NOTE: E’ ilseguito’ di STELLA DEL NORD, che potete trovare sia sul sito dell’Ysal che sul mio http://www.dhely.altervista.org.

 I pg non mi appartengono, ma sono della Marvel (e sono pure un po’ OOC.. ma, veramente, non è che uno possa scriverli davvero IN character visto che pure loro ne cambiano le caratteristiche una volta ogni due mesi.. per non parlare del colore dei  *capelli*, cosa che dovrebbe più semplice da tenere a mente, penso!! Sig.)

Ah! Ovviamente la signora Marvel non mi paga per scrivere queste cose dei suoi pg (peccato per lei, non sa che si perde! ;P!!!)

 

NOTE2: no, Pietro non ha sbattuto la testa da qualche parte. Sì, lo so.. tutto questo è un po’ strano, ma ha un ‘senso’ ve lo assicuro.. solo che ci vuole un po’ di pazienza con me, lo sapete!!

 

NOTE3: lo so, la biologia di Pietro risulta un po’ incredibile.. pure a me, a dire il vero, ma questi particolari sono presi dagli albi ufficiali, per cui non è *colpa* mia! (per una cosa che prendo pari pari dagli albi! ^^;)

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Neve e ghiaccio

parte I

di Dhely


Neve.

 

Bianco e freddo dovunque. Gelo.

 

Un vento gelido che s’intrufolava ovunque, che poteva frugare fino nell’animo, facendogli diventare di ghiaccio ogni cosa: le ossa, i muscoli, i sentimenti, i pensieri. Jean Paul si sentiva al punto di rottura, sapeva che presto sarebbe arrivato al punto in cui si sarebbe infranto alla minima pressione, al più impercettibile contatto. Istintivamente, poi, sentiva già il dolore che sarebbe venuto a dilaniargli il corpo: si obbligò a stringere i denti, irrigidendo i muscoli ad ogni passo che riusciva, come una battaglia vinta ad ogni respiro, a muovere nella neve che superava il ginocchio.

 

Era troppo pesante.

 

Non riusciva a volare con quel peso morto che lo teneva giù, a cui era aggrappato con tutte le sue forze, con tutta la sua concentrazione. Era troppo.. troppo stanco

 

Dovevano essere stati i gas: se non fosse stato in grado di accelerare il suo metabolismo sarebbe crollato sul pavimento gelido di quella base segreta che ora, alle loro spalle, stava esplodendo e bruciando, rilasciando, nell’atmosfera pulita di quelle latitudini, una colonna immane di scorie, fumi e radiazioni. Petrolio e plastica bruciata, e materiali ancora peggiori liberati per metri quadri intorno, sparsi da venti alla velocità di chilometri al secondo..

 

E lui che non riusciva più a correre. Che non riusciva più a volare.

 

Erano abbastanza lontani? Non si fidava a voltarsi, a guardarsi alle spalle, a fissare l’origine di quel rombo infinito che faceva tremare la terra tutt’intorno, che insozzava la neve, che avrebbe annientato il candore con un sottile strato appiccicoso di dense polveri puzzolenti.

 

Poteva solo andare avanti, procedere un passo dopo l’altro. Senza cadere vittima della malia gentile della neve, quel richiamo che prometteva un sonno eterno e senza sogni, senza fatica.. chiudere gli occhi sarebbe stata una benedizione in tutto quel rilucere e riverberare di luce sulla superficie bianca che aveva di fronte, ma non era solo.

 

Per un istante l’istinto di autoconservazione gli aveva suggerito di allentare la presa sulle braccia che gli passavano attorno alle spalle, lasciandosi dietro quel corpo pesante e immobile, per poter *volare* finalmente, e andarsene via di lì. Volare, il più veloce che poteva e fermarsi solo quando fosse stato all’equatore, almeno, dove il sole avrebbe potuto sciogliere gli strati di ghiaccio appuntito che gli si erano conficcati nell’anima e tutto quello non sarebbe stato che un incubo.

 

Volare.. avrebbe voluto avere ancora le forze per farlo, sollevarlo con lui e portarlo via da lì.

 

Non era rimasto, in lui, abbastanza energia.

 

Era troppo pesante.. e non poteva lasciare lì *lui*. Di tutti gli abitanti del pianeta, e forse anche della galassia, nessuno poteva chiedergli di abbandonare Pietro.. nonostante quel nulla che c’era fra di loro, nonostante fossero tutti e solo dei sogni che lui stesso si era creato e..

 

Quei bastardi conoscevano i poteri di Pietro, e bene. I gas erano fortemente soporiferi, li avevano lasciati entrambi confusi. Jean Paul aveva mantenuto lucidità perché il suo compito era quello di rimanere fuori dal perimetro e distrarre le difese esterne affinché Pietro potesse portare a termine la missione vera a propria. Pietro aveva respirato molto più gas di quanto ne avesse fatto lui, ed erano riuscito a rallentarlo a tal punto da riuscire a *sparargli*: proiettili narcotici che probabilmente avrebbero potuto stendere una decina di elefanti, talmente concentrati che neppure il perennemente accelerato metabolismo di Pietro era riuscito a contrastare ciò che gli avevano iniettato in circolo in maniera efficace.

 

Quando l’aveva visto accasciarsi sulla lastra di metallo polimerato che formava la pista di decollo, Jean Paul aveva creduto di stare assistendo alla sua morte. Il panico era stata la forza indomabile che l’aveva spinto là, a raccoglierlo, facendo affidamento sui propri sensi che ormai stavano scemando, talmente confuso che solo l’addestramento e l’abitudine a trovarsi in situazioni simili erano riuscite a tirarlo fuori dai guai.

 

Jean Paul sapeva che erano stati fortunati: se quell’attacco  fosse avvenuto prima, mentre cercavano di penetrare nella base, sarebbe andata a monte tutta la missione perché non avrebbe mai potuto lasciare Pietro lì, tanto meno far saltare tutto con lui dentro. Da quando era diventato così tenero? Probabilmente Pietro non avrebbe avuto certi scrupoli, che erano stupidi, e inutili: se fossero scappati appena dopo aver annunciato la loro presenza, con uno di loro svenuto e colpito e l’altro troppo stanco per volare, per muoversi, sarebbero stati catturati e uccisi. E sarebbero morti in due al posto che uno solo.

 

Jean Paul chiuse gli occhi con forza: presto di quella maledetta base non sarebbe rimasto più nulla. Missione compiuta, all’ONU sarebbero stati così dannatamente felici, anche se chissà quante persone ci avevano lasciato le penne. Ma, dopo tutto, a chi importava? Quelli là erano quelli ‘cattivi’ e si potevano uccidere ed essere pure felici di averli uccisi senza essere rimproverati di essere eticamente scorretti.

 

Si accasciò nella neve, fredda e ghiacciata. Jean Paul voleva dormire. Voleva *solo* dormire. Faceva troppo freddo. Era stanco.

 

E Pietro diventava più pesante ad ogni passo. Incredibilmente pesante.

 

Era vero quello che aveva letto nei dossier top secret su di lui? Che Pietro aveva una struttura ossea peculiare, simile a quella dei volatili: ossa cave per adeguarsi alle sollecitazioni della velocità che la sua mutazione portava, diminuendo il peso e insieme aumentando la flessibilità dunque la resistenza? La fragilità compensata da una maggiore elasticità e quindi maggior assorbimento degli urti senza danni concreti alla strana struttura calcificata delle ossa?

 

Pietro era.. un prodotto perfezionato delle prime mutazioni avvenute in maniera casuale ma esponenziale negli ultimi cinquant’anni sulla terra. Se pure nessun esperimento fosse ancora  riuscito a dimostrare che un mutante potesse, *per forza*, generare un altro mutante e la medicina genetica non aveva ancora compreso come si potesse trasmettere il ‘gene’ della mutazione (che poi non era ancora stato individuato), Pietro era un mutante della *seconda generazione*.

 

Di nessuno di loro si poteva dire lo stesso.

 

Lui era figlio di un mutante. Dunque, per le leggi dell’evoluzionismo, doveva essere un prodotto più perfetto rispetto a tutti loro.

 

Perfetto.. sicuramente più specializzato. Le ossa, il suo sistema cardiocircolatorio, tutto era assemblato per assecondare il suo metabolismo accelerato di 500 volte, almeno, rispetto a quello di un atleta in piena forma. E come tutte le creature iper specializzate, Pietro era.. fragile. Abbisognava di una quantità notevole di proteine nobili e zuccheri anche solo per rimanere in piedi, in caso di carestia lui sarebbe stato uno dei primi a morire d’inedia.. non che nell’America del più sfacciato consumismo si potesse davvero correre un rischio simile, ma a volte, a guardarlo, non ci si pensava a quanto fosse *delicato* il sistema in cui poteva vivere.

 

Si ricordava, Jean Paul, di una discussione tra Pietro e il dottor Mc Coy il quale faceva notare che tutti gli esseri viventi che vivevano con un metabolismo accelerato, vedevano ridotta drasticamente la durata della loro vita. A Pietro questo non capitava, aveva trent’anni e non ne dimostrava di più, dunque il suo corpo doveva avere un segreto, doveva liberare un qualche enzima, o mostrare un nuovo tipo di riproduzione cellulare per ovviare l’inconveniente.. enzima o no, sarebbe stata una scoperta incredibile che avrebbe spalancato alla medicina incredibili possibilità di.. Pietro non lo era neppure stato a sentire. Aveva risposto malamente, seccato e innervosito, ed era sparito.

 

Jean Paul aveva capito l’espressione di delusione comparsa sul volto del medico ma, insieme, aveva compreso anche la reazione di Pietro. A chi piacerebbe essere una cavia?

 

Comunque.. scosse via i ricordi dalla mente. Sapeva che Pietro era più leggero, e di parecchio, di quando avrebbe *dovuto* essere, ma, ora, continuava a non riuscire a reggerlo. I gas erano stati terribili.. per quanto potesse essere in grado di metabolizzare rapidamente qualunque schifezza, non riusciva assolutamente ad essere lucido ed ora questo era un peccato mortale, non solo c’era la sua vita in gioco, ma doveva occuparsi di Pietro..

 

Il suo corpo non gli rispondeva, e la mente faticava a trovare fili razionali sui quali disporre i pensieri.

 

Doveva dormire.

 

*Doveva* dormire.

 

Ancora un po’, si costrinse a pensare, ancora qualche attimo.

 

*L’igloo*. Così lo avevano chiamato i tecnici che l’avevano messo a punto. Una stoffa leggerissima, piegata su se stessa, un tessuto anti radiazione, anti rilevamento, impermeabile, refrattaria a qualsiasi tipo di onda sonar, elettromagnetica, ai raggi x, gamma, termoregolato, con, nella trama, miniaturizzati più apparecchi di quanti riuscisse a ricordare. Non gli importava un accidenti.

 

L’igloo si.. si ‘gonfiò’ tramite un meccanismo che gli avevano spiegato ma che ora non ricordava  che, dunque, non doveva essere così importante. Jean Paul vi strisciò dentro, trascinandosi dietro Pietro, sperando che la tempesta di neve che stava per arrivare avrebbe cancellato le loro impronte troppo marcate. E, comunque, non poteva fare altro che sperare, visto che non avrebbe avuto la forza di cancellarle lui stesso o nasconderle.

 

L’apertura si chiuse ermeticamente alle loro spalle, li accolse una luce pallida, traslucida, mentre i generatori di quell’aggeggio si stavano caricandosi tramite va a sapere cosa. Sicuramente, se andava a raggi solari, sarebbero stati nei guai visto che erano al polo e stava per iniziare la notte artica. Ma c’era un lieve tepore lì dentro ed erano nel posto più sicuro che, in ogni modo, avrebbero potuto trovare. Almeno non sarebbero morti congelati nel giro di dieci minuti al massimo.

 

Poteva dormire.

___

 

Il presente era una sensazione piacevole e ovattata di tepore e luce soffusa, un qualcosa che sembrava non avrebbe mai avuto termine. Stupefacente e incredibile: Jean Paul ricordava indistintamente l’odore di bruciato, il boato delle esplosioni, la base che andava a fuoco, e l’impronta di una fatica, di una spossatezza difficile da descrivere, che faceva bruciare la gola e lacrimare gli occhi tra fumi acri e penetranti di gas tossici. Tutto ciò era lontano anni luce da quello che stava vivendo ora.

 

Jean Paul conosceva bene la spossatezza mentale e fisica che prendeva al termine di una missione, sapeva quando i muscoli si rifiutavano di muoversi per compiere qualsiasi cosa andasse oltre lo stretto indispensabile e, al contempo la mente girava su se stessa, impazzita come una trottola, a cercare di rassicurarsi che sì, ogni cosa andava bene, che era al sicuro, che tutto era filato liscio.. ecco: quello non c’era e stranamente era una mancanza inquietante. Lui era un professionista, dopo tutto, sapeva cosa aspettarsi dal suo corpo e quando, e perché: quella tranquillità, ora, benedetta e meravigliosa, suonava terribile, aggressiva.

 

Cosa non era andato come il solito? Cosa..

 

Si impose di socchiudere le palpebre. Intuiva solo una luce soffusa e chiara, un luogo dove non parevano esserci spigoli, dove non pareva esserci nulla a parte lui stesso, e..

 

E.

 

Le palpebre si chiusero ermeticamente, come sotto un ordine marziale. Ritornò padrone, lentamente, del suo corpo: le gambe, il torso, le braccia. Sentiva il sangue fluire, il cuore battere a ritmo lento, i polmoni muoversi e.. e *lui*. *Lui* lì.

 

Vicino, talmente tanto che percepiva il tepore della sua pelle, sentiva il suo odore, e se avesse appena piegato il collo avrebbe appoggiato una guancia ai suoi capelli.

 

Pietro.

 

Non era fra le sue braccia, non sentiva il suo peso addosso, ma erano entrambi coricati su un fianco ed erano vicini, tanto da sfiorarsi.

 

Erano in missione, dovette ricordarsi Jean Paul. Era normale che stessero vicini, era capitato anche con altre persone, non era il caso di farne una tragedia o chissà cosa. Pietro, se si fosse svegliato, non l’avrebbe ucciso, non l’avrebbe accusato di stare per violentarlo, non si sarebbe rifiutato di rivolgergli più la parola.. come poteva essere così dannatamente stupido?

 

Prese un respiro e si obbligò ad aprire gli occhi di nuovo.

 

Pietro era lì, dove aveva percepito che fosse. Dormiva.

 

Dio! Sentì un nodo chiudergli al gola e darsi dell’idiota non servì a migliorare la situazione. Non servì a nulla.

 

Non serviva neppure stare lì a guardarlo, ma non riusciva a distogliere gli occhi: non che non l’avesse mai visto, ma mai da così vicino.. e non con tutto quel tempo a disposizione.

 

Era pallido.. si concesse un sorriso pensando che neppure lui dovesse proprio essere al massimo della forma ma, dopo tutto non era importante. E poi Pietro era sempre pallido, non era neppure certo si *potesse* abbronzare. Possedeva moltissimi degli aspetti fenotipici dell’albinismo, anche se non lo era: l’incarnato e i capelli, soprattutto, erano.. impressionanti.

 

Erano chiari, chiarissimi, e avevano una leggera ombra sul blu, sembrava. Comunque fosse, erano bellissimi, un po’ spettinati com’erano ora, e corti, appena un ciuffo, ogni tanto che gli cadeva sugli occhi. I suoi occhi: bastava pensarci per sentire un brivido, ma un brivido vero, nonostante si sentisse stanco e un po’ intontito ancora dai gas, forse.

 

O forse era semplicemente avere Pietro così vicino che gli faceva quell’effetto.

 

Jean Paul non lo sapeva.

 

Sapeva che l’aveva desiderato dalla prima volta che gli aveva messo gli occhi addosso, che non aveva mai smesso di .. Si tirò a sedere di scatto: qualcosa di scarlatto gli macchiava la divisa blu e argento.

 

Chinandosi su di lui vide che erano stati i proiettili di narcotici: i fori ampi erano segni di aghi o cose simili. Per questo Pietro, che solitamente non dormiva quasi mai, pareva placido come un neonato dopo una poppata!

 

Allungò una mano, da qualche parte in quella specie di rifugio ipertecnologico, poco più grande di loro, e tirò fuori una minuscola scatola di pronto soccorso. Spacchettò una pastiglia di garza disinfettante e pregò che preoccuparsi dell’infezione fosse la cosa più complicata di cui Pietro avesse bisogno dal punto di vista sanitario perché lui non era un medico, e non avevano nulla con cui curare qualsiasi cosa peggiore di una ferita, se non si sbrigavano a venire a prenderli!

 

Sette ferite. Dannazione, un uomo normale sarebbe morto. Fortuna che il metabolismo di Pietro non si lasciava ammazzare da così poco.. almeno era quello che sembrava. Gli tastò il polso e lo sentì fermo, e tranquillo.. troppo tranquillo però. Il cuore di Pietro, a riposo batteva intorno alle 25 volte *a secondo*, o almeno avrebbe dovuto farlo. Ora, invece, batteva come il cuore di una persona normale, più o meno, un centinaio di battiti al *minuto*.

 

Si guardò intorno cercando, qualcosa, qualsiasi cosa e ovviamente non trovò nulla: quello era stato studiato per essere un rifugio in caso di estrema necessità, ottime possibilità mimetiche e di schermatura, ma per il resto.. lì dentro solo dei telepati avrebbero potuto raggiungerli perché, a sentire il progettista di quel coso, nessuno strumento avrebbe mai potuto localizzarli.

 

Jean Paul si costrinse alla calma: era un professionista. Quante volte era capitato che lui e un suo compagno di squadra s’erano trovati in guai anche più gravi di quello? Dopo tutto Pietro era vivo.. magari per il suo fisico era come stare in coma, ma almeno non era morto.. ma lui, dannazione!, non era un *cazzo* di medico e non aveva idea di cosa fare! Il pensiero che neppure un medico ‘normale’ probabilmente sarebbe stato d’aiuto non gli sollevò lo spirito..

 

Ma là fuori, da qualche parte li stavano già cercando. Ovvio. C’erano i due più potenti telepati della terra a cercarli.. ma quanto diamine di tempo ci mettevano?!

 

Si impose di calmarsi, guardandosi intorno con fare più pragmatico che seppe trovare: la temperatura lì dentro era perfetta, e per quello era a posto, ma forse.. forse Pietro aveva bisogno di qualcosa. Nutrimento, acqua. Per espellere prima le tossine, pensò. Dunque: acqua, prima di tutto.

 

E fino a lì l’avrebbe trovata, in tre metri quadri di spazio qualcosa non poteva stare nascosta per troppo tempo, ma prima doveva cercare almeno di svegliarlo.. se avesse ancora potuto farlo, ovviamente.

 

Gli toccò una spalla, il collo, una tempia, per poi affondare le mani fra i suoi capelli. Una carezza e non riuscì ad impedirsi di essere dolce. Dio, come.. si morse un labbro scuotendo il capo con forza.

 

“Pietro? – sentì i capelli scivolargli fra le dita, e il nulla come risposta, né un respiro né un cenno. Sentì freddo, dentro, poi gli posò la mano sulla spalla e la scosse cercando di non essere troppo brusco. Le ferite erano già rimarginate, non sanguinavano più, e quello sarebbe dovuto bastargli. Per ora. - Pietro? Per l’amor di dio, Pietro, apri gli occhi..

 

La testa ciondolò appena di lato, poi un respiro preso più in profondità e come un tremito scuotergli la pelle.

 

“Pietro?”

 

Cercò di non suonare troppo allarmato, o troppo preoccupato, anche se era certo che non ci sarebbe riuscito.

 

Le sopracciglia si arcuarono sotto lo sforzo immane di obbligare le palpebre a sollevarsi, il viso si tese, per un attimo e le mani si chiusero a pugno. Riuscì appena a sbattere le palpebre, leggermente, confuso e distante ma per Jean Paul fu un miracolo.

 

“Pietro!”

 

Lo fissò stranito: quegli occhi che erano schegge di cristallo appena azzurrato, dalla punta acuminata e velenosa, da tanto erano belli, parevano ora.. no, non opachi, che occhi del genere non potevano mai veder spegnersi la luce che ardeva la loro interno. Però sembravano.. indifesi. Come se i veli, le difese che Pietro avesse intessuto intorno ad essi ora si fossero dissolti, o fossero cadute, per mostrarlo nudo e bellissimo, ma senza difesa alcuna, senza alcuna possibilità di sottrarsi al mondo.

 

Jean Paul sentì qualcosa torcersi all’altezza dello stomaco, qualcosa che, come un incendio divampò in tutto il suo corpo: il desiderio attizzato da quegli occhi, e da quel saperlo lì, ora, indifeso, languido, abbandonato.. avrebbe voluto urlare se avesse potuto. Ma non vi riuscì.

 

“Ho freddo..un sussurro morbido che increspò quelle labbra, e il suo sguardo di luce si spense, di nuovo, dietro ciglia morbide e arcuate, scure e dense.

 

Jean Paul lo prese fra le braccia, sfiorandogli la pelle con le labbra: era caldo come se avesse la febbre. Probabilmente era il suo corpo che stava lavorando per espellere le tossine.. lo strinse a sé, con forza, lo sentì tendersi, forse, per un attimo fu sul punto di scuotersi da quell’abbraccio, per poi rilasciarsi cadere in esso con un sospiro.

 

“Ti scalderò io, Pietro. Andrà tutto bene.

 

Si sentiva scemo.

 

Punto.

 

Idiota e patetico come un personaggio di quegli insulsi romanzetti rosa che la sua migliore amica ogni tanto lo obbligava a leggere per fargli capire ‘cosa si stava perdendo ad essere gay’, con il suo solito sorrisetto di chi la sapeva lunga.

 

L’unico vero desiderio del suo corpo, ora, era quello di prendere Pietro, strappargli tutti i vestiti di dosso e scoparlo fino a svenire. Tanto per vedere chi sarebbe svenuto prima, anche. Ma Jean Paul sapeva bene di non essere un animale, e di certo, poteva resistere anche a pressioni peggiori di quelle.

 

C’era qualcosa in Pietro che, nonostante tutto quello che aveva sempre creduto sull’impossibilità della monogamia e sulla felicità che poteva essere data solo da un alto numero di ricambi di amanti, lo faceva sentire strano, e gli faceva sorgere la balzana idea che lui, e solo lui, gli sarebbe *bastato* per un tempo così lungo da non crederci. Certo, soprattutto perché Pietro, con lui, non ci voleva stare.. ah, i trabocchetti della mente!

 

Lo guardò e sentì una fitta al cuore a non saperlo suo, e ora faceva male: non era suo, non lo sarebbe mai stato.

 

Voleva.. voleva amarlo.

 

Forse, ma solo forse, lui già l’amava. Lui era *innamorato*. E non gli fregava se era ricambiato o no: quando ci si innamora di una persona, gli avevano spiegato, era abbastanza indifferente se l’altro era consenziente o no. Pensò al professor Xavier: era da una vita, presumeva, che era innamorato di Magneto eppure la cosa non aveva mai cambiato di una virgola ne’ le decisioni dell’uno, né l’amore dell’altro. Forse era lui, semplicemente che non sapeva amare, perché non riusciva a pensare a Pietro fra le braccia di qualcun altro, a prescindere dal sesso, senza sentire gelosia.

 

Qualcuno gli aveva detto che amare era lasciare libero l’altro di essere felice. Balle! Lui non voleva che Pietro fosse felice con qualcun altro che non fosse lui.. e si sentiva strano pure lui, a dire il vero, faceva fatica a coordinare i pensieri in maniera corretta. I gas? O le capriole del cuore? La vicinanza così assoluta con Pietro?

 

Il suo capo sulla spalla, le sue braccia, le sua mani appoggiate al torace a cercare forse quel di calore di cui aveva bisogno.

 

Jean Paul chiuse gli occhi stendendosi di nuovo accanto a lui, tenendolo fra le braccia, stringendolo a sé. Il suo corpo, il suo calore, addosso. La sua pelle sotto la pelle.

 

Poteva morire in quel preciso istante e sarebbe morto felice.

 

Davvero.

 

Si sentì inghiottire un singhiozzo e si sentì davvero male. Gli passò una mano fra i capelli, come se cercando di quietare un Pietro tranquillissimo, sarebbe riuscito a trovare un equilibrio anche lui. Ne aveva bisogno: della sua vicinanza, del suo calore, di avvertire il suo corpo addosso, di sapere che non sarebbe morto, che sarebbe stato bene, che gli avrebbe.. sorriso. Dopo.

 

Quando fossero tornati a casa.

 

Magari da soli.

 

Pietro, magari, gli avrebbe sorriso.

 

Magari: quelmagari’ aveva il potere di farlo continuare a respirare, a vivere..

 

Pietro gli si strinse appena ancora addosso, con un piccolo sospiro sfuggitogli dalle labbra. “Ho freddo. si scusò.

 

Jean Paul sorrise.

 

“Stai qui, non aver paura, ti riscaldo io.

 

A quale fuoco, non seppe dirlo ma nell’ultimo sprazzo di ragionevolezza che sentì divampargli, per caso, nella mente, si chiese se poi, il tepore del cuore e quello della carne non si sarebbero potuti unire, almeno una volta, per dare calore a colui che amavano entrambi.

 

Forse era una follia. Forse. Ma non ebbe tempo di pensarci, che si addormentò anch’egli.

 

___ CONTINUA…