NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
NOTAGEOGRAFICA: la Transia non è un’abbreviazione americana per ‘transilvania’, è solo un paese inventato che deve stare ‘dalle parti della Romania’ o almeno questo è quello che dicono negli albi, insieme al fatto che sta ‘dalla parte della ex Yugoslavia (insomma, non confina con l’Ucraina). Se, invece questo paese esiste, e quelli della Marvel mi hanno *mentito* chiedo scusa a tutti!
parte XI di Dhely “Cosa ci fai qui?”
Una domanda banale, alla quale non sapeva, in tutta coscienza, rispondere. O meglio: ci voleva una forza tale per rispondere ad essa che, in quel momento, Jean Paul non credeva di riuscire ad esprimere ciò che avrebbe dovuto.
E invece: “Ti stavo cercando.”
Pietro non spostò il viso né mutò di una virgola la sua espressione. Jean Paul continuò a fissare quel profilo come inciso in un gioiello, un capolavoro perfetto e inestimabile che scintillava come se fosse di un qualche materiale prezioso, come un qualche marmo bianco e rarissimo, lucidato e purificato per renderlo degno di assumere le fattezze di una qualche creatura ultraterrena.
Non era proprio così: Pietro era bello, ma era *vivo*, la sua espressione era luminosa, il suo atteggiarsi tutto trasudava una forza e una presenza difficile da spiegare ma in grado di mozzare il fiato in gola. Pietro non possedeva nessuna fisica fragilità che lo rendesse simile a una statua di cristallo di Boemia, nessuna espressione smarrita, o piega di sofferenza. Pietro non sembrava di questa terra semplicemente per.. per la lontananza che costruiva tra se stesso e il mondo, per la solitudine entro cui si avvolgeva e in cui pareva stare terribilmente a suo agio. Come se la solitudine fosse una parte integrante del suo essere, come se non riuscisse a sopravvivere al di fuori della protezione che essa gli dava.
Con una noncuranza perfetta, millimetrica e immobile continuò a fissare la pista sotto di loro, piena di gente che rideva, urlava, correva e cadeva, senza mostrare minimamente di aver neppure compreso la risposta di Jean Paul alla sua domanda.
Che bello che era.
Jean Paul lo fissò ancora per un lungo, lunghissimo istante. Aveva sempre visto Pietro in divisa, l’unica volta che gli era capitato di fronte in abiti civili, aveva mostrato tutto un altro stile. Non aveva mai neppure immaginato che Pietro fosse uno da felpa in pile. Il colore, però, sul suo viso creava un contrasto meraviglioso: il grigio antracite sulla pelle marmorea sembrava argento ossidato, come una corona preziosa che avesse intorno a sé. I suoi occhi scintillavano ancor più profondi del solito per quel contrasto, parevano più densi, forse più acuminati. E le maniche, non troppo ampie ma abbastanza lunghe perché gli coprissero le mani.. era una immagine strana, e insieme sensuale. Le sue dita erano così sottili e chiare.. se le ricordava cosa si provava a sentirle addosso, ma non la sua pelle. L’aveva toccato, era vero, ma non aveva mai tolto i guanti. Ora invece..
“E perché tu sei qui, Pietro?”
Un sussurro appena incastrato in gola, come un tremito che infrangesse la perfetta immobilità di Pietro, uno sguardo stupito, di sbieco, un’espressione colpita.
Scosse il capo stringendosi nelle spalle, e sulle labbra gli fiorì una pallida mezzaluna argentea.
“Usciamo di qui, va bene? C’è un po’ troppa gente per i miei gusti.”
Si alzò in silenzio, con un movimento terribilmente fluido, elegante, come quello di.. di un ginnasta. Sì.
Il suo corpo somigliava a quello di un ginnasta, i muscoli lunghi e duri, ma armoniosi, che obbligavano il corpo a movenze delicate anche se grondanti forza: tendini d’acciaio si tesero e si lasciarono andare e parevano, nel loro risuonare, rifarsi alle armonie celesti. I suoi passi morbidi e sinuosi tracciarono un sentiero dorato che Jean Paul seguì senza fiato, senza, in quell’istante, aver bisogno di altro.
Fuori, l’aria ancora fredda li invase, ancor più trapunta di rumori, di traffico, automobili, le chiatte sull’Houston.. E la voce di Pietro, stupita.
Stupore, sì. Come stupita fu la luce che aveva sul fondo degli occhi, come la piega delle labbra, solitamente amara, ora lievemente perlacea. Sembrava un sogno.
“Perché mi stavi cercando? – distolse di nuovo gli occhi, infilandosi le mani nelle tasche della giacca, poi prese un respiro quasi difficoltoso – Credo di doverti.. qualcosa. Forse.. forse un ringraziamento? O qualcosa del genere? Perdonami, non sono molto abile con queste cose..”
Una timidezza pallida gli colorò il viso e Jean Paul si sentì stringere il cuore.
“Non sono qui per questo. Non per quello che è.. accaduto. Eravamo due uomini adulti e consenzienti e ..”
“Perdonami se non comprendo.”
“Fai davvero *fatica* a capire perché io sia qui?”
Pietro lo fissò a lungo, con attenzione, poi sibilò un’espressione strana che lo rese terribilmente, infinitamente umano.
“Già.”
Il mondo parve rallentare di nuovo, intorno a loro. I capelli di platino di Pietro furono arruffati da un bizzoso colpo di vento, e quegli occhi, sempre così chiusi e freddi, sempre così lontani, come se egli fissasse il mondo da un’altezza impossibile, divennero scintillanti, pieni d’elettricità, di pulita altitudine, di una coltre infinita d’ossigeno puro in cui le aurore boreali potessero danzare fino alla fine dei tempi.
“Dove volevi andartene in aeroplano? Lontano da qui?”
Pietro socchiuse gli occhi sollevando lo sguardo verso il cielo: la strana espressione che gli rugò la fronte sottolineava un lieve fastidio nei confronti della luce che scivolava giù dal cielo velato, ma null’altro si espresse.
“Sai molte cose su di me, mi stupisce che tu non sappia anche *questo*.”
Una sorta di acido divertimento, lieve rancore, forse. Jean Paul sostenne quello sguardo sbieco con una semplicità che stupì anche se stesso.
“Ti sbagli, so molto poco di te. – il che era vero, drammaticamente vero – Non ti avrei mai fatto una domanda così stupida, altrimenti.”
“Non avresti provato una domanda a trabocchetto?”
“Avrei dovuto?”
Pietro sorrise, un ghigno strano, divertito. Scosse di nuovo il capo mutando il corso dei suoi pensieri.
“Curioso. Io so .. quasi tutto di te, invece.”
“Davvero? A cosa devo tanto interesse, mon ami?”
“Lavoro. – sincero e neutro – Ho studiato tutti i dossier in possesso del governo prima di essere spedito alla Scuola per aiutarvi. Credevo avresti potuto arrivarci da solo: dopo tutto è semplicemente la procedura standard. Anche tu hai lavorato per un gruppo governativo.”
Già. Ma ora non lavorava più per un governo, e, comunque aveva sempre avuto troppo da fare, o, meglio, cose più interessanti, che sprecare il suo tempo in cose così.. banali.
“Mai spulciato un po’ in internet? Non puoi immaginare cosa si viene a sapere surfando qua e là sul web. Tutto ciò che so di te, per esempio, l’ho imparato nei siti dei tuoi fan.”
Una stranissima espressione sbigottita lo inchiodò lì. Pietro lo stava fissando.. perplesso, quasi. Solo ‘quasi’ perché si ricompose in un attimo. Qualcosa di meraviglioso e stupefacente.
“Non sono io quello famoso, Northstar. Non ci sono siti..”
“Su di te? Oh certo che ci sono! Ma dimmi, quand’è stata l’ultima volta che hai passato un po’ di tempo a gironzolare sul web?”
Uno sbuffo, quasi divertito, come se si aspettasse già la sua reazione. “Non mi piace perdere tempo in un modo così futile.”
“Non è così futile!”
“Non è neppure utile, se non sai cosa volevo andare a fare in Europa.”
Touchè.
“Temo che tu abbia ragione.”
Pietro annuì in silenzio, non aggiungendo altro. Jean Paul avrebbe voluto limitarsi a stare lì e a fissarlo, e gli sarebbe bastato. Per ora, almeno per un po’. Ma, forse, ora non aveva tempo. Pietro non ne aveva.
“Deve rimanere un segreto?”
Si stinse nelle spalle, non spostando lo sguardo su di lui.
“Sono molto geloso di certe cose. – un mezzo sospiro – E non vedo come la cosa ti possa interessare.”
“Fammi pensare. – Jean Paul sorrise appena – Tu sei nato in Europa, no? Volevi.. tornare a casa?”
Era un’idea nuova, anche per Jean Paul: non l’aveva mai sospettato.. non aveva mai immaginato in Pietro una .. una fragilità simile. Una ‘dolcezza’..
“A casa. – parve assaporare quella parola arrotandola sul palato, con cura e attenzione, come se in parte non gli fosse solita, anche se in parte, doveva essergli piantata dentro. Casa. Sì, lui una casa dimenticata e negletta, abbandonata dietro, nelle pieghe del tempo, e rispolverata solo ogni tanto, una volta ogni due o tre anni ce l’aveva. Rimorsi più che veri e propri ricordi. Ma era una casa – In un certo senso..”
“Dimmi dove volevi andare. Ti porterò io.”
“Già. – un ghigno – Dimenticavo di stare parlando con Mr.Miliardo.”
“Dimenticavi di stare parlando con uno che *vola*. E che ti può portare a Parigi in venti minuti.”
“Non voglio andare a Parigi.”
“Allora dimmi dove.” ___
Transia.
Pietro aveva dovuto ripetergli il nome venti volte, almeno, e ancora era certo di non aver mai sentito nominare una regione simile. Non che lui se ne intendesse tanto di geografia del Centro Europa.. e dire ‘dalle parti della Romania’ poteva essere sufficientemente confuso. Per fortuna che c’era Pietro che sapeva dirgli dove andare.
Che sembrava non aver dimenticato la conformazione di una semplice ruga di quel terreno ora coperto di neve, o di una pianta o di un ruscello o.. o di un filo d’erba, che ora non c’era. Ma Pietro, da lassù, anche da quell’angolazione sotto la quale non doveva aver visto il suo paese molte volte, riconosceva ogni acro di terra, ogni singola sfumatura di colore su quel cielo che sembrava così ampio, e così luminoso, come se lì la notte non potesse raggiungerli davvero, come se si potesse vivere in un perenne stato di lucore pallido e infinito, indistinto ma lucente.
Pietro, ora, passeggiava lento e composto in quelle stanze che gli dovevano essere terribilmente famigliari, dalle mura ricoperte di pannelli di legno rosato, che pareva ciliegio, lucido e profumato e i pavimenti di pietra bianca.
Lì, in inverno doveva fare molto freddo, visto che, anche ora il ghiaccio, la neve non si erano ancora sciolti, e decoravano scintillanti le alte cime puntute che, miglia tutt’intorno, si ergevano, orgogliose e ammantate di pinete scure contro il cielo. Ampio.. così ampio.. Jean Paul ricordava di aver veduto un cielo simile quando era al Polo. C’era la stessa sensazione di altezza, di infinitudine che lo contemplava da lassù, ma mentre era abituato ad associare, a tutto quello, una incredibile apertura, un’aria fresca e dolce, piena di ossigena, frizzante nelle narici, lì, invece, il cielo era sgombro e ampio, ma.. pesante. Era trasparente ma non era denso di ozono e di venti impassibilmente rapidi in grado di spazzare via anche ogni pensiero: era quasi pesante: l’occhio di Dio che li scrutasse.
Scosse il capo ritornando la sua attenzione a Pietro. Camminava a piedi nudi, solo con le calze addosso, sul pavimento coperto per la maggior parte da tappeti chiari, color panna: sembravano quasi pelli di animali, ma non era certo che fossero veri. Poi le finestre erano piccole, di legno, s’immaginava che se ci fosse stato un tocco femminile, lì dentro, probabilmente nella bella stagione lì fuori ci sarebbero stati appesi dei fiori che sarebbero fioriti forse per una sola stagione, ma sarebbero stati così belli da spezzare il cuore.
“Non ti facevo così romantico, Pietro.”
Il fuoco crepitò nel camino come a rispondere ad una richiesta silente. Pietro smosse appena lo sguardo da una parte all’altra della stanza e sorrise a trovare tutto perfettamente a suo posto, senza un filo di polvere.
Jean Paul starnutì di fastidio guardandosi intorno con fare seccato. Non era abituato a stare in posti polverosi, tanto meno in quelli che sapevano pure un po’ di stantio: era proprio così che si era immaginato l’interno di quella casa, però si era dovuto ricredere. Quello era un posto immacolato, come se fosse stato pulito appena il giorno prima. Eppure erano in un luogo isolato di una pianura ghiacciata, aveva visto un paio di villaggi, poco più a sud ovest, ma nessuno abitava nei pressi.. e l’idea che Pietro andasse laggiù un giorno a settimana per pulire gli sembrava assurdo. Anzi: era *decisamente* assurdo. Era più normale pensare che Pietro pagasse qualcuno perché tenesse a posto la casa, e questo avrebbe spiegato anche la leggera ispezione che stava eseguendo, con un’attenzione adamantina e formidabile, come se di quello andasse la sua vita. Come se fosse davvero fondamentale.
“Da quanto tempo non entri qui dentro?”
Pietro si voltò di tre quarti e si strinse nelle spalle.
“Due anni o tre.”
Socchiuse gli occhi, lo fissò allontanarsi per sparire oltre una soglia: la porta d’ingresso rimase spalancata e un fruscio strano lo incuriosì. L’idea di vedere Pietro che sistemava delle lenzuola *immacolate* sul letto gli parve una qualche visione ultraterrena.
Il vento era lì, ovunque, attorno a Pietro, e, in un certo modo, dentro. Sì. Pietro era luce, ma non solo. Era aria, vento, era freddo, neve, ghiaccio. Ed era … *pulito*.
“Perché sei venuto via da qui?”
Pietro distolse lo sguardo, voltò il viso e quasi.. quasi sorrise.
“Mio padre.”
Terribile e amaro. Qualcosa che non sarebbe stato ripetuto, né ora né mai, qualcosa che mostrava una fragilità incredibile, un dolore senza fine. Una scheggia velenosa ficcata direttamente nel cuore.
Suo padre l’aveva tirato via da lì, l’aveva trascinato dall’altra parte del mondo per.. per i suoi scopi. Per farlo diventare un soldato meraviglioso, il perfetto futuro primo ministro della più grande nazione mutante del mondo. Chissà se, già da allora, Magneto si era accorto che non sarebbe stato così semplice piegare ai suoi desideri quel suo splendido figlio.
E Pietro lo stupì di nuovo, senza la minima preparazione: sorrise, lasciandosi andare a sedere sulla ampia poltrona di vimini. “Allora però non vivevo qui. Questa casa l’ho comprata dopo. Quando.. quando avevo bisogno di trovare in parte le radici che persi. Non è come mi ricordavo, non è com’era, ma è *qui*. Mi va bene. Mi piace.”
Uno sguardo lungo, lento e aperto. Jean Paul sentì di potervi leggere, in quello sguardo, e si spaventò nell’essere in grado di comprendere le parole che in esso erano nascoste: ‘mi piace l’idea di *morire* qui’.
Dolore.
Senza speranza, senza futuro.
Jean Paul sentì freddo nel cuore e non riuscì ad immaginare un solo, singolo motivo per il quale non dovesse sentirsi così male.
“Sei stato felice qui. Davvero.”
Non era una domanda, ma un’affermazione. Pietro sorrise, annuendo in silenzio.
“Mi piaceva suonare. – un piccolo respiro – E correre per i prati fino a che il cuore mi scoppiava in petto. Mi piaceva l’odore della primavera e il gelo dell’inverno. Adoravo la neve che mi si appiccicava addosso e mi bagnava come se fossi stato un pulcino. Ma non ho mai imparato a sciare.”
Jean Paul lo osservò in silenzio per un lungo istante, cercando di immaginarsi quel giovane, meraviglioso uomo che aveva di fronte come il bimbo che gli aveva descritto essere stato e, incapace di farlo davvero, stupito e confuso e meravigliato insieme, si concesse un sorriso rilassato.
“E io non ho mai imparato a .. suonare. Davvero, sai, non ti facevo uno che si dava alla musica..”
Pietro sorrise.
“Yeno me l’ha insegnato. Lui era.. – si leccò appena le labbra – credo che lo si potrebbe chiamare uno zingaro.”
Jean Paul gli si sedette di fronte, sconcertato oltre ogni dire.
“Uno.. zingaro?! Uno di quelli che vanno in giro con i carrozzoni e fanno.. il circo?”
Pietro, questa volta, rise sul serio. “Definizione assurda, Northstar, ma ti perdono. Dopo tutto ti devo un viaggio, no? – socchiuse gli occhi – Quelle che sai tu sono tutte sciocchezze. Loro erano.. nomadi. Una razza antica e orgogliosa, con leggi proprie e proprie abitudini, fieri ma pieni di rispetto per la terra su cui vivevano e per gli ‘stanziali’. Yeno era un uomo buono: tutto quello che so e che è degno di essere ricordato me l’ha spiegato lui. Amava suonare il violino e me l’ha insegnato. E’ da allora che non ne tocco uno, ma non credo sia una gran perdita, non credo fossi molto portato, sai? Solo che lui ci teneva.”
Jean Paul lo fissò estasiato.
“Sei una incredibile fonte di stupore, Pietro!”
“E non sai quanto tu abbia ragione.”
Sussurrò appena, ma lasciò cadere il discorso. Le tende bianche si gonfiarono tra di loro e il vento gelido si intrufolò nelle ossa, suscitando una sensazione spiacevole, terribile a modo suo.
Pietro lasciò cadere il capo all’indietro, come se nulla del genere gli importasse.
“Mi farai sentire come suoni, un giorno di questi?”
Il sorrise pallido di Jean Paul si spense. Osservò Pietro alzarsi, dirigersi verso i vetri per chiuderli e la sua espressione vuota, non triste ma ..lontana.
“Perché? Non credevo avessi intenzione di rimanere qui ancora.”
“Non ti lascio solo.”
Lo sguardo che Pietro gli lanciò in quell’istante fu da morire lì, su due piedi. Niente speranze, e niente futuro. Niente richiesta di vicinanza o protezione. Solo freddo e gelo. Solo.. solitudine, e nulla.
“Perché? Sono sempre stato solo. Mi *piace* stare solo.”
___ CONTINUA..
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