NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)

 

NOTE2: tanto per evitare di farvi confondere troppo con le famiglie incasinate di questi tipi: Crystal è la ex moglie di Pietro (dicesi anche: donna inutile), Wanda è sua sorella.




Neve e ghiaccio

parte VII

di Dhely


“Ma, JP..”

 

“Bobby, piantala!”

 

Sembrava arrabbiato. Era strano. Di solito JP poteva essere seccato, irritato, innervosito, ma la rabbia a Bobby pareva un sentimento che non avrebbe mai potuto provare, troppo poco di classe perché potesse farsi vede sconvolto da essa. E invece, ora..

 

“Senti, io credo che sia imp_

 

“Robert? Non mi interessa. Se devo sapere qualcosa su Pietro, viene lui a dirmelo, non accetto ambasciatori, ok?”

 

“Ma lui non lo sa che_

 

“Appunto. Peggio. Non voglio sapere *niente* di Pietro.”

 

“JP, asp_

 

“Bobby, dannazione! Ma cosa devo fare per spiegarti che *non* voglio sapere *niente*? E’ un concetto così difficile da farti comprendere?!”

 

“.. no, JP, solo che.. ”

 

“Allora mettiamola così: o stai zitto e dormi o te ne torni nella tua stanza. Non ho intenzione di reggerti per un solo secondo di più. Chiaro?!”

 

Un sospiro. Bobby appoggiò il capo sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi ma tenne chiusa la bocca. Non sapeva cosa fare, e JP non lo aiutava per niente. Pregò che Remy tornasse presto, prestissimo perché lui *voleva* fare qualcosa ma, in tutta sincerità, non riusciva a pensare cosa sarebbe stato davvero meglio.

 

Non lo sapeva.

___

 

Pietro sorrideva appena.

 

Era come una ruga sottile sul volto giovane di una fanciulla che abbia riso troppo in una giornata di sole, e che mantenga immagine di quella felicità come un’ombra posata sul lato delle labbra.

 

Era un movimento impercettibile, appena l’angolo della bocca di un millimetro voltato verso l’alto, ma c’era, era lì, di fronte a lui e Charles per un attimo provò fortissimo la tentazione di rimanere immobile, fermo e in silenzio, ad osservare quello a cui era di fronte.

 

Un miracolo.

 

Pietro.. era da anni che non lo vedeva così felice e, insieme, *rilassato* da permettersi un sorriso. Sembravano, i suoi occhi, essersi impossessati della luce appena tiepida che faceva sciogliere lentamente, goccia a goccia, le strutture di ghiaccio create dall’inverno. Ed era, essa, d’un tepore infinitesimale, eppure bastava una carezza e il ghiaccio limpido si dissolveva in sottili solchi di acqua che gocciolava, libera dalla sua prigione.

 

Il dottor Mc Coy al suo fianco, forse non così sensibile a quel *maledetto* fascino di cui *tutti* gli appartenenti maschili a quella dannata famiglia sembravano possedere, forse più concentrato su altro, non rallentò il passo.

 

Pietro sollevò lo sguardo su di loro e non mutò espressione.

 

“Buongiorno. – disse – Così presto già in giro?”

 

L’orologio al polso di Xavier segnava le tre. Ma, nonostante la ovvia, quieta e distante educazione non troppo celata in quella frase, non riuscì a rispondere.

 

Poteva solo guardare le mani sottili e ricoperte da un paio di guanti scuri scomparire in un .. sacchetto che teneva in grembo. Un miagolio irritato proveniente dall’altro lato della stanza cercò di svelare l’arcano.

 

“Cosa.. cosa stai facendo Pietro?!”

 

Sorrise, di nuovo. E sì, quello davvero era un sorriso! Pallido, appena abbozzato, ma *chiunque* avrebbe potuto notarlo. Pietro pareva appena essere sceso da una qualche stella lontana.

 

“Sto giocando con il gatto.”

 

Disse, estraendo un croccantino dalla scatola per poi fargli fare una parabola nell’aria di fronte a lui. Lo si sentì cadere e poi scivolare sul pavimento troppo liscio mentre il gatto, solitamente una creatura educata e dormigliona che non faceva nulla di più emozionante che saltare sulla scrivania di Xavier per far cadere il portamatite quando era, per qualche motivo, seccata, ora scivolava qua e là, acquattandosi in qualche angolo, aspettando quel croccantino come se fosse una qualche preda deliziosa. E la sbranava dopo un piccolo tentativo di assassinarla a zampate.

 

“In infermeria?! Il gatto? Xavier!”

 

Il dottore era palesemente seccato, ma Xavier non si fece scoraggiare per così poco. Sapeva che non era *igienico*, ma almeno quella bestiola stava facendo *sorridere* Pietro, dunque andava bene così.

 

Il gatto azzannò al volo la sua nuova preda prima di mettersi a sgranocchiarla con gusto, poi guardò con aria di limitata sufficienza i due disturbatori e si sedette, meravigliosamente educata e snob, ai piedi di Pietro, leccandosi una zampa con fare assorto.

 

“Cosa c’è di tanto urgente che non può attendere domattina? Qualche cura miracolosa?”

 

Charles chiuse gli occhi, Mc Coy prese un respiro.

 

“Volevamo fare il punto della situazione. Con te.”

 

Pietro, dopo aver messo da parte la scatola di cibo, abbassò appena gli occhi sul gatto che prese a fargli le fusa prima di saltargli sulle ginocchia e accoccolarsi sulle sue gambe, soddisfatta e tranquilla come una piccola tigre sazia.

 

“Il punto della situazione? – quando sollevò di nuovo lo sguardo su di loro, il brivido al cuore che fece a provare ad entrambi fu abbastanza terribile e freddo per far svanire qualunque brandello di ricordo collegato a un antico sorriso che avrebbe dovuto accarezzargli il viso. – Che cosa avete compreso, di nuovo,  che non era chiaro fin dall’inizio?”

 

Silenzio.

 

Pietro sbuffò.

 

Non era stupido, e seriamente, odiava quando lo trattavano come se lo fosse. Ovviamente stava *morendo*, e non c’erano giri di parole, o nuovi modi per esprimere *quello*. Se anche ci fossero stati, poi, non avrebbero cambiato il succo del discorso.

 

Lui lo sapeva, lo sapeva bene perché, tramite proprio il suo potere era diventato molto consapevole del suo corpo, molto più di quanto non fosse mai stato prima. E il suo corpo era come una macchina costruita per funzionare con un alto numero di giri del motore. Se questi erano troppo bassi.. la macchina, anche la più perfetta avrebbe accusato il colpo, avrebbe tossito, fatto le bizze, per poi ingolfarsi e rompersi definitivamente.

 

Il suo corpo.. qualunque cosa gli avessero iniettato aveva rallentato solo le strutture più ‘esterne’ del suo metabolismo: lo scorrere del sangue, degli umori, quindi i collegamenti sinaptici, il respiro, il cuore. Ma il resto, le sue cellule, vivevano ancora alla ‘originaria’ velocità, ciò significava che il suo sangue non era più abbastanza per nutrire tutte le cellule, né per portare via i loro rifiuti. Gli scambi, poi, di minerali utili per il corpo ora erano a rilento, e probabilmente si stavano accumulando un po’ qui un po’ là. Ferro, potassio, sodio, tutte sostanze che se concentrate, e non eliminate in un determinato periodo di tempo portavano a malfunzionamenti e carenze.

 

Senza abbastanza ossigeno per le cellule, senza la possibilità di eliminare l’anidride carbonica, senza poter effettuare uno scambio di nutrienti equilibrato, semplicemente il suo corpo si stava avvelenando da solo. Stava soffocando, perdendo ogni istante percentuali delle sue funzionalità. Una specie di assurdo, lento suicidio che il corpo stava attuando nei suoi stessi confronti.

 

“Non credo ci sia molto da aggiungere.”

 

Osservò di sbieco la macchina grigia che avevano portato al fianco del letto d’infermeria: una terapia a cui l’avevano sottoposto nelle ultime sei ore: dialisi endovenosa, un tentativo come l’altro di ‘pulirgli il sangue’, equilibrando la sua composizione. Ma non serviva, per lo meno non sarebbe servito a lungo. E loro non avevano idea di quanto quello sarebbe durato.

 

“Pietro, la dialisi l’hai superata bene, e forse si potrebbe..”

 

La voce di Xavier si ruppe a vedere l’espressione sul volto di Pietro.

 

“Avete fatto i vostri esperimenti, spero siate contenti. Non continuerò questa farsa un solo altro minuto.”

 

“Pietro..”

 

Fu Mc Coy a provare di farlo ragionare.

 

“Pietro, capisco che tu possa essere sconvolto, ma, dalle analisi, quello che ti hanno iniettato era davvero *solo* narcotico. Deve essersi combinato con il gas nervino ma al posto di farti morire in breve tempo, come presumo fosse loro intenzione, i risultati sono questi. Ho una buona sicurezza di dirti che, probabilmente, basta attendere che tu abbia espulso naturalmente il veleno per poi riprendere la tua normale funzionalità. Possiamo aiutarti a rendere, in parte, più rapido il processo, e..”

 

“La tua sicurezza verte anche su *quanto* tempo dovrebbe passare prima che io sia di nuovo ‘pulito’? – uno sguardo aperto, limpido, e freddissimo. Se c’era del dolore in lui, non riusciva a raggiungere la superficie dei suoi occhi – Quante possibilità ci sono che questo avvenga davvero *prima* che io muoia?”

 

Un sospiro.

 

“Non è questo. Potremmo aiutarti e..”

 

“Presumo poche. Molto poche. Una su.. quante, Mc Coy? Cento? Mille? O forse anche meno.”

 

“Non essere così disfattista, Pietro.”

 

Charles cercò disperatamente di mostrarsi ottimista, concentrandosi solamente su quelle mani sottili affondate nel pelo del suo gatto, per accarezzarla e blandirla con una dolcezza che strideva, terribile, con la luce senza pietà che Pietro aveva nel suo sguardo, perché non riusciva davvero a guardarlo in viso.

 

“Non è essere disfattista, è essere realista.- una piccola pausa, le sue labbra si tesero strettamente – E io non voglio subire un martirio.”

 

Charles sospirò, in fondo se l’era aspettato..

 

Hank s’innervosì.

 

“Cosa intendi dire?”

 

“Intendo dire che non voglio passare i miei probabilmente ultimi giorni di vita chiuso in un’infermeria. Perché, quanto tempo potrò mai avere, Mc Coy? Giorni?”

 

“Potrebbero essere *settimane*!”

 

“Sì, settimane di agonia. – scosse il capo – No, grazie.”

 

Il medico fece per rispondere ma obbedì al gesto dolente di Xavier. C’era ben poco di razionale, poi, che avrebbe potuto dire, eppure poteva lasciarglielo fare? Era un suicidio rifiutare le cure, ora! E anche se, alla fine, era un diritto di Pietro, di scegliere il modo in cui essere curato, la sua etica medica, e la sua compassione lo portavano a preferire di obbligarlo in qualche modo verso una scelta meno drastica, meno.. senza speranza.. Ma non c’era speranza in quello sguardo, non ne aveva mai lasciata a se stesso, da quando lo conosceva, e chissà perché s’era illuso che potesse iniziare ora.

 

“Pietro, getti la spugna proprio ora? Senza neppure provare a combattere?”

 

“Dammi del vigliacco. – la sua voce era piana, tranquilla, quasi dolce. Forse sconfitta. Charles non sapeva dire: non aveva mai sentito Pietro ‘dolce’.. - Dimmi che sono tutto ciò che di peggio diceva di me mio padre, dimmi quello che vuoi, Xavier, non mi importa. Ma non ci sono speranze ragionevoli, solo pochi giorni, molto probabilmente molti meno di *qualche settimana* - un sorriso acre – E consumarli qui non mi piace. Non voglio.”

 

Non lasciava molti appigli, né ciò che aveva detto, né il come. Era come se stesse parlando di un qualcosa che, in fondo, non lo toccava da vicino. Pietro aveva, da sempre, mostrato un sangue freddo quasi sovrumano quando si trattava di argomenti tanto delicati. Solo un telepate avrebbe potuto sapere cosa stava provando davvero, ma andare oltre, ora, sottoporlo ad un’ennesima umiliazione solo per.. per una sciocca curiosità..

 

“Non intendevo questo. In fondo sono.. mi sono sempre considerato una specie di .. zio, nei confronti tuoi e di Wanda, e io, ora..”

 

Non trovò le parole e poi la voce gli tremava talmente tanto che non avrebbe potuto proseguire. Non voleva buttargli addosso anche il suo dolore.

 

“Zio. – un briciolo di dolcezza genuina – Sai, credo che sarebbe stato bello avere una famiglia normale, ma forse.. forse non me la sarei goduta, pensando che fosse banale, e castrante. Già. – scosse il capo – Non ci basta mai quello che abbiamo.”

 

“Pietro..”

 

“Al posto di preoccuparti per delle inutili cure che non serviranno a nulla se non a farmi perdere tempo, per favore, non potresti.. – prese un profondo respiro chiudendo gli occhi come a radunare tutto il coraggio che possedeva, come se la cosa più difficile non fosse decidere di lasciarsi morire, ma *chiedere un favore* – non potresti prestarmi qualche dollaro? E chiamarmi un taxi?”

 

Charles si sentì ghiacciare fin nel midollo.

 

Gli aveva detto che se ne voleva andare, ma lui aveva follemente voluto credere che sarebbe rimasto lì, con *lui*. Poi c’erano i ragazzi e.. non sarebbe stato solo, lì!

 

“Dove.. dove andrai?”

 

Pietro avrebbe davvero voluto rispondergli che non aveva una meta precisa, visto che non aveva nessun posto suo in cui tornare. La sua squadra? Neanche a parlarne, l’ultima cosa che voleva ottenere era una sceneggiata ipocrita e lacrime sparse ovunque. E non voleva infrangere il cuore di nessuno a guardarlo andarsene lentamente, in quella maniera ignominiosa.

 

La sua ex famiglia? Era ‘ex’ appunto. E poi con che coraggio martoriare sua figlia con una vista simile?

 

Amici non ne aveva, suo padre neppure a parlarne, sua sorella aveva una vita e poi: no, l’orgoglio era ancora vivo dentro di sé. Non voleva che gli altri, che le persone che amava avessero pietà di lui.

 

E se era mai esistito un solo posto, nella sua vita, che avesse potuto, e voluto, chiamare *casa*, era così distante, ora, che temeva non avrebbe fatto in tempo a raggiungerla.

 

“Da qualche parte, non preoccuparti. Ma voglio andarmene fuori. A respirare un po’ d’aria, capisci?”

 

“Potresti..”

 

Il tentativo andò a vuoto ancora prima che lo formulasse, intero nella sua mente. Solo un sorriso acre lo bloccò lì, ghiacciandolo dalla paura e dal rimorso.

 

“Ovviamente poi parlane con Wanda: il tuo è solo un prestito, mia sorella te li restituirà senza problemi.”

___

 

Bobby si sfregò un occhio, soffocando l’ennesimo sbadiglio mentre si stavano applicando gli ultimi protocolli per l’atterraggio. La squadra era in anticipo: era andato tutto talmente bene che erano già a casa.. ma Bobby *sapeva* che era perché Qualcuno, chiunque esso fosse, aveva ascoltato la sua preghiera e aveva deciso di dargli una mano.

 

JP era sgusciato fuori dal letto mentre lui si stava addormentando, e chissà ora dov’era. Fortunatamente Bobby aveva deciso di non addormentarsi prima di andare a sentire le ultime notizie su come stesse andando la missione dell’altra squadra, e lì aveva avuto la buona notizia.

 

Buona? Meglio: ottima.

 

Si avvicinò a Remy appena sceso dalla scaletta e gli sorrise. Si accorse chiaramente di avere una strana espressione sul viso, perché sentiva il cuore pesante e i pensieri scuri e perché Remy, sollevati appena gli occhi su di lui, gli posò una mano fra i capelli, regalandogli uno sguardo dolce e preoccupato e una carezza.

 

“Mon coeur, cosa succede? Come mai sei già in piedi?”

 

Si lasciò abbracciare, indifferente degli sguardi di tutti, addosso: né lui né Remy si erano mai vergognati di quello che li legava ma, forse un po’ a sorpresa, entrambi si sentivano troppo schivi per lasciarsi davvero andare a tocchi ed abbracci e baci troppo espansivi di fronte a tutta la squadra.

 

“Non ci sono proprio andato, a dormire. – si strusciò di nuovo gli occhi col dorso delle mani, cercando di far intendere che fosse causa del sonno e non di .. altro – Sono così contento che sei qui! Ti devo parlare.”

 

Remy lo fissò in silenzio, non troppo convinto, forse, ma non disse nulla. Annuì appena, mentre i suoi occhi rossi lampeggiarono, dolcemente preoccupati. Quel ragazzo, nonostante Remy avesse numerosi trascorsi in fatto sentimentale, nonostante avesse conosciuto moltissime persone, riusciva sempre a stupirlo: era così pulito, trasparente e dolce anche dopo anni di una vita come quella, in cui aveva dovuto combattere, faticare, piangere, anche uccidere, per sopravvivere. Era fortunato ad essere al suo fianco.

 

“Come vuoi, Bobby.”

 

Lo guardò osservarsi intorno, scivolando fuori dal suo abbraccio per avvicinarsi a Logan.

 

“Vieni anche tu, per favore. Ho bisogno di te.”

 

Wolverine sembrava piuttosto seccato, ma era una delle sue solite espressioni usuali, al punto che spesso non si poteva mai sapere con sicurezza cosa pensasse. Certo era che, quando Logan era *davvero* arrabbiato, nessuno avrebbe potuto non accorgersene, ma quel lieve fastidio lasciava sempre un dubbio velato e così Remy non disse nulla, permettendo che il suo ragazzo, in silenzio, li guidasse dove voleva.

 

Wolverine gli lanciò uno sguardo dubbioso e  lui, semplicemente si strinse nelle spalle.

 

“Ne so quanto te.”

 

“Speriamo che quel bimbo non si sia inventato chissà che guaio. – un leggero ringhio – Non vedo l’ora di potermi fare una doccia.”

 

Remy sorrise, chiudendo gli occhi.

 

Oui. Perfettamente d’accordo.”

 

___CONTINUA..