NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
parte VIII di Dhely Jean Paul sapeva di non possedere il miglior carattere che si poteva desiderare. Sapeva di essere troppo tagliente, spesso, troppo scostante, troppo.. troppe cose, la maggior parte delle quali altamente irritanti, per riuscire a descriverle tutte con delle parole. Ma sapeva di meritarsi, alla fine, tutto quello che aveva.
Di solito pensava a ciò come un complimento, di solito era orgoglioso di poter affermare che tutto ciò che possedeva se l’era guadagnato, che mai nessuno gli aveva regalato niente perché il suo potere mutante era stato comprato con fatica e dolore, e le sue medaglie con allenamenti e impegno. Il rispetto che gli altri gli mostravano era stato conquistato con anni di ottimo lavoro. Aveva ottenuto tutto, dando tutto di se. E questo era giusto, terribilmente giusto, *dolorosamente* giusto. Ma non era il tipo che accusava il destino di qualcosa, anzi. Il destino era una cosa che non centrava con la sua vita, o almeno aveva sempre fatto di tutto perché non potesse influenzarlo a fondo, perché non ci credeva, lui, non *voleva* crederci.
Ora però si scopriva a guardarsi intorno e si sentiva stranamente vuoto.. da che si ricordava, nella sua vita non aveva mai ‘sentito’ un bisogno simile: avere un amico a cui poter spalancare il proprio cuore.
Era un’idea assurda, stupida.
Eppure: del suo passato non era rimasto nessuno. Logan era tante cose, c’era un legame tra loro ma non si sarebbe mai fidato di esprimergli quello che provava davvero, adesso, come se ciò che avevano condiviso condizionasse ancora in maniera troppo profonda la loro vita presente. Robert era giovane e sincero, affettuoso e mille altre cose, ma ad avercelo di fronte Jean Paul si era accorto che il proprio cuore pesava troppo per poterlo mettere fra le sue mani, perché non era compito di Robert quello di fargli da confidente, da paziente ascoltatore. Remy avrebbe potuto reggere, forse avrebbe anche potuto fidarsi, ma non ancora, non ora: si sentiva impenetrabile di fronte a lui, come se mai l’altro avesse potuto davvero guardarlo e *vederlo*. Forse non voleva, o non poteva, ma, alla fine dei conti, il risultato era identico e, dunque non valeva la pena perderci il sonno.
L’unica cosa che contasse davvero era che era sempre e solo una cosa ciò che vedeva intorno: vuoto.
Amici no.
Non persone con cui uscire il sabato sera, o qualcuno pronto a adularti non appena le cose si fanno più semplici. Amici veri: nella sua vita avrebbe potuto contarli sulle dita di una mano?
Sorrise, caustico: molte meno.
Di solito non era importante. Non gli era importato quasi mai.
Quasi.
Poi c’erano i giorni come quello, in cui, improvvisamente, si trovava in situazioni simili, quando il cuore pesava come se fosse stato fuso in ghisa e piombo, e dentro faceva male, e pareva fatto di lame avvelenate che penetravano nella carne senza il minimo problema, e tutto diventava difficile, tutto diveniva incomprensibile e lui non riusciva più a guardarsi intorno senza sentirsi l’anima tremare. E sentiva assoluto il bisogno di.. parlare, dire, di mettere in voce i sentimenti che aveva dentro, come se partorire quello sarebbe stato un po’ come liberarsi in parte del peso che aveva sul cuore.
Ma non c’era nessuno.
La solitudine: si era meritato pure questa.
Però, a volte, aveva creduto fortemente che, dopo tutto, essere solo non fosse male: non poteva essere poi tanto peggio che essere con le persone sbagliate.
‘Persone sbagliate’.
Avere qualcuno di cui fidarsi, qualcuno che si fidasse di lui.. quanto avrebbe voluto qualcuno così, accanto? Un amico.
Avere anche gli amici ‘sbagliati’, parecchie volte nella sua vita, era stato meglio, almeno, che non avere proprio nessuno, piuttosto che affogare in un mare di visi che avrebbero dovuto rappresentare qualcosa, che avrebbero dovuto far scomparire il vuoto, fallendo miseramente.
E Jean Paul sapeva che erano state le sue aspettative ad aver ucciso le relazioni che aveva imbastito, non le mancanze degli altri. A volte era stato anche peggio di così, a volte aveva semplicemente voluto qualcuno accanto, e non gli era importato di chi fosse, o del perché e si era venduto per un sorriso falso o una carezza affrettata, per un calore che sapeva di minestra riscaldata. Non si era mai vergognato di tutto quello. Mai.
Ma adesso tutto ciò che era stato il suo solito, abituale ‘gioco’, mostrava la sua debolezza e non riusciva a sopportarlo. Non si sentiva in grado di reggere una solitudine simile.
Eppure non ci poteva fare nulla. Aveva bisogno, quando mai prima aveva mostrato il minimo interesse di essere compreso dagli altri, di qualcuno che lo ascoltasse, lo accettasse, che si fidasse di lui e di cui lui si fidasse abbastanza. Aveva bisogno di essere compreso, accolto, ascoltato.
Era una sciocchezza, ma era vero.
C’erano volte in cui Jean Paul, come ora, non poteva fare altro che stare seduto in un angolo, guardandosi attorno, accettando in silenzio quello che c’era, sia che esso fosse tanto o poco. Gli avevano insegnato che quello era ciò che accadeva quando si cresceva e si smetteva di credere nelle favole, nei lieto fine e nei ‘vissero felici e contenti’. E se tutto quello che stava sopportando ora era, ragionevolmente, utile per scendere a compromessi con l’oscurità che ognuno possedeva dentro, con la debolezza e il dolore, allora era ciò che si doveva fare, anche se era faticoso e doloroso. Anche se era una specie di morte. Ma crescere era sempre un po’ morire, ed era giusto in ogni caso, anche se era doloroso.
Jean Paul scosse il capo sospirando: certi pensieri, nebulosi e difficili, soffocati dal dolore, non servivano a nulla, ora. Era tutto inutile.
Se avesse potuto crescere, diventare migliore, solo in quella oscura solitudine, solo in quel buio tepore senza speranza, allora lui non poteva farci nulla, poteva solo accettare l’ordine delle cose e cercare, da esso, di trarre il meglio possibile. Se, dopo questo dolore, dopo questo *vuoto* tutto si sarebbe riempito d’un nuovo senso, di una nuova visione, di nuove scoperte e intuizioni, bhè, allora per lui andava bene.
E fino a lì erano riflessioni razionali, pensieri dolorosi e profondi forse, idee che potevano fare sanguinare il cuore, anche, ma che rimanevano accettabili, a modo loro. Che *riusciva* a tollerare.
Poi c’era altro. Qualcosa che andava oltre il bisogno di essere compreso e ascoltato, qualcosa che superava la solitudine, il vuoto che sentiva nel cuore.
Qualcosa di patetico e infantile, qualcosa di stupido, qualcosa che non avrebbe tollerato da una delle ragazzine che gli erano state assegnate come alunne, figurarsi se poteva accettare da se stesso: un’immagine che era scavata ben più a fondo che sulle retine. Era una sensazione, un ricordo, il battito del proprio cuore che s’intrecciava ad un sospiro appena trattenuto tra le labbra, componendo una sembianza che poteva sfiorargli la pelle.
Il ricordo della pelle sulla pelle lo faceva rabbrividire come se il contatto fosse lì, visibile e presente. Il ricordo gli faceva perdere quel poco di ragione che aveva potuto tenere al riparo dagli uragani che gli spazzavano l’anima. E non c’era nulla da fare, non c’era alcuno sforzo, né impegno che potesse infrangere il muro liscio che qualcosa, Jean Paul non sapeva cosa fosse, aveva costruito intorno al suo cuore.
Il cuore?
Non solo quello.
Era qualcosa di differente. Qualcosa che non riusciva a nominare in maniera corretta forse anche perché lui, di cosa fosse davvero l’amore non ne aveva idea.
Era un’immagine.
Qualcuno aveva detto che l’amore passava attraverso gli occhi. Non ricordava chi fosse stato, perché Jean Paul aveva sempre badato poco a certe teorie, però ora sentiva dentro il *significato* di tutto quello: la bellezza era qualcosa di strano. Non era propriamente una ‘cosa’, e di sicuro non una ‘persona’, più precisamente sembrava qualcosa che vivesse sul limite che dividesse quei generi. La bellezza viveva di un’affascinante soggettività dalla quale non si poteva prescindere.
Jean Paul aveva scoperto che ciò che trovava bello era qualcosa che dava una risposta, passando attraverso il proprio sguardo per conficcarsi giù, dentro di sé, nel cuore e nell’anima, fino a giungere ad una domanda profonda e oscura, e tramite esso, penetrandogli ancor più a fondo, una risposta che aveva già conosciuto, in qualche modo, ma che non poteva articolare in parole o segni o immagini. E in quel momento, nel suo ricordo, nei suoi pensieri, Pietro era qualcosa d’indicibile ma di presente, qualcosa che gli pareva fosse in grado di far ‘fiorire’ una parte della sua anima che non aveva mai pensato potesse esistere.
Pietro che non aveva.. non aveva *detto* nulla, però lo aveva stupito, prendendolo alla sprovvista, l’aveva lasciato senza fiato e senza parole. Lo aveva lasciato lì, con nulla fra le dita eppure con qualcosa di pesante, dorato, avvinghiato addosso, sul cuore, nell’animo.
Pietro.
C’era un’ombra scura che gravava sull’immagine che aveva di lui dentro di sé. Lo guardava e lo vedeva.. lo *sentiva*. Un tremito scuro che cantava su note mortifere, che portavano ad un orizzonte d’immobile futuro, di inesistenza e inconsistente perenne. Scure ombre a velargli gli occhi, presagi densi che impedivano a Pietro di avanzare, come se fosse inchiodato ad un presente che non voleva, ma dal quale non poteva liberarsi. Se Pietro, si stupì a pensarlo, non vedeva che un mondo a tinte fosche, se mai aveva intuito uno spruzzo di colore nella sua esistenza, sempre così concentrato sull’annullare ogni minima debolezza formale, ogni emozione, rendendo le proprie armi morali più forti, turrite mura di ghiaccio sempre più impenetrabili, più alte e più imprendibili, davvero lui aveva *pensato* di poterlo liberare dalla sua aridità emotiva con.. con quello che era successo tra loro?
Come aveva potuto pensare che ciò che era accaduto potesse avere un peso tale da riuscire ad infrangerne le difese, spaccandone gli schermi di ghiaccio che possedeva, forti, intorno al suo cuore?
E poi, magari, Pietro davvero era così *menomato* emotivamente da.. ma no, quello non era possibile.
Ricordava i riverberi di un lontano sorriso che parevano davvero fiori di fuoco provenienti da minuscole scintille sfuggite da una fucina posta troppo in fondo sotto strati e strati di gelida roccia. Ricordava il tepore che aveva intuito poter provenire da lui, la serena, esplodente felicità di quando aveva parlato di sua figlia e la gentile comodità con cui, per qualche attimo, erano riusciti a parlarsi.
Il bisogno di fiducia era nato, in germe, là. Non aveva mai provato, Jean Paul, niente di simile. Pietro aveva sorriso, l’aveva guardato, e lui aveva scoperto di aver bisogno di godere della vicinanza di qualcuno, che solo non poteva, non voleva vivere ancora, e che per essere perfettamente felice.. o solo per ‘correre il rischio’ di poter essere felice, una volta o l’altra, avrebbe avuto bisogno dello sguardo di Pietro che si mischiava al suo, che nel suo si puntava e si perdeva.
Tutto il resto: le sue idee, i suoi desideri, i suoi progetti, il suo organizzare ogni minimo frangente della sua vita, tutto era svanito, sciolto in quella decisione che non sapeva chi avesse preso, ma che c’era, che era stata presa.
Era una sciocchezza, e questo era ciò che la sua testa gli diceva. Il suo cuore era convinto del contrario.
Probabilmente, ora, non aveva alcuna possibilità di arrivare a sapere chi, dei due, avesse avuto ragione.
Chiuse gli occhi, appoggiando la fronte al vetro freddo della sala comune.
Un po’ di rumori, strani a quell’ora, gli fecero domandare se la squadra in missione non fosse già di ritorno e poi si diede dello stupido: se fosse tornata la squadra, ci sarebbe stato l’hangar in soqquadro, di certo non il corridoio che portava all’ingresso principale della Scuola.
E allora: che gli importava?
Un paio di fanali accesi tagliarono l’aria scura di quella notte che stava per morire, una macchina gialla schiacciò sotto i suoi copertoni la ghiaia grigia ai piedi della scalinata bianca dell’ingresso. Dalla finestra a cui era appoggiato ora Jean Paul, non riuscì a vedere chi uscisse sul patio, se non ombre scure che si intrecciavano come per abbracci sussurrati e addii silenti.
Il taxista non si mosse, non dette il minimo cenno di fastidio o altro.
In quella notte, gravida di un addio che non era per lui, anzi, che viveva proprio come se lui non esistesse, Jean Paul provò nostalgia. Gli mancava già, anche se non sapeva ancora che se ne era andato. Anche se solo aveva intuito una figura sottile scivolare sull’abisso disegnato da una porta socchiusa che dava su un mondo grigio e immobile. Anche se non aveva visto quegli occhi, quel viso.
Non aveva visto altro e si ritrovò a ringraziare in silenzio di non averlo fatto.
Pietro se ne era andato.
Perché non avesse utilizzato i suoi poteri, perché aveva dovuto chiamare un taxi, *lui*, che non solo poteva essere dall’altra parte del mondo in cinque minuti e ventitré secondi –cronometrati-, ma che solitamente non sopportava la vicinanza di *nessuno*, per una frazione di secondo Jean Paul ebbe la tentazione di chiederselo. Poi scosse il capo.
Qualunque fosse la risposta a quella domanda, non toccava a lui. Non c’era risposta perché non c’era neppure la possibilità di pensare di porre una domanda simile.
Pietro se ne era andato.
Proprio come era arrivato: in silenzio, senza fare rumore, senza tenere discorsi o altro. Svanito: come un sogno che scompare all’alba. Come una stalattite di ghiaccio che si sciolga al primo sole, illusione fittizia nato dal cuore fragile dell’inverno più rigido.
Se fosse stato un film, quello, al posto che la sua vita, sarebbe venuto il momento di un addio strappalacrime, di una dichiarazione col cuore in mano o di un rifiuto sprezzante. Ma la sua vita non era un film.
E Pietro se ne era andato.
Forse, semplicemente, non poteva finire in un altro modo, visto che non era mai *iniziato* nulla. Forse. ___
“Hei ghiacciolino! – il tono di Logan era divenuto improvvisamente teso e roco. Sembrava davvero arrabbiato. – O questa è un’introduzione un po’ lunga a quello che devi dirmi, o me ne vado. Non me ne frega un accidente di quello che possa essere capitato a quel bastardo di Pietro, ok?”
“Logan, per favore! – Bobby suonava davvero agitato. Remy si limitò a sedersi comodo nella poltrona: non era sua intenzione mettersi fra loro, con quel particolare soggetto, soprattutto, intorno a cui verteva la discussione – Non so perché ce l’hai con Pietro..”
“Son cazzi miei! E..”
“E son *cazzi tuoi*, appunto! – Bobby si passò una mano sugli occhi. Non bisognava essere particolarmente attenti per accorgersi che tremava. Logan ringhiò una maledizione sottovoce – Qui non stiamo parlando di affari tuoi! Neanche a me piace tanto, lo sai! Mi fa.. paura. E non so se mi sta simpatico. Ma c’è JP..”
“Se JP è così coglione di innamorarsi di questo stronzo non è colpa nostra, mi pare! E poi è grande, saprà uscirne da solo. – sbuffò – Come se non avesse mai incontrato nessuno che gli avesse dato un due di picche!”
“Non è così! Non è *questo*! – si torse le mani. Era così difficile! E perché quei due non si mettevano in testa di rendergli la cosa un po’ più semplice? Perché non riusciva a trovare le parole e sentiva male al cuore per la pena, e il dolore e .. e non aveva pensato sarebbe stato così arduo, aveva immaginato che sarebbero bastati loro due, lì con lui perché le cose si mettessero a posto, o almeno sapesse cosa fare, e invece niente. Avrebbe voluto piangere dalla frustrazione ma non *poteva* - Logan, è davvero una cosa grave. Pietro mi sta poco simpatico, e magari tu lo odi e forse hai ragione tu.. ma non so cosa fare. Perché lo *so* che devo fare qualcosa, che devo dire qualcosa a JP. Lo *so*. So che devo dirglielo, ma non ho idea del come e..”
Logan, nonostante il fastidio fosse impresso a chiare lettere sul suo viso, sollevò una mano come per calmare il ragazzo che aveva di fronte.
“Se magari riuscissi a spiegare cosa diavolo è successo, in maniera comprensibile, Ghiacciolino, non sarebbe male.”
Remy fece per intervenire ma Bobby non gli diede tempo.
“Tu vuoi bene a JP? –un piccolo respiro - Io sì. Nei giorni che siete stati via era.. distrutto. Ad un certo punto volevo andare da Pietro e spaccargli la faccia.”
“Avresti fatto bene..”
Bobby fulminò Logan con un’occhiataccia ma lo ignorò.
“Pensavo che se se ne fosse andato, che se.. se fosse *morto*, meglio in missione, probabilmente JP sarebbe stato meglio perché la sua era solo una fissazione e .. e tutto il resto. Solo che poi.. – chiuse le labbra socchiudendo gli occhi – ho parlato con Hank. E’ stato JP a salvarlo, a portarlo vivo qui, ma.. ma sembra che la cosa non sia servita.”
“Portarlo qui?”
“Già. Hank mi ha detto che.. che JP non sa quanto è grave Pietro, perché Pietro non ha voluto dirlo a nessuno. Hank.. – la sua voce si ruppe di nuovo, e dovette tossire un po’ per cercare di riprendere a parlare in maniera comprensibile – Hank ha detto che non capisce perché non gliel’ha detto. Ma.. – improvvisamente, come un fulmine illumini tutta l’aria intorno, rendendo visibili le infinite facce nascoste d’una terribile tempesta in grado di divellere gli alberi, le case, Bobby sollevò lo sguardo sui suoi due amici e li inchiodò lì - .. io lo so. Ho *capito* perché non gliel’ha detto. Perché non lo ha detto a nessuno.”
Silenzio. Remy non riusciva a distogliergli gli occhi di dosso, ora che il suo compagno, il suo amore sembrava tutt’un’altra persona, più matura, più profonda, più saggia di quanto chiunque loro avesse mai solo potuto *augurargli*. Più di quanto tutti loro, tutti insieme, avrebbero mai potuti diventare.
“Lo so. Aveva *paura*. Anche io morirei dalla paura in una posizione come la sua. Ma io non avrei la sua forza: non riuscirei a non dirvelo per non farvi soffrire..”
Logan quasi rise, ma fu un suono acre, tagliente, che si spense quasi subito, soffocato in gola, nel toccare lo sguardo spaventato di Bobby. Una paura che faceva tanta più impressione proprio perché non era diretta verso uno di loro.
“Ingenuo! Pietro non è della tua pasta! Sai a lui cosa frega!”
“Forse.- sussurrò – Forse lo ha solo fatto per i suoi biechi interessi personali, anche se non so quali sono. Ma non parliamo davvero di Pietro. Pietro non è.. non è nostro *amico*, dopo tutto. Non vi avrei mai chiesto di fare qualcosa per lui. Ma JP sì, JP è nostro amico. Gli voglio bene. Gli vogliamo tutti quanti bene.”
“Chi ci dice che non starebbe meglio con Pietro sotto mezzo metro di terra, mangiato dai vermi?”
Silenzio, di nuovo, poi un sottile sorriso.
“Lo dico io. – prese fiato come a darsi coraggio, perché sicuro di quello che diceva lo era stato fin dall’inizio – Perché non si può vivere in pace con il tarlo del dubbio che ti mangia, con il perenne rimpiangere un gesto che non abbiamo compiuto per vigliaccheria o per timore. Perché JP non sa niente, ora, e magari se tutto fosse normale, ogni cosa finirebbe in nulla come.. come io e te ci auguriamo, ma non lo possiamo sapere. Non lo può sapere neppure lui. Come posso sapere quello che so e stare zitto? Fare finta che non sia successo nulla? Come posso dire a JP che fa bene a lasciarlo andare quando lui non sa che, forse, è l’ultima volta e che non ci sarà futuro e che..”
La sua voce si ruppe, questa volta per l’ultima volta. Bobby sembrò non poter reggere di più, si asciugò le lacrime col dorso della mano ma non ebbe il coraggio, o la forza, di aggiungere altro.
Remy si agitò, nervosamente, sulla poltrona. Logan si aggrottò, immobile com’era sempre stato fin dall’inizio della discussione.
Bobby sentiva sulle spalle ancora, il bisogno di dire altro, ma qualcuno lo soccorse.
“Lo dico io, oui. – il tono dolce e cadenzato di Remy riempì, morbida come il velluto, la stanza che stavano dividendo – Jean Paul è innamorato, e gli innamorati si fissano, solitamente, sulle persone peggiori per loro. E poi Jean Paul mi ha.. mi ha aiutato quando *io* stavo correndo il rischio di perdere tutto ciò che mai di bello avrei potuto ottenere dalla vita. – regalò a Robert uno strano, dolcissimo sorriso – Grazie a lui non potrò mai rimpiangere di aver perduto qualcosa di importante perché non ci ho provato, o sono stato stupido, o cieco. Spero che lui abbia la fortuna che abbiamo avuto noi, mon coeur, ma in caso contrario, non voglio che si danni l’anima per non essere stato..”
Un ringhio di Logan spezzò la conversazione. Robert lo guardò stupito mentre Remy gli si fece vicino.
“Non sono affatto certo che questo sia ‘ciò che dobbiamo fare’ – borbottò – ma almeno so per certo che questo è quello che lui avrebbe fatto, se i ruoli fossero invertiti. – un lungo silenzio che si protrasse per qualche battito di cuore – Sì, sono con voi, per Jean Paul. Devo qualcosa a quel ragazzo, dopo tutto, e provarci non ha mai ucciso nessuno.”
___ CONTINUA..
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