AUTORE: Dhely

PARTE: 1/1

PAIRING: RaistlinxDalamar … ma mooollto sfumato

RATING: direi nessuno, non succede niente. ^^;

NOTE: non sono personaggi miei, questi, appartengono a Weis & Hichman, se qualcuno di voi ha letto i loro romanzi, della serie Dragonlance sa di chi sto palando fin dal principio, se non l'avete fatto . bhè, credo che sia comprensibile lo stesso pure così, no?

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NERO E ORO

Chi non ha mai avuto un sogno? Nessuno, presumo, ma sono certo che ben pochi ne hanno avuto uno che morde l'anima e il cuore come è il mio. Pochissimi sanno che significhi dedicarsi in tutto e per tutto ad un'idea, a un desiderio, rinunciare alla posizione, alla famiglia, alla propria razza, alla propria anima, sentire la vita che scorre via fra le dita eppure fingere indifferenza perché non è lei, ciò che conta veramente.

Sono un Elfo.

Gli Elfi non vivono come gli umani, non vedono il mondo come lo vedono gli umani, non pensano, non sognano, non desiderano come loro. Noi siamo superiori, più pèotenti, più sicuri, più longevi, più forti, più saggi. Era questo quello che mi era stato insegnato fin dalla nascita, era questo che sapevo, era questo ciò in cui credevo, era formato così il mondo in cui avrei dovuto vivere per un periodo molto lungo, quasi simile all'eternità. Invece qualcosa sfuggì al controllo dei miei genitori e dei miei tutori che avevano già pianificato la mia vita ancor prima che nascessi, qualcosa che nessuno di loro avrebbe potuto prevedere, qualcosa di assolutamente inconcepibile.

Ero giovane per i nostri standard quando iniziò tutto, quando presi ad interessarmi dei libri proibiti, quando ho tradito per la prima volta i sacri principi della mia razza per abbracciare la parte oscura dell'Arte Magica. Ero poco più che un ragazzo quando iniziai ad essere attratto dal lato più cupo del Potere. Fui suo immediatamente. Lo studio occulto di testi arcani nell'ombra di una stanza ben chiusa divenne lo scopo di ogni mia giornata, la Magia la meta della mia intera vita. Mi scoprirono, ovviamente, e di fronte al mio rifiuto di abbandonare quella che era divenuta la mia sola ragion d'essere mi scacciarono dal Regno, mi privarono di tutto, la famiglia mi ripudiò, la mia stessa razza mi disconobbe, mi privarono perfino di quella distanza fisica dalle miserie umane che avevo sempre creduto parte della nostra natura superiore.

Non importava. Il fuoco che mi bruciava dentro non avrebbe potuto sopirsi per così poco: fui ammesso alla Scuola di Alta Magia di Krinn, passai anni a studiare, a raffinar eil mio talento, a rinsaldarmi nelle mie convinzioni e poi . . poi superai la Prova, la terribile Prova necessaria per divenire un Mago.

Uscii dalla sala in cui si teneva quasi morto, incapace di distinguere il vero dalla menzogna, la mente devastata, l'anima quasi in frantumi . . ma con una tunica nera indosso e l'appellativo di Mago. La mia vita. Il mio sogno.

Ora serviva trovare un Maestro che mi prendesse come suo Apprendista, che mi passasse le sue conoscenze arcane, che mi avrebbe permesso di ricoprire il suo posto quando fosse morto. Ma nessun Elfo, per i quali non esisteva che la possibilità di scegliere il Bianco, avrebbe mai preso un Nero come Apprendista, non avrebbero mai sopportato la vista di un loro fratello che aveva voltato le spalle alla luce. Ero, e sono, un reietto, un abominio. La mia scelta per la mia razza è solo una vergogna, l'estremo disonore, io sono un essere abietto, contro natura, una creatura che non avrebbe mai dovuto venire al mondo, che copre d'infamia ognuno di loro, che avevo deciso di percorrere una strada che non era consona. Lo sapevo, lo so. Avevo accettato di portarmi indosso quel marchio il giorno stesso in cui avevo deciso di consacrarmi alla Magia, sapendo bene che non era il Bianco il colore che avrei scelto.

Ma chiamare "Maestro" un umano . . era degradante. Io, un Elfo, uno della razza superiore, la più amata dagli Dei, inchinarmi di fronte a un essere inferiore . . no, mai, piuttosto ero disposto ad imparare ciò che dovevo da solo, senza aiuti. Dopo tutti alcuni umani l'avevano fatto; perché non avrei potuto riuscirci anch'io?

Ricordo bene quei pensieri, ricordo il mio camminare lento e senza meto lungo gli ampi e silenti corridoi della Scuola, l'oscurità tiepida della notte tutt'intorno, le tre lune che scintillavano nel cielo, una per ogni branca della Magia. Quella Bianca in fase calante, quella Rossa, quasi piena, e quella Nera, solo un buco nella volta celeste, come uno strappo in cielo, che solo pochi, solo coloro che come me avevano indossato le Vesti Nere potevano vedere.

Ricordo bene il silenzio, il denso sentore di Magia arcana che trasudava da ogni pietra e poi, improvvisamente . . un potere. Anzi, no, IL Potere. Un influsso così vasto da non essere quasi possibile che si coagulava intorno a una figura sottile, impaludata di nero, un bastone dorato scinitllava nella sua mano, il cappuccio gli teneva in ombra il volto, potevo intravvedere solo le labbra sottili, contorte in uno strano sorriso

"Tu sei Dalamar, l'Elfo Scuro."

Una voce pacata, appena sussurrata che mi accarezzò la pelle come se fosse velluto, sicura e tranquilla insieme; mi fece tremare appena e capii subito chi fosse lui.

Un umano.

Molto giovane.

Il più giovane che avesse mai affrontato e superato la Prova, il Maestro del Passato e del Presente, di fronte al quale anche il più potente dei Magni non era altro che polvere e nulla.

Il Supremo.

Raistlin Majere.

Il suo nome avrebbe riempito gli annali futuri più di quanto abbia mai fatto Huma o Magius. Il sogno di qualunque studente era incrociare almeno per sbaglio la sua strada, essere sfiorati appena dalla sua incredibile aura, percepire da lontano il suo Potere, e io . io ero lì come uno stupido con lui che mi aveva rivolto la parola, con lui che aveva posato su di me il suo sguardo, con lui che mi stava considerando *degno* di ricevere da lui una pur minima attenzione. M'inchinai al suo cospetto, le braccia incrociate sul cuore nel massimo gesto di rispetto in uso fra i Maghi e un brivido gelido a corrermi lungo la schiena.

"Sì, Shalafi."

Mi scappò il termine 'Maestro' in elfico e io maledissi la mia leggerezza ma lui non parve farci caso. Lo vidi chinare appena il capo, quelle spalle sottili scollarsi, il sogghigno ricomporsi in una linea dritta e asciutta e dal fondo del cappuccio scintillare i suoi occhi dorati.

"La mia maledizione."

Io sussultai, lui sollevò la mano libera, sottile e delicata per tirare indietro il cappuccio, mostrandomi un viso proporzionato, gli zigomi prominenti e le guance lievemente scavate, non sofferente ma asciutto, la pelle liscia e giovane era lievemente dorata e scintillava nella notte, i capelli bianchi erano lasciati lunghi e sciolti a sfiorargli appena le spalle, i suoi occhi avevano il potere di illuminare il mondo o di spogliare un'anima con un semplice battito di ciglia. La sua maledizione: le iridi erano d'oro, oro fuso, chiare e scintillanti, penetranti più dell'acciaio, le pupille nere come la morte avevano la forma di due clessidre. Si diceva che con quegli occhi egli potesse vedere lo scorrere del tempo, il disfacimento e il perire di qualunque creatura, di qualunque cosa; anche gli Elfi non sfuggono a questa regola.

Allora l'idea di quell'uomo stesse vedendo la dissoluzione del mio corpo perfetto mi riempì di sgomento, ma ancor di più di quello mi terrorizzò . . non seppi mai capire cosa fosse quello che provai in quell'attimo, so solo che in quel preciso istante divenni suo e che se prima lo scopo della mia vita era diventare Mago, ora . . ora volevo essere il *suo* Apprendista. La mia vita, la mia anima nulla importava più, avrei rinunciato a tutto, ad ogni cosa per poter essere al fianco di quel Maestro dell'Arte.

Non so se anche lui mi scelse quella notte, quando per la prima volta i nostri sguardi si incontrarono, oppure egli avesse già deciso, so solo che dopo quello si voltò, ricoprendosi il capo col cappuccio, dandomi le spalle ed allontanandosi da me, inchiodato lì sul posto, incapace di dire o fare qualunque altra cose oltre fermarmi a fissarlo scomparire inghiottito nelle pieghe della notte.

E oggi, adesso sono qui.

Ho tre fori sanguinanti sul petto, ferite che il mio Shalafi mi ha inferto, squarci che mai si potranno chiudere, segno tangibile della sua ira, del mio tradimento nei suoi confronti. Eppure io sono qui, in piedi, e fisso fuori dalla finestra socchiusa quel maledetto bosco che circonda la sua Torre e cerco, nei flussi magici che circondano ogni cosa, traccia del suo ritorno.

Egli è partito, lasciandomi la potestà di governare la Torre in sua assenza, se non tornasse il suo titolo, i suoi manufatti magici, i segreti qui custoditi passerebbero di diritto a me. Se non tornasse sarei io il Maestro della Torre. Se non tornasse . . ma egli tornerà, ne sono certo. Solo ora capisco tante cose. Io sono nato per essere suo. Il suo Apprendista, il suo servo, il suo schiavo. Colui che si accuccia ai suoi piedi e gode della semplice emanazione del suo Potere. Mai, mai riuscirò a essere alla sua altezza, egli è unico, meraviglioso, non riuscirò mai a spingermi oltre lui, e nessun'altro potrà mai. La sua magnificenza, il suo potere, la sua passione, il suo fuoco mi hanno marchiato dentro ben prima che le sue dita incandescenti si posassero sulla mia pelle d'alabastro e la sfregiassero così. Questo non è che un segno fisico di ciò che ho dentro.

Io so che tornerà. Non esiste niente più potente di lui. Lo attenderò per tutta l'eternità se è necessario, finchè egli non varcherà di nuovo la soglia della sua Torre, finchè egli non tornerà a reclamare ciò che è suo.

Il suo titolo.

La sua Torre.

Me.