe potuto permettersi il lusso di .. di *sognare*, di sperare, desiderare, immaginare che nel mondo ci avrebbe potuto essere un po’ di dolcezza anche per lui. Che qualcuno lo potesse davvero amare, che.. ma non aveva una grande importanza, e sicuramente sarebbe stato uno scherzo atroce scoprirlo alla soglia della morte, no? Meglio così.
Sì, meglio capire, e accettare definitivamente tutto quello che era successo, prendendolo per quello che era stato. Niente. Piacere. Sensi sconvolti. Difese annullate. Pulsioni. Cose normali, non certo abbastanza da farci un dramma.. un dramma per cosa, poi? Era solo sesso.
Gli voltò le spalle, perché non riusciva a reggere quello sguardo puntato addosso, non lo voleva sentire. E non voleva Jean Paul, lì. Senza motivo.
Non c’era alcun motivo perché stesse lì: perché non se n’era ancora andato? Perché lo tormentava? Perché..
“Sei un idiota!”
Arrogante, forte, sicuro: questo lo sapeva, di Jean Paul. Questo era ciò che aveva sperato. Questo era la dimostrazione che aveva ragione, che non c’era niente, se non orgoglio e, se fosse stato fortunato, se ne sarebbe andato via ora, subito..
Ma non si era aspettato il contatto, le mani di Jean Paul sulle spalle, lo strattone per farlo voltare, per poterlo guardare negli occhi, e il suo sguardo, ferito, furioso.. addolorato.
“Che.. che cazzo vuol dire questo, Pietro?! Non mi hai ascoltato! Non hai neppure fatto la fatica di stare a *sentirmi*!”
Pietro si irrigidì, scuotendosi le spalle, facendosi scivolare via di dosso le sue mani e per un attimo pensò che le cose potessero tornare a posto, che semplicemente quell’altro si sarebbe voltato senza un’altra parola, senza un altro sguardo. E tutto finalmente sarebbe finito, e lui sarebbe rimasto solo, e da solo, allora, sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa e non sarebbe importato.
Un attimo, e poi: una mano di Jean Paul, stretta, intorno ad un polso. La pelle coperta dalla stoffa morbida che scivolava, giù, verso le dita, ma comunque lì, esposta. La sentì pizzicare, Pietro, e qualcosa gli sfarfallò di fronte agli occhi. La sensazione terribile di.. pericolo, ansia, dolore lo sommerse.
Un passo indietro, un movimento brusco, un’espressione terribile dipinta sul volto.
“Non toccarmi!”
Aumentò la distanza tra di loro ma non disse altro, non sarebbe riuscito a farlo con il fiato che gli si era incastrato in gola e la rabbia e il ricordo.. il ricordo..
Jean Paul fu sul punto di reagire in maniera altrettanto brusca, altrettanto furiosa, ma si impedì di farlo per un qualcosa che non seppe dire, un’intuizione, forse, una sorta di dolore riverberato in quegli occhi che aveva di fronte, ora troppo pieni di rabbia, di ira ma che, per un istante, erano parsi così.. fragili.. ___
Il ghiaccio. Ghiaccio che d’inverno crea uno strato sottile d’arabeschi fatati sui vetri di una finestra e che un colpo improvviso, faccia crepare, e infrangere; la polvere sottile del gelo che non ha neppure più la forza di riunirsi insieme ma rimane separata in miliardi di piccoli cristalli asciutti che si posano nei solchi sulla superficie lucente di un lembo di mare ghiacciato, che rimanda solo il cielo infinito e terso sopra di se, e la neve e il freddo.. infinito, sì, l’infinito rimando, l’infinito specchiarsi in un azzurro sempre più pallido e profondo, sempre più puro e luminoso.
Freddo e gelo che mangiano le ossa e uccidono il cuore, scivolando giù per la gola e accoltellando i polmoni e per quanto tu faccia e desideri, non c‘è nulla che possa sconfiggerli.. però il ghiaccio è fragile tanto quanto pericoloso. Il ghiaccio si scheggia. Il ghiaccio si può crepare, e se il solco non è solo un’immagine sottile appena visibile in controluce ma come una ragnatela profonda che intacca l’animo stesso del cristallo, allora presto tramuterà quel miracolo di freddo e materia di sogno in schegge impazzite senza unità, e ci sarà, come ricordo, solo il suono cristallino che pare quello di una piccola campanella d’argento.
Jean Paul vide tutto quello nello sguardo di Pietro. Lo vide e lo sentì tintinnare dentro di sé.
La rabbia era una furia spaventata, il suo aggredire era per difendersi. Il suo aggrottare la fronte era per impedire, forse, le lacrime asciutte di chi non possiede più nulla da piangere, né ha più voce per pregare.
Pietro aveva l’odore di una bestia braccata: Jean Paul non poteva sbagliarsi. Era stato il *suo* odore, una volta. Logan gli aveva insegnato a riconoscerlo e a sfruttarlo, e sempre lo aveva fatto.
Ma ora..
Pietro aveva *paura* di lui.
In maniera istintiva, un gesto bruciante, una sensazione che salti alla gola senza essere stata filtrata da altro, ma non per questo meno terribile.
Pietro aveva paura di lui.
Era un pensiero orribile, odioso. Eppure era lì, di fronte a lui, ed era *vero*. Lo aveva letto bene in lui, anche se ora s’era ritratto, anche se ora quel volto s’era ricomposto, ed erano rimasti solo pallidi riflessi di ciò che era stato: il ricordo marchiato a fuoco di una vampa così calda e bruciante da poter ustionare il cuore del sole.
Pietro aveva paura di lui.
Jean Paul si morse un labbro e cercò, disperatamente, qualcosa da dire, qualcosa che non suonasse definitivamente inutile, assolutamente stupido. Non trovò nulla dentro di sé.
Le mani.
Le mani di Pietro: non le aveva mai viste, nude. Sempre solo coperte dai guanti e ora, che erano riparate solo da una manica ampia che poteva essere sollevata come nulla, non erano mai state così vulnerabili. Pietro era geloso di esse, le nascondeva, le proteggeva come se fossero un tesoro, o, meglio, una ferita ancora aperta e dolorosa, che bruciava ad ogni sguardo.
Pietro aveva paura che lui gli vedesse le mani? Che vi aggiungesse nuove ferite, che vi strappasse altre stille di sangue?
“Vattene.”
Le labbra tirate in un’espressione durissima, gli occhi scintillanti tutto il fastidio, tutto il rigore che quell’anima fredda seppe costruire.
“No.”
Lo sguardo resse lo sguardo, vide la rabbia di Pietro ma Jean Paul non reagì, non aggiunse dolore al dolore, o motivi ad una paura che non c’erano più dubbi che ci fosse. Era lì perché voleva esserci, e perché voleva *starci*. Non si sarebbe fatto mettere da parte in quel modo. Non l’avrebbe lasciato solo perché Pietro sapeva, se voleva, essere più furbo di lui, e..
“Non sei gradito qui, Northstar.- arricciò il naso in una strana espressione – Cosa vuoi per essere ricompensato? Sono sicuro che un maestro della finanza come te saprà trovare un conto adeguato da presentarmi, no?”
“Non hai capito un accidente.”
“Mi capita spesso. – un ghigno acre, terribile – Allora, cosa vuoi?”
Jean Paul sospirò chiudendo gli occhi.
“Cosa hai fatto alle mani?”
Pietro s’irrigidì ulteriormente.
“Scusa?”
Lo stava perdendo. Si stava chiudendo così lontano che non avrebbe più potuto raggiungerlo, Jean Paul lo sapeva e sentì stringersi il cuore. Ma non aveva altro da fare.. non gli venne altro in mente, anche se era stupido, anche se..
Stava giocando col fuoco, e non era mai saggio farlo. Eppure, poteva fare altro? Pietro non gli avrebbe mai permesso nulla di differente. Pietro non era uno facile da conquistare, non era uno facile da avvicinare, non era uno facile con cui parlare..
Mosse un passo indietro, sedendosi sul divano di vimini, ricoperto da deliziosi cuscini ricamati a mano. Lisi, sembravano avessero vissuto una vita intera a rendere più comode le serate di una famiglia. C’era qualcosa di dolce in quel pensiero, in quel luogo. Tutta la casa era accogliente, comoda, e morbida: capiva perché Pietro avesse voluto venire lì. Era delizioso e .. quieto. Potevano essere gli ultimi giorni di Pietro, e poteva passarli con lui, lì.. avrebbe fatto di tutto per rimanere con lui. Perché doveva starci, sentire il suo respiro, vedere il suo viso e non gli importava se lo odiava.. si sentiva stupido, sì, ma non riusciva a fare altro, ora..
“Siediti. – sorrise scostandosi appena, poggiando una mano su un cuscino – Abbiamo qualcosa da dirci, non credi?”
“Non mi sembra.”
Era adorabile quando aveva quell’espressione dolce e infastidita insieme. C’era qualcosa di.. giovanile in Pietro, qualcosa di terribilmente ingenuo in quell’espressione, sembrava un bambino, nonostante la sua rigidità, la sua rabbia, c’era qualcosa di pulito, immediato in lui, se appena si aveva la pazienza di portare alla luce il cuore che teneva nascosto sotto strati di ghiaccio e fredda indifferenza.
Pietro lo fissò contrariato, ma, alla fine, fece quello che gli aveva chiesto.
“Perché sei qui, Jean Paul? Non ho nulla per te.”
Dolcezza, la sua voce si ammorbidì appena mentre con lo sguardo correva lungo la notte che si avvicinava scivolando sulla pianura fuori di lì.
“Non è vero. Ti sembrerà idiota, ma hai.. –arrossì, sentendosi un ragazzino un po’ scemo – hai il mio cuore.”
La reazione di Pietro fu scontata: un voltarsi rapido e un ghigno a metà tra lo stupito e l’offeso.
“Allora riprenditelo!”
“Credi che sia così semplice?”
Pietro prese un profondo respiro, come per trovare la forza per rispondergli male, ma qualcosa lo bloccò. Era così stanco.. chiuse gli occhi con forza e dovette faticare a non far tremare il fiato nei polmoni.
“Cosa vuoi?”
Sembrava affranto, distrutto. Come poteva non esserlo? Come solo poteva restare così tranquillo ad aspettare.. la fine? Jean Paul non riusciva a capirlo, non riusciva ad immaginare come avrebbe reagito lui stesso, in una situazione simile, però era certo che non avrebbe mai avuto quella classe.
Ma sapeva avere coraggio, Jean Paul. L’aveva mostrato in mille volte nella sua vita e ora..
Allungò la mano e avvolse le dita intorno al polso di Pietro. Lo sentì sottile, terribilmente sottile: davvero le ossa di un passero, ma lui non fece una mossa, continuò a non fissarlo come se fosse stato troppo assorbito in altro per accorgersene. O per volerlo fare.
Il pile sotto le dita era morbido e tiepido. Era una carezza gentile e intrigante. Jean Paul ne prese un lembo, con due dita, e lo sollevò. Lo sentì tremare, un movimento impercettibile che si propagò lungo quella pelle bianchissima, scuotendola e arricciandola.
E poi Jean Paul lo vide. E *sussultò*.
La pelle bianca, perfetta, venata appena sui polsi da sottili vene azzurrine, una materia perlacea e preziosa, divenne.. sul dorso, uno squarcio. Il ricordo di una ferita terribile, una cicatrice che doveva avergli *devastato* le mani. Jean Paul si limitò a fissare quel.. quel capolavoro defraudato e non seppe cosa dire. Non c’era nulla da dire..
“Chi..”
Pietro scosse il capo ma aveva gli occhi velati anche se la sua voce non tremò, non ondeggiò neppure un poco.
“Volevano colpire mio padre. Ma mio padre era troppo potente per loro, al contrario di me.”
Dolore. Infinita sofferenza e.. e una sorta di sollievo, come se l’idea che tutto fosse finito, o che stesse finendo, poteva essere davvero un conforto. L’unico sollievo che poteva provare ora.
Jean Paul non chiese particolari, che in quei casi erano inutili, non chiese altro perché, tutto quello che avrebbe dovuto sapere, Pietro gliel’aveva già detto. Non aggiunse una sola parola lasciandosi cullare dall’atroce sensazione che sentiva proveniente dall’altro. Poteva quasi leggergli i pensieri: chissà quante cose simili Jean Paul aveva dovuto sopportare, e non ne aveva fatto un dramma. Era lui che non riusciva a sopportarlo, era lui che non era abbastanza..
Il fiato gli s’incastrò in gola quando le dita intrecciarono le dita, la stretta si fece dolce, trasmettendogli.. calore, non pena, non pietà. Non più domande, non accuse o giudizi. Solamente Jean Paul era lì, al suo fianco, e non pretendeva nulla, non diceva nulla..
“Pietro..”
“Perché non te ne vai?”
L’ennesima volta in cui quella domanda fu esposta, e per l’ennesima volta Jean Paul sorrise. Solo che, quella volta, strinse le mani di Pietro nelle sue e la cosa pareva avrebbe potuto bastargli per l’eternità.
“Non mi credi, ma sono qui per te.”
“Stupido.”
“Perché?”
“Perché vuoi una risposta patetica?”
Jean Paul gli sorrise, appena, e quel contatto di sguardi parve trasmettere una corrente impossibile tra di loro. Una connessione che non poteva essere infranta, neppure se avessero voluto.
Nessuno dei due voleva.
“Non sei patetico, mai, Pietro.”
“Forse lo sei tu.”
Un sorriso sbieco.
“Sì. – scosse appena il capo – Sono.. credo di essere innamorato di te.”
Pietro sorrise: ed era un sorriso bellissimo, dolce, luminoso.
“Sì, sei *davvero* patetico, Jean Paul.”
“Può darsi, ma credo di .. piacerti così patetico come sono.”
Un’occhiataccia divertita.
“Da cosa l’hai capito? Da quello che è successo durante la missione?”
“No. Dal fatto che mi hai fatto vedere le tue mani.”
Pietro stava per rispondere qualcosa di caustico, ma quell’affermazione lo lasciò senza parole.
Le dita si strinsero sulle mani e un calore stupefacente gli riempì il cuore. Un qualcosa che non aveva mai pensato di poter provare ancora.
Pietro chiuse gli occhi.
E pianse.
___ CONTINUA..
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