NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
parte IX di Dhely Tre ore dopo, meglio, tre ore e cinquantasette minuti dopo, Bobby era già assolutamente convinto che fosse tutto perduto, che le cose non potessero andare *peggio* di così, che nonostante tutto avevano *fallito*, e che non ci sarebbe più stato neppure uno straccio di speranza da presentare a JP.. fino a che, con le lacrime agli occhi si trovò di fronte alla sobria porta scura, in legno di quercia, dello studio del Professor Charles Xavier.
Il più grande e potente telepate del mondo – se avessero chiesto a Bobby, avrebbe detto che, di sicuro, lo era pure di tutto l’universo.
Il fondatore degli X Men, quello che li aveva messi insieme, e li aveva tenuti in piedi in mezzo a tutte le tempeste, ad ogni dramma, a ogni *sciocchezza*.
Quello che parlava ai consiglieri del Governo di *qualunque* paese e a chissà chi altro.
Il loro padre putativo anche per quelli, come lui, che un padre biologico ce l’avevano e non morivano dal desiderio di strappargli gli occhi ogni volta che parlavano di lui.
Uno scassapalle maniaco di ‘quello che è giusto’, di ‘quello che è corretto’, che parlava di etica come gli altri uomini della sua età parlavano di baseball, cioè con una frequenza impressionante.
In una parola: il Professore.
*Il* Professore.
Ecco, probabilmente parlare con lui, in quel frangente sarebbe stato più un sollievo che non discutere con Logan. Non l’aveva fatto, la notte precedente, perché Bobby aveva pensato fosse meglio cercare, prima, di risolvere quel problema tra di loro. Tra ‘amici’. Il Professore era sempre lì, per loro, con un incoraggiamento e una parola buona, di conforto e consolazione per tutti, ma proprio per quello preferiva tenerlo come ultima arma.
Ora, però, cos’aveva da perdere? Aveva perduto tutto, anche.. anche la speranza.
Abbassò gli occhi, sentendosi stupido: come poteva permettersi di sentirsi, lui, così? Il suo volto si contrasse in una strana smorfia: di fronte alla porta, proprio come lui, la gatta del Professore aspettava. Ma l’animale manifestava la sua irritazione in maniera ben più palese, conficcando le unghie nel legno duro, lasciando su di esso profondi segni chiari.
Bobby avrebbe preferito ridere nel pensare che il Professore si sarebbe arrabbiato moltissimo, quando l’avesse visto.. in fondo il Professore poteva *sapere* le cose quasi prima che accadessero –anche se diceva sempre che non gli piaceva farlo-, e, comunque, non avrebbe potuto non *sentire* quei miagolii a metà tra l’irritato e il preoccupato che cadenzavano i graffi.
Un gatto non sapeva aprire una porta, ovviamente, ma probabilmente era in grado percepire tante altre cose, più di quante avrebbe mai potute anche solo immaginarne.
Che strano, i miagolii e i graffi li udiva bene. Eppure sembrava che .. il gatto singhiozzasse, pure. Era un suono ovattato, molto flebile. Ovviamente Bobby sapeva pure che i gatti *non* singhiozzano.
Lo capì prima di *saperlo* e si sentì male.
Bobby avrebbe voluto, d’improvviso, essere rimasto nella sua beata ignoranza, avrebbe preferito che JP non si innamorasse di Pietro, che non li avessero mandati a compiere quella maledetta missione, che Hank non gli avesse detto ciò che avrebbe dovuto solo riguardare Pietro e nessun altro e che il Professore non si fosse fatto cogliere in flagrante da.. dal suo gatto, una bestia scontrosa che non faceva altro che soffiare e scappare via, quando non stava dormendo da qualche parte. Ecco: perché quella stronza d’una gatta non era a ronfare altrove al posto da fargli venire strane idee, e fargli sentire chissà cosa?!
Appoggiò la fronte al legno, incontrando gli occhi del felino che si sollevarono su di lui, attendendosi chissà cosa.
Bobby non fece niente.
Era lo stupido del gruppo, il perenne bambino, quello che non cresceva mai e che, di solito, non capiva mai nulla, ma aveva affrontato con loro ogni cosa, ogni incubo. Aveva combattuto contro nemici così potenti che nessuno avrebbe scommesso di tornare vivo, eppure ce l’aveva sempre fatta. Con gli altri e da solo: vincere come solo in un gruppo si può fare, mettendo tutto in comune, in modo che quel poco che si possedeva diventava tanto, una muraglia che non poteva essere abbattuta, uno spirito che non poteva venire ucciso.
Eppure.. eppure ora l’idea di bussare quella porta andava al di là delle sue capacità.
Poteva sbagliarsi. Magari non era vero, magari era solo un suono che stava sognando, e non era vero che il Professore stesse *piangendo*, perché se piangeva lui era davvero tutto finito, non c’era più speranza, e non c’era neppure più quel fondo di follia che mille volte li aveva soccorsi quando, appunto, la speranza era svanita da sotto le dita.
Il Professore.. il fiato gli si incastrò in gola e dovette chiudere gli occhi con forza. L’aveva visto teso, preoccupato, ansioso, arrabbiato spessissimo. L’aveva visto furibondo una decina di volte nella sua vita, non di più. Sconvolto un paio, al massimo tre. In lacrime? Mai.
Una volta sola, si ricordava, aveva la faccia di uno che avesse una *voglia pazza* di mettersi a piangere come se gli avessero appena spezzato il cuore. Ma *non* l’aveva fatto.
Mai.
O per lo meno, se l’aveva fatto, era sempre stato più che discreto, e mai avrebbe corso il rischio di farsi beccare nel suo studio.
Mai. ___
Remy guardò appena la luce farsi, con forza, chiara. I ragazzi erano svegli, stavano facendo colazione e riempiendo la scuola con quel caos che solo una mandria di adolescenti sa creare. Si concesse un sorriso tirato.
Aveva guardato Logan stringersi nelle spalle, prima di voltargli la schiena, dopo aver condiviso le ultime notizie. Ora si era, di sicuro, chiuso nel suo proprio territorio e probabilmente non sarebbe ricomparso che parecchie ore dopo: in fondo ognuno aveva il suo modo personale di affrontare .. certe cose. Remy era proprio l’ultimo a poter muovere delle critiche a chicchessia.
Probabilmente, fino ad un paio di mesi prima, avrebbe fatto lo stesso. O, almeno, qualcosa di molto simile.
Avrebbe chiesto a Bobby di andare a festeggiare la buona riuscita della loro missione. Avrebbe riso, avrebbe goduto, avrebbe pure potuto ubriacarsi, o andare a caccia, o perdersi in una delle numerose attività altamente piacevoli in cui indulgeva senza rimorsi.
Questo, però accadeva ‘prima’.
Prima di tante cose: prima di sentirsi davvero ‘in gruppo’. Prima di accorgersi di avere davvero degli amici, di essere circondato da persone che si fidavano di lui, e che tenevano davvero a lui. Prima ancora di Bobby, di una storia iniziata come un gioco –uno dei suoi mille giochi di charme e di provocante corteggiamento- e finito come era finito, con lui che non riusciva più a vedersi da solo, ormai. Perché da troppo tempo non era più solo, perché per troppo tempo aveva indossato la sua presunta solitudine come un orpello che serviva a renderlo più fascinoso, un qualcosa in cui adagiarsi, di cui essere stranamente compiaciuto.
Il mentitore più sopraffino non è forse colui che mente a se stesso senza accorgersene? Il più abile e insieme il più patetico.
Era una vita fa, forse di più. O forse era appena passato un attimo.
Remy era cambiato, sì, ma continuava a sapere bene che nella vita, le cose potevano terminare con molta più facilità di quanto iniziassero, e spesso il ‘vissero felici e contenti’ era buono solo per concludere una fiaba per bambini.
Lì, dove nessuno era più bambino da un pezzo, lui non avrebbe avuto nulla da dire oltre al fatto che i dolori capitano, in una vita, che si può soffrire, succede di piangere, di sentire il proprio cuore che s’infrange in petto e che, nonostante tutto, nonostante l’amore, il dolore, la delusione, non si muore *mai* per amore. Succede pure di essere sconfitti, di sbagliare, di fare un errore e rimpiangerlo per anni.
Non era la fine del mondo.
Ma c’era qualcosa che valeva, forse, di più di tutto quello che aveva, del suo potere, del suo orgoglio, del suo passato e del suo futuro: era ciò che lo legava agli altri. Suoi amici.
Amici.
Stana parola: significava tutto e niente insieme. Eppure ora non poteva fingere che non esistesse. Che Jean Paul fosse solo uno dei sei miliardi di persone che, per puro caso, dividevano con lui un pianeta azzurro in un sistema solare.
No.
Jean Paul era.. qualcosa di diverso. Un amico, come diceva Bobby, credendo fortemente al senso più profondo di quella parola, utilizzata e bistrattata ormai in ogni modo possibile.
Gli doveva molto: il suo cuore, la sua fiducia. La sua attuale felicità.
Si ricordò lo sguardo di Bobby, e le sue parole: come si può vivere perennemente col rimorso di essersi fatti scappare l’opportunità di essere felici? Perché non lo si poteva mai sapere in anticipo, se si avrebbe gioito o pianto, bisognava vivere per esserne certi, però rinunciare per un errore, uno sbaglio, un.. un qualcosa, alla *possibilità* di esserlo?
Chiuse gli occhi bussando alla porta e, come aveva fatto proprio Jean Paul, quando i loro ruoli erano invertiti, non attese il permesso di entrare.
Se lo trovò davanti, la faccia di uno che non abbia dormito quasi per nulla, e una profonda ruga di fastidio malcelato a lampeggiargli sul fondo degli occhi.
“Non sei proprio mai stato educato, non?”
Remy scosse il capo. Lui non era bravo come il canadese a ricamare con le parole.
“Jean Paul, cosa fai ancora qui?”
Uno sguardo arrogante, poi finse indifferenza.
“Le lezioni iniziano fra un’ora e mezza.”
“Pietro è andato via.”
Pensava di prenderlo alla sprovvista, poi si diede dello sciocco: era così ‘veloce’! Come poteva stupirlo davvero? O per lo meno, come poteva sperare di *vedere* lo sconcerto sul suo viso?
“Lo so. – una specie di sogghigno – E, ora, se volessi lasciarmi ai miei affari, s’il v’-”
“Non puoi lasciarlo andare via così. Non te lo perdoneresti mai.”
Jean Paul strinse le mani a pugno, tese i muscoli delle braccia, ma non mutò di una virgola la sua espressione.
“A parte il fatto, ovvio peraltro, che tu sei proprio l’ultimo da cui accetterei un consiglio su un argomento simile..”
Non lo lasciò finire, non ne aveva bisogno.
“Se fossimo in un altro momento, ti giuro, Northstar, che ti permetterei di insultarmi finché vuoi, così magari riesci a scaricare la frustrazione in eccesso. Ma non adesso. Non hai tempo da perdere. Qui con me.”
“Infatti. – sembrava molto più che seccato, ora – Non *ho* tempo da *perdere* con te.”
“Ci sono delle cose che non sai. Su Pietro.”
Un ringhio. Davvero un *ringhio*. Avrebbe avuto paura di lui, ora, se non fosse stato concentrato su altro.
“Non m’interessa!”
“Oh sì che ti interessa. Hank gli ha lasciato una settimana, e già teme di aver peccato di eccessiva fiducia.”
Lo vide ammorbidirsi un poco, dalla confusione. Non solo non lo sapeva, dunque, ma non lo aveva neppure *sospettato*.
Sarebbe stato difficile.
“Che_”
“Sta *morendo*, Jean Paul. – un respiro per prendere il coraggio di scandire bene quella parola, quel concetto terribile, violentando se stesso e lui con quella sola parola. - Morendo. Non so perché, non l’ho chiesto, non m’interessa. Ma se devi dirgli qualcosa, devi dirglielo adesso.”
Un respiro.
Poi un altro.
Remy lo fissò prendere fiato, radunare le idee, chiarirsi la mente. Cercare un appiglio, a tentoni, anche uno falso, uno stupido, per trovare la forza di ridergli in faccia e dirgli che erano solo bugie, che non ci credeva.. che non ci *poteva* credere..
Pietro?
Cos’è che aveva detto Remy?
Doveva essersi sbagliato, doveva essere uno stupido scherzo. Peggio: poteva aver capito male lui e.. e avrebbe solo dovuto fingere di non trovare, ora, con quella frase, un senso a tutto ciò che gli era parso incomprensibile fino ad un attimo prima: l’infermeria inaccessibile, il suo non tornare alla base, il silenzio, il suo andarsene in *taxi*. Non coi suoi poteri. Non, al massimo, con uno dei jet dei Vendicatori.
Un taxi.
Pietro.
Era *ovvio* che c’era qualcosa che non andava, e che era un qualcosa di terribilmente grosso.
Ovvio.
Ma non aveva mai voluto immaginare una cosa simile.. e come poteva?
Lui.. lui era uno stupido.
Era da anni che viveva con, addosso, appiccicato il termine ‘eroe’: solamente quegli idioti che lo fissavano, ebeti, dall’altra parte di uno schermo della tv potevano pensare che la sua vita fosse fantastica, meravigliosa, piena di avventure e adrenalina, che terminavano tutte con coriandoli rosa e nubi di colombe bianche che volavano verso un orizzonte perfetto e sgombro di nubi. Avrebbe dovuto *saperlo*!
Aveva visto dei morti, aveva ucciso, aveva pianto amici che non avrebbero più aperto gli occhi, aveva strappato la vita a persone che, probabilmente, avevano una casa, e delle famiglie a cui non avrebbero più fatto ritorno.
La sua vita era piena di sangue versato, di dolore, di paura, ed era dura arrivare in fondo a certe giornate, era difficile, pesante e gli incubi a volte erano peggio che l’agonia fisica.
Ogni volta che partiva, per ogni missione, sapeva bene che avrebbe potuto non tornare. Peggio: quando ognuno dei suoi amici partiva, sapeva che poteva essere l’ultima volta che li vedeva.
Aveva visto Pietro. E sapeva che avrebbe *potuto* morire.
Ma era tornato a casa.. ce l’aveva portato lui. E respirava, era caldo e.. e gli aveva sorriso.
Uno che mette piede in infermeria con quell’espressione, poi, non *poteva* morire.
Fosse morto là, in missione..
Ma no, no!
Guardò Remy, rimettendo a fuoco lo sguardo su di lui: era serio, triste.
Non era vero. Non era possibile.
Gli stava.. mentendo?
Stinse i denti. Avrebbe dato tutto perché fosse così. Perché fosse una bugia. Se lo fosse stata, non l’avrebbe odiato, non l’avrebbe picchiato perché certi scherzi non si fanno, probabilmente l’avrebbe abbracciato e baciato e avrebbe pianto, sì, dal sollievo perché il timore per chi si ama è molto peggio che il dolore personale, perché contro certi nemici non si può combattere, perché..
Pietro.
Tutto gli stava scivolando via dalle dita, la vita, i suoi sentimenti, tutto. Come avrebbe potuto riuscire a trattenere qualcosa quando nulla aveva una consistenza più densa di una nuvola sottile in un cielo terso e ghiacciato di dicembre, con le aurore boreali che screziano la fine della terra e si riverberano sul ghiaccio, danzando con i fantasmi taglienti in esso nascosti?
Pietro.
Da quando lo conosceva gli aveva donato solo due sorrisi. Due, che sarebbero bastati a far fiorire un mondo intero. Che erano bastati a fargli battere ancora il cuore in petto, tiepido e forte, come non gli capitava da.. da talmente tanto tempo che non si ricordava neppure più quando era successo l’ultima volta.
Prima di Pietro.. cosa aveva dentro, prima di lui? Tutto scolorava, tutto diventava inutile, fatuo, senza importanza.
Voleva, ora, rispondere qualcosa a Remy. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché si fosse rotto quell’incantesimo in cui era intrappolato, dal quale temeva di non riuscire più a liberarsi. Ma la sua lingua era immobilizzata, come i suoi pensieri, e il cuore, in una morsa di ghiaccio, terribile, dai bordi acuminati.
“Jean Paul? Devi andare.”
Non rispose. Pensò di annuire, ma non fu certo di farlo.
Non importò a Remy, quel gesto, e dovettero trascorrere molti mesi, prima che Jean Paul si ponesse quella domanda oziosa. Semplicemente si sollevò in aria e un attimo dopo non era già più là.
___ CONTINUA..
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