NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org. I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)
parte VI di Dhely Che giornata d’inferno.
Non riusciva a concentrarsi su qualcosa, non riusciva a lavorare, non riusciva ad interessarsi a qualcosa di *divertente*. Non appena si metteva a fare qualcosa, qualsiasi cosa, la sua attenzione scemava, e si ritrovava improvvisamente a ‘perdere tempo’ in maniera insulsa.. e non aveva mai davvero capito quanto questo fosse noioso.
Jean Paul odiava annoiarsi.
Odiava quando il tempo si appiccicava addosso al presente e non aveva alcun’intenzione di lasciarlo andare, e vi sgocciolava via lentamente, come se fosse stato qualcosa di denso, resinoso e lasciava residui che non si potevano staccare, che rimanevano lì, sull’anima, aggrappandosi e calcinandosi indosso, rendendo impossibile volare, e muoversi, e anche solo respirare.
Alla terza volta nell’arco di trentasei secondi che ebbe sollevato la testa verso l’orologio a muro ebbe, fortissima, la tentazione di mettersi a picchiare qualcuno. Magari così per un paio di minuti avrebbe potuto pensare a.. a *qualcos’altro*. Dannazione! Non gli sembrava affatto una richiesta eccessiva!
Avere qualcosa da fare: non era una pretesa assurda, gli sembrava!
Logan non c’era.
La palestra era occupata da un allenamento speciale.
In giro avrebbe trovato decisamente troppe persone che volevano farsi gli affari suoi. E lui non aveva alcuna voglia di fare discorsi, o di inscenare il più pallido interesse, visto che non era interessato a niente.
A *niente*.
Sbatté la fronte contro la superficie della scrivania, sbuffando.
Che palle.
Non era un bambino viziato, lui. Solo perché certi sconvolgimenti emotivi gli erano pressoché sconosciuti, nuove sensazioni che non aveva ancora imparato a dominare del tutto, non voleva dire che da essi sarebbe stato sbattuto al tappeto, che si sarebbe fatto dominare e confondere fino al punto di perdere ogni ragione.
Dopo tutto, se era innamorato, questo non significava che la cosa avrebbe potuto cambiare quello che era realmente.
Lui era stato un atleta olimpico. Tre ori alle olimpiadi di Calgary: e solo chi aveva provato sapeva l’emozione e tutto quello che ti cresceva dentro, e che ti sfrecciava intorno durante l’ultima discesa, strizzandosi fuori ogni oncia di energia, concentrato come, probabilmente, non era mai più stato, perché tutto, la vita stessa sembrava, in quell’istante, dipendere da quel punteggio, dai centesimi di secondo che il cronometro scandiva, e solo da quello. Solo quelli che erano saliti, come lui, sul podio potevano sapere quanto era dolce il peso della medaglia addosso e quanto essa rappresentasse la concretizzazione sette anni di allenamenti assurdi, di fatiche, levatacce ad orari incredibili, ore su ore di allenamenti, di convinzione, di testardaggine, di cadute, cedimenti, lacrime.
Aveva stretto i denti ed aveva vinto, dando tutto, e ottenendo tutto.
Dopo, aveva vissuto come cavia umana per talmente tanto tempo che aveva avuto l’impressione che il dolore, la sofferenza, l’estrema, assurda fatica ad obbligarsi a vivere fosse l’unica cosa reale di tutto l’universo. Come se ogni altra cosa, i suoi ricordi, i suoi sentimenti, non fossero altro che sogni. Gli esperimenti, l’odore dei medicinali, il laboratorio, la sensazione di essere sempre esposto, assolutamente vulnerabile, scrutato al microscopio, vivisezionato.. e poi Victor. Victor e Logan in un’altalena di follia e sofferenza, umiliazione, dalla quale non poteva scendere.
Aveva stretto i denti ed era sopravvissuto, pure a quello, ed era diventato quello che era. Quello che da sempre aveva *dovuto* essere.
Poi il gruppo canadese, le interviste, i libri, i giornalisti, i flash, le code di fan per un autografo, gli amanti, Logan, e il Professor X, l’invito a lavorare lì, la sua carriera come investitore finanziario e poi i ragazzi, la scuola.
Aveva sogghignato in faccia alla vita, alle parti più schifose della sua vita, ed era andato avanti, era cresciuto. E ora era lì.
Innamorato, forse per la prima volta nella sua vita. Forse.
Ignorato: e questo sì che era per la prima volta.
Dolorante. A questo era abituato. Non c’era nessuna sofferenza che potesse schiantargli davvero il cuore, che potesse piegarlo, annientarlo. Era stato più forte della fatica, del dolore, delle lacrime ormai così tante volte che ora non doveva più dimostrare nulla, né dimostrar*si* qualcosa.
Non si moriva per amore.
Sarebbe sopravvissuto a Pietro. Era una questione di dignità.
Non avrebbe frignato come un poppante idiota. Non sarebbe andato in crisi. Non avrebbe fatto nulla di peggio di quello che stava già facendo. Era solo che, ora, la botta era ancora fresca, gli sarebbero probabilmente serviti un paio di giorni per riuscire a prendere in mano il controllo di quello che sentiva dentro e sarebbe tutto tornato a posto.
Se Pietro non lo voleva non sarebbe morto. In più, non era lui ad avere l’esclusiva del ‘comportarsi da emerito di stronzo’ su certe questioni. Non doveva pensarci molto, Jean Paul, per ricordava che lui, in quel modo, si era comportato almeno venti volte, nell’ultimo anno: quella doveva essere solo una stupida, piccola ripicca del destino nei suoi confronti.
Non era grave.
Le cose *gravi*, pesanti da sopportare le aveva già affrontate, nella sua vita, e ora giacevano alle sue spalle. Sconfitte forse no, forse non del tutto, ma spessissimo ormai erano solo incubi che, rari, venivano a svegliarlo nel cuore della notte.
Lui era più forte di così.
Più deciso di qualunque paura.
Non si sarebbe fatto spaccare il cuore per una cosa simile.. o forse, magari il suo cuore era già a *pezzi*, ma niente del genere avrebbe potuto ucciderlo. Doveva solo riuscire a trovare un nuovo equilibrio, un nuovo orizzonte verso il quale orientarsi e tutto sarebbe andato di nuovo bene. Sarebbe stato di nuovo il solito, vecchio, arrogante Jean Paul. Intelligente e caustico, cattivo e sfrontato.
Strinse i pugni, ma il filo del discorso fu fatto saltare dalle braccia di Robert che gli passavano sulle spalle, abbracciandolo da dietro. Era entrato in silenzio, e lui, stranamente, era stato troppo sprofondato nei propri sentimenti d’autocommiserazione per accorgersene, ma fortunatamente riuscì ad evitarsi di sobbalzare senza dignità, come un ragazzino colto in flagrante nel compiere una marachella.
“JP?”
Una domanda che era una proposta e insieme una richiesta velata di poter rimanere lì, con lui, e il tono piuttosto formale non riusciva a mascherare il tremito sottile della voce.
C’era Robert. E Robert era molto più di quanto avesse mai avuto, di quanto mai avesse osato immaginare: gentilezza, calore, fascinazione, uno sguardo limpido, un sorriso dolce e affetto, un affetto amabile ed avvolgente, tutto e solo per lui che lo avvolgeva e lo scaldava, e lo faceva sentire in pace, tranquillo, accettato. Davvero desiderato.
Gli sorrise in risposta, silenziosamente, passando le dita sulla pelle nuda delle sue braccia. Con una specie di sospiro si mise in piedi voltandosi nel suo abbraccio, abbracciandolo a sua volta.
Un bacio caldo e lento, sensuale, profondo.
Respirare era respirare l’odore di Robert, ora, la consistenza della sua pelle. Era vivere una parte della sua vita, era tepore, dolcezza, qualcosa di incredibile, indicibile, inimmaginabile solo fino a un paio di anni prima.
Robert che non era suo ma che andava bene lo stesso, che tendeva comunque le braccia verso di lui e gli chiedeva di prenderlo, di possederlo, e Jean Paul che lo faceva sorridere, *ridere*, e ogni volta sembrava un miracolo, un sogno che si fosse incarnato.
Robert: le sue labbra cedevoli e sorridenti, il suo sapore, il suo profumo. Su di esse era bello dimenticare ogni cosa, soprattutto il lieve pizzicore del cuore quando, una frazione di secondo prima che la pelle toccasse la pelle, un lampo gli solcò la mente, facendo rivivere i pensieri, i ricordi.
*Un* ricordo.
Pietro.
Le sue labbra sulle labbra. Bianche. Fredde.
Fredde come la sua pelle sotto le dita.
Un corpo niveo da svelare lentamente, come se fosse il cuore zuccherino di un fiore sbocciato nel cuore dell’inverno più gelido, e i petali fossero fragili e vellutati come un bocciolo di magnolia, ma non abbastanza morbidi da paragonarli a lui. Il suo respiro che si mischiava al proprio, le sue mani addosso. La strana sensazione che aveva provato, la scossa lieve che lo aveva percorso e che aveva rischiato di farlo impazzire, ad ogni battito di cuore.
Lui che era un equilibrista nato, che tanto spesso era riuscito a tenere in piedi due, tre relazioni contemporaneamente, magari anche con persone che si conoscevano l’un l’altro e che avevano tra di loro infiniti legami complessi da mantenere stabili, e aveva pure giocato come il gatto fa col topo, lui, con Pietro, aveva.. aveva come perso la stabilità, ed era caduto.
Aveva saputo di essere perduto non appena aveva posato lo sguardo su di lui, ma toccarlo, sentire la sua pelle, assaggiare il suo corpo era stata un’emozione che gli aveva chiuso la gola, confuso i pensieri, mischiato le idee, fatto sobbalzare il sangue nelle vene, che lo aveva fatto impazzire..
E ora era lì e baciava Robert, si scioglieva al suo calore, lo toccava e lo spogliava, lo faceva ridere, lo obbligava contro la sua scrivania mentre i fogli erano scivolati ovunque sul pavimento lucido e l’aria della stanza era satura dei suoi sussurri soffocati e pensava a Pietro. E non voleva, ma non poteva farci nulla.
Pietro.
Il suo tocco, la consistenza della sua pelle, e dei muscoli tesi sotto le mani, il velluto che era la sua carne, e i capelli, sottili e luminosi come fili di platino alla luce della luna. La sua voce che lì, ora, gli sussurrava in silenzio nelle orecchie tra il rumore del sangue che correva, rimbalzando impazzito e pulsandogli nei timpani, e il silenzio infinito generato dal suo sguardo, che svelava l’infinita maestà di estremi paesaggi scolpiti nel ghiaccio e nel gelo.
Ogni sfioramento, ora, faceva sorgere il fantasma di un’altra sensazione e ogni bacio faceva fiorire un diverso desiderio. Il ricordo era lì, come se fosse stato un marchio a fuoco, su tutto il corpo.
Ogni sguardo era un rimpianto per delle iridi che non erano azzurre, non erano limpide e profonde e non erano quelle che ricordava, e che voleva, e di cui, forse, aveva un folle bisogno.
Folle.
Robert era morbido e dolce, eccitato, pronto, gli si strusciava addosso e gemeva, deliziosa creatura che gli chiedeva solo piacere, dando in cambio tutto se stesso. Scivolava fuori degli abiti con un sorriso genuino, non c’era nulla di artefatto in lui, tutto era assolutamente spontaneo, naturale, così come il suo fascino, e Jean Paul..
“Come sei bello, JP..”
Sorrise in risposta, ma non disse nulla. Non aveva nulla da dire e, d’altra parte, non era certo che in quel momento sarebbe riuscito a dire qualcosa.
In fondo chiudere gli occhi non bastava per convincersi che fosse di un altro il corpo che si muoveva contro il suo. La pelle di Robert era profumata, bellissima, morbida, ma era differente da quella che gli brillava dietro le palpebre e i capelli, le labbra, le mani, e pure i suoi brividi, i piccoli sussurri strozzati..
In quel preciso istante Jean Paul si accorse dell’errore fatale che aveva fatto toccando Pietro. Ora non si sarebbe più dimenticato di lui? Ora non si sarebbe mai più liberato da *quella* sensazione? Da quei ricordi?
Le labbra di Robert, di nuovo, si appiccicarono alle sue. Fiato e calore, sapore incredibile.
Jean Paul sorrise.
Era uno stupido: non c’era Pietro, lì. C’era Robert che non chiedeva nulla, che non era ‘difficile’, che non era da conquistare, che non era da convincere, né da piegare. Da lui non proveniva dolore, o fatica. Robert era lì, e aveva voglia di lui, lo abbracciava, lo voleva, lo trovava bello e desiderabile. Non c’erano pretese da soddisfare o da *avere*, non c’erano sogni da cullare, da far crescere, da temere di spezzare. Non c’era nulla di tutto quello. C’era solo Robert.
Bastava?
Come poteva non bastargli? Era più di quanto avesse mai potuto sognare.
Lo baciò di nuovo, ancora e ancora, come se con quel contatto volesse cancellare i ricordi che lo infastidivano da non dire, quei pensieri assurdi, quei desideri inutili.
Era uno stupido.
Premette il corpo su quello nudo e duro di Robert e lo fece tremare. Era bello, e continuava a mantenere intatta una patina di pulita innocenza che poteva far impazzire chiunque.
Delizioso.
Gli scostò le gambe, obbligandolo ad appoggiarsi alla scrivania ancor più pesantemente, scivolando fuori dei jeans, appallottolati intorno alle caviglie.
Gemette, di nuovo, stringendo la stoffa che gli copriva le spalle con dita tremanti..
“Perché.. perché non ti spogli, JP?”
Si tese sul suo collo, gli morse la pelle sottile, la riempì di baci e lo fece contorcere, sollevandogli una gamba, rendendogli più semplice puntellarsi contro di lui.
“Dopo. A letto.”
Sorrise sbieco, sfacciato. Solo questo bastò per far arrossire Robert fino alla punta delle orecchie, e gli fece chiaramente capire che per quella notte lo voleva lì. Lo voleva lì, per rendere le ore successive torride e caldissime, talmente tanto roventi da strappargli il fiato nei polmoni, da arroventargli i muscoli finché il sangue non fosse sembrato lava ardente, in grado di incenerire ogni pensiero, ogni sensazione che non fosse concentrata nel presente, sull’immediato istante che fioriva ad ogni battito di cuore, e ad ogni successivo battito moriva.
Sì, Robert era morbido, e sapeva essere terribilmente ardente, terribile. Affascinante, attraente. Gli morse le labbra e lo sentì tendersi, tirando indietro il capo.
Affogare in lui era semplice e bello.
Niente obblighi né fatica, né giuramenti da inventarsi, né un futuro da dipingere per convincerlo, o costringerlo. Il suo cuore era di un altro, ma Jean Paul non aveva bisogno di cibarsi del suo cuore. Il suo cuore era di un altro, e quella era una benedizione.
Lo preparò, attento e insieme impaziente, Robert sussurrava e ansimava, dolce, stringendogli le spalle chiedendogli in silenzio una soddisfazione che sarebbe venuta.
Oh sì, sarebbe venuta.
Per Robert e per lui.
Possederlo, ora, quasi all’improvviso, non violento ma leggermente inatteso, fu delizioso, come sempre, come sapeva doveva essere.
Sorrise toccandolo, nel possederlo. Era morbido e cedevole, e insieme ardente. Il suo odore, la sua eccitazione gli infiammava le vene, lo faceva impazzire, e andava bene.
Impazzire così, per Robert.
Impazzire per un corpo meraviglioso con un sorriso dolce, solo per lui.
Impazzire per lui, aggrappato alle sue spalle, che sussurrava frasi spezzate, smozzicate, infrante dal piacere.
Ed era delizioso, perduto e posseduto, le guance arrossate, il fiato che faticava, ansimando, a calare nei polmoni e il suo sesso ritto e gonfio fra le gambe, stimolato dalla sua mano. Era un’immagine talmente erotica che Jean Paul sapeva avrebbe potuto venire solo a *pensarlo*.
Non doveva pensare proprio a nulla, invece.
Era lì, per lui.
Robert spalancò gli occhi, languido, affamato. Sussurrò qualcosa che gli rimase incastrato in gola. Non ebbe tempo di dirlo: Jean Paul cambiò ritmo, affondandogli dentro, ancora più in fondo. Sorrise nel vederlo strozzato, lievemente sconvolto, sentì la sua eccitazione tremargli appena sotto le dita, i muscoli si contrassero, un lieve terremoto che si propagava sotto la pelle, concentrandosi all’inguine per poi esplodere nell’orgasmo voluto, cercato, e ottenuto.
Era quello che *voleva*
Un corpo sotto di sé. Uno sguardo solo per lui. L’odore del sesso, l’eccitazione, il calore insopportabile.. prese un profondo respiro, azzannando l’aria con forza e chiuse gli occhi.
Il piacere lo sommerse, estremo, assurdo, incredibile. Gli fece fermare il cuore in petto, confondendogli le idee, cancellando ogni cosa, il presente, il passato, ogni nome, ricordo, sensazione, tutto si fuse ed evaporò all’istante.
Per l’istante di un orgasmo ogni altra cosa divenne inutile, fasulla, inesistente.
Jean Paul in quella menzogna si sentì terribilmente bene e, dunque, lasciò che diventasse la sua verità. Per un po’.
Almeno per un altro po’.
___ CONTINUA..
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