Nemici naturali 7

di Niane



Pelle di serpente


Un brusio sordo, leggermente ovattato. Un suono di chiacchiere allegre e frasi divertite, pronunciate a voce bassa, alcune stanze più lontano, capaci tuttavia di penetrare il silenzio perfetto ed inquietante, che avvolgeva la notte, e precipitare con la forza di una lama nelle sue orecchie addormentate.
Roy grugnì girandosi tra le lenzuola gelide, rotolando a sinistra fino a sbattere contro la parete del muro. Non avrebbe dovuto esserci alcun muro. Con un mugolio invertì la rotta portandosi questa volta tutto a destra, fino a quando il suo braccio non penzolò nel vuoto. Troppa poca strada e nessun ostacolo. Qualcosa non andava. Con un sospiro, una via di mezzo tra un miagolio ed un guaito infelice, allargò le gambe in entrambe le direzioni: da una parte il muro e dall’altra il vuoto. Decisamente il letto era troppo piccolo. Inspirando aprì gli occhi. La luce, arrossita più dall’inquinamento luminoso che dall’alba incipiente, entrò sonnacchiosa nella camera, permettendogli di vedere la sveglia a forma di pulcino che indicava le 5 del mattino. Davanti a lui c’era un immenso armadio a specchio e, ai suoi piedi, un osceno tappettino peloso a forma di koala. La camera di Dominique.
Dormiva nella camera di Dom. Già. Chiuse gli occhi lanciandosi in uno sbadiglio che mise a dura prova l’elasticità della sua mandibola. Era tutto a posto. Era dal giorno del funerale che occupava quella stanza. Da una settimana. Perché aveva pensato di essere ancora di là con quello?
Leccandosi le labbra si girò verso il muro tirandosi le coperte fin sopra la testa, ma il vocio noioso e pesante lo disturbava ancora.
Con un’imprecazione piuttosto colorita gettò via il piumone, che scrosciò a terra, e saltò giù dal letto, affondando nella moquette che gli solleticò fastidiosamente le piante dei piedi.
Era andato a dormire solo tre ore prima, dopo l’ennesima, inutile, pallosa, schifosa e snervante serata in quel locale idiota e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era essere svegliato in quello che per lui era il cuore della notte da qualche cretino che aveva voglia di ridere. Non era dell’umore adatto per sentire delle risate. Con uno sguardo omicida ed assonnato entrò nel salotto inspirando con forza, pronto a ruggire, ma la stanza era deserta, se si escludevano la televisione che trasmetteva una comica idiota in bianco e nero e Lleroy che dormiva sul divano.
Per un attimo, proprio un istante così breve da non poter essere percepito, il suo cervello frullò l’insana idea di svegliare l’uomo con un bel calcio nelle reni per gridargli di andarsene a dormire in camera con la televisione spenta, ma nella stessa irrisoria frazione di secondo si rese anche conto che sarebbe stato un miscuglio probabilmente mortale. Il cannone non era in vista, ma non dubitava minimamente che Lleroy fosse in grado di uccidere a mani nude e, da un po’ di tempo a quella parte, l’uomo era diventato più cupo e rigido. Espirando rumorosamente afferrò il telecomando dell’immenso teleschermo panoramico, pigiando con forza il tasto di spegnimento, sfogando tutta la sua rabbia sull’innocente pulsante rosso, prima di gettarlo per terra e calciarlo lontano.
Silenzio.
Bene, ora poteva tornare a letto.
Con un sogghigno soddisfatto si girò a fissare nuovamente il corpo addormentato sul comodo divano. Aveva slacciato sia primi bottoni della camicia di seta antracite che la cintura di pitone scuro, ma la giacca bianca e costosa e la cravatta giacevano ai piedi del tavolino di cristallo, in un mucchietto stropicciato che avrebbe raggelato Joshua . Aveva anche tenuto le scarpe e la suola della sinistra premeva contro lo schienale di velluto delicato del divano. Se lui si fosse azzardato a fare una cosa simile probabilmente si sarebbe trovato privo della gamba fino al ginocchio. Contro ogni logica  gli si avvicinò. Non era ancora così vecchio e rimbecillito da non sapere dove cazzo fosse la sua stanza da letto e da dimenticarsi di spegnere la televisione prima di addormentarsi. Invece aveva preferito restare nel salotto gelido con quel cazzo di tv acceso e svegliarlo. L’idea di dargli un bel calcione tornò a fare capolino nella sua testa, ma Lleroy girò improvvisamente il viso verso di lui, costringendolo a trattenere il fiato. Non si era svegliato. Roy lasciò andare il respiro con un sorriso – Quanto sei scemo- mormorò guardandolo attentamente. Non sembrava così pericoloso nel sonno. I tratti del viso erano più morbidi, simili a quelli di Dominique anche se privi dell’accattivante dolcezza del ragazzo, e la cicatrice risaltava cupa, come un monito incomprensibile.
Si piegò su di lui, sfiorandogli una ciocca fulva e scomposta che gli cadeva sul viso, spingendola indietro, per liberargli la fronte alta su cui s’intravedevano sottili linee d’espressione.
-Guarda guarda, vecchiaccio ti stanno spuntando le rughe- lo canzonò sottovoce sfiorandole con un dito, per poi protrarre la carezza lungo la tempia e giù sullo zigomo. Il respiro gli si fece improvvisamente denso, mentre la sua mano si muoveva autonomamente, scivolando a saggiare il collo scoperto, sfiorando il colletto rigido della camicia, per fermarsi sulla clavicola.
Lleroy si mosse nel sonno socchiudendo la bocca e Roy si trovò a piantare i denti nel labbro inferiore. Che razza di storia era? Si stava rammollendo? Lui era un professionista faceva marchette da milioni di anni, era abituato ad eccitare la gente e ad eccitarsi velocemente per compiacere i suoi clienti, ma quello…Ridicolo. Quel morso che sentiva nello stomaco e quei brividi che gli percorrevano la schiena dovevano essere causati dallo sbalzo di temperatura.
Con uno sbuffo sollevò la mano dal petto dell’uomo che spalancò gli occhi afferrandogli il polso in una morsa dura.
- Che stai facendo?- chiese Lleroy. Non c’era traccia di sonno nella sua voce né nei suoi occhi.
- Controllavo se eri ancora vivo o se ti eri già congelato- sbottò in risposta-purtroppo mi pare che sia vera la prima.-
- Peccato- ammise languidamente Lley stiracchiandosi appena sul divano prima di strattonarlo con forza contro di sé, cingendogli la vita con un braccio mentre se lo premeva contro il petto – speravo che tu volessi approfittare di me- borbottò tirandogli indietro i capelli per costringerlo ad alzare il viso ed incontrare la sua bocca.
Le labbra di Roy si socchiusero immediatamente sotto la morbida pressione, concedendo l’accesso alla sua lingua e ad un languore morbido che gli dissolse i muscoli delle gambe.
Con un mugolio soddisfatto Lleroy approfondì il bacio, allungando una mano ad accarezzare la coscia sinistra di Roy, spingendola verso il divano, di modo che il ragazzo si trovasse a cavalcioni sul suo bacino, solo a quel punto risalì lungo il fianco, insinuandosi sotto la seta verde del pigiama per accarezzargli la pelle fredda della schiena.
Roy mugolò piano inarcandosi all’indietro, spingendo i fianchi in avanti, sfregandosi sensualmente contro di lui. – Guarda che non hai che da chiedere e faccio quello che vuoi. Il mio lavoro lo so fare bene- sussurrò insinuando una mano sotto camicia, sfiorandogli il torace.
Con uno scatto secco le dita di Lley gli artigliarono il polso bloccandolo – Roy- lo chiamò con un sospiro stanco cercando d’incrociare i suoi occhi.
- Che vuoi?- chiese il ragazzo ricambiano lo sguardo.
Con una risatina divertita Lleroy lo liberò, tirandosi a sedere accanto a lui sul divano.
- Bè? Che hai da ridere? Uh, non mi dire, non ti si rizza.-
L’uomo gli scoccò un’occhiataccia seria e gelida che riuscì a farlo deglutire e a distogliere distrattamente lo sguardo.
- Stiamo facendo sesso, ti interrompo e tu mi chiedi ‘che vuoi?’ con quel tono da: scusa non rompere la mia squadra forse fa un fuoricampo?-
Roy lo squadrò perplesso per un lungo istante prima di stringersi nelle spalle, rabbrividendo leggermente quando la seta del pigiama gli sfiorò la schiena. Era sicuramente una stoffa bella da vedere, liscia da toccare, ma, dannazione a Dominique!, si raggelava non appena usciti dalle coperte!
- Roy- lo chiamò nuovamente Lleroy fissando la vetrata davanti a lui – non voglio più che tu venga a letto con me.-
Il ragazzo spalancò la bocca e gli occhi rimanendo immobile, incapace di girarsi a guardarlo.
- Ho intenzione di ridurti lo stipendio, di poco non ti preoccupare, e di trovarti altre mansioni, però non devi più sentirti tenuto a fare sesso con me.-
Uno dei cani uggiolò allegramente, grattando con le unghie la porta dell’appartamento e Lleroy si allungò velocissimo verso la propria giacca, afferrando la grossa Smith&Wesson, che giaceva addormentata tra le sue spire pallide, ed armando il cane in un’unica mossa.
Tre colpi lenti bussarono contro la pesante porta di quercia, un attimo di silenzio, poi si sentirono altri due brevi colpi.
- Joshua va a farti fottere! – grugnì rilassandosi, abbassando l’arma, senza tuttavia lasciarla.
- Cos’è? Una proposta? Lo sai che ti amo, ma non sei esattamente il mio tipo.- chiocciò divertita la voce oltre l’uscio
Con un ringhio Lleroy aprì la porta trovandosi davanti al sorriso radioso del suo braccio destro, che annuì compiaciuto allungandogli un sacchettino marrone, leggermente unto, da cui usciva un delicato profumo di brioche calde.
- Vedi? Sapevo che eri sveglio- lo salutò con una mano, cercando di superarlo ed entrare nell’appartamento, ma Lleroy non si mosse, rimanendo bloccato sulla soglia, il braccio sinistro puntellato contro il telaio, il destro saldamente ancorato al battente socchiuso.
- Sarebbe interessante – sibilò guardandolo dritto negli occhi
- Cosa?-
- Vedere cosa accade se do a Blake l’ordine di sbranarti.-
Joshua sorrise scuotendo la testa – Non lo farebbe mai, siamo amici vero cagnolone?- mugolò grattando dietro le orecchie il grosso cane che iniziò a roteare vorticosamente il tondo moncherino di coda.
- Io non ci farei così tanto affidamento, se fossi in te- brontolò Lleroy lasciando il battente per permettergli di entrare.
Come un fulmine, perfettamente conscio di compiere una delle Cose Proibite, che gli sarebbe valsa un enorme castigo, il cane schizzò nell’appartamento, inciampando con le unghie nella moquette troppo morbida, caracollando per la stanza, per atterrare con le zampe anteriori sul divano, il muso sulle cosce di Roy.
- Sbava sul mio divano e sei un arrosto per gatti!- urlò Lleroy e Blake uggiolò tristemente, stendendosi per terra, posando il muso contrito sulle zampe, fissando il padrone con aria colpevole.
- Uh, buongiorno Roy, già in piedi?- lo salutò Joshua riuscendo a trattenere una risata, mentre si chiudeva la porta alle spalle – cavolo don, non è che sei così acido perché vi ho disturbato mentre stavate facendo qualcosa di immorale?-
- Come uccidere qualcuno lentamente riducendolo a pezzi microscopici? Assolutamente no, per quello aspettavo te. Che c’è?- ribatté sfinito sedendosi sul divano, accarezzando con un piede la testa morbida di Blake che si buttò a pancia all’aria.
- Non è che vuoi mangiare qualcosa prima? Escono direttamente dalla delicatessen di Miss Duperr-
- Dalle a lui,- suggerì indicando con un cenno della testa Roy – io già prevedo che mi farai venire l’acidità.-
- Disfattista-
- Roy, perché secondo te mi verrà un attacco di bile?- sospirò Lleroy passandosi una mano sulla cicatrice.
Per un attimo Roy li squadrò entrambi, chiedendosi che cavolo di domande gli ponessero all’alba e al freddo, poi, all’improvviso, comprese.
- Perché ha gli stessi vestiti fronzolosi che aveva ieri sera al locale ed è pure spettinato. Non è rientrato a casa a cambiarsi. Qualsiasi cosa sia, deve essere grave.-
Gli occhi di Josh si socchiusero diventando due fessure appuntite, poi l’uomo sorrise compiaciuto appoggiando il sacchetto delle brioche su una mensola fuori della portata del cane. – Complimenti Roy, stai iniziando a notare i dettagli. Ok, capo: siamo nella merda.-
Il don sbuffò allungando un braccio sulla testiera del divano,- Ma va? Questa sì che è una novità! Mi sembrava troppo strano che, da un mese a questa parte, tutto girasse così dannatamente storto.- Con un ringhio si alzò di scatto – Che cazzo c’è ancora?- chiese. Non aveva urlato, ma Roy si trovò a pensare che l’avrebbe preferito a quel tono gelido e sarcastico. Joshua si passò una mano sul viso tirato, sembrava stanco anche lui. Era come se una forza di gravità anomala schiacciasse i fili delle spalle dei due uomini che si sforzavano, con poco successo, di camminare eretti.
- Ho accompagnato a casa miss DeLacruz come mi hai ordinato- spiegò con una voce calma ma bassa, che si strascicava a fatica oltre le sue labbra –Solo che, quando siamo arrivati, ci siamo accorti che in casa c’era una luce accesa. Lei si è preoccupata e io sono salito a controllare. Tranquillo, era tutto a posto. Probabilmente se l’è dimenticata accesa lei quando è uscita. In ogni caso sono rimasto a tenere compagnia per un po’ sai…per ogni evenienza. –Una smorfia strana comparve sul viso di Lley, mentre le dita di Joshua cincischiavano con le pieghe dei propri pantaloni.
- Ne abbiamo anche approfittato per fare quattro chiacchiere e forse dovresti…-
- Non è per Faith che mi hai buttato giù dal letto, vero Josh?-
L’uomo lo fissò per un istante, poi scosse la testa sconfitto – No. Ovviamente no. – sospirò pesantemente – Quando sono uscito era ormai davvero tardi, ma sono passato davanti al Purple. Non chiedermi perché, che non lo so, ma l’ho fatto. Ed ho trovato Ros che litigava con la donna delle pulizie- la sua voce calò fino a spegnersi in un fastidioso silenzio. Lleroy si alzò strisciando i piedi, coprendo la distanza che lo separava dall’ampia vetrata. Giù le luci dei lampioni, ancora accese, impallidivano dolcemente nell’albeggiare ritardatario ed offuscato, diventando simili ad un nugolo di lucette notturne per bambini.
- Continua- ordinò senza voltarsi: sotto di lui New York sembrava scorrere soffice ed accogliente.
- Hanno trovato questo – ubbidì senza scomporsi,allungando un foglietto ripiegato a metà.
Roy fissò la mano tesa verso di lui semplicemente basito.
- Leggiglielo tu- l’incoraggiò Joshua lasciandolo cadere e, istintivamente, il ragazzo allungò la mano afferrandolo tra le dita. Il suo cuore mancò un battito proiettandolo in un dejà vu: era come se, ancora una volta, la porta della sua cameretta fosse stata aperta di colpo. Eddie, che questa volta aveva una cicatrice sopra l’occhio ed una maglietta attillatissima ricca di volant, lo fissava sorridendo dalla soglia. Un Eddie che gli avrebbe insegnato, sì, ancora una volta, qualcosa che lui non avrebbe voluto imparare.
- Ti avevo avvertito- mormorò raucamente leggendo il pallido inchiostro verde, ignorando i tremiti disgustati del proprio cuore –vuoi morire?.-
Il silenzio ridacchiò maligno insinuandosi gelidamente tra di loro.
- Non è stato Erick- borbotto impacciatamene Roy, lisciando febbrilmente il pezzetto di carta
Lleroy annuì impercettibilmente – Convoca gli uomini, il prima possibile. Bisogna ripristinare lo stato di guardia- ordinò stancamente girandosi di scatto e lasciando la stanza senza aggiungere altro.
Joshua gemette piano, gettando la testa all’indietro, contro il morbido schienale ed allungando un piede a torturare la pelliccia corta di Blake. – Non ci voleva- sussurrò passandosi una mano sul viso, cercando inutilmente di scacciare la stanchezza che gli appesantiva gli occhi.
- Ma se non è stato Erick allora chi…-, azzardò Roy, ma Joshua scosse la testa interrompendolo – Ronny, sai qual è la cosa fottutamente peggiore in tutto ciò? Quella che proprio me li fa girare così vorticosamente che potrebbero decollare?Il fatto che Erick ci avrebbe messo un attimo a scoprire il mandante di sto schifo. Lui era la nostra Intelligence, la CIA, il reparto segreto degli x-files e pure il KGB tutto assieme e noi ci affidavamo pedissequamente a lui. Non ci interessava come facesse, l’unica cosa che ci importava era che avesse sempre le risposte ad ogni domanda. E per di più era un amico. Abbiamo cominciato noi tre. Noi tre abbiamo tirato su un sistema che avrebbe potuto scardinare la Famiglia DeChicco…se Lleroy non ne fosse stato l’erede. E poi tac. Quel coglione tradisce e non si sa nemmeno perché...e poi tac di nuovo i messaggi continuano. Facciamo i banali e parafrasiamo Amleto: c’è del marcio nel Purple. Qualcun altro che trama nell’ombra. E questo fa male, Ronny. Quando non ti puoi più fidare delle persone di cui ti fidi ciecamente, allora di chi ti puoi fidare?-
Roy lo guardò in silenzio, non poteva essergli utile. Una delle prime cose che aveva imparato, ancor prima che Eddie gli insegnasse a fare una sega, era stato proprio che non ci si poteva fidare di nessuno. Nemmeno di tuo fratello.
Joshua sorrise stiracchiandosi -Roy?- lo chiamò piano, per assicurarsi di avere tutta la sua attenzione – per favore: stagli accanto. Non è facile per lui, ora. Non è facile nemmeno per me, ho sempre considerato Tony come…-sospirò grattandosi la testa con forza, rinunciando stancamente a spiegarsi, – ma io almeno non ho l’onere di dover raccogliere la sua eredità. Persone con cui parlare, rapporti da rinsaldare. Tutti quelli che l’hanno abbracciato al funerale sono in attesa, pronti a scagliarglisi contro al primo segno di debolezza. Immaginati pure dei corvacci schifosi, appollaiati sul fili in attesa che il contadino si giri un istante per poi piombarsi sui semi appena piantati. E per di più c’è anche tutto questo bel casino con i cinesi e gli italiani. Io ho paura che….che scoppi. Forse non sarei dovuto venire qui. Se avessi saputo che eravate impegnati, cazzo, non l’avrei fatto, credimi. Un po’ di distrazione è quello che gli serve ora. Io tolgo il disturbo. Mi cambio e vado a fare un po’ di ginnastica, chissà che mi scarichi. – confesso inarcandosi languidamente, permettendo alla licra nera di aderire al suo corpo come una seconda, impalpabile pelle e disegnargli i muscoli scolpiti del torace, si alzò avvicinadoglisi – Tu, bè potreste provare a riprendere quello che ho interrotto e poi buttarvi tutti e due a letto- suggerì posandogli una mano sulla testa, cercando di pettinare i ciuffi ribelli con le dita – a dormire- aggiunse strizzandogli un occhio. – Blake in piedi!- ordinò e il cane rispose immediatamente al suo tono di comando,– Andiamo! In questa casa si stanno per compiere atti osceni ed immorali non adatti ad un cucciolo- ridacchiò afferrando il collare borchiato e trascinando il cane riottoso fuori dell’appartamento.
Per alcuni minuti Roy rimase seduto immobile, fissando la porta d’ingresso come un nemico. Atti osceni ed immorali? Riprendere quello che avevano interrotto? E cosa era stato interrotto? La sua riduzione di stipendio? Uno scaricamento in corso? Forse un licenziamento? Era la prima volta che qualcuno non lo voleva più. E poi perché diavolo affidava il suo preziosissimo don a lui, se aveva appena ammesso che non sapevano più di chi fidarsi? Si alzò controvoglia, stringendosi nelle spalle per raggiungere la macchinetta del caffè, aspettando un paio di lenti secoli che il liquido nero scivolasse goccia a goccia nella grossa boccia di vetro. A parte i piedi nudi, che reclamavano a gran voce un po’ di calore, non sentiva più freddo. Qualcosa dentro di lui si era acceso riscaldandolo. Qualcosa che si agitava nel suo petto appesantendolo in modo angoscioso.
Con uno sbadiglio afferrò la caffettiera e due tazze, trascinandosi svogliatamente fino allo studio.
Come al solito Lleroy era al buio, seduto dietro la scrivania.
- Joshua dice che dovremmo parlare- esordì depositando sul tavolo la caffettiera, una tazza e il foglietto minatorio – ma non è proprio che io crepi dalla voglia di farlo, per cui se vuoi me ne torno a letto.- annunciò lasciandosi cadere nell’ampia poltrona davanti a lui.
- Resta.- sussurrò - Dobbiamo chiarire alcune cose e lo dobbiamo fare il prima possibile, per cui tanto vale parlarne adesso. Ora sono il padrino, Roy. Non posso più sfruttare certe situazioni a mio esclusivo vantaggio.- ancora quel tono freddo, distaccato. Vecchio. - Non ti pagherò più per venire a letto con me. Oggi stesso tua madre riceverà la proposta di dirigere una mia industria tessile così non dovrai più preoccuparti di doverle mandare a casa gli alimenti. Né a lei né a tuo fratello. Troverò un posto anche a lui. Ovviamente il tuo compenso sarà un po’ ridotto.-
- E il mio ruolo in tutto ciò?- chiese incapace di raccapezzarsi in tutto quel discorso. Se non lo voleva più come amante perché diamine si preoccupava di aiutare la sua famiglia?
- Sostituirai Erick. Raccoglierai informazioni.
Roy sbuffò accavallando le gambe – Io? Non so nemmeno usare un pc-.
- Imparerai. Con calma. Sei uno dei miei uomini e loro sono i migliori. Conoscerai i trucchi, i sistemi e le persone. Non devi prendere il suo posto subito, datti il tuo tempo. I mie progetti sono a lunga scadenza: New York non si conquista in due giorni.-
- Perché? Non fa per me. Io sono un esperto di bocchini…-
- Bene, mister genio della marchetta, cosa avevi pensato per il tuo futuro?Per quando saresti stato vecchio, un trentenne che nessuno avrebbe più pagato? Che altro saresti andato a fare?-
Roy lo fissò attentamente. Doveva esserci il trucco. Lleroy aveva superato i trenta e non si sarebbe definito mai un vecchio. Il Central scorse davanti ai suoi occhi al rallentatore. Donovan. Mark. Il Trullo. Gio’ la mosca. E tutti gli altri ragazzi. Tutti i suoi compagni. Tutti giovani come lui. Solo Felicica aveva 27 anni. Felicica che loro canzonavano come vecchia. Felicica che veniva ancora cercato perché era un trans.
- Non lo so. Non ci avevo mai pensato. Non credo di… solo che non avevo mai pensato di poter vivere tanto a lungo tutto qui.-, ammise stringendosi nelle spalle.
Lleroy aprì la bocca e la richiuse, accarezzandosi piano la tempia sana. – Ok- mormorò alla fine resistendo all’impulso di alzarsi, sbatterlo sul divano di pelle e farlo ansimare fino a cancellargli quell’espressione disillusa dalla faccia – Ci pensi ora. Imparerai. Anche l’ultimo degli idioti sa usare un pc.-
-Mi stai dando dell’idiota?-
Lleroy sogghignò senza rispondere limitandosi a riempirsi la tazza di caffé.
- Tutto questo discorso vuol anche dire che me ne posso andare?-
- E dove?-
- Che ne so, in un mio appartamento
- No. Finché non sarai maggiorenne sei sotto la mia tutela e resti qui. –
- Ma tu non sei il mio tutore! E se non vengo a letto con te perché devo stare qui?-.
- Non sai nemmeno difenderti. Fai parte della Famiglia e mi devo preoccupare anche della tua incolumità.-
- La mia incolumità? La mia? Faith è la tua fidanzata ed è una donna e vive da sola! A lei chi la protegge?-
Lleroy lo fissò basito e, non appena i loro occhi s’incontrarono, Roy abbassò lo sguardo contrariato – Sì, ok, lo so, non occorre che mi dici che è stata una domanda idiota. Figuriamoci se quella ha bisogno di essere protetta.-
- Voglio che continui a venire al Purple, ma solo per farti vedere in giro. D’ora in avanti il tuo lavoro, full time, sarà imparare le tecniche di difesa ed offesa e a sparare come si deve con qualsiasi tipo di arma. Ho paura che dovrai rovesciare i tuoi ritmi vitali: il tuo insegnante preferisce il mattino-
- Il mio insegnate?-
- Joshua-
Un gemito angosciato sfuggì dalle labbra di Roy, facendo, finalmente, sorridere l’uomo davanti a lui.


                       Con un versetto sofferente, muovendosi più simile ad un automa arrugginito che ad un essere umano, riuscì ad appollaiarsi su uno degli alti, comodi sgabelli del bar. O perlomeno su uno di quelli che avrebbero dovuto essere uno sgabello comodo e che, invece, gli sembrava duro e spigoloso come uno scoglio.
- Mi sembri ridotto maluccio,amore mio- sghignazzò Michael appoggiando un bicchiere di pina colada sul bancone davanti a lui, guardandolo negli occhi. Roy sbuffò cercando di sistemarsi il meno dolorosamente possibile. All’inizio si era aspettato un corso faticoso e massacrante, ora dopo una settimana di sveglie all’alba ed allenamenti che gli liquefacevano i muscoli e le ossa, avrebbe desiderato un corso semplicemente faticoso e massacrante.
- Mi piacerebbe essere ridotto solo maluccio – bofonchiò spingendosi i capelli via dalla fronte – invece non solo mi sento così a pezzi che se vuoi puoi smontarmi, ma devo anche mettere ‘sta roba addosso.-
Il ragazzo sorrise dolcemente posandogli una mano sulla guancia – I pantaloni di pelle ti stanno da dio però sai? Ed anche questa camicia amaranto, mette in risalto i tuoi occhi, fai venire voglia di sedurti-.
-Allora mentre tu ti scopi lui io posso farmi il tuo ragazzo, eh Mike?- chiese acidamente civettuola la voce bassa dietro le spalle di Roy. Due mani sottili, dalle dita lunghe e ben curate scivolarono sulle spalle del ragazzo, scendendo fino ai pettorali, fermandosi all’altezza del rilievo addormentato dei capezzoli sottolineati dalla stoffa. – oppure potrei unirmi a voi due? Ho sempre desiderato mettere le mani addosso ad entrambi- mormorò roca, soffiando contro il padiglione auricolare di Roy.
Michael sorrise, una smorfia dura – Scusa Terence, ma non sei il mio tipo.- sibilò voltandosi per ripulire lo shaker.
Terence sogghignò continuando a tenere le mani sul corpo immobile di Roy che aveva iniziato a respirare lentamente, mettendo a frutto i primi insegnamenti di Joshua: la calma prima di tutto.
- Stai continuando a portare continue rivoluzioni qua dentro, cuccioletto, prima sbattono il miglior barista al ristorante per far spazio a te, poi ti tolgono dal bar e rimettono qui lui…ma io ancor a non ho capito cosa fai tu ora. Non sei un cameriere, ma non mi pare che lavori nemmeno come intrattenitore, cosa fai?- sussurrò sfiorandogli il lobo con le labbra. Il corpo di Roy si tese in attesa di un ordine del suo cervello: scattare e gettare quell’ idiota lontano o cominciare ad eccitarsi? – Stai perdendo il tuo fascino, piccola tigre? Perché, se non mi sbaglio, nemmeno Lleroy ti sbatte più- aggiunse con n tono soddisfatto, iniziando a carezzare un capezzolo. – vuoi che ti insegni qualche altro trucchetto? Qualche posizione degna di questo nome? Non vorrei che tra un po’ il capo riprendesse a chiamarmi per soddisfarlo, sono così impegnato ultimamente – chiocciò prima di gemere di dolore. Inconsciamente le dita di Roy si erano chiuse sulla mano che lo stava accarezzando, premendo con forza sul nervo del dorso.
- So che la cosa ti farebbe non poco piacere, ma credo che si possa escludere, visto che al momento io continuo a vivere con lui- sibilò acido in riposta scendendo dallo sgabello.
Terence lo squadrò crudelmente strattonando la mano fino a liberarsi con un ringhio – Non è vero- disse tra i denti, ma Roy sorrise – Oh sì che lo è- rispose sottovoce stringendosi nelle spalle, allontanandosi con noncuranza. Non aveva la benché minima idea del perché gli avesse riposto in quel modo, né del perché gli avessero dato tanto fastidio le parole di quella checca mal riuscita. Lui ora era uno degli uomini del padrino, non avrebbe dovuto interessargli con chi Lleroy si trastullava. Di sicuro non era stata una semplice questione di orgoglio. Anche senza gli insegnamenti di Joshua sul come leggere i comportamenti ed i toni di voce delle persone, era più che in grado di decifrare gli sguardi ammirati e vogliosi che molti dei clienti gli lanciavano. Il fatto che non fosse più dietro al bancone del bar e che il suo ruolo non fosse chiaro a nessuno, se non a quella mente vecchia ed intorpidita di Lleroy, davano l’errata impressione che fosse di nuovo abbordabile.
- Ti sta mangiando con gli occhi- ridacchiò Faith avvicinandoglisi ancheggiando.
- Chi?-
- Il calvo laggiù-
Roy sbuffò socchiudendo gli occhi – Cavolo sei brava, ci vogliono i superpoteri per individuare un paio di occhi in mezzo a tutta quella pappagorgia.-
La donna rise spettinandogli i capelli.
- Sei bellissima, stasera- mormorò affascinato, guardandola attentamente e lei si mise in posa strizzandogli un occhio – Missoni. Ultimo grido in Italia -
- Non parlavo del vestito. Parlavo di te sei più...più…-
Faith socchiuse gli occhi premendoglisi contro accarezzandogli civettuola un braccio – Cos’è piccolo dongiovanni ora che sono una donna libera ci vuoi provare con me? Dillo chiaramente, la mia risposta potrebbe sorprenderti.-
Roy sgranò gli occhi – Dio che schifo no…Cioè… -, ma Faith ridacchiò dandogli un leggero colpetto sulla nuca. Non aveva bisogno di chiarimenti, sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo il ragazzino, l’aveva visto lei stessa. All’inizio, quando Lleroy aveva dato l’annuncio davanti a tutti, durante una riunione improvvisa alcuni giorni prima, senza nemmeno essersi degnato di consultarla o avvertirla, si era sentita morire di vergogna. Lei, miss Delacruz, unica indiscussa erede dell’immenso impero finanziario dei Delacruz, lei capace di farsi rispettare da maschilisti rozzi e dalla mente acuta come quella di un lombrico, esperta conoscitrice di quattro lingue diverse, ottima pistolera, nonché elegantissima e bella donna era stata rifiutata.
Una bella pallottola calibro .44 in piena fronte l’avrebbe sbalordita meno eppure, qualcosina dentro di lei si era attesa una mossa simile. Non ci aveva voluto pensare, certamente no, ma se l’aspettava. Antonio DeChicco era morto e l’unico motivo per cui Lleroy aveva portato avanti per tanti anni quel fidanzamento-pagliacciata era stato proprio suo padre. Il nuovo padrino non avena nessuna intenzione di sposare una donna che non amava o, per essere precisi il nuovo padrino non aveva nessuna intenzione di sposare una donna punto. Se la stanza non fosse stata gremita dei più fedeli tra gli uomini del don, probabilmente avrebbe scaraventato Lleroy sul tavolo e l’avrebbe castrato, tanto era offesa! Sciogliere un fidanzamento durato quattro anni. Su due piedi. Così, senza nemmeno avvertirla. E suo padre? Cosa aveva fatto l’orgogliosissimo Diego Delacruz? Aveva imbastito una crociata per difendere l’onore leso della figlia? Macchè, si era stretto nelle spalle, le aveva accarezzato la testa e le aveva detto: ‘C’era da aspettarselo’. Suo padre, l’uomo che appena pochi anni prima se ne era strafregato dei suoi sentimenti per l’insegnate di economia e aveva imposto quel fidanzamento tanto a lei quanto al buon vecchio Tony, adesso aveva abbassato la coda uggiolando, spaventato dalla potenza del nuovo giovane Dechicco. Nell’arco di appena poche ore la sua vita era cambiata radicalmente, restando esattamente la stessa, senza tuttavia quel velo di angoscia che le offuscava la vista, senza la consapevolezza di non essere all’altezza. Il desiderio di taglierglielo a pezzetti così piccoli da farli passare per la capocchia di uno spillo restava, ma assieme ad essa c’era anche un immenso, visibile sollievo.
- Terrificante- mormorò spingendosi i capelli dietro un orecchio – tutta questa fatica per restare magra e bella e poi andrà a finire che morirò zitella-
- Solo perché guardi dalla parte sbagliata- le sussurrò Lleroy comparendo dal nulla - se smettessi di provarci con Roy e girassi un po’ lo sguardo…-
Faith si strinse nelle spalle ubbidendo: c’era il calvo con il quadruplo mento ancora intento a fantasticare sul ragazzo, Terence che ci provava in un modo terribilmente appariscente e forzato con il vice-procuratore generale, Joshua avvolto in una nube di tulle verdi e rossi, completamente inutili dal momento che non coprivano nemmeno un centimetro della pelle del petto dolcemente dorata. Lo sguardo dell’uomo incontrò il suo e si sorrisero a distanza. Poi c’era un bell’uomo, alto, moro, dal fisico scolpito da anni di palestra, che avanzava furiosamente tra gli invitati, rifilando gomitate a destra e a manca.
- Kinsley?- borbottò perplessa.
Roy sogghignò divertito – Credo che Dom sarebbe capace di raparti a zero se ci provassi con il suo uomo.-, ma la donna non sorrise scuotendo la testa – No, c’è Kinsley. Qui- disse indicandolo, poco educatamente, con il dito.
Le labbra di Lleroy si strinsero in una linea sottile, appena visibile. Il poliziotto avanzava deciso verso di loro, seguito da un Ros leggermente barcollante che si premeva con forza una mano sullo stomaco.
- Tu- sibilò l’uomo raggiungendo il terzetto. Aveva i capelli spettinati e la voce affannata.
- Scusa capo, mi ha preso alla sprovvista- ansimò il buttafuori posando una mano sulla spalla dell’intruso
- Lascia stare Ros. Per ora va tutto bene. Che vuoi Kinsley? Non mi pare di averti chiesto di venirmi a trovare. O forse…Dom ti ha già scaricato?- domandò con un sorriso maligno.
- Vaffanculo tu e tutti quelli come te. Non pensare che mi faccia piacere vedere la tua faccia –sibilò
Dietro di lui il gorilla si erse in tutta la sua altezza, facendo schioccare le dita – Come ti perm…- ma una mano affusolata gli si appoggiò sul bicipite prominente – Qui ci penso io Ros, torna alla porta- lo congedò con calma Joshua, ottenendo in cambio un cenno di assenso.
– E non avrei mai messo piede qua dentro se tu ti degnassi di rispondere al cellulare. Non farmi perdere altro tempo, ho dovuto lasciare Dom in macchina da solo e non sta niente bene: l’hanno aggredito.
Con un ringhio Lleroy lo scostò correndo fuori, seguito immediatamente da Josua che stringeva tra le mani il suo inseparabile boa di piume.
- Cazzo capo, sei disarmato- sibilò mettendoglisi davanti, costringendolo a fermarsi – vado prima io, stammi dietro per favore. E tu invece proprio non uscire- ordinò scoccando un’occhiata glaciale a Faith.
- La mia auto è quella- gridò Kinsley dietro di loro indicando un’ Audi(prego dare un modello di audi appropriato ad un poliziotto a cui le macchine interessano poco o nulla e che non ha tanti soldi grazie^_^)blu notte. Joshua sollevò gli occhi, scrutando la strada. La gente passeggiava ignara, chiacchierando rumorosamente, gettando qualche sguardo distratto. Con la coda dell’occhio vide il febbrile movimento nel vicolo alle sue spalle, il riflesso delle luci gialline sulle canne scurite dei fucili e sorrise rilassandosi. Anche se fossero stati ancora nei dintorni i suoi uomini erano pronti a falciarli tutti.
Con uno sbuffo Lleroy lo superò spingendolo da parte spalancando la portiera dell’auto per scrutare l’abitacolo scuro.
Dominique era accasciato sul sedile del passeggero, la testa buttata all’indietro, gli occhi chiusi. Nonostante la penombra il viso era pallido e teso.
- Che è accaduto?- sibilò scavalcando Kinsley per infilarsi nella macchina – Ehi Dom?-
Dominique mugugnò qualcosa poi aprì gli occhi incontrando quelli del fratello – Merda, Jo mi ha preso in giro, ha detto che non ti avrebbe chiamato- piagnucolò – ora dovrà farmi almeno otto pompini per farsi perdonare, ecco-
- Bhè, a quanto pare non hanno fatto grossi danni- sorrise Lleroy fissando il grosso ematoma in piena fioritura sul suo viso
-‘Sti bastardi mi hanno preso in testa! Proprio dove mi sono fatto male!-
Lleroy annuì sorridendo – L’importante è che continuino a non colpire i punti vitali.-
-Fratellino? Ti ho mai detto che sei sconciamente stronzo?- mugolò piano tornando a chiudere gli occhi ed appoggiando la fronte al vetro del finestrino.
Il sorriso di Lleroy si spense, venendo sostituito da un’espressione gelida – Che diavolo è accaduto, Kinsley? Non dovevi proteggerlo?- sibilò.
- La solita intelligenza maschile! Stare tutti qui fuori al freddo a discutere con Dom, piccolino, ferito in macchina. Cafoni che non siete altro!- sbottò Faith fissandoli in cagnesco.
- Pensavo dovessi aspettarci dentro- mormorò Joshua arretrando impercettibilmente non appena si rese conto del proprio errore. Gli occhi della donna saettavano, cercando di incenerirli tutti.
- Da quando in qua prendo ordini da te? Da quando prendo ordini da chicchessia? Portatelo dentro, almeno! Ha bisogno di un po’ di calore.-
Gli uomini la fissarono per un istante in silenzio, poi Joshua annuì spostandosi velocemente dalla parte del passeggero, aiutando Dominique a scendere lentamente dalla macchina, sostenendolo per la vita.
- Ce la fai a camminare?- chiese squadrandolo preoccupato. Il viso era terribilmente pallido, arrossato solo dove le botte subite cominciavano ad ingrossarsi per l’ematoma.
- Si, credo di sì- borbottò mordendosi il labbro inferiore tra i denti, riuscendo solo a rompere una sottile crosticina che ricominciò a sanguinare.Un piede davanti all’altro diretto,( più o meno), oltre la soglia del Purple, zigzagando( questo invece gli veniva piuttosto bene), tra i clienti del locale, fino al rifugio sicuro dell’ufficio. Non si sarebbe fatto vedere debole. – Tutto ok, ho solo gli arcieri di Lothlorien che si esercitano a prendere di mira il mio cervello, ma è ok- borbottò guardandosi intorno.
Joshua lo fissò stralunato– I che cosa?-
Roy si schiarì la voce, tossendo debolmente – Sono elfi, si tratta di un libro- spiegò prendendo mentalmente nota di non prestare ai più nessun tipo di libro a Dom.
- Siediti lì- ordinò Lleroy indicando una delle due ampie poltroncine di pelle.
- Oh non disturbarti per me, io mi siedo anche in braccio a Joey- chiocciò Dom accasciandosi tra i cuscini.
- Tu farai meglio a stare seduto fermo e zitto e raccontarmi che cazzo è accaduto.- grugnì Lleroy prendendo posto nella sua solita poltroncina dietro la scrivania.
Con un sospiro stanco Dom si allungò più comodamente tra i cuscini, chiudendo gli occhi.
- Eiji- disse semplicemente. – credo non gli vada giù che gli abbiamo fatto fuori…- s’interruppe mordendosi le labbra. Il cinese l’aveva preso alla sprovvista mentre aspettava che Jo lo raggiungesse al parco. L’errore era stato suo, aveva pensato che per un po’ le cose si fossero calmate, ma quel bamboccio dagli occhi lunghi non la pensava così. Gli avevano fatto secco quello che per lui era allo stesso tempo l’amante e la spia. Il loro traditore. Uno dei migliori amici di suo fratello. Erick. - Si è voluto vendicare perché gli abbiamo rovinato i piani- mormorò alla fine.
Lleroy scosse la testa con violenza. Ancora una volta. Quell’avanzo dagli occhi microscopici aveva osato ancora minacciare un DeChicco. Inspirò incrociando lo sguardo di Joshua che lo fissava seriamente. Lo sapeva anche lui. Erano stati varcati confini proibiti. Non ci sarebbe stato più spazio per accordi e mosse politiche, se volevano sopravvivere era giunta l’ora di lottare. E lui non era intenzionato solo a sopravvivere.
- Bastardi- sibilò Roy rifilando un portentoso calcio alla gamba della scrivania – Perché se la prendono con te? Perché non hanno il coraggio delle loro azioni e non escono allo scoperto?-
- Perché è la mafia- spiegò placidamente Joey osservandolo attentamente mentre parlava. Era ancora un ragazzino implume, forse, se avesse capito in cosa si stava invischiando, forse… - non si colpisce mai la preda. Quella la tieni viva, la schiavizzi con il terrore. Minacci gli innocenti. I figli. I genitori. I nonni. Gli affetti deboli. E con la minaccia continua rivolta a chi non si può difendere tieni in schiavitù la persona che ti interessa. Questa è la mafia: un covo di codardi che si fa grande spaventando gli altri.-
Faith annuì con decisione – ottima spiegazione. Peccato che ti sia dimenticato di dire che questo è un sistema che di solito viene usato per personaggi quali senatori, giudici, amministratori, grossi affaristi che prima chiedono il nostro aiuto e poi ops fingono di non conoscerci. Di pubbliche personalità un pochettino corrotte che si intascano tre quarti delle somme che dovrebbero servire per la sistemazione di opere pubbliche.-
Roy fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altro per incrociare alla fine quello di Dominique che gli sorrise strizzandogli un occhio, prima di gemere sonoramente.
Joey si piegò su di lui, posandogli una mano sulla spalla, mentre Faith gli si inginocchiava accanto , prendendogli una mano – Tutto bene, tesoro?-
- Questo allora vuol dire che Dom sarà sempre in pericolo- mormorò piano Roy cercando gli occhi di Lley. Ma il don teneva gli occhi chiusi dietro le lenti scure, infastidito dalla luce.
Un silenzio pesante impestò la stanza, restringendo le pareti quasi fino a soffocarli.
- Nonostante lui non voglia…nonostante non c’entri nulla e tuo padre l’abbia ripudiato continueranno a prenderlo di mira?- ripeté ampliando il concetto. – Cosa fa la polizia in questi casi?-
Fu Joshua a rispondere, gettandosi vezzosamente la stola dietro le spalle – Non può fare nulla. Per i pentiti può imbastire un sistema di protezione testimoni, ma questo implicherebbe un tradimento della famiglia da parte di Dom e,- aggiunse anticipando il pensiero di Roy – anche se Dom facesse finta di pentirsi ed ottenesse una sorveglianza speciale, questo non lo salverebbe. Temo che per Eiji sia una questione personale, per di più alcuni dei nostri uomini potrebbero decidere che è troppo pericoloso e di farlo fuori per mettersi in luce agli occhi del don. Un’altra soluzione…potrebbe cambiare identità…-
Gli occhi di Dominique si sgranarono assumendo al grandezza di due piattini da caffè – Tu sei pazzo, la mia bellissima nonché perfetta faccia non si tocca, la plastica te la fai te che ne hai bisogno.-
Joshua s’irrigidì fissandolo per un attimo, indeciso, ma l’insolito silenzio del proprio amico nonché capo gli fece capire che non era il momento migliore per ribattere alle scempiaggini di Dom. Avrebbe smorzato la tensione, senza dubbio, ma avrebbe corso il rischio di far scoppiare definitivamente Lley e lui non ci teneva a vederlo arrabbiato.
-Ma allora…- sussurrò Roy scuotendo la testa.
- Allora resta una sola soluzione: deve andarsene- suggerì Joey.
Lleroy sollevò il viso sfidandolo con gli occhi - E dove?-
- Lontano da qui-
-Magari con te, vero?-
Joey annuì.
- Uh che bello, potremmo andare in Australia, potrei studiare veterinaria, aprire uno studio…- propose Dominique con aria sognante, ripescando, da non sapeva bene nemmeno lui, il sogno della sua infanzia.
- potrebbe essere una buona idea- assentì sottovoce Joshua – un’ottima idea.-
- No-. Secco. Inderogabile.
Joshua sospirò e Joey si alzò afferrando la mano di Dominique.
- Ed invece è quello che faremo. Ce ne andremo in Australia- disse aiutando il ragazzo ad alzarsi.
Dom aprì la bocca guardando prima l’amante poi il fratello. Non era esattamente quello che aveva voluto. Voleva stemperare l’atmosfera, risollevare un po’ il morale, non scatenare una lite tra le due persone a cui voleva più bene. – Io..- mormorò piano, ma le dita di Joey si chiusero sul suo polso.
- Tu non puoi restare qui. Per te è troppo pericoloso. Ha già dato prova di non saper proteggere ciò che ama- sibilò maligno. Con uno scatto veloce Joshua si portò davanti al poliziotto coprendolo con il proprio corpo – Lley calma- sussurrò guardandolo dritto negli occhi. Era stato l’unico nella stanza a notare la mano destra che era scivolata sotto la giacca e stringeva convulsamente il calcio della pistola. – Voi due andatevene.-
Per un lungo momento Kinsley si limitò a sostenere lo sguardo del DeChicco, poi le dita calde di Dominique si strinsero attorno alle sue e si risolse a lasciare la stanza.
- Mi dispiace dirlo capo, ma ha ragione…-
- Non andrà da nessuna parte, non con lui- sibilò glaciale.
- E’una cazzata! Lui lo ama! E Kinsley è un ottimo poliziotto e saprà proteggerlo. Non puoi permettere che il tuo odio per lui rovini la vita di Dominique!-
- Non mi dire cosa posso o non posso fare-
Gli occhi di Joshua si socchiusero in due fessure minacciose. Era la prima volta che Roy lo vedeva così: serio e dannatamente pericoloso. – Una volta eri un tipo ragionevole sai? Vuoi mandarlo a morte certa? Quanto pensi che ci metteranno i cinesi a rimandartelo a pezzettini? E dopo cosa farai? Non ti è bastato il casino che hai fatto sputtanandolo davanti a Tony? Cazzo Lleroy! Sei più gay di lui ed invece di aiutarlo ad accettarsi sei andato da papà a fare la spia! L’hai fatto allontanare dalla famiglia! Un moccioso imberbe che non chiedeva che un po’ di affetto! E adesso cosa vuoi? Portargli via anche il fidanzato? Rovinargli la vita un’ altra volta adesso che è felice?-
Lleroy si alzò in piedi spingendo lontano la poltroncina girevole che cigolò con disappunto – Se fossi in te io modererei i toni-
- Grazie a dio non lo sei, sottospecie di pallone gonfiato che non sei altro! Tu pensi di minacciare me? Ma ti senti? Cos’è il titolo di don ti ha dato alla testa? C’è un’unica cosa ragionevole da fare e tu non la vuoi fare! Sai che ti dico? Arrangianti. Io mi chiamo fuori, io non ne posso più! Crepa tu e lui e andate a farvi fottere, anzi no che potrebbe piacerti troppo- gridò dando un pugno al portapenne di legno che si ruppe in due pezzi, prima di girarsi e sbattere la porta con tanta violenza che rimbalzò sui cardini e si riaprì.
Fith aprì la bocca e la richiuse scuotendo la testa. Per un attimo fissò Lleroy, poi Roy e tornò ad aprire la bocca. Con un sospiro lasciò la stanza chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Per un lungo momento Lleroy rimase in piedi immobile sotto lo sguardo perplesso di Roy, poi afferrò la sedia, sedendosi.
- Si è incazzato di brutto- sussurrò Roy mordendosi il labbro. Non voleva lasciarlo solo, ma non sapeva nemmeno cosa dire. Con sua enorme sorpresa Lleroy rise.
- Già. Era una vita che non mi mandava a farmi fottere. – spiegò placidamente – oh non fare quella faccia- lo tranquillizzò notando la sua espressione allibita – gli passerà, tanto sa di aver ragione.-
Roy lo scrutò per un momento, prima di avvicinarsi e sedersi sul bordo della scrivania accanto a lui
- Sei impazzito. Il sangue ti è andato alla testa e hai avuto un ictus e ora sei pazzo. Giusto.-
Lleroy chiuse gli occhi allungando la mano fino a raggiungere il pulsante che spegneva la luce, proiettando la stanza nella penombra.
- Sono un uomo, so riconoscere quando ho torto.-
- Ma allora perché tutta quella scena…-
Lleroy sorrise mestamente posandogli una mano sul ginocchio. Il calore del palmo penetrava attraverso la pelle sottile dei pantaloni. – All’inizio eravamo in tre.- mormorò - Lui, io ed Erick. Erick è sempre stato il più calmo tra di noi. Quello che trovava il modo di mettere a frutto le mie idee e quello capace di convincere gli sbirri a non sbatterci tutti in galera. Se non avessi avuto loro al mio fianco non sarei stato così potente ed ora mi troverei a dover lottare per imporre il dominio che mi ha lasciato mio padre. Quindici anni. Quindici anni di lotte contro le leggi, contro i teppisti, contro tutti, compresi gli ordini del vecchio, pace all’anima sua. Quindici anni, sempre noi tre. E poi Erick si fa comandare dall’uccello e passa al nemico. Hai idea di cosa voglia dire?- aprì gli occhi incontrando i suoi, ma Roy rimase in silenzio. Non aveva idea di cosa potesse voler dire. Non c’era mai stato nessuno accanto a lui prima d’ora. Dopo che il suo cliente aveva deciso che un pompino non era abbastanza e l’aveva violentato con forza facendolo sanguinare, Eddie l’aveva guardato con disappunto, sgridandolo perché avrebbe dovuto farsi pagare di più.
La mano dell’uomo scivolò con una carezza morbida sul suo viso afferrandogli il mento tra il pollice e l’indice – Come ti sentiresti se all’improvviso, senza un motivo, ti dicessi che sei fuori, che te ne torni al tuo parco, sulla strada, dopo che ti ho promesso che saresti stato uno dei miei uomini?- Roy sobbalzò e Lleroy sorrise – Non è proprio uguale, ma è così che ci siamo sentiti Joshua ed io. Una persona per cui avremmo dato un braccio e una palla ci ha tradito ed ha ucciso mio padre a sangue freddo e in un modo subdolo.- Lleroy si alzò avvicinandosi alla scrivania e sistemandosi tra le sue gambe, – avevamo solo bisogno di sfogarci. Tutti e due- sussurrò insopportabilmente vicino, facendo scivolare la mano destra dal ginocchio verso la coscia. Un brivido lungo e bollente attraversò la schiena di Roy, minacciando di farlo gemere. Da quanto non lo accarezzava più? E da quando aveva tutto questo bisogno di essere toccato?
- Allora ti fidi ancora di Josh? Chiese con il cuore che gli tamburellava nella trachea.
- Si-. Nessun dubbio. Nessuna indecisione.
- E..-
La porta si riaprì con calma lasciando entrare un Joshua che teneva il viso basso. Il suo boa di piume era sparito.
- Senti un po’, capo, scusa io…-
- Eppure dovresti saperlo che per certe mancanze chiedo il pagamento con la vita- sbuffò Lleroy acidamente.
L’uomo sollevò il viso sorpreso, per poi sorridere divertito:Lley teneva ancora una mano sulla gamba di Roy che aveva tutta l’aria di volerlo assassinare. – Oh, non avevo visto che eri. Ehm impegnato …-
- Perché cazzo ti scusavi allora?- chiese tornando a sedersi sulla sua poltrona.
Joshua sorrise incrociando i suoi occhi - Volevo solo dirti che accompagno a casa miss Delacruz- spiegò.
- Ti ha fatto la ramanzina?-
- Ha detto che sono senza cuore, che è ovvio che tu non voglia separarti da Dominique,che non avrei dovuto alzare la voce così, mi ha pure dato un ceffone e la cosa peggiore è che ha sequestrato il mio boa.-
- Te ne regalerò un altro.-
- Come segno di pace?-
- No, come regalo di fidanzamento-
Joshua lo squadrò un istante prima di girare la testa oltraggiato – pidocchioso – lo sgridò ridacchiando – me ne vado, ma prima vorrei ricordati che questa porta ha una cosa che si chiama chiave- suggerì uscendo.
- Si sta mettendo nei guai da solo…- sogghignò Lleroy gettando indietro la testa – potrebbe avere tutte le donne che vuole e finirà con lo sposare una virago-
Roy lo guardò come se fosse ammattito – donne? Stai parlando di Josua? Hai presente: Jo-suha?- disse lentamente, come se stesse parlando ad un vecchio ritardato – la checca più checca…-
- E’ etero -
- Joshua?-
- Ed è innamorato di faith-
- Joshua?-
- Sarebbe il matrimonio ideale, l’alleanza con i Delacruz rimarrebbe in piedi e io potrei prendermi loro figlio come erede, cosa che renderebbe Diego Delacruz oltremodo ben disposto nei miei confronti. Ho in mente un progettino un po’ dispendioso.-
- Joshua?-
Lleroy lo guardò sogghignando – Sì: Joshua. Te l’ho detto…ha iniziato a vestirsi così quando ha incontrato Will. E se non mi credi, chiedi pure a Dom, ci ha provato inutilmente con lui per anni.-
Non era possibile. Josh il pizzettato, l’uomo che lo palpava continuamente, il maniaco con la fissa dei vestiti. Etero.
Lleroy ridacchiò scuotendo la testa – Appena riesci ad uscire dal tuo stato di shock vedi di sistemare la situazione di Dominique.
- La situazione? Che intendi?-
- La situazione. Trova un appartamento per loro a Sideny, preparagli le carte per l’iscrizione all’università, vedi se servono particolari certificati medici, instaura contatti, e procura i biglietti per l’aereo.-
Lo sguardo del ragazzo fu più eloquente di un’intera arringa e lLey sogghignò – Imparerai. Domani salti le lezioni di difesa con Josh e ti affianchi a Vittor per imparare un po’ di sistemi informativi. Tempo un anno e farò di te un informatore perfetto .-
- Sei sicuro che non posso tornare a fare i pompini?- chiese debolmente, ma Lleroy scosse la testa – Vai a cambiarti. Andiamo a casa.-
Con un sospiro sconsolato Roy scivolò giù dalla scrivania iniziando a sbottonarsi quella maledetta camicia sintetica che gli aveva irritato la pelle per tutta la sera. Non era molto sicuro di preferire Vittor a Joshua…almeno con Josh capiva cosa doveva fare, l’informatico invece sembrava parlare una lingua tutta sua.
Scuotendo la testa entrò nel camerino. I ragazzi erano ancora tutti fuori ad intrattenere i loro ospiti, tranne uno che, chino sul tavolo della toeletta, gli dava le spalle.
- Ciao Terry- lo salutò Roy e il ragazzo si girò di scatto. Aveva gli occhi lucidi, leggermente vacui.
- Ti cercavo, dove sei stato?-
Senza pensare Roy si stiracchiò lasciando cadere la camicia su una seggiola – Ero di là con Lley-
- Di là con Lley- sibilò Terence avvicinandosi – Lley- ripeté il nome sputacchiandogli la saliva in faccia – quanta familiarità nel pronunciare il suo nome, proietta. Cosa pensi? Di essere meglio di me? Sei una puttana sai? Tanto quanto me, anzi, meno. Almeno io ho classe e so vestirmi.-
Gli occhi di Roy sfolgorarono – Tu sei una puttana Terence, io sono un professionista.-
- Oh davvero? Ed è per questo che Lleroy vuole te invece di me? Io pensavo e credo che sia perché tu sei una specie di verginello ingenuo, uno di quelli che parla, parla, ma sa ben poco. Un tigrotto selvaggio, di quelli che gli piace tanto domare. Pensavo che dovessi solo aspettare perché ti scaricasse, ma non l’ha ancora fatto. Forse è vero. Ti vanti tanto di essere un gran succhicazzi, è per questo che ti tiene? Perchè sei bravo?-.
C’era qualcosa di strano negli occhi del ragazzo e Roy indietreggiò. – Lasciami in pace Terry, non mi va di farti male.-
- Fare male? A me- chiocciò con enfasi teatrale – Il piccolo Ronny ha paura di farmi male! Tu sei quello che si farà del male. Lleroy è roba mia, chiaro? Prima che arrivassi tu il suo preferito ero io. Tu lo sai come gli piace essere leccato? Eh? Lo sai? No, a te non l’ha detto di certo. Lui ti avrà preso, sbattuto sul tavolo ed inculato di sana pianta, perché è così che si trattano i novizi come te, i marmocchi senza esperienza e con la lingua lunga. Non ti ha detto cosa gli piace che gli si faccia vero? Come toccarlo. Dove. Io conosco ogni zona erogena. Dove dare i morsi. Dove leccare. Tu no.-
Roy chiuse gli occhi. Terence gli premeva addosso, schiacciandolo contro la parete azzurrata. Aveva l’alito pesante, ma non sapeva di alcool. Le mani perfettamente curate, dai mignoli laccati scivolarono sui suoi pantaloni, accarezzandone il bottone – E se te lo togliessi? Se lo tagliassi via, pensi che ti terrebbe ancora vicino a lui? Perché stai ancora con lui? Cosa gli fai?-
Roy inspirò una zaffata di profumo di albicocca. Non riusciva a muoversi. Gli sarebbe bastata una delle mosse più elementari che Josh gli aveva insegnato, eppure il suo corpo non si muoveva. Perché Lleroy lo teneva ancora? Perché non voleva più che dividesse il suo letto? Perché era stato ad un passo dal baciarlo prima, nello studio, e dopo che Josh se ne era andato non aveva continuato? E perché era così importante per lui stesso saperlo? Cosa cambiava nell’essere pagato per scopare o per raccogliere informazioni? Nulla, nulla, nulla era anzi meglio, era un passo avanti, un lavoro più nobile.
- Io so come farlo godere-.
Roy espirò. Vedeva le mani laccate scivolare sul petto di Lleroy, accarezzarlo piano. Vedeva la bocca scarlatta succhiarne i capezzoli, salire lungo il collo, incontrare le sue labbra.
Con un ringhio lo spintonò lontano, mandandolo a battere la schiena contro un tavolino. Boccette di profumo e cipria tintinnarono rovesciandosi.
Per un lungo momento Terence si limitò a guardarlo, poi scoppiò. Con un balzo felino gli si slanciò addosso, facendolo rovinare per terra, riempiendogli il viso di pugni.
- Non c’è nessuna differenza. Lascerà anche te dimenticato in un angolo. Vedrai ti scarterà come una scarpa vecchia. E gli altri ragazzi ti derideranno chiedendoti se sei diventato vecchio. Lui è mio. Io ti uccido. Hai capito? Puttanella, io ti uccido-.
- Ma sei impazzito?- urlò Michael entrando nel camerino. La camicia bianca era macchiata di una crema verdastra e densa. – Lascialo stare, vuoi che il capo ti ammazzi?- gridò bloccandolo.
Terence si girò come una furia mordendogli la mano – L’avevo avvisato. Gli avevo detto di andarsene e non l’ha fatto. Gli avevo detto che l’avrei ucciso! Ora lo faccio! Nessuno scarica Terence, se lui muore Lley tornerà da me!-
- Teoria interessante- disse freddamente la voce del Dechicco. Lleroy era immobile sulla soglia con le braccia conserte in seno. Accanto a lui Ros fissava la scena sconvolto. – Complimenti Terence, non sapevo possedessi tutta quella forza- si complimentò il capo avanzando.
- E’ solo una puttana- singhiozzò alzandosi in piedi, barcollando. Lleroy non gli tolse gli occhi di dosso e Terence rabbrividì – Una puttana!-.
- No, non lo è più.-
Terence lo fissò incapace di comprendere. – Scopa per soldi.- balbettò.
- No- ripeté semplicemente e freddamente Lleroy.
Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime – Io ti amo- piagnucolò mordendosi un mignolo.
Con un gemito Roy si alzò passandosi una mano sulla fronte, sfiorandosi un rigonfiamento sulla tempia destra.
- Pensavo fosse chiaro che non tollero droghe nel mio locale Terence. Lo sapevi?-
- Io ti amo- ripetè morbosamente, lasciando che le lacrime scivolassero sul rimmel, trascinandolo in una riga scura sotto gli occhi.
- Signor DeChicco- lo chiamò piano Michael allungando un foglietto spiegazzato.
Un quadratino di carta scritto con l’evidenziatore verde.
Roy l’afferrò inconsciamente, stringendolo tra le dita – L’hai scritto tu questo?- e Terence sorrise maligno. –Non l’avevi capito idiota? Sì.-
- Anche tutti gli altri?- domandò Lleroy. La sua voce glaciale aveva congelato l’aria della stanza rendendola quasi insopportabile, ma Terence non se ne rese conto, continuando a sorridere tra le lacrime – sì. Tutti io.-
- Per chi lavori?-
- Ma per te! Io ti amo!E’ lui di troppo, è lui che se ne deve andare- ricominciò a piangere indicando con il dito Roy – Tu sei mio! Lui deve lasciarti in pace.-
- Tu hai detto che dovevamo lasciare lic- sussurrò pensieroso Roy, ma Terence lo squadrò stranito.
- L’unica cosa che ho detto è che tu puttana dovevi lasciare Lley!- gli sibilò in faccia, ma, con sua immensa sorpresa Roy sorrise.
Con un sospiro Lleroy incrociò lo sguardo di Ros che si mosse senza bisogno di altri incoraggiamenti e, raggiunto il ragazzo, gli passò un braccio sotto le ascelle, sollevandolo da terra.
- Sei licenziato. Visto che non ti ho dato preavviso ti pagherò due mensilità più la liquidazione, ma non farti più vedere. Lo dico per il tuo bene Terence, avvicinati a me o a Roy e sei morto.
Il ragazzo sgranò gli occhi trovando improvvisamente la lucidità – Io, non puoi, ti prego non puoi…-
- Mi sembrava di averti già detto che qui decido io, non tu.-
Trattenendo una risata Ros se lo caricò in spalla, lasciando il camerino seguito a ruota da Michael.
- Non sai nemmeno difenderti da un mingherlino come Terence? Che cosa ti ha insegnato Joshua?- chiese rudemente Lleroy non appena furono rimasti soli, ma Roy sogghignò sventolandogli in faccia il bigliettino.
- I cinesi, gli italiani, Little town, Canal street,- recitò – una spia infiltrata la Purple. Complimenti don, analisi del caso azzeccatissima. Peccato solo che sul primo foglietto non ci fosse scritto lic, ma ldc: Lleroy DeChicco. Forse dovresti iscriverti a qualche corso di perfezionamento, credo che una prima elementare faccia proprio al caso tuo.-
Lleroy lo fissò imperturbabile per un lungo istante.
- Sai qual è la tua fortuna, moccioso?- chiese con calma, attendendo che scuotesse la testa prima di aggiungere: – che ho dimenticato la pistola in ufficio-




La sagoma di Roy si stagliava controluce, disegnando un’ombra scura sul vetro dell’ampia finestra.
Il cielo notturno riverberava rossastro, ubriacato dal riverbero delle luci della notte. Ombre chiare e scure si accartocciavano sul viso del ragazzo, scivolando veloci, al limite massimo consentito in città, lungo il collo.
Lleroy sorrise passandosi una mano tra i capelli spettinati, spingendoli all’indietro, scoprendo la fronte. I suoi piedi affondavano silenziosi nella pelo morbido e solleticante della moquette, portandolo dietro la schiena del ragazzo. In perfetto silenzio allungò la mano destra, sfiorando il collo martoriato dall’inseguirsi delle ombre con due dita appena tiepide. Roy rimase immobile, continuando a scrutare lo spezzone di cielo. Nuvoloni neri, grossi, gonfi di pioggia si accalcavano l’uno sull’altro, ammassandosi in un mucchio sempre più grande e confusionario, cercando di farsi minacciosamente avanti tra quei buchi di cielo che i grattacieli concedevano loro.
- Non riesci a dormire?- chiese sottovoce Lleroy, spingendogli le parole appena sussurrate direttamente nell’orecchio
Roy si strinse nelle spalle, accarezzandogli il naso con i capelli spettinati – In effetti no. Mi sembra così strano. Poche ore e se ne andrà e ho come l’impressione – sopirò stancamente scuotendo appena la testa – che mi mancherà- mormorò piano –è il primo vero amico che ho avuto.-
La mano di Lleroy abbandonò il collo per scivolare piano sulla spalla, scendendo per tutta la lunghezza del braccio inerte del ragazzo, fermandosi morbida sul suo fianco –Vuoi andare con loro Ronald?- chiese a bruciapelo - Potresti iniziare una nuova vita. Forse per te sarebbe la cosa migliore.
- Io? In Australia? Con i canguri? Mai, nemmeno se fosse l’unico modo per liberarmi di te- sbottò il ragazzo scuotendo la testa con veemenza.
Lley sorrise inspirando il suo profumo fresco e allo stesso tempo dolce. – Ci andrei io se potessi- confessò insinuando le dita sotto la maglietta di seta – a volte mi chiedo se non dovrei appendere la mafia ad un chiodo e cambiare vita-.
- Uhm, io posso anche tornare a fare pompini, ma tu…c’è qualcos’altro che sai fare?- sogghignò malignamente Roy.
- Posso anche permettermi di andare in pensione e vivere di rendita, io- ribattè divertito. La sua mano scivolava lentissima su un microscopico centimetro di pelle, scaldandogli piacevolmente la pancia.
- Bè, vecchio sei vecchio, ma non proprio così tanto- sussurrò Roy mordendosi il labbro inferiore, deciso ad ignorare quel languore asfissiante che lo stava torturando.
Lleroy socchiuse gli occhi riducendoli in due piccole fessure – Io penso a cosa è meglio per te e tu fai l’insolente? Bella riconoscenza- si lamentò contro il suo collo, sfiorandogli la gola con le labbra e il ragazzo si tese di colpo, irrigidendosi e chiudendo gli occhi.
- Che hai?- lo punzecchiò Lley, parlando ancora direttamente contro il suo collo, continuando ad accarezzare la pelle della pancia, soffermandosi insinuante a stuzzicare l’elastico dei pantaloni.
- Niente,- mentì, - mi pareva di aver sentito un tuono…è un po’ troppo tardi per i temporali, no?- chiese, ripescando il motivo che l’aveva spinto giù dal letto. Odiava i fulmini. Odiava i tuoni. Ed odiava il vento e la pioggia tipiche delle tempeste e non gli fregava nulla se la gente riteneva che fosse una paura infantile.
- Il tempo fa quello che vuole- bisbigliò Lleroy accarezzandogli con la bocca una ciocca ribelle sul collo – non mi dirai che hai paura di un temporale-
- Certo che no. Se devo morire chissenfrega se vengo colpito da un fulmine o da un proiettile- ribattè troppo in fretta e con un tono troppo alto che fecero sorridere l’uomo alle sue spalle.
- Come sei drastico, è difficile che un temporale uccida qualcuno. In ogni caso- mormorò cingendogli la vita anche con l’altro braccio – a me interesserà il modo in cui devo morire. Ci sono morti più piacevoli di altre…-
Roy sbuffò – Dubito-
- Davvero? Secondo te morire annegato è piacevole quanto...che ne so…morire per un attacco di cuore facendo del sesso?- insinuò mordendogli il lobo sinistro.
Roy tornò ad irrigidirsi trattenendo il fiato. – Credevo che non ti interessasse più scopare con me- esalò con difficoltà sentendo la mano dell’uomo risalirgli il petto con lentezza, studiando le forme dei suoi muscoli.
- Mai detto questo.- spiegò Lleroy continuando a torturare quella parte così sensibile dell’orecchio.
- Come no, due settimane….-
- Assolutamente no. Intendevo dire che non ho nessuna intenzione di pagarti perché tu venga a letto con me…e che non ti devi sentire obbligato a farlo. Puoi anche rifiutarti se...ci riesci-, l’informò con dolcezza scivolando a mordergli la gola, – ma sappi che ho intenzione di farti cambiare idea: stasera ho fame e tu sei diventato piuttosto appetitoso. Un po’ di sana alimentazione fa miracoli.
Roy s’irrigidì tra le sue braccia – Stai insinuando che sono ingrassato?- sibilò bloccando la mano che gli stava accarezzando il ventre piatto.
- Ingrassato no, solo che ora c’è un minimo di carne attorno alle ossa ed è anche piuttosto piacevole-.
-Non occorre che infierisci, lo so anche io che ho messo su peso ed è solo colpa tua e di quel corvaccio in bianco-.
- Quante storie così stai decisamente meglio, almeno hai un briciolo di forma e non sento le ossa quando ti tocco. Prima eri una specie di robetto rachitico-.
- Rachitico? Non ero rachitico! E a Dom piacevo proprio così com’ero-.
-Già…per questo si fa Kinsley e non te- lo prese in giro infilando anche l’altra mano sotto la maglietta bianca, risalendo lungo il petto fino alle spalle, premendolo all’indietro contro di sé.
- Brutto vecchiaccio pervertito, ciccione ed impotente-,l’insultò lasciandosi andare contro di lui, pesandogli contro il torace: il languore che gli stava scaldando lo stomaco gli aveva morbidamente intorpidito le ginocchia.
Lleroy liberò la sinistra dalla prigionia della stoffa, salendo a sfiorargli il collo con le dita leggermente fredde e Roy mugolò piano piegando la testa di lato. Non gli importava un fico secco e mangiucchiato dai topi se Lleroy stava diventando schizofrenico, bastava solo che quella sera continuasse ad accarezzarlo così.
-Non ho nessuna intenzione di pagarti, Roy- sussurrò succhiandogli morbidamente la giugulare costringendolo a gemere piano – non mi chiedere aumenti dopo-.
Roy sbuffò chiudendo gli occhi e spingendo i fianchi all’indietro, sfregando i glutei contro la dura erezione dell’uomo
– Ogni tanto capita che faccio la carità- mormorò con la voce bassa e rauca.
- Carità? A me?- domandò mordicchiandogli il lobo e spingendo le dita sotto l’elastico dei pantaloni stuzzicando innocentemente la pelle morbidissima dell’inguine.
- Cazzo, se sei logorroico- sbuffò Roy esalando un unico sospiro rumoroso. Con un gemito strozzato allungò un braccio all’indietro arpionandogli il collo, costringendolo a piegare il viso verso il suo conducendolo in un umido bacio lungo e complesso.
- Bella presa – ansimò Lleroy spingendolo con forza contro l’immensa finestra panoramica e Roy sorrise – Me l’ha insegnata Josh- biascicò a mezza voce.
Gli occhi dell’uomo scintillarono maliziosi mentre lo imprigionava tra il suo corpo ed il vetro insinuandogli un ginocchio tra le gambe divaricate.
- Interessante, ti ha detto anche come fare a liberarti da una situazione simile?- gli chiese soffiandogli le parole umide direttamente nell’orecchio, accompagnando ogni parola con una carezza leggera della propria lingua e Roy annuì tremando leggermente.
Non aveva nemmeno più senso nascondere i gemiti, piccoli e veloci che gli scivolavano dalle labbra. Le mani dell’uomo si muovevano sul suo corpo saggiando ogni centimetro caldo e perfetto, trascinando con sé brividi soddisfatti.
- Allora?- insistette baciandogli la curva dura e saporita della spalla.
- Cosa?- mugolò
- Non cerchi di liberarti?- spiegò.
Roy aprì gli occhi fissando il suo riflesso. Liberarsi da cosa? Non lo stringeva. Non lo imprigionava. Il suo era un vile ricatto fatto di piacevoli brividi e non aveva nessuna intenzione di accontentarlo.
Con un movimento veloce si girò verso di lui, fissandolo negli occhi appannati dal desiderio
– Quanto mi dai se ti faccio vedere come si fa?- contrattò malizioso, spingendo la testina di madreperla nel buco sottile e stretto dell’asola, sbottonandogli la camicia.
- Nulla-
- Allora resto qui- mormorò il ragazzo scivolando a leccargli lentamente la clavicola, tirandolo con forza verso di sé mentre si appoggiava alla finestra e lanciava le loro ombre allacciate nell’oscurità del cielo.


New York scivolava lenta, offuscata dalla foschia del mattino.
Dominique sospirò fissando l’immenso buco di cielo libero, di spazio vuoto tra i grattacieli; si era abituato alla loro assenza. Si era abituato ad un sacco di cose. Alla puzza di smog. Alle finestre sigillate. Alle previsioni del tempo che ci azzeccavano in un modo che in Italia avrebbero considerato anticostituzionale. Si era abituato, ma non l’aveva mai del tutto accettato. Come era sicuro che i newyorkesi si fossero abituati all’assenza delle torri gemelle, ma non l’avrebbero mai accettata completamente.
L’aereo iniziò a rollare facendolo dondolare leggermente nell’elegante e comodo sedile di prima classe ammantato di verde.
Accanto a lui Joey sfogliava distrattamente il giornale che la hostess gli aveva offerto con un sorriso troppo grande e sensuale per i suoi gusti.
Inspirò piano trattenendo l’aria nella bocca. Non aveva mai amato New York, per lui era stata una specie di punizione, ma ora che stava per lasciarla, desiderava darle almeno un ultimo sguardo dall’alto. In fondo glielo doveva. Quell’odiosa, insopportabile, frenetica città puzzolente e scaraffaggiosa gli aveva regalato Jo ed era più di quanto si sarebbe mai aspettato.
Sorrise espirando un colpo di tosse, in debito di ossigeno.
L’immenso boeing s’impennò sollevandosi in aria, scaraventando il suo povero cuoricino nelle scarpe. La mano di Joey si posò delicatamente sulla sua ancorata al poggiatesta del sedile davanti.
- Rilassati- mormorò l’uomo sorridendo – sono più di otto ore di viaggio, se stai così rigido finirai col sentirti male-.
-Rilassarmi?- chiese in un ansimo – Mai. Io odio volare! Vedrai ci morirò qua dentro! O troveremo una turbolenza e ci sfracelleremo e morirò, o il viaggio sarà così piatto e calmo che la noia mi ucciderà e morirò.-
- Quante storie. Ci sono io con te, non ti basta?- chiese scardinandogli la mano sinistra dallo scoglio del sedile e stringendola piano tra la sua.
Dominique alzò una palpebra fissandolo con un sorriso – E’ una proposta indecente?- domandò con voce bassa, maliziosa trascinando le loro mani unite sotto la copertina antracite che gli copriva le ginocchia, posandosela su una coscia. – se è così ci metto un secondo a scomparire in bagno…poi tu mi segui…-
Joey liberò la mano con uno strattone – Credo che morirai di noia.-
Dom arricciò le labbra in un broncio infantile – E poi cosa farai senza di me in Australia??-
Jo sorrise subdolo – Oh non ti preoccupare, ti sostituirò in fretta. Ci sono un sacco di canguri.
- Un canguro?? Perché un canguro? Capirei un Koala, chi non vorrebbe un koala…ma un cang…- non terminò la frase, troppo intento a risucchiare tutto il fiato che aveva, l’aereo si alzava ancora, spingendogli la schiena contro il sedile, tappandogli le orecchie.
Con un guaito chiuse gli occhi, per riaprirli velocemente. Doveva salutare New York. Doveva guardarla così com’era un’ultima volta, perché sapeva che, quando fosse tornato, la città non sarebbe stata più la stessa. Lo sapeva. Sorrise, mentre il ricordo si faceva strada nei suoi pensieri scavalcando a passi di can can la paura.
Era andato al Purple deciso a dire a Lleroy che non sarebbe partito. Non poteva chiedere un simile sacrificio a Jo! Joey aveva i suoi amici, il suo lavoro, la sua vita a New York, non poteva mollare tutto per seguire lui ed aprire un ranch in Australia…anche se sarebbe stato dannatamente bello...
Aveva fatto un respiro profondo ed aveva bussato piano contro la porta dello studio, dolcemente, in modo ritmico, imbastendo una specie di valzer. Un grugnito stanco aveva domandato chi era e lui aveva scandito chiaramente il suo nome e, quando la voce irritata di Lleroy gli aveva detto che non c’era nessuno e che se ne andasse al diavolo, aveva aperto con decisione la porta.
La stanza era al buio, come al solito. Per quanto andasse indietro nel tempo, gli sembrava che Lley fosse stato sempre ammantato dalla penombra, anche in Sicilia, dove il sole filtrava fin sotto le pietre, stanando ragni e lucertole, lui era riuscito a crearsi delle stanze più oscure che spingevano la gente a starsene lontano.
Aveva chiuso la porta con riguardo, strizzando gli occhi, cercando la luminosità buastra del monitor del computer. La mappa della città lampeggiava placida, giallastra sullo schermo. Linee rosse s’intersecavano alle strade, disegnando quadrati. I cinesi. Gli italiani. I Rumeni. Le loro zone.
- Che vuoi?- si era sentito chiedere con tono scocciato e aveva sbuffato incrociando le braccia all’altezza del petto
– Potresti anche essere più affettuoso con il tuo bellissimo adorato fratellino.-
- Adorato?-
-Sì, forse non te ne rendi conto, ma mi adori.-
Lleroy aveva sospirato profondamente ed aveva inforcato gli occhiali – Che vuoi?-
-Non voglio partire- aveva detto di getto. Ora sarebbe stato pronto a giurare che la sua voce era stata ferma e decisa, ma in quel momento aveva tremato, facendosi titubante, simile a quella di un bambino che supplichi di non andare a scuola.
Lley si era alzato scuotendo la testa e l’aveva raggiunto. – Non puoi restare- aveva mormorato piano, accarezzandogli una guancia – diventerà troppo pericoloso per te e per il tuo poliziotto.-
Aveva chiuso gli occhi piegando la testa in avanti, puntellando la fronte contro la clavicola del fratello – Io…non posso chiedergli di…-
- E’ stato lui a suggerirlo- l’aveva interrotto posandogli un braccio sulle spalle – ed è la cosa migliore Dommy. Io non voglio che tu muoia e tu non vuoi che muoia Kinsley- era rimasto in silenzio per un lungo istante e aveva pensato che non avrebbe aggiunto altro, ma poi aveva rotto il silenzio all’improvviso annunciando freddo e palcido :- Sarà guerra-.
I suoi occhi si erano posati sulla cartina che ancora riverberava nel monitor e le linee rosse avevano assunto un nuovo significato. Aveva sospirato abbassando le palpebre. Non voleva partire. Aveva perso sua madre. Aveva perso suo padre. Aveva perso la sua amata Sicilia. Ora non voleva lasciare ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Quella vera, con la f minuscola, fatta di parenti ed affetti.
Con un singhiozzò si era aggrappato alla sua manica stropicciando la stoffa costosa nel pugno.
- Non posso lasciarti solo- aveva sussurrato, fin troppo consapevole del tremolio della propria voce.
La porta si era aperta con un boato, sbattendo contro il muro – To’! – aveva urlato Roy buttando sul tavolo una decina di fogli sparsi – Ce l’ho fatta, contento ora? Otto ore di lavoro per avere quattro cartacce stampate! Ma non puoi essere come tutti gli altri? Cazzo! Il signore non può limitarsi a scoparmi come un bravo vecchio maniaco! No, deve anche costringermi ad imparare ad usare un computer! Se ti vergogni vado io in farmacia a comperarti una scorta formato famiglia di viagra!-
Lleroy aveva sogghignato –No, grazie, per ora non mi servono, ma vedi se hanno qualche vitamina per te, dal modo in cui sei crollato addormentato ieri sera, credo di averti sfinito. Non vorrei che ti esaurissi, ragazzino-
Roy aveva sgranato gli occhi inspirando – Sono un professionista io, vecchio bavoso!- aveva ringhiato uscendo dall’ufficio.
Quel momento sarebbe rimasto impresso nei suoi ricordi per sempre. Non aveva importanza che solo pochi minuti prima di imbarcarsi avesse visto il braccio di suo fratello cingere le spalle di un Roy sul punto di piangere per la sua partenza, né che gli avesse sfiorato dolcemente i capelli con le labbra. No. D’ora in poi, quando si fosse trovato a pensare a suo fratello, avrebbe avuto davanti agli occhi il sorriso che aveva fatto quando la porta aveva sbattuto chiudendosi.
Lleroy era…divertito.
Come non lo era mai stato dall’età di 11 anni, quando aveva ucciso il suo primo uomo.
Divertito. Nella bocca, negli occhi e nel cuore.
- Non sono solo Dom.- gli aveva risposto.
E per la prima volta la sua voce era allegra.
L’aereo traballò riportandolo con terrore alla realtà.
- Ci stiamo già sfracellando?- chiese con un ansito – nemmeno il tempo per una sveltina in bagno?
Joey gli rifilò un buffetto sulla nuca – Ma pensi solo a quello?- domandò per abitudine.
Dominique si girò a fissarlo con aria seria – Perché? Hai il coraggio di mentire spudoratamente e dire che non hai mai pensato a come sarebbe farlo nei bagni di un aereo?-
Jo si strinse nelle spalle, girando la pagina del quotidiano – Scomodo- rispose.
Gli occhi di Dom scintillarono divertiti – E chi lo sa?- sussurrò malizioso, sfiorandogli un dito.
Aveva davanti a sé otto noiose ore di viaggio. Otto. Se già una volta era riuscito a distrarre Joey dal suo lavoro e farlo concentrare su di sé, perché non sarebbe dovuto riuscire a convincerlo che l’alta quota poteva essere stimolante? Certo non aveva tra le mani un aspirapolvere, ma avrebbe potuto trovare qualcosa. Magari le hostess avevano dello yogurt…era così bello mangiare lo yogurt con le dita… Spostò lo sguardo al finestrino, verso la Statua che sollevava la sua fiaccola emblema di libertà in saluto, ignara quanto New York stessa che, continuava a correre indefessa verso non si sa dove, di avere un nemico naturale.
Dominique sorrise e chiuse gli occhi.
Lui invece lo sapeva.


                - Cosa pensi di fare ora?-domandò
                - Niente di che. Conquisterò New York- fu la risposta.

 

Fine