NOTE: E’ il ‘seguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.) E ovviamente la signora Marvel non mi paga per scrivere queste cose dei suoi pg (peccato per lei, non sa che si perde! ;P!!!)




Neve e ghiaccio

parte IV

di Dhely


Le labbra di Pietro erano tirate e immobili in un’espressione ghiacciata. Il dottore in piedi di fronte a lui parlava e parlava da almeno cinque minuti e lui non faceva neppure più la fatica di seguirlo. Non aveva assolutamente bisogno di sentirlo chiacchierare quando il nocciolo della questione era lì, chiaro e lampante. Non gli serviva poi molto sapere il perché e il percome, dopo tutto non serviva neppure un medico. Bastava sentire il suo proprio respiro, mettersi una mano sul petto e sentirsi il cuore, come batteva lentamente. Come *tutto* nel suo corpo si muoveva piano.

 

Come se fosse stato una persona *normale*.

 

Era una cosa che non si aspettava, che non avrebbe mai potuto immaginare di affrontare così, ma era sentirsi mancare il fiato nei polmoni, e sangue nelle vene, era vedere i propri pensieri muoversi goffi e confusi in una nebbia opaca ed odiarli per questo.. ma non ci poteva fare nulla. Per la prima volta nella sua vita, da quando si ricordasse, non doveva obbligarsi ad *andare piano* ed era orribile. Era sentirsi snaturato, privato di una qualità fondamentalmente ‘sua’.

 

Ma mostrarsi calmissimo nonostante tutto era sempre stata una sua specialità, anche se dentro di sé era in corso un uragano. Mostrarsi freddo, per Pietro era stato, moltissime volte, l’unica ancora di salvezza che riusciva ad avere quando tutto il resto era un disastro, quando anche lui stesso era *peggio* che un disastro: la fatica, il dolore, suo padre, e poi, ancora, l’unica cosa luminosamente bella della sua vita, sua figlia, che si mischiavano alle decisioni, le mani.. le sue mani.

 

Seduto lì com’era ora non faceva fatica ad abbassare lo sguardo e fissarsele, infilate nei suoi guanti, appoggiate sulle ginocchia, immobili. Ed era tutto immobile, tranne quello che avrebbe dovuto, tranne quello che aveva dentro, quello che sentiva. Quello che, se avesse potuto, avrebbe sradicato e fatto a brandelli, annientandolo, atomo per atomo.

 

I sentimenti, le sensazioni erano formati di atomi? Erano ‘cose’? Pietro non ne era sicuro ma forse la cosa non aveva poi troppa importanza.

 

No, in quel momento non aveva alcuna importanza.

 

“Dalle analisi non risulta che, ovviamente, il tuo patrimonio genetico sia stato intaccato in qualche modo. Però, e non capisco come, in qualche modo l’effetto più visibile della tua mutazione viene bloccata. In una maniera decisamente radicale.. non avevo non solo mai visto, ma neppure *pensato* di poter vedere una cosa simile..”

 

Forse, se Pietro fosse stato un altro avrebbe chiesto a Mc Coy se il suo corpo sarebbe sopravvissuto a tutto quello, e quanto tempo gli era rimasto. Se fosse stato un altro avrebbe anche potuto permettersi di mostrarsi un po’ nervoso, almeno curioso, in qualche modo colpito da quello che gli era appena stato detto. Forse avrebbe potuto, o *dovuto* mostrare il malessere che tutto quello creava dentro di lui, il fiato che non gli arrivava nei polmoni, e la strana sensazione di stare morendo soffocato ad ogni respiro, che sembrava mai abbastanza profondo, mai abbastanza frequente.

 

Pietro si limitò a chiudere lentamente gli occhi stringendosi nelle spalle.

 

“C’è qualcosa che posso fare?”

 

Mc Coy tacque un attimo, stupito poi si tolse gli occhiali.

 

“Ovviamente no..”

 

“Bene, temo di dover tornare il prima possibile alla mia base.”

 

Freddo e deciso, Pietro vide lo sguardo del dottore tremolare un attimo e corrugò la fronte.

 

“Mi hanno chiesto di farti rimanere qui. Questo è il laboratorio medico più specializzato per la cura dei mutanti che ci sia, e tu ne hai decisamente bisogno.”

 

Se non adesso, sicuramente fra qualche giorno. Non lo disse, ma Pietro non era così stupido da non sentire l’eco di questo pensiero sottinteso nell’aria fra di loro. Ma esso gli scivolò addosso come se fosse un particolare di nessun valore.

 

Dopo tutto morire non era mai stato un problema, rischiava di morire almeno tre volte al giorno, ma vivere.. vivere era faticoso, vivere era *pesante*, non morire.

 

Si ritrovò a sorridere tra sé, Pietro, ma agli occhi di Mc Coy non apparve neppure una ruga su quel viso, freddo, lontano e distaccato, come sempre. Qualcosa di tralucente parve emanare dalla sua pelle così chiara e dai suoi occhi azzurri e trasparenti, impassibilmente trasparenti, per un attimo qualcosa fu sul punto di mutare ma non accadde nulla del genere.

 

Pietro si limitò a distogliere la sua attenzione dal mutante che aveva di fronte per perdere lo sguardo lungo sentieri che erano solo suoi e il dottore non poté fare a meno di ammirare quel.. quel controllo di ghiaccio, quella perfezione immobile che gli era scolpita addosso e si chiese, preoccupato, fino a quale pressione avrebbe potuto reggere.

___

 

Era un’alba pallida, che sembrava tutto tranne che foriera di una splendida giornata luminosa.

 

Oh, bhè, probabilmente il sole ci sarebbe stato, in un cielo limpidissimo e terso, e magari il primo vento di primavera avrebbe fatto la sua comparsa invitando la natura ad aprire le sue braccia ad una nuova stagione, con i passerotti che cantavano e i fiori sul punto di sbocciare, ma Jean Paul si sentiva proprio poco propenso verso simili melensaggini.

 

Ad essere sincero, Jean Paul aveva sempre *odiato* la primavera e tutti gli sconvolgimenti ormonali ad essa legati, ma ora si sentiva peggio del solito.

 

Aveva un paio d’ore ancora e poi avrebbe dovuto tenere la sua solita lezione: non c’era da stupirsi se non avesse preparato *alcuna* dannatissima lezione. Sbuffò. Non aveva neppure alcuna intenzione né, tantomeno, voglia di mettersi a farlo.

 

Sorrise acido. Sarebbe bastato fare un compito a sorpresa, così avrebbe avuto due ore di pace e tranquillità dopo le quali, almeno per tre giorni, avrebbe avuto una scusa per non farsi coinvolgere troppe nelle faccende di gruppo, con la scusa di correggere la schifezza che avrebbero sicuramente fatto i suoi alunni. Era via da una settimana, figurarsi se anche solo uno di quei lavativi si era tenuto in pari con il programma!

 

E pensare che, quando era ragazzino, detestava i professori che si comportavano come stava facendo lui ora, ma non aveva alcuna importanza, ora.

 

Jean Paul si ficcò le mani in tasca, scuotendo appena il capo.

 

Forse aveva solo bisogno di una vacanza. Da quando uno come lui poteva prendere così *male* una stupidissima .. cotta? Un rifiuto? Un..

___

 

Bobby si sfregò un occhio soffocando l’ennesimo sbadiglio che gli aveva piegato le labbra, quella mattina. Fuori dalla finestra pallideggiava un’alba lattea che si stava appena appena tingendo di rosa.

 

Non era solito essere in piedi a quell’ora.. e in effetti, a ben pensarci, nella sua vita di albe ne aveva viste poche, se non quando era in piedi perché qualcuno lo aveva sbattuto giù dal letto per salvare il mondo, o qualcosa del genere.

 

Il fatto era che non riusciva proprio a dormire.

 

E pensare che era così stanco! Si sentiva a pezzi, aveva male dappertutto visto che aveva dato una brutta botta, cascando giù da una piattaforma sopraelevata, e di solito, quando succedevano quelle cose, lui poi dormiva per due giorni di fila per recuperare.

 

Si passò le mani nei capelli, muovendosi in silenzio lungo il corridoio scuro, tappezzato da pesanti pannelli di legno dove, di solito, gruppi di ragazzi correvano qua e là.

 

Era tornato in tempo: il giorno dopo ci sarebbe stata la finale del campionato di basket interno alla scuola e sapeva quanto i ragazzi ci tenessero che lui fosse presente. E poi Jubelee gli aveva chiesto di darle una mano con la preparazione di atletica, e la squadra di baseball che l’anno scorso aveva vinto il loro piccolo torneo aveva bisogno di un allenatore che facesse di tutto per tenere insieme quel gruppo di stupidi che, sembrava, non sapevano fare di meglio, nell’ultimo periodo, che litigare.

 

Sospirò: poi c’era JP.

 

Il canadese poteva scappargli quanto volesse, e fingere, e pure dire ogni cosa gli venisse in mente ma doveva essere cieco, Bobby, per non accorgersi che c’era qualcosa di *grosso* che non andava.

 

Le voci, poi, nella scuola, giravano in fretta, molto: Pietro doveva stare davvero male se non era ancora uscito dall’infermeria, doveva essere successo qualcosa di davvero grave.. qualcosa che a lui non avrebbe dovuto importare, che a lui non avrebbero potuto dire. E giravano solo voci, voci incontrollate e forse sbagliate.

 

Voci che Bobby sperava fossero sbagliate.

 

Sorrise appena: ma dopo tutto lui era fortunato, era il migliore amico del dottore Mc Coy, e Hank non poteva rifiutare una pulita, sana chiacchierata con lui. Magari avrebbe pure cancellato tutte le sue preoccupazioni, magari avrebbe riso, scompigliandogli i capelli, dicendogli che era sempre il solito, sempre quello che si preoccupava troppo e per nulla, che Pietro stava bene, e che quelli erano solo controlli, che JP stava bene, e che voleva solo fargli uno scherzo e che..

 

Quando ebbe bussato alla porta dello studio di Hank, Bobby si trovò a sperare che non ci fosse. Se non fosse stato nulla di grave, se Pietro stava in infermeria perché, per qualche motivo, non erano riusciti a sistemargli una stanza, a recuperare un paio di lenzuola pulite, allora Hank sarebbe stato a dormire, tranquillo e pacifico nella propria camera, non lì. E, ovviamente, Bobby non sarebbe andato a disturbarlo per nulla di importante.

 

“Avanti.”

 

Ci aveva messo un attimo di troppo, Hank, a rispondere, un attimo che era bastato perché Bobby facesse, nel suo cuore, fiorire la speranza, cosicché fu terribilmente doloroso, poi, obbedire a quell’invito.

 

Quante volte era stato nello studio di Hank? Ci era andato anche quando non era *ancora* uno studio, ma semplicemente una stanzetta simile a uno sgabuzzino attaccata all’infermeria, e l’aveva aiutato lui a sistemarlo, a montare la libreria che ora occupava tutta una parete, cosa che li aveva impegnati per una settimana, e poi a scegliere il tappeto e a recuperare le due poltrone che non centravano affatto l’una con l’altra, né con il resto dell’arredamento. Era stato lì dentro centinaia di volte, a piangere, a ridere, a cercare di convincere Hank che se pure qualche volta fosse uscito a prendersi una birra non sarebbe morto nessuno, a deprimersi perché Opal l’aveva mollato, e quando Lorna gli aveva sbattuto la porta in faccia, e poi .. sempre.

 

Quando JP era entrato a far parte del gruppo, con tutti gli sconvolgimenti ad esso legati, non aveva potuto contare su Hank perché era troppo preso su studi di capitale importanza, ma ora non avrebbe fatto a meno di lui per nessuna ragione al mondo. Erano amici da sempre.. sì, da sempre, da quando lui era solo un ragazzino spaventato che non sapeva controllare i suoi poteri e Hank pure, solo che lui, oltre ad essere simpatico e divertente, era pure un genio. E gli era sempre stato vicino, anzi, si erano sempre stati vicini l’uno con l’altro, qualunque cosa fosse successo anche se Bobby non sapeva di preciso perché Hank l’avesse sopportato per così tanto tempo, perché non si fosse mai stufato di lui, visto che non è che credeva di potere essere davvero ‘utile’ a uno come lui.

 

Ma ora non era lì per affogare nella sua propria insicurezza. Era lì per avere delle risposte.

 

Meglio: *una* sola risposta. Una spiegazione. Un motivo, che fosse valido, che fosse credibile, che..

 

“Bobby? – Hank si era alzato, teso, e ora lo fissava ansioso –  Cosa c’è? Mi avevano detto che la tua caduta era stata senza conseguenze. Credi di esserti rotto qualcosa?”

 

Sembrava stanco, come se non avesse dormito affatto: Bobby conosceva i segni che solcavano il viso del suo amico, gli schermi dell’enorme computer della base erano tutti accesi e pieni di diversi diagrammi e schemi e la scrivania era terribilmente sgombra. Solo un plico di fogli.

 

Quello era terrorizzante.

 

Quando Hank si occupava di una cosa sola, era perché era davvero una cosa .. terribile.

 

“Non è per JP?”

 

Indicò le carte, gli schermi. Il dottore scosse appena la testa.

 

“Northstar? No.”

 

Prese un respiro che, stranamente, pesava nei polmoni.

 

“E’ per Pietro? Come sta?”

 

Era una domanda stupida, lo sapeva già prima di farla, ma solo quando vide quell’espressione sul viso di Hank si ricordò che a volte non c’erano parole per spiegare quello che accadeva, perchè a volte, semplicemente, non si *poteva* dire niente.

 

“Bobby – la voce di Hank era bassa e morbida, ora. Era il tono che Bobby conosceva bene, quello che veniva usato quando.. quando dovevano fargli una predica, o dovevano spiegare qualcosa di troppo complicato a un bambino troppo piccolo per comprendere. – sono un medico. Certe informazioni non le posso dare.”

 

Bobby si morse un labbro ma non disse nulla, perché forse davvero non c’era nulla da dire. Accettò la mano di Hank appoggiata alla sua spalla, un tocco gentile, che trasmetteva tranquillità o almeno cercava di farlo. Era poco, ma cercò di farselo bastare.

 

“Bobby?”

 

Scosse il capo.

 

“E’ così.. grave?”

 

Hank socchiuse gli occhi, poi sospirò appena. Aveva il tono di uno che sapeva non avrebbe dovuto dire nulla, ma che non *riusciva* a tenersi tutto dentro, forse non poteva: e  Bobby non aveva più sentito Hank così depresso da talmente tanti anni che credeva potesse più patire una fragilità simile.

 

“Non so come abbiano potuto, né come, ma sono riusciti ad annullare la sua accelerazione metabolica. E non so quanto il suo fisico potrà reggere.”

 

Bobby lo guardò e non seppe fare altro per un lungo, lunghissimo istante. Non aveva compreso, ovviamente, ogni minimo particolare del discorso perché, visto che la spiegazione tecnica non ce l’aveva Hank, non esisteva una sola possibilità che ce l’avesse lui, però sapeva che era una cosa bruttissima.

 

“JP lo sa?”

 

“No. – un lieve stupore di fronte a quella domanda - Non so se gliel’avrei detto neppure se me l’avesse chiesto, credo, ma non mi ha domandato nulla. Perché?”

 

Bobby lo guardò stupito poi si scrollò le spalle. Allora non era per *quello* che stava male.

 

“Nulla..”

 

“Perché mi hai chiesto di Northstar, intendevo. Cosa centra con Quicksilver?”

 

Hank era un genio, e solitamente non era così ingenuo neppure per gli affari di cuore, però, in effetti, se JP era di quell’umore orribile nessuno avrebbe potuto intuire che avesse una cotta per Pietro. Pietro, poi.. A Bobby semplicemente non piaceva.

 

Era solo.. bellissimo, ma di una bellezza lontana, troppo fredda. I suoi occhi sembravano quelli di uno che non avesse mai provato la compassione, che non sapesse neppure cosa fosse la tenerezza e l’amore, poi, doveva essere una cosa che aveva letto solo sui libri. In fondo sapeva che non era del tutto vero: aveva una figlia per la quale si sarebbe fatto uccidere, aveva una moglie alla quale, per quanto ne sapeva, voleva molto bene, e una sorella che adorava, essendone adorato a sua volta, eppure, se qualcuno l’avesse chiesto a Bobby, lui avrebbe risposto che Pietro aveva la faccia di uno che sapeva solo far soffrire le persone che gli volevano bene. E lui non voleva che JP soffrisse.

 

Chiuse gli occhi: dio, certo che era proprio *bello*. Era troppo bello per essere raggiungibile, per essere pure.. capiva perché JP avesse perso la testa per lui, Pietro era davvero perfetto come se fosse stato una statua antica e uno così non era per i comuni mortali. Gli faceva paura quello sguardo, e tutto quell’aspetto così chiaro che sembrava una scheggia aguzza di ghiaccio, o il filo di una lama. E poi c’era il suo comportamento che era sempre terribile e ..e somigliava troppo a suo padre per potersi rilassare davvero al suo fianco.

 

Sapeva di essere crudele, ma se Pietro stava male non gli importava poi tanto.

 

“Mi è sembrato molto .. depresso, al ritorno da questa missione, e credevo fosse per quello che è successo a Pietro. Ma se non lo sa non può preoccuparsi.”

 

Il sorriso di Hank divenne qualcosa di dolce, una dolcezza soffusa di dolore.

 

“Tu non l’hai visto Pietro, vero?”

 

Bobby sbatté le palpebre, stupito.

 

“No.”

 

Hank ritornò a sedersi dietro la sua scrivania e, appoggiati i gomiti alla superficie di legno, si nascose il viso fra le mani, come se, semplicemente troppo stanco, stesse premendosi gli occhi con i palmi delle mani.

 

“Che succede, Hank? Sta *così* male?!”

 

Non rispose subito, e questo era strano per uno come Hank che nei momenti più terribili mostrava sempre un sangue freddo invidiabile. Poi parve farsi forza, scrollandosi un poco, ma non osò sollevare gli occhi sul suo interlocutore.

 

“Non so, io credo .. oddio .. credo che stia m-“

 

S’immobilizzò, tacendo, quando la piccola porta di servizio che dava sull’infermeria si aprì con un lieve scricchiolio.

 

Pietro era in piedi, sulla soglia, con la sua solita espressione composta e fredda. Due passi appena e allungò una mano, porgendo al dottor Mc Coy un paio di fogli.

 

“Questo è quello che mi avevi chiesto. – non un sorriso, non un cenno. – Spero vada bene.- si voltò verso Robert e lo fissò per un tempo lievemente troppo lungo, o almeno quello fu ciò che pensò Bobby in quell’istante. – Buongiorno Drake.”

 

La porta si chiuse con un suono che Bobby non riuscì a cogliere.

 

“Hank, perché non stava.. non stava *correndo*?”

 

___ CONTINUA..