AUTORE: Dhely
PARTE: 1/1
PAIRING: RaistlinxDalamar
… ma mooollto sfumato
RATING: direi nessuno, non succede
niente. ^^;
NOTE: non sono personaggi miei, questi,
appartengono a Weis & Hichman,
se qualcuno di voi ha letto i loro romanzi, della serie Dragonlance
sa di chi sto palando fin dal principio, se non l'avete fatto
. bhè, credo che sia comprensibile lo stesso pure così, no?
_________________________________________________________________________________________________
NERO E ORO
Chi non ha mai avuto un sogno? Nessuno,
presumo, ma sono certo che ben pochi ne hanno avuto
uno che morde l'anima e il cuore come è il mio. Pochissimi sanno che significhi
dedicarsi in tutto e per tutto ad un'idea, a un
desiderio, rinunciare alla posizione, alla famiglia, alla propria razza, alla
propria anima, sentire la vita che scorre via fra le dita eppure fingere
indifferenza perché non è lei, ciò che conta veramente.
Sono un Elfo.
Gli Elfi non vivono come gli umani, non
vedono il mondo come lo vedono gli umani, non pensano, non sognano, non
desiderano come loro. Noi siamo superiori, più pèotenti,
più sicuri, più longevi, più forti, più saggi. Era questo quello
che mi era stato insegnato fin dalla nascita, era questo che sapevo, era questo
ciò in cui credevo, era formato così il mondo in cui avrei dovuto vivere per un
periodo molto lungo, quasi simile all'eternità. Invece
qualcosa sfuggì al controllo dei miei genitori e dei miei tutori che avevano
già pianificato la mia vita ancor prima che nascessi, qualcosa che nessuno di
loro avrebbe potuto prevedere, qualcosa di assolutamente inconcepibile.
Ero giovane per i nostri standard quando
iniziò tutto, quando presi ad interessarmi dei libri proibiti, quando ho
tradito per la prima volta i sacri principi della mia razza per abbracciare la
parte oscura dell'Arte Magica. Ero poco più che un ragazzo quando iniziai ad
essere attratto dal lato più cupo del Potere. Fui suo immediatamente. Lo studio
occulto di testi arcani nell'ombra di una stanza ben chiusa divenne lo scopo di ogni mia giornata, la Magia la meta della mia intera
vita. Mi scoprirono, ovviamente, e di fronte al mio rifiuto di abbandonare
quella che era divenuta la mia sola ragion d'essere mi scacciarono dal Regno,
mi privarono di tutto, la famiglia mi ripudiò, la mia
stessa razza mi disconobbe, mi privarono perfino di quella distanza fisica
dalle miserie umane che avevo sempre creduto parte della nostra natura
superiore.
Non importava. Il fuoco che mi bruciava
dentro non avrebbe potuto sopirsi per così poco: fui ammesso alla Scuola di Alta Magia di Krinn, passai
anni a studiare, a raffinar eil mio talento, a
rinsaldarmi nelle mie convinzioni e poi . . poi superai la
Prova, la terribile Prova necessaria per divenire un Mago.
Uscii dalla sala in cui si teneva quasi
morto, incapace di distinguere il vero dalla menzogna, la mente devastata,
l'anima quasi in frantumi . . ma con
una tunica nera indosso e l'appellativo di Mago. La mia vita. Il mio
sogno.
Ora serviva trovare un Maestro che mi prendesse come suo Apprendista, che mi passasse le sue
conoscenze arcane, che mi avrebbe permesso di ricoprire il suo posto quando
fosse morto. Ma nessun Elfo, per i quali non esisteva che la possibilità di
scegliere il Bianco, avrebbe mai preso un Nero come Apprendista, non avrebbero mai sopportato la vista di un loro fratello che
aveva voltato le spalle alla luce. Ero, e sono, un
reietto, un abominio. La mia scelta per la mia razza è solo
una vergogna, l'estremo disonore, io sono un essere abietto, contro natura, una
creatura che non avrebbe mai dovuto venire al mondo, che copre d'infamia ognuno
di loro, che avevo deciso di percorrere una strada che non era consona. Lo sapevo, lo so. Avevo accettato di portarmi indosso quel
marchio il giorno stesso in cui avevo deciso di consacrarmi alla Magia, sapendo
bene che non era il Bianco il colore che avrei scelto.
Ma chiamare "Maestro" un umano . . era degradante. Io, un Elfo, uno della razza superiore,
la più amata dagli Dei, inchinarmi di fronte a un
essere inferiore . . no, mai, piuttosto ero disposto
ad imparare ciò che dovevo da solo, senza aiuti. Dopo tutti
alcuni umani l'avevano fatto; perché non avrei potuto riuscirci anch'io?
Ricordo bene quei pensieri,
ricordo il mio camminare lento e senza meto lungo gli
ampi e silenti corridoi della Scuola, l'oscurità tiepida della notte tutt'intorno, le tre lune che scintillavano nel cielo, una
per ogni branca della Magia.
Quella Bianca in fase calante, quella Rossa, quasi piena, e quella Nera, solo
un buco nella volta celeste, come uno strappo in cielo, che solo pochi, solo
coloro che come me avevano indossato le Vesti Nere
potevano vedere.
Ricordo bene il silenzio, il denso sentore di
Magia arcana che trasudava da ogni pietra e poi, improvvisamente . . un potere. Anzi, no, IL Potere. Un influsso così vasto
da non essere quasi possibile che si coagulava intorno a
una figura sottile, impaludata di nero, un bastone dorato scinitllava
nella sua mano, il cappuccio gli teneva in ombra il volto, potevo intravvedere solo le labbra sottili, contorte in uno strano
sorriso
"Tu sei Dalamar,
l'Elfo Scuro."
Una voce pacata,
appena sussurrata che mi accarezzò la pelle come se fosse velluto, sicura e
tranquilla insieme; mi fece tremare appena e capii subito chi fosse lui.
Un umano.
Molto giovane.
Il più giovane che avesse
mai affrontato e superato la Prova, il Maestro del Passato e del Presente, di
fronte al quale anche il più potente dei Magni non era altro che polvere e
nulla.
Il Supremo.
Raistlin Majere.
Il suo nome avrebbe riempito gli annali
futuri più di quanto abbia mai fatto Huma o Magius. Il sogno di qualunque studente era incrociare
almeno per sbaglio la sua strada, essere sfiorati appena dalla sua incredibile
aura, percepire da lontano il suo Potere, e io . io
ero lì come uno stupido con lui che mi aveva rivolto la parola, con lui che
aveva posato su di me il suo sguardo, con lui che mi stava considerando *degno*
di ricevere da lui una pur minima attenzione. M'inchinai al suo cospetto, le
braccia incrociate sul cuore nel massimo gesto di rispetto in uso fra i Maghi e
un brivido gelido a corrermi lungo la schiena.
"Sì, Shalafi."
Mi scappò il termine 'Maestro' in elfico e io maledissi la mia
leggerezza ma lui non parve farci caso. Lo vidi chinare appena il capo, quelle
spalle sottili scollarsi, il sogghigno ricomporsi in una linea dritta e
asciutta e dal fondo del cappuccio scintillare i suoi occhi dorati.
"La mia maledizione."
Io sussultai, lui sollevò la mano libera,
sottile e delicata per tirare indietro il cappuccio, mostrandomi un viso
proporzionato, gli zigomi prominenti e le guance lievemente scavate, non
sofferente ma asciutto, la pelle liscia e giovane era lievemente dorata e
scintillava nella notte, i capelli bianchi erano lasciati lunghi e sciolti a
sfiorargli appena le spalle, i suoi occhi avevano il potere di illuminare il
mondo o di spogliare un'anima con un semplice battito di ciglia. La sua
maledizione: le iridi erano d'oro, oro fuso, chiare e scintillanti, penetranti
più dell'acciaio, le pupille nere come la morte avevano
la forma di due clessidre. Si diceva che con quegli occhi egli potesse vedere
lo scorrere del tempo, il disfacimento e il perire di qualunque creatura, di
qualunque cosa; anche gli Elfi non sfuggono a questa regola.
Allora l'idea di quell'uomo
stesse vedendo la dissoluzione del mio corpo perfetto mi riempì di sgomento, ma
ancor di più di quello mi terrorizzò . . non seppi mai
capire cosa fosse quello che provai in quell'attimo, so solo che in quel preciso istante divenni
suo e che se prima lo scopo della mia vita era diventare Mago, ora . . ora
volevo essere il *suo* Apprendista. La mia vita, la mia anima nulla importava
più, avrei rinunciato a tutto, ad ogni cosa per poter
essere al fianco di quel Maestro dell'Arte.
Non so se anche lui mi scelse quella notte,
quando per la prima volta i nostri sguardi si incontrarono,
oppure egli avesse già deciso, so solo che dopo quello si voltò, ricoprendosi
il capo col cappuccio, dandomi le spalle ed allontanandosi da me, inchiodato lì
sul posto, incapace di dire o fare qualunque altra cose oltre fermarmi a
fissarlo scomparire inghiottito nelle pieghe della notte.
E oggi, adesso sono qui.
Ho tre fori sanguinanti sul petto, ferite che
il mio Shalafi mi ha inferto, squarci che mai si
potranno chiudere, segno tangibile della sua ira, del mio tradimento nei suoi
confronti. Eppure io sono qui, in piedi, e fisso fuori dalla
finestra socchiusa quel maledetto bosco che circonda la sua Torre e cerco, nei
flussi magici che circondano ogni cosa, traccia del suo ritorno.
Egli è partito, lasciandomi la potestà di
governare la Torre in sua assenza, se non tornasse il suo titolo, i suoi
manufatti magici, i segreti qui custoditi passerebbero
di diritto a me. Se non tornasse sarei io il Maestro della Torre. Se non
tornasse . . ma egli tornerà,
ne sono certo. Solo ora capisco tante cose. Io sono
nato per essere suo. Il suo Apprendista, il suo servo, il suo
schiavo. Colui che si accuccia ai suoi piedi e
gode della semplice emanazione del suo Potere. Mai, mai riuscirò a essere alla sua altezza, egli è unico, meraviglioso, non
riuscirò mai a spingermi oltre lui, e nessun'altro
potrà mai. La sua magnificenza, il suo potere, la sua passione, il suo fuoco mi
hanno marchiato dentro ben prima che le sue dita incandescenti
si posassero sulla mia pelle d'alabastro e la sfregiassero così. Questo non è che un segno fisico di ciò che ho dentro.
Io so che tornerà. Non esiste niente più
potente di lui. Lo attenderò per tutta l'eternità se è necessario, finchè egli non varcherà di nuovo la soglia della sua
Torre, finchè egli non tornerà a reclamare ciò che è
suo.
Il suo titolo.
La sua Torre.
Me.