Nemici naturali 6
di Niane
Nemici 6
Il veleno del dodo
Tic tac.
Tic tac.
Tic tac.
Tic tac.
I rintocchi dell’orologio risuonavano fastidiosi nonostante fossero solo un’
illusione creata dalla sua mente, dato che le sveglie digitali non
producevano alcun rumore. Eppure, in una notte da ‘Ai confini della realtà’,
in cui il tempo si era congelato rifiutandosi di avanzare, un suono
immaginario non era un problema irrilevante.
Roy si morse il labbro, perdendo la sua battaglia personale e girando con
uno scatto il viso verso la sveglia. Aveva provato anche contando i secondi,
ma era sempre e comunque in anticipo. Gli sembrava di essere tornato
bambino, quando fingeva di dormire ed apriva gli occhi all’improvviso nella
speranza di sorprendere i suoi pochi giochi, per lo più ereditati da Eddy,
danzare sotto la luce della luna. Non c’era mai riuscito, proprio come ora
non riusciva a girare il viso e sorprendere i numeretti digitali cambiare.
Tutto procedeva con la lentezza di un ingorgo nell’ora di punta, quasi come
se il tempo si fosse dilatato, allargandosi come un big-babol passato dal
cubetto ad una bolla gigantesca, un velo trasparente ed appena rosato, che
prima o poi sarebbe scoppiato impiastricciandogli la faccia.
Le 3.
Erano passate quasi quattro ore da quando avevano lasciato l’ospedale ed
ancora nessuna notizia, il che se, non altro, voleva dire che le condizioni
di Dominique erano stazionarie. Con un sospiro lasciò scorrere le dita tra i
capelli fulvi che gli coprivano il petto.
Non aveva fatto in tempo a mettere un piede in casa che Lleroy l’aveva
gettato sul letto per scoparlo a lungo, con rabbia e disperazione,
rigirandolo come se fosse stato un bambolotto, costringendolo a cambiare
posizione senza trovare pace, a gemere con forza supplicandolo di smettere.
C’era stato un momento in cui aveva temuto davvero di morire, trafitto da
lame acuminate di dolore, poi Lleroy gli aveva preso una mano, intrecciando
le dita con le sue, rilasciando il suo piacere(o forse era meglio dire la
sua frustrazione?) con un gemito rabbioso.
Era uscito da lui senza dire una sola parola e gli aveva posato la testa sul
petto, tremando appena.
Erano rimasti in silenzio, cercando di ridare aria ai polmoni svuotati,
incapaci di muovere anche un solo muscolo e, perciò, non aveva la più
pallida idea di quando Lleroy si fosse addormentato; lì così, sul suo petto,
la mano che ancora si aggrappava alla sua.
Un’improvvisa luce verde-ufo illuminò la camera e Roy riuscì velocemente a
pensare che, come previsto da copione, stavano arrivando gli alieni, prima
che il cellulare vibrasse intonando le prime note di ‘My way’.* Trattenendo
il fiato allungò la mano libera, rispondendo con un pronto a malapena
udibile.
- Lley?- chiese la voce perplessa dall’altra parte della cornetta
- Ti sembro così vecchio?- mugolò irsutamente in risposta.
L’uomo accennò una risata soffocata – Roy, sono Joshua, dov’è Lley?-
Il cuore del ragazzo accelerò la corsa risalendogli lungo il petto,
fermandosi nella gola indeciso se uscire oppure no: il telefono non squilla
mai nel cuore della notte per darti una bella notizia.
–Come sta?-chiese in un sussurro, consapevole di non essere sicuro di voler
davvero sentire la risposta.
-Tranquillo- lo rassicurò la voce affettuosa dell’altra parte di un
invisibile filo – sta bene. E’ uscito dal coma, oddio ha solo aperto gli
occhi e poi li ha richiusi, ma i dottori dicono che è a posto….e poi ha
iniziato a russare. Ora ci stanno cacciando, hanno permesso solo a Kinsley
di rimanere con lui; noi potremo vederlo non prima delle dieci di domani.
Dov’è il capo?-
Roy sospirò profondamente, deglutendo mentre il suo cuore tornava ubbidiente
e felice al proprio posto
Sta dormendo- biascicò stringendo con forza la mano addormentata nella sua,
incapace d cancellare un sorrisino piuttosto da idiota, dal viso.
- Certo che devi essere davvero in gamba, non pensavo che sarebbe mai
riuscito a prendere sonno- ridacchiò malizioso.
- Josh fottiti-
L’uomo rise liberando la preoccupazione che l’aveva avvinghiato -Roy?
Mettiti a dormire anche tu- ordinò premuroso e il ragazzo annuì – Va bene;
buonanotte- mormorò piano chiudendo il telefono.
Immobile sul suo petto Lleroy dormiva ancora. Lentamente, con una specie di
carezza Roy sciolse le proprie dita dalle sue – E’ tutto a posto- gli
sussurrò premendogli le labbra contro i capelli – Dom è fuori pericolo-
annunciò sottovoce sorridendo, cingendogli le spalle con le braccia.
Il tempo ricominciò a scorrere e finalmente chiuse gli occhi.
Stava dormendo da
pochi minuti, forse qualche secondo, quando il letto ondeggiò
pericolosamente, svegliandolo di soprassalto. Roy gemette sfregandosi le
palpebre con i pugni chiusi – Che c’è?- piagnucolò con voce impastata
fissando la schiena nuda di Lleroy seduto sull’altra sponda del materasso.
-Devo andare in ospedale, dannazione a Josh, perché cazzo non chiama?-
grugnì lottando con i pantaloni.
Con un mugolio,richiudendo gli occhi per cercare di recuperare l’abbraccio
di Morfeo,l’unico amante che volesse fare sesso con lui, Roy rotolò nel
letto, arricciando disgustato il naso nel sentire le lenzuola fredde
sfiorargli la pancia, raggiungendolo e passandogli un braccio attorno alla
vita.
- Ha chiamato- borbottò sbadigliando – Dom è fuori pericolo.-
- Quando?- gridò l’uomo girandosi di scatto, investendolo con il proprio
corpo, imprigionandolo sotto di sé, notando come la fasciatura candida sulla
sua coscia si fosse macchiata di sangue rappreso.
- Bho, due minuti fa- rispose intorpidito girando il viso verso la sveglia,
scoprendo con enorme disappunto che erano già le sette e mezza – Ehm no,
stanotte, verso le tre.- si corresse.
- Perché non mi hai svegliato?- chiese liberandolo con attenzione del suo
peso
- Perché era inutile…E’ uscito dal coma, ma hanno cacciato sia Josh che
Faith, non possiamo vederlo fino alle 10. – rispose incapace di trattenere
un altro sbadiglio.
- E’ rimasto solo?-
- C’è Joey con lui…-
- Io sono suo fratello!- grugnì con violenza.
- E Joey è l’uomo che ama…- un lampo di sfida si accese negli occhi del
ragazzo.
- E’ solo una ridicola cotta- sibilò
- No, non lo è e se non vuoi fargli davvero del male, non portarglielo via.-
Si fissarono per un lungo istante carico di tensione, poi Lleroy sbuffò e si
stese sul letto – Cazzate.-ringhiò fissando il soffitto. Lui era suo
fratello. Quell’altro solo un poliziotto.
- Perché lo odi tanto? Cosa ti ha fatto?-
- Cos’è che vorresti sapere di preciso, tu?- sibilò ,ma Roy non afferrò
l’ironia della frase e, sprimacciando il cuscino dietro la schiena, rispose
lapidario –Tutto-
Lleroy lo degnò di un’occhiata in tralice, che gli fece aggrottare la
cicatrice rendendola simile ad un bruco in marcia, percorrendo ogni
centimetro scoperto del suo corpo,.
- A partire dal chi è Walter, che rapporto hai con lui, perché odi Jo…tutto-
ripeté placidamente.
Un grugnito gutturale fu l’unica risposta prima che la stanza piombasse nel
silenzio e , per la prima volta, Roy si rese conto di quanto fosse
silenziosa quella casa. Non c’erano grida di uomini ubriachi, né di donne
isteriche o letti che cigolavano incessanti sotto orgasmi simulati. Non
c’era nemmeno lo scalpiccio irrequieto dei topi che rosicchiavano i cavi
della luce o il gorgogliare occluso delle tubature.
Inquietante.
Deglutì passando le mani sulle lenzuola troppo lisce, sentendo tornare la
sensazione di irrealtà. Nel giardino uno dei cani ululò brevemente, un suono
acuto e sofferente, quasi un richiamo. Un altro cane rispose, poi il
silenzio ricapitombolò improvviso.
- Violence si sente sola- mormorò distrattamente Lleroy fissando il soffitto
– se Josh resta in ospedale anche stanotte, la portiamo di qua con gli altri
due. – con un sospiro incrociò le braccia sotto la nuca. – Walter era un
nome di comodo che ho usato per un periodo- spiegò all’improvviso, senza
capire lui stesso il perchè. -Una specie di copertura, se vuoi. La forza di
un capo si basa sul rispetto dei suoi uomini e io volevo conquistarlo per
quello che sono, non in quanto figlio del don, di modo che, anche se fossi
arrivato ad uno scontro diretto con mio padre loro avrebbero scelto di
seguire me invece che lui. Così ho fatto la gavetta, partendo alla guida di
un piccolo gruppo di strada – sogghignò mestamente – Un piccolo
gruppo…già…piccolo, ma dotato del miglior assassino del continente, che,
all’epoca, era ancora una persona normale. In ogni caso mi facevo chiamare
Walter Fiore e gestivo un piccolo locale a luci rosse su una casa
galleggiante. Niente di particolare o impegnativo, un bordello dondolante
nemmeno paragonabile al Purple. Gli ospiti potevano cenare e giocare
d’azzardo accompagnati da bellissime e disponibili donne di ogni razza.
Rendeva bene, soprattutto quando Erik trovava qualche pollo da spennare fino
all’osso alla roulette, ma era, in ogni caso, un’idea banale e io volevo
emergere e così girovagavo per tutti i night alla ricerca dell’ispirazione.
E fu in uno dei mie vagabondaggi che incontrai William. Aveva 23 anni anche
se, come te, ne dimostrava meno. Gli occhi di un azzurro profondo,
insolenti, ti si piantavano addosso e ti scrutavano arroganti e civettuoli.
Era solo, seduto ad un tavolo, in un locale qualsiasi. Non era un luogo
d’incontri, non come lo intenderemmo tu ed io, era un pub, un normalissimo
pub e non era nemmeno un locale gay. Eppure lui era seduto al suo tavolo, a
giocherellare distratto con una cannuccia attorniato da un paio di uomini
che cercavano di rimorchiarlo. Non avevo mai pensato che potesse esistere un
mercato del sesso maschile…non una cosa di lusso almeno. Qualcosa di classe
per uomini distinti ed importanti, qualcosa come…-
- Il Purple-
Lleroy annuì stiracchiandosi – Già, qualcosa come il Purple. Ordinai un paio
di cocktail e mi sedetti davanti a lui e gli dissi che lo volevo assumere
come consulente per un locale che pensavo di aprire.- Per un lungo istante
Lley rimase in silenzio, gli occhi chiusi nel ricordo. – Così, senza un
motivo, senza sapere nulla di lui. Chi fosse, cosa facesse. Poteva anche
essere un agente della buon costume.Ma all’epoca non m’interessava. Volevo
emergere e dovevo farlo prima che le briglie di mio padre stringessero il
morso costringendomi a trottare per lui. E poi Will era…- scosse piano la
testa continuando a fissare il soffitto – Per capire dovresti comprendere
Will e non c’è nessuno che gli assomigli. Era dolce – sorrise appena
riaprendo gli occhi –ed aveva una mania smodata per i vestiti eccentrici; se
vuoi farti un’idea del suo stile basta che pensi a Josh, ha copiato da lui.-
- Will ha copiato da Josh?- chiese Roy arricciando il naso e Lleroy si girò
a guardarlo scuotendo la testa – No, ti ho detto che in quel periodo Josh
era normale…è stato lui ad imitare lo stile di Will…anche se Will aveva più
classe. Josh si diverte, invece per Will erano un modo di esprimersi, più
delle parole o dei gesti, eppure non era effeminato. Dolce, gentile, adorava
i film di ogni genere e riusciva sempre a trovare una scena capace di farlo
piangere. -
Roy grugnì spostandosi nervosamente nel letto, non sapeva perché ma trovava
quel tipo irritante: non sarà stato femminile però,secondo lui, restava lo
stesso una checca.
-Lo portai al mio locale e lo rivoluzionò. Tappezzeria stellata, luci
azzurre, tavoli piccoli e dotati di separè con scene erotiche di stampo
orientale, candele e giochi d’acqua ovunque. Andava a caccia di ragazzi da
affittare con Josh ed usciva con me riempiendomi la testa su come addobbare
il locale, cosa acquistare, come rimodernare, cosa aggiungere nelle camere,
sul bisogno di fare una serata a tema per Halloween, vestendo i ragazzi con
succinti vestiti diabolici o per Natale con completini rossi. Era una
piacevole miniera di idee e il locale decollava come non avevo nemmeno
sognato e sentivo le briglie allentarsi: un altro po’ ed avrei potuto
sgroppare via quel fantino di mio padre. Poi,una sera, cadde tra le mie
braccia-
- Ovviamente- mugugnò indispettito Roy, ma Lley lo ignorò, perso nei propri
pensieri -E dopo, tra le lacrime, mi confessò disperato di aver tradito il
suo fidanzato. Un poliziotto. Non lo potevo accettare, non m’importava che
avesse un altro, per me lui era solo un lussurioso gatto dalle uova d’oro,
solo che Will era pericolosamente emotivo e non potevo rischiare che
raccontasse qualcosa allo sbirro. Così gli ordinai di scegliere tra il suo
ragazzo e il locale, ma lui non poteva. Amava Kinsley tanto quanto il lavoro
al Blackrose, come lo aveva ribattezzato lui, e più di loro amava quel senso
di peccato che la vita che stava vivendo gli dava. Essere il fidanzato
fuorilegge di un poliziotto, una trama da film d’amore di quarta categoria,
i suoi preferiti. Non venne più a letto con me. Continuò il suo lavoro. Non
lasciò Kinsley, anche se mi disse il contrario, e una sera lo sbirro lo
seguì. Era facile entrare al Blackrose, non c’erano ancora senatori o
deputati tra i miei clienti e non sentivo la necessità di effettuare stretti
controlli. Kinsley ci mise meno di un minuto per entrare e sorprendere
qualcuno dei ragazzi a sniffare coca prima di intrattenere un cliente, ma
gli andò male. Qualcuno informò Erik che la polizia stava preparando una
retata ed il Blackrose affondò nell’East river annegando prove e
collegamenti. Will la prese malissimo, era come se quel Kinsley l’avesse
tradito. Venne a cercarmi e si fermò da me per quasi un mese ed insieme
progettammo il Purple…anche se lui voleva chiamarlo Splendente desiderio
d’oltreoceano; aveva trovato anche il posto: un locale piccolo, un interrato
a Canal street, una proprietà cinese. Solo che la cosa non piacque molto né
ai cinesi né a Jo e decisero d’intervenire contemporaneamente. Quando
andammo a fare un secondo sopralluogo per prendere le misure, cademmo in
un’imboscata. Una cosa ridicola, sarebbe bastato Josh a farli fuori tutti.
Io avrei anche potuto starmene seduto buono buono a pomiciare con Will
dietro il tavolo, ma non lo feci. Mi alzai e cominciai a sparare. E quando
Kinsley entrò nel locale con la pistola in pugno io non lo vidi, ma Will
balzò in piedi gridandogli di andarsene. Non ebbi nemmeno il tempo di
girarmi: lo presero in pieno, facendogli saltare la tempia destra.-
Chiuse gli occhi fermandosi per un istante e Roy strinse i pugni sentendo un
improvviso forte desiderio di toccarlo - Cadde a terra senza emettere alcun
rumore, aveva un sorriso ebete e l’unico occhio rimasto era sgranato per la
sorpresa. Non so bene cosa accadde dopo. I cinesi erano tutti a terra e
restavamo solo Kinsley ed io. Lui con una ferita al fianco, io con questa
cicatrice all’occhio. Mi guardò con astio prima di cadere a terra privo di
sensi e io avrei voluto tanto sparare ancora, ma Joshua mi trascinò via. Ero
convinto che fosse morto…- sospirò piano premendo due dita sull’occhio
sfregiato – Quello che mi dà fastidio è che Will era poco più di un semplice
arredatore e non c’entrava nulla con la guerra tra mafie, non avrebbe dovuto
morire e non sarebbe morto se non fosse stato per quel poliziotto. Speravo
che fosse crepato, invece mi torna tra i piedi, a ficcare il suo
fottutissimo naso negli affari che non lo riguardano, a mettere in pericolo
una delle persone che amo di più- sibilò tra i denti.
- Non penso che abbia trascinato lui Dom in magazzino- replicò placidamente
Roy fissandolo.
Lleroy si girò su un fianco lentamente, socchiudendo gli occhi in due
fessure sottili – Non mi interessa,- sibilò sfiorandogli la clavicola destra
con un dito, percorrendo un immaginario cerchio sbilenco la sua sola
esistenza lo mette in pericolo. Dom è mio fratello e non può stare con un
poliziotto, non permetterò un’altra volta che uno sbirro lo cacci nei guai.
Ho fatto di tutto per ampliare la distanza tra lui e la famiglia, per
metterlo al sicuro ed ora non permetterò che un lurido sbirro passi e rovini
tutto facendogli correre inutili rischi.-
- Dom lo ama, se glielo porti via sarai tu a fargli del male.-
- Gli amori di Dom hanno vita breve- mormorò acidamente alzandosi – vado a
preparare la colazione, tu fila in doccia e poi raggiungimi in cucina,
voglio proprio vedere se devo aspettare o no le dieci per vedere mio
fratello nel mio ospedale- sbuffò irritato lasciando la camera.
Con un sospiro Roy si contorse languidamente tra le lenzuola morbide,
stirando i muscoli irrigiditi, sentendo una marea di piccoli, fin troppo
noti, dolorini tornare a fargli visita.
Con un muggito si rotolò fino ai piedi del letto gettando una gamba oltre il
materasso, sfiorando con l’alluce la moquette folta e morbida.
Non aveva molta voglia di andare in un ospedale puzzolente, soprattutto se
c’era pure un medico pancione che avrebbe di certo voluto dare un’occhiata
alla sua gamba.
Con un gemito lungo, infelice ed infantile Roy lasciò cadere i piedi sul
pavimento, imponendosi di alzarsi ed avanzò a scatti lenti, più simile ad un
automa che ad una persona, fino alla porta del bagno.
Con uno sbadiglio l’ aprì, entrando nella stanza piacevolmente temperata,
per trovarsi faccia a faccia con la propria immagine riflessa nella parete a
specchio.
Aveva i capelli così scarmigliati che avrebbe potuto partecipare ad un
casting per la selezione di Harry Potter ed il petto era costellato da una
miriade di piccoli ematomi da suzione. Con lentezza onirica allungò la mano
a sfiorare la clavicola, dove un livido irregolare, grosso quanto la testa
di un cucchiaino da tè, si stava colorando di viola.
Aveva sempre proibito a tutti i suoi clienti di marchiarlo in quel modo,era
una cosa che indisponeva il cliente successivo. Anche se andavano al Parco a
compare un amore mercenario, molti volevano avere l’illusione di non stare
acquistando favori. Ma i succhiotti, marchi violetti di passione che sulla
sua stupidissima pelle perduravano anche per una settimana, avevano il vizio
di ricordare al cliente che si stava sollazzando con merce già usata. E
quella notte Lley gliene aveva fatti….si avvicinò allo specchio, fissandosi
con occhio clinico. Sette, sempre che non ne avesse qualcuno nascosto sulla
schiena . Oh, non erano tutti succhiotti, la maggiore parte erano morsi
troppo forti,soprattutto quelli sull’interno coscia, i due regolari sul
braccio erano dovuti alla pressione delle dita dell’uomo che l’avevano
stretto con troppa forza.
La sua mano scivolò ad accarezzargli il ventre, sollevando appena il pene
addormentato per poi scendere sulla coscia.
Lley non doveva preoccuparsi di non lasciare segni.
Lley l’aveva comperato né più né meno come si compera uno schiavo, ora lui
non si prostituiva più con tanti uomini diversi. Solo con uno. Uno solo.
Era il suo lavoro in fondo. Lley lo pagava per quello.
Qualcosa si lamentò con forza nel suo stomaco, all’altezza dell’ombelico e
Roy distolse lo sguardo dal se stesso dello specchio.
Lui non sapeva sparare. Non sapeva nemmeno fare il cameriere. Sapeva solo
fare bocchini e stringere il culo nel momento dell’orgasmo.
C’era chi lo faceva per una manciata di dollari e un pasto caldo.
C’era chi lo faceva per assegni a sei zeri davanti alle telecamere.
Lui lo faceva per 750 dollari alla settimana più vitto e alloggio con un
solo uomo che per di più non aveva nemmeno la pancia e il cui alito non
puzzava.
Volendo avrebbe potuto dire di aver fatto carriera.
Inspirò con forza fissando con astio la propria immagine nello specchio –
Saresti l’invidia dei colleghi del Central- disse con un sorriso tirato
ignorando la lacrima solitaria che solcava il viso bidimensionale del suo
alter ego.
Con un ringhio si infilò nell’acqua calda, lavandosi in fretta, cercando di
non bagnare più del necessario la fasciatura. Non aveva nessuna voglia di
restare in quel bagno afoso ed asfissiante ad annusare quel profumo dolce di
erba marcia.
Con uno sbuffo, i capelli ancora pieni di shampoo uscì dalla vasca
gocciolando sul pavimento per infilarsi nel morbido accappatoio candido le
Lleroy.
Con un ringhio si passò l’asciugamano sui capelli, asciugandoli alla meno
peggio.
Faceva troppo caldo.
Scalzo, uscì dal bagno e dalla camera di Lleroy, percorrendo il corridoio a
lunghi passi, deciso a raggiungere la propria stanza.
- Hai fatto in fretta, pensavo che avrei dovuto tirarti fuori a forza, non
hai acceso l’idromassaggio?-
Roy sbuffò – No, vado a vestirmi così andiamo all’ospedale-.
- Dopo, mangia un po’ ora finché è caldo- ordinò perentoriamente spingendolo
in cucina servendogli una dose abbondante di uova strapazzate e bacon
rosolato e croccante, prima di sedersi a sua volta.
Roy fissò perplesso il tavolo: accanto al caffé nero e fumante e al solito
cartone di succo di pompelmo, Lley aveva scaldato una montagna di pancakes e
di fette dorate di toast.
- C’è sciroppo d’acero, miele e burro di arachidi- l’informò indicandogli
con un cenno i tre vasetti.
Roy annuì disgustato – Non posso mangiare tutta ‘sta roba a quest’ora-
protestò versandosi una tazza di caffè – è disgustoso.-
- Ieri sera non hai cenato e mi sa che oggi sarà una lunga giornata e
salteremo il pranzo.-
Roy sbuffò chiudendo gli occhi ed infilandosi una forchettata di uova in
bocca, scoprendo che nonostante per lui fosse ancora notte profonda, al suo
stomaco mangiare piaceva da matti.
- Il contratto è scindibile solo con la morte?- chiese con un ghigno
infantile dopo la terza fetta di pancake grondante di sciroppo e Lleroy alzò
gli occhi dal giornale del mattino per fissarlo perplesso.
- Che contratto?- chiese posando la propria tazza.
- il nostro- sospirò Roy abbandonandosi contro lo schienale della sedia,
incurante dell’accappatoio umido che si apriva rivelando il petto.
- Sì- rispose socchiudendo gli occhi, cercando di capire dove il moccioso
volesse andare a parare.
- Mmm bene, vedi di ricordartelo quando sarò talmente grasso che non entrerò
più nemmeno dalla porta del Purple.-
Lleroy scosse la testa – In quel caso comprerò un circo e ti farò lavorare
come uomo cannone, ma rachitico come sei devi mettertici d’impegno- replicò
lasciando scorrere lo sguardo lungo i pettorali magri ma torniti.
- Molto spiritoso. Andiamo?- bofonchiò stiracchiandosi. Si sentiva
piacevolmente pieno, ancora acciaccato, ma pieno.
- Sono solo le otto e venti.-
- Mi butti giù dal letto perché è tardi e adesso è troppo presto? Lo so che
i vecchi dormono poco…ma io potevo stare a letto di più!- brontolò irritato.
Faceva presto quella cariatide a volersi alzare presto la mattina, non era
stato sveglio tutta la notte lui!
Lleroy si alzò portandosi lentamente dietro alla sedia di Roy – A mangiare e
dormire ci si ingrassa- gli sussurrò piano nell’orecchio.
Roy grugnì stringendosi nelle spalle- Non ho intenzione di alzarmi all’alba
per andare a fare jogging-
Dietro di lui Lleroy sorrise, cingendogli il fianco con la mano destra,
iniziando ad armeggiare con il nodo dell’accappatoio – Non pensavo
esattamente allo jogging- gli spiegò soffiandogli nell’orecchio, prima di
scivolare con le labbra a suggere il lobo.
Roy s’irrigidì tremando – No- mormorò piano stringendo con forza gli occhi.
- Shh- sussurrò scivolando a baciare la pelle morbida della gola, spingendo
la mano ad accarezzargli il ventre soffice – so di essere stato un po’ rude
stanotte, ma non temere non ti farò male- sussurrò facendogli scivolare con
le labbra la spugna dalla spalla destra, sfiorando quel rilievo accattivante
con la punta delle lingua. Roy sospirò. Era pagato per quello: uova e bacon,
frittelle e caffé, alloggio e 750 dollari la settimana.
Le labbra di Lleroy risalirono lungo il suo mento, incontrando la sua bocca
e Roy gli passò le braccia attorno al collo, lasciandosi docilmente
sollevare dalla sedia. Alla fine era il suo solito lavoro, ma se
almeno…gemette piano mentre la mano di Lley gli accarezzava il fianco
sensibile. Se solo non fosse stato così dannatamente piacevole…
I tacchi di Lleroy rimbombavano sordi nel silenzio asettico dell’ospedale,
intercalandosi ai bip luminosi che ogni tanto fuoriuscivano dalle porte
socchiuse delle camere.
Roy espirò rumorosamente cercando di non inalare la puzza di disinfettante
che impregnava l’aria.
Un’ infermiera vestita con un lungo camice di un bianco appena rosato li
incrociò nel corridoio, sorridendo apertamente, abbassando appena lo sguardo
nell’incontrare quello di Lleroy.
- Buongiorno- mormorò sottovoce e il cuore di Roy si congelò terrorizzato
nel petto, costringendolo ad avvicinarsi di un passo verso l’uomo per
sentirne il calore.
Lleroy inarcò un sopracciglio sollevando gli angoli delle labbra – Guarda
che non ti mangia mica, non pensavo avessi paura delle donne, ragazzino.-
- Non ho paura- ringhiò sommessamente in risposta – è solo che non mi
piacciono gli ospedali e non mi piacciono quelli che ci lavorano ecco tutto.
Odio questa puzza, odio tutto questo bianco e odio le loro facce che ti
guardano sempre come se tu fossi uno scarafaggio.-
- Mh, eppure a vederti non sembri un frequentatore abituale di ospedali.-
Roy abbassò gli occhi fissando le proprie scarpe da tennis che avanzavano
senza emettere un cigolio accanto alle lucide scarpe di pelle nera di
Lleroy. Era una cosa di cui si era sempre vantato con i suoi ‘colleghi’,
eppure ora qualcosa dentro di lui si ribellava all’idea di parlarne. Si
vergognava e la vergogna era un sentimento pressoché sconosciuto per Ronald
Morrison.
Si morse la lingua inspirando attraverso le labbra socchiuse, poi raddrizzò
le spalle – Non sono un idiota incosciente – sibilò duramente – nel mio
lavoro devi aver cura del tuo corpo e dato che non ho un medico, se avevo
dei dubbi che qualche cliente mi avesse lasciato delle…- espirò piano
lasciando cadere il mento verso il petto, sentendo le spalle afflosciarsi su
se stesse, perché era così umiliante? – Delle lacerazioni profonde- mormorò
– insomma, sono cose che se vengono trascurate possono portare a delle
piaghe – cercò di spiegare con quello stesso tono accademico con cui ne
parlava con i suoi colleghi nelle sere morte al Central – e poi, in ogni
caso – si morse il labbro – ci voleva una visita ogni sei mesi, per l’Aids
sai…la maggior parte dei clienti non vuole usare il preservativo e io volevo
essere sicuro…così venivo qui a fare i test, bè, non proprio qui, al pronto
soccorso pubblico e c’erano gli infermieri che ti squadravano come se fossi
una merda e se ne stavano dietro al bancone sorridendo maliziosi con i tuoi
esiti in mano lasciandoti lì a chiederti se….- scosse la testa- e comunque
sono sempre brutti posti pieni di puzza- aggiunse cercando di darsi un tono.
Il braccio di Lleroy gli cinse le spalle, attirandoselo contro il fianco –
Adesso un dottore ce l’hai, puoi contare su Frank per qualsiasi cosa e
vorrei che lo facessi-
- Si, come no, sono nelle mani di Sancio Panza- sbuffò fermandosi davanti ad
una porta chiusa. Era bianca con il numero verde rame inciso sopra. Una
chiazza un po’ più chiara nel muro, uguale a tutte le altre, solo che
dall’interno proveniva il suono di una risatina sommessa e il rimbrotto cupo
di una voce più bassa e fintamente arrabbiata.
- Lui è qui- sibilò piano Lleroy.
- Bhè, sì è la sua stanza e visto che non è in grado di muoversi suppongo
che….-
La mano dell’uomo gli artigliò la spalla – Kinsley- sibilò – Tu vai dentro.
Io…io vado a cercare Frank, ho bisogno che mi spieghi un paio di cose.-
- Ciccio lavora qui?-
Lleroy sogghignò – Direi di sì, visto che questo posto è suo.-
- Un altro dei regalini dei DeChicco-
L’uomo annuì – Esatto. Aspettami qui, scambio due parole con Frank e poi
torno- mormorò sfiorandogli la testa con le labbra prima allontanarsi
velocemente lungo il corridoio.
Roy sgranò gli occhi allibito cercando di capire a che punto la sua mente
avesse cominciato ad avere le allucinazioni, eppure era sicuro che Lley
l’avesse baciato. Ancora perplesso guadò la propria mano bussare
distrattamente una volta e poi aprire la porta senza aspettare risposta.
- Roy! Che piacere vederti…hai visto un fantasma? Sei pallido- gracchiò
Dominique.
Era semisdraiato nel letto, la schiena leggermente sollevata appoggiata a
quattro grossi cuscini, ma gli occhi splendevano vivi ed enormi nel viso
completamente esangue.
- No - rispose chiudendo la porta – E’ che hai un aspetto orribile.-
Dominique sgranò gli occhi artigliando la camicia da notte bianca ed azzurra
all’altezza del petto – Ah povero il mio cuore puoi resistere a tanta
crudeltà? Mondo crudele ti abbandono senza rimpianto- pigolò, la voce che
usciva stridendo sulla gola, piegandosi su se tesso. – Anzi no un rimpianto
ce l’ho!- si riprese alzandosi con troppa foga. La stanza cominciò a ruotare
rombando, mentre un’orda di valchirie galoppava a spron battuto nella sua
testa. Con un gemito si appoggiò con il gomito al cuscino. Scivolava di
lato. Inesorabile. Piano piano il letto gli sfuggiva da sotto il corpo e lui
cadeva. Piano. Giù. Giù. Giù. Due braccia robuste lo circondarono
costringendolo a stendersi nuovamente tra i cuscini, tenendolo stretto. Non
poteva più cadere. E allora perché continuava ad andare ancora giù?.
- Quanto sei idiota- sibilò Joey accarezzandogli piano le spalle – Ti hanno
detto di non muoverti e tu cosa fai? Salti? Ma c’è un cervello nella tua
testa?-
- Sì - mormorò piano Dominique – te lo assicuro sta sbattendo contro tutte
le ossa. Sto cadendo?-
- No- lo rassicurò Jo stringendolo con più forza
- Allora il letto se ne sta andando, perché io vado giù….-
- No. Stai calmo, ti tengo io. Che rimpianto avresti?- chiese
Dominique sospirò languido – Non ti ho ancora ricoperto di budino al
cioccolato e decorato con panna montata e fragole e non l’abbiamo nemmeno
fatto in altalena! E poi lo voglio rifare sulla sedia massaggiante, te sopra
di me e il massaggio schiatsu sotto la mia schiena. E poi voglio anche
andare al cinema. Non siamo mai andati al cinema assieme-
- Va bene. Andremo al cinema, come ti senti?- chiese allentando la presa.-
Dominique sorrise mestamente – Non cado più. Credo. Ciao Roy, siediti.-
Disse battendo stancamente sul letto accanto a sé.
- Come ti senti? – mormorò Roy accogliendo l’invito sistemandosi sopra le
lenzuola candide con attenzione, cercando di non far ondeggiare il
materasso.
- Non male. Cioè, se mi muovo troppo una compagnia di ippopotami in tutù
rosa si mette a ballarmi in testa, ma per il resto non c’è male. Secondo i
dottori tra 10 giorni posso uscire. Ah….- annunciò afflitto, le labbra che
gli tremarono per un istante – mi hanno massacrato i capelli – annunciò
tetro sfiorando la benda arrossata dal sangue che gli copriva la testa. – Li
hanno dovuti rapare a zero tutt’attorno, quando mi toglieranno sta cosa avrò
un buco.-
Roy sorrise strizzandogli un occhio, afferrando una mano tra le sue – Bè,
puoi sempre iniziare a scoprire come si fa il riporto, ormai sei abbastanza
vecchio
Dominique sbuffò – Jo questo è Roy e dal modo in cui è premuroso e mi
consola suppongo tu abbia capito che è uno dei miei più cari amici. Roy lui
è Jo. I due si guardarono negli occhi per un istante, poi Roy sorrise
annuendo – Piacere di conoscerti. Ho sentito molto parlare di te- disse
allungando la mano che l’uomo strinse con decisione.
- Lley è venuto con te?- chiese improvvisamente il rosso fissando con
noncuranza la finestra.
- Sì, sta cercando Frank, voleva chiedergli non so cosa….-
- Voleva sapere se sono moribondo o se può sgridarmi fino alla morte perché
mi sono fatto colpire-
- Bhè, in realtà tu non avresti proprio dovuto essere lì…
- Come no? Ma se mi avete telefonato perché ci fossi?
Roy strinse gli occhi – Ti hanno chiamato?-
- Senti io ho una fantasia molto fervida, ma farlo in un magazzino
puzzolente non è tra le mie preferite. Ho dovuto cercare in internet la
strada per arrivarci! Ti pare che ci venivo se non mi veniva richiesto? E
vedrai quante me ne dirà per aver rovinato i suoi piani…
- Era preoccupato. Molto.-
Dominique sorrise stringendo la mano che ancora teneva nella sua – Lo so.
Non mostra mai i suoi sentimenti, ma lo so. Anche se la preoccupazione non
gli ha impedito di divertirsi…questo è fresco fresco- ridacchiò sfiorando
con un dito l’ematoma rossastro che si stava scurendo sul collo del ragazzo.
Roy arrossì accarezzandosi la gola – no…- borbottò distogliendo lo sguardo.
- Altrochè ed è bello grosso. Complimenti, di solito Lley non lascia tracce-
- Perché non dovrebbe? Io gli appartengo, lui ha pagato e…-
Dominique sgranò gli occhi sorpreso – Tu…-, ma Jo l’interruppe – Pagato?-
Gli occhi del ragazzo si strinsero diventando due fessure – Già. E’ il mio
lavoro-
Joey lo fissò per un istante, incrociando il suo sguardo e seguendolo mentre
si posava su Dominique che li fissava preoccupato. L’uomo annuì sorridendo –
Già. Tu sei uno di quelli che lavorano al Central.- e Roy spalancò la bocca
sorpreso.
- Non mi sembravi uno di quelli che frequentano il parco…- sussurrò
perplesso.
- In effetti non lo frequento, a meno che non mi ci mandino a fare qualche
indagine idiota. Ti ho notato tempo fa, quando hai incontrato lui.-
Dominique arricciò le labbra imbronciato – Io viaggio nudo per casa e non
fai una piega ed hai notato lui?-
Joey sorrise – Certo; la mia missione stava nell’individuare i…-
s’interruppe un istante fissando appena la testa dorata di Roy, cercando le
parole giuste per non offenderlo, ma il ragazzo sorrise scuotendo il capo -
I marchettari – lo aiutò spingendolo a continuare.
Gli occhi di Joey si strinsero appena, non gli piaceva il modo piatto con
cui aveva pronunciato la parola, come se si fosse trattato di un qualsiasi
altro lavoro.
- I ragazzi da passeggiata – lo corresse evitando di incontrare il suo
sguardo – e i clienti e condurre entrambi al commissariato. Quando vi ho
visto assieme ho sperato di poter concludere la mia serata sbattendovi
entrambi dietro le sbarre per una notte-
Dominique sorrise malizioso – Non sapevo ti piacessero certe cose Jo…-
sussurrò lascivamente lisciando lentamente lenzuolo all’altezza della
propria coscia divertito – Roy, ti ricordi? Mi devi una scopata gratis.
Vorrei riscuotere…non ti dispiace vero se si unisce anche lui?-
Roy sgranò gli occhi un istante sbirciando la faccia allibita del poliziotto
e, riuscendo miracolosamente a trattenere una risata, scosse la testa – Lo
sapevo. Quando ti offrono troppo sotto c’è sempre un trucco. Ma sono in
debito con te, per cui va bene.-
- Va bene un corno…-sibilò l’uomo fissando perplesso il marchettaro sedersi
sul letto accanto a Dominique
- Quanto sei fortunato Jo, puoi mettere le mani addirittura su due splendide
creature.- Mormorò il rosso passando con delicatezza un braccio attorno alla
vita dell’amico
- Sei disgustoso, anche da moribondo il tuo cazzo ragiona per te. Lascialo
in pace- sbuffò la voce dura di Lleroy.
La mano di Dominique, che riposava morbida ed innocua sulla pancia di Roy
salì circondandogli il collo, aggrappandosi come un cucciolo di koala - Ma
io devo riscuotere- piagnucolò Dominique.
Lleroy si avvicinò al letto a passi lenti e sonori, dando il tempo al
fratello di notare la semplice t shirt nera che aveva sostituito camicia e
cravatta.
- Hai avuto un trauma cranico, e dubito che il cazzo ti funzioni, visto che
tu il cervello ce lo hai lì- sibilò pizzicandogli con forza il dorso della
mano, costringendola a lasciare la presa. – Ti diverti tanto a farmi
innervosire idiota?-
- E perché dovresti innervosirti? Ok, ho promesso che non avrei più messo
nessuna parte del mio bellissimo corpo sui ragazzi del tuo locale, ma ti
assicuro che né Jo né io litigheremo per lui- sorrise allungando l’altra
mano per accarezzare piano il braccio di Roy –a meno che….non è che sei
geloso per caso?-
Lleroy scosse la testa espirando piano – E io che mi ero anche preoccupato
per te. Che spreco di energie.-
- Spreco? Insomma…dai ero in coma…-
- Si, ma gli scemi non muoiono mai- sibilò furente – Vieni!- ordinò fissando
Roy ed uscendo dalla porta.
Il ragazzo sospirò piano scivolando giù dal letto – Dopo ripasso- mormorò
prima di lasciare la stanza.
- Una visita lampo- borbottò Dominique tentando di grattarsi dove la benda
gli faceva prudere la pelle.
- Sembra davvero che tu lo faccia arrabbiare apposta-
- Non volevo- disse con una smorfia rinunciando all’impresa – o meglio
volevo solo che dicesse che ci tiene a lui…insomma…Roy è ancora un ragazzino
ed è appena uscito da una sparatoria, sentirsi amato gli farebbe solo bene.-
Joey sorrise accarezzandogli una guancia – e’ un messaggio subliminale?-
Dominique lo guardò perplesso – Eh?- chiese chiudendo gli occhi mentre le
dita gli accarezzavano piano il collo.
- Tu sei importane per me- sussurrò piano Jo sfiorandogli le labbra con un
bacio dolce.
Dom spalancò gli occhi sorpreso scuotendo piano la testa – Ma io non
intendevo…-
Jo annuì tornando a baciarlo a lungo, dolcemente fermandosi solo quando lo
sentì emettere un miagolio morbido, compiaciuto. – Tu sei importante per
davvero- ripeté.
E Dominique arrossì.
Con un ringhio Lleroy marciò lungo il corridoio che risuonava aritmicamente
sotto i colpi duri dei suoi tacchi.
- Così ho avuto la prova che sta bene. Non occorre più che mi affanni a
cercare Frank in questo labirinto puzzolente- sibilò irritato aprendo una
porta candida, che sbatté rocamente contro il muro. Con un grugnito spinse
con violenza Roy all’interno della stanza, costringendolo a barcollare
instabile e ad aggrapparsi allo schienale di una sedia giusto in tempo per
non cadere. Le lunghe gambe accavallate si districarono, mentre la mano
sottile si posava confortante su quella del ragazzo
-Non lo dovresti trattare così, caprone montanaro che non sei altro- lo
rimproverò duramente Faith senza girarsi – Siediti Roy- ordinò guidandolo
verso il bordo del letto in cui giaceva Joshua.
- Quel piccolo idiota decerebrato- sibilò Lleroy ignorandola, colmando con
pochi passi la distanza che lo separava dalla finestra, per poi tornare al
capezzale di Josh – Idiota ninfomane. E io che mi ero preoccupato- sospirò
pesantemente incapace di trattenere l’irritazione che gli tamburellava nei
nervi – e tu come stai- chiese fissando il volto pallido dell’amico che lo
scrutava con un mezzo sorriso – sembri quasi una persona normale-.
Joshua grugnì accarezzando piano il cotone semplice della banale camicia da
notte fornitagli dall’ospedale. La manica destra era stata completamente
tagliata per lasciare libero il braccio ferito.
-Bhè, se sorvoliamo sul fatto che il bianco non mi dona e che sembro
rivestito con un sacco di patate finito per errore in candeggina, mi seno
bene. Voglio chiedere a Frank di lasciarmi uscire già questa sera-
Lleroy grugnì - Sai dov’è? Ho provato a cercarlo dappertutto, ma non sono
riuscito a trovarlo da nessuna parte-
Joshua si strinse nelle spalle, tirando le labbra in una smorfia quando il
braccio leso gli ricordò della sua esistenza – Non lo so- gemette – l’ho
visto per l’ultima volta verso le 5 quando ha ordinato a miss Delacruz di
piantarla di fare la spola per le camere e riposare un po’, se non voleva
essere sbattuta fuori a calci.-
La donna sbuffò tornando ad accavallare le gambe – Non mi ha minacciato di
prendermi a calci, non è cafone, lui.-
Joshua ghignò – Non l’avrà detto, ma il succo era quello.-
Lleroy sorrise posando una mano sulla testa bionda, passandola tra i capelli
annodati – In effetti sembri stanca. Hai passato qui la notte.- asserì
fissando l’abito di Moschino, che, come il viso della donna, rivelava le
pieghe di una notte insonne.
- Un po’, come anche voi del resto, non pensare di avere una bella cera
tesoro. Mi sa che l’unico veramente riposato è Dom.-
Lleroy grugnì indispettito – E io che ho anche perso tempo per venirlo a
trovare. Potevo stare a casa e tirare le somme del disastro di ieri. Non so
nemmeno chi è tornato a casa e chi no- sibilò passandosi la mano sul viso,
infilando due dita sotto gli occhiali per accarezzare l’occhio sfregiato.
Aveva dimenticato uno dei doveri fondamentali di un capo. Di solito ci
pensavano Erik e Josh…ma Josh era steso davanti a lui ed Erik…non sapeva
nemmeno se era tornato sano e salvo.
- Abbiamo due morti- rispose con voce bassa e stanca Faith fissando le
proprie mani strette in grembo.. Almeno in quello era riuscita ad essere
utile, se non serviva in quanto donna almeno poteva servire come segretaria.
– Adolfo è morto stanotte- mormorò sentendo la propria voce tremare – qui
all’ospedale. Era stato colpito al ventre..Frank ha provato ad operare,
ma..- scosse la testa – aveva il fegato spappolato- disse semplicemente
guardando i jeans scuri e larghi di Roy davanti a lei.
Il fegato spappolato e 21 anni.
- Mattias continuò mordendosi il labbro inferiore, - l’hanno trovato
stamattina presto nel magazzino; gli è caduta una trave addosso. Di quelle
grosse di metallo, per impalcature. Gli ha…- inspirò dolorosamente
stringendo gli occhi. Sentì il tepore della mano di Joshua sul suo
ginocchio, le dita forti premere confortevoli la carne sotto le calze
smagliate. – Gli ha fracassato il cranio.-
Un silenzio totale cadde nella stanza, acuito dall’assenza di respiro.
Trattenevano tutti il fiato.
Il cranio rotto. Una pozza di sangue e cervello sotto il viso. Avrebbe
potuto essere la fine di Dominique.
- In più c’è Paul- aggiunse Joshua ritraendo la mano – è vivo, ma è stato
colpito alla schiena; probabilmente non potrà più camminare.-
Lleroy annuì in silenzio. Ad ogni nome la sua mente gli ricostruiva la
situazione familiare.
Adolfo lasciava una madre anziana ed una sorella.
Mattias aveva solo il padre pazzo rinchiuso in un istituto per anziani e uno
stuolo di fidanzate che forse avrebbero versato qualche lacrima e preteso un
brillante in risarcimento. Forse.
Paul…sua moglie aspettava il secondo figlio.
- E poi..- continuò implacabile Joshua cercando il suo sguardo.
- E poi?- incalzò con un sospiro stanco lleroy accettando di incontrare i
suoi occhi
- E poi abbiamo due dispersi. Erik e Karl non sono ancora tornati.-
Un gemito sordo uscì dalle labbra esangui di Lleroy.
- Però non sono stati ritrovati i corpi,forse stanno tornando, sono feriti
da qualche parte e cercano di rientrare alla base- ipotizzò Faith, ma la sua
voce era un sussurro che sapeva di non poter essere creduto.
- Già- concesse Lleroy leggendo la sua stessa consapevolezza negli occhi di
Joshua: non era da Erik sparire senza lasciare nemmeno un messaggio. C’era
la remota possibilità che potesse tornare, ma Lley era pronto a scommettere
il Purple che, se mai l’avesse fatto, sarebbe stato a piccoli pezzi spediti
in pacchi postali.
Stancamente tornò a premere le dita sulla cicatrice, l’occhio tirava con
forza cercando di strappargli la pelle dal cranio. Non ci voleva. Non Erik.
Erano stati assieme fin dal principio, nei vicoli scuri ed era lui lo
stratega della famiglia, e lui avrebbe già capito come quei sfottuti
bastardi erano riusciti ad incastrarli nel magazzino. Per un istante si
fissò le dita esterrefatto.
- Che cazzo ci facevi tu nel magazzino?- sibilò avvicinando il proprio viso
a quello tirato di Faith.
Joshua si sistemò sui guanciali con un sospiro; stare steso così tanto a
lungo gli stava intorpidendo la schiena – Sembra che qualcun l’abbia
invitata.-
La donna annuì – Mi hanno telefonato. Hanno detto che avevi bisogno di me al
magazzino. Uno dei tuoi uomini, ma non so chi fosse, non aveva una voce
nota- balbettò incerta mordendosi il labbro. Nonostante le lenti scure
sentiva su di sé lo sguardo omicida del don, gli occhi stretti che la
guardavano crudeli. Trattenne il fiato sentendo il cuore battere intimidito.
Poi si alzò con uno scatto.
- E che cazzo- gridò facendo spalancare gli occhi di Joshua e Roy, che
arretrò appena sul letto – Non sono un’idiota, non vado all’appuntamento del
primo che mi ci chiama! Mi ha detto che il Don ordinava di infornare la
cassata! Come cazzo facevo a sapere che non si sa chi ha scoperto la parola
d’ordine! E se la vuoi tutta è pure una parola d’ordine del cazzo! Non si
inforna un gelato! –
- Suppongo che lo stesso valga per Dom.- Esalò gelido Lleroy ignorandola.
- Sì, ha detto di essere stato chiamato- confermò Roy – lui e Joey-
- Una talpa- sibilò Joshua chiudendo gli occhi – una fottutissima talpa-
- L’uomo dei bigliettini probabilmente- ringhiò Lleroy avvicinandosi
stancamente alla finestra. Aveva voglia di stringere qualcosa tra le dita
fino a sentire il crack della rottura.
- In questo momento darei tutto per avere qui Erik- sussurrò mestamente
lasciando un alone di fiato sul vetro.
Nella camera dirimpetto alla sua una bambina completamente calva saltellava
sul letto. Chissà se era la figlia di uno dei suoi uomini o una delle
ragazzine degli istituti di accoglienza di cui si occupava Frank.
Erik l’avrebbe saputo. Erik ricordava sempre tutto. Si girò lentamente
- Chiunque sia stato finirà in pasto ai pesci- sibilò con un ghigno cattivo
che accese uno scintillio eccitato negli occhi di Joshua.
- Spero solo che riescano trovare qualche frammento più grande del plancton-
sogghignò il suo braccio destro
La porta si aprì all’improvviso con un rumore sordo facendoli sobbalzare per
la sorpresa
Gli occhi chiari dell’uomo erano liquidi, quasi lucidi dietro le lenti
spesse, ed anche il viso aveva un aspetto smunto e pallido nonostante il
poderoso doppio mento.
- Ti ho cercato dappertutto- sbuffò Lleroy, ma il medico si limitò ad
annuire pesantemente avvicinandosi al letto; il poderoso labbro inferiore
gli tremava come una gelatina scossa
– Lo so.- rispose laconico afferrando il polso Roy tra le dita corte e
cicciotte.
-Dove sei sparito ieri notte?- chiese con voce dura posando le mani sui
fianchi, esponendo la pancia perfettamente tonda.
- Avevi detto che potevo anche andare a casa-
Frank espirò lentamente, rumoroso come un treno – Esatto che potevi anche
andare a casa ma che sarebbe stato meglio che fossi rimasto un giorno in
osservazione e che in ogni caso non devi sforzare la gamba. E sei sparito
prima ancora che ti dessi gli antibiotici.- scoppiò acido, inspirando
rapidamente, cercando di recuperare il controllo.
Roy fissò perplesso l’omaccione davanti a lui. Era diverso dal pacioccone
che lo aveva visitato tempo prima, questo era un uomo stanco ed irritato.
- Questa volta è stata colpa mia, Frank. Non ha un bel rapporto con i
dottori e le medicine, avrei dovuto controllare meglio.- sospirò
pesantemente Lleroy.
Il dottore scosse il capo togliendosi gli occhiali per pulirli con un lembo
del camice verde acqua
– Lascia stare non è affatto grave e il moccioso è forte gli antibiotici
sono solo una prevenzione quasi superflua. E’ stata una lunga notte e
davvero nera.- sospirò profondamente, facendo sobbalzare a pancia – e non è
ancora finita. Siediti Lleroy.-
Il don lo guardò un istante scrutando negli occhi scuri, cercando di leggere
un’anticipazione.
- Sei troppo pallido anche tu, ne ho fin sopra i capelli di curare gente,
siediti.- grugnì debolmente.
Con un sospiro Joshua si spostò un poco nel letto, facendogli spazio e Lley
obbedì accomodandoglisi accanto.
Frank inspirò profondamente prima di aprire la bocca e richiuderla di scatto
scuotendo la testa.
- Perdonami…ma, non c’è un buon modo per dare cattive notizie.- mormorò con
voce tremante - E’ stata una notte nera, davvero nera Don DeChicco.-
Lleroy inspirò con forza, mentre Joshua chiudeva gli occhi con un piccolo
gemito soffocato.
- Le sue condizioni erano già così delicate…- s’interruppe per
deglutire,cercando di calmare il tremolio del grosso pomo d’Adamo – E’ stato
improvviso.-
Faith singhiozzò piano, scuotendo ripetutamente la testa.
-Ha sofferto?- mormorò Lley afferrando il lenzuolo tra le dita serrandolo
tra le nocche pallide, ignorando la mano sana di Joshua che gli
stringendogli l’avambraccio tanto da fermargli il sangue.
Per un attimo Frank ponderò l’idea di mentire, di dare loro almeno quella
consolazione, poi espirò abbassando il viso – E’ stato…rapido- disse alla
fine.
Con un ringhio Joshua si scaraventò giù dal letto, afferrando il collo del
camice tra le dita, sollevando Frank alcuni centimetri da terra.
- Avevi detto che stava bene! Che avrebbe campato ancora per anni! Che non
correva alcun rischio- urlò mentre un paio di lacrime solitarie gli
solcavano il viso tirato – Fottuto bugiardo hai detto che era a posto-
Frank chinò il capo abbassando gli occhi verso il pavimento.
- Rispondimi vecchio bastardo!Hai mentito?- continuò ad urlare scuotendolo
con forza, facendolo dondolare come un informe sacco.
- Smettila Joshua- singhiozzò Faith – Smettila- le lacrime le scorrevano
liberamente sul viso, scivolando lungo il collo, infilandosi nello scollo
dell’abito stropicciato, sul petto che si alzava affannato nel pianto. Solo
Lleroy e Roy erano immobili, in silenzio nella camera, ma se il ragazzo
fissava allibito il viso alterato e contratto di Joshua, Lleroy rimaneva
immobile, gli occhi irraggiungibili dietro le lenti scure.
Con un sospiro profondo il medico posò la propria mano sul braccio ferito di
Joshua – Ti fari del male così. Non ho mentito, non prendertela con me.
Prenditela con quel mostro infernale capace di telefonare nel cuore della
notte per dire ad un povero vecchio che i suoi due figli sono morti in
un’imboscata-
Piano Joshua lo abbassò, permettendogli di ritoccare terra, ma le mani
rimasero immobili sul colletto verde mare – Era un padre per me- mormorò
lasciando che le lacrime gli colassero amare nella bocca.
Il dottore annuì – Lo era per tutti noi-, ma Joshua scosse la testa
retrocedendo, accasciandosi sul letto
– No. Per me era…-mormorò piegando la testa – era…era…-
Con un gemito, tirando su col naso, Faith gli si sedette accanto,
passandogli un braccio attorno alle collo, costringendolo a posare la testa
sulla sua spalla. Per un istante Joshua s’irrigidì, poi cominciò a
singhiozzare silenziosamente.
Con un sospiro stanco Lleroy si alzò lasciando la stanza senza dire una sola
parola.
Quella era una cosa che non aveva mai previsto.
Aveva conquistato la fiducia degli uomini per avere un suo esercito.
Aveva creato il Purple per avere un suo nome, una sua potenza economica.
Si era espanso per diventare la guida, la stella polare degli uomini che
avrebbero voluto seguirlo nonostante Tony dicesse di no.
Per diciotto anni si era preparato all’inevitabile confronto, al momento in
cui il giovane leone avrebbe sfidato il vecchio leone per il controllo del
branco. Non aveva mai pensato che il vecchio sarebbe potuto morire prima,
vanificando ogni suo sforzo.
Anni di menzogne a fingere di essere etero quando non lo era.
Anni di scuse per procrastinare un matrimonio di cui non sentiva il bisogno.
Anni di minuziosi preparativi.
Ed ora non rimaneva più nulla perché suo padre, un vecchio da anni immobile
su una carrozzina, che pareva inghiottire quel corpo che diventava più
sottile e trasparente col passare del tempo, aveva sollevato la cornetta e
qualcuno gli aveva detto che dopo sua moglie, avrebbe dovuto assistere anche
al funerale dei suoi due figli.
Due figli.
Due.
Qualcosa si rovesciò con forza nel suo stomaco, facendogli male quanto un
pugno.
Un altro peccato da aggiungere alla sua lunga lista. Un'altra colpa da
scontare.
Inspirando con forza infilò due dita sotto gli occhiali, premendoli contro
la cicatrice, sentendola pulsare con forza. Con un sospiro rantolante si
girò di scatto percorrendo con rabbia il corridoio. Il solito inequivocabile
chiacchiericcio si alzava dal letto di Dominique grondando stupidità. Per un
attimo Lleroy rimase immobile sulla soglia, fissando l’interno da quell’angolo
cieco alla visuale degli occupanti. Dominique avvolto dal candore delle
lenzuola gesticolava vivacemente, mentre lo sbirro, seduto sulla sedia
accanto a lui si limitava a scuotere piano la testa, giocherellando con i
capelli ramati. Un sorriso dolcissimo si allargava sul viso di suo fratello,
un sorriso dolcissimo che ancora una volta lui avrebbe mutato in lacrime.
Si schiarì la voce, rivelando la propria presenza, prima di entrare a passi
lenti nella camera.
- Ho bisogno di parlarti, Dom, in privato- disse gelido sfidando Joey a
contraddirlo.
L’uomo si alzò sostenendo lo sguardo – Io non credo che…- iniziò, ma il
sospiro teatrale di Dominique lo interruppe
- Non importa, amore mio, lo sapevo che sarebbe venuto a farmi la ramanzina-
gemette fissando il fratello con gli occhi grandi, lucidi, incredibilmente
simile ad un grosso cagnone perfettamente conscio di aver masticato a dovere
la scarpa del padrone. – Magari approfittane per andare a mangiare
qualcosa…e per vedere se trovi un po’ di cioccolata.-
- Sicuro?- sibilò il poliziotto senza distogliere lo sguardo dal mafioso che
aveva davanti.
- Coraggio, è mio fratello, non un assassino-
La bocca di Joey si aprì per una replica salace che gli pungeva la lingua
come una manciata di finissimo peperoncino, ma si richiuse lasciando uscire
solo un sibilo d’aria. – Come vuoi- acconsentì a malincuore.
- Chiudi la porta quando esci, per favore- aggiunse Lleroy sedendosi sul
letto accanto a l fratello.
Joey s’irrigidì, poi digrignando i denti annuì, lasciando la stanza e
tirandosi dietro la porta che sbatté rumorosamente.
Per un lungo attimo Lley rimase immobile, fissando la parete bianca davanti
a lui, perfettamente conscio degli occhi verdi che lo stavano esaminando con
la stessa attenzione che un vulcanologo riservava ad un condotto che si
stava risvegliando.
- Come ti senti?- chiese improvvisamente Lleroy a voce bassa e Dominique
deglutì.
- Se dico male hai pietà di me?-
Lleroy sospirò – Non sono qui per sgridarti, voglio solo sapere come stai-
- In questo caso sto bene, la testa pesa un po’, gira se mi muovo troppo in
fretta, ma Frank ha detto che tra una settimana sono fuori-
- Hai visto Frank?- chiese sentendo la propria voce uscire a fatica.
Dominique annuì vigorosamente rendendosi subito conto di quanto fosse stata
una pessima, stupida ed idiotissima idea.- Si- gemette premendosi la mano
contro la fronte.
Improvvisamente un braccio gli si posò sulle spalle, sfregandogli piano il
bicipite. Lley lo accarezzò affettuosamente, incapace di trovare le parole.
– Senti…da quanto non sentivi nostro padre?- chiese con un sospiro.
Dominique si grattò il naso – Bho, dal mio compleanno credo, quando mi ha
portato un assegno ed un ceffone alla nuca che ancora mi fa male. Non gli
piace vedermi lo sai, ha sempre preferito te a me…prima gli ricordavo troppo
mamma, poi ha scoperto che sono gay…se fossi stato più attento.-
Quel qualcosa tornò a scalciare con forza nello stomaco di Lleroy.
‘se fossi stato più attento’, oh, ma non era stata colpa sua.
‘se fossi stato più attento’, non avrebbe mai potuto essere più attento.
E quel giorno Dominique se ne era andato di casa piangendo.
E Tony si era rinchiuso nello studio per non mostrare le proprie lacrime.
- Ti voleva bene, lo sai.- sussurrò piano.
Ed è morto senza potertelo dire perché io gli ho detto cos’eri, pensò
amaramente, dando altro cibo al mostro che cresceva pian piano nel suo
stomaco.
La spalla di Dominique tremò appena sotto le sue dita. –Perché mi dici
queste cose?Non parli mai di lui…- mormorò così piano che Lley dovette
avvicinare il viso al suo per sentirlo. – Gli è successo qualcosa?
Sta…male?- alitò deglutendo un groppo duro e salaticcio che gli ostruiva la
gola.
Lleroy sospirò passandogli entrambe le braccia dietro la schiena,
permettendogli di posare il viso contro il proprio petto. Dominique sussultò
sentendo le lacrime pungergli gli occhi. – Non è vero- mormorò contro la sua
clavicola,creando delle piccole macchie più scure dove lo sfiorava con la
bocca e con le lacrime – Non è vero. Io non gli ho detto nulla- ansimò.
Le braccia di Lley lo strinsero con forza – Mi dispiace- mormorò piano
sentendo che anche la propria voce tremava.
- E’ solo malato vero? Gli posso parlare? Gli posso dire che anche io gli
voglio bene? Che non è vero che lo odio?che non è un omofobo di merda
vero?vero?- gridò singhiozzando con forza, stringendo il cotone tra le dita
come un’ancora di salvezza.
Lleroy scosse la testa – Lo sapeva già…-
- ma glielo posso dire io?-
- E’ morto, Dom- mormorò piano.
Morto da solo.
Morto convinto che i suoi figli fossero morti.
Morto convinto che Dominique pensasse che suo padre lo odiava.
Sospirò piano accarezzando lentamente la chioma ramata e la bestia fatta di
rimorso nel suo stomaco si acquietò acciambellandosi in un angolo. Prima o
poi avrebbe pagato per tutte le sue colpe, ma prima qualcun altro aveva un
conto salatissimo da saldare.
Il sole pallido del primo pomeriggio s’infiltrava silenzioso tra i rami
secchi e gialli degli alberi, disegnando piccoli cerchi di luce sulla terra
morbida e scura che profumava di pioggia.
Dominique si morse il labbro, cercando di ricacciare indietro le lacrime,
quando il prete sollevò la grossa bibbia di cuoio scarlatto recitando il
salmo in italiano. Joey era da qualche parte dietro di lui. Sarebbe stato
facile scivolare piano all’indietro e perdersi nel conforto delle sue
braccia.
‘Un finocchio sei? E quando mai generai una checca
piagnucolosa?’
Deglutì raddrizzando il collo, fissando la bara nera e lucida sospesa sopra
la fossa. Non avrebbe pianto davanti a lui, non gli avrebbe dato anche quel
dispiacere.
Un singhiozzo mal soffocato sgusciò da dietro le sue spalle e Faith si
affrettò a coprirsi la bocca con le mani. Non capiva una sola parola di
quello che il prete stava dicendo, ma era irrilevante: aveva assistito a
così tanti funerali da sapere che le parole altisonanti di quel corvo dal
rigido colletto bianco puntavano a risvegliare una sofferenza intollerabile
nel cuore dei vivi, a far sentir loro il peso del vuoto che si era colmato.
Lui è andato nella gloria del Signore, voi siete qui:arrangiatevi. Una mano
le sfiorò piano la spalla – Puoi piangere se vuoi, eri la sua futura nuora-
mormorò Joshua.
Faith scosse la testa, facendo ondeggiare la spessa veletta nera, sapeva e
sentiva che dietro di loro le mogli degli uomini di Tony gemevano strappando
i fili di erba secca, versando rumorose lacrime sul terreno già umido,
chiedendo a Dio perché si fosse portato via un così buon uomo. Quelle donne
che avevano visto Tony una o due volte nella loro vita potevano piangere,
mentre i suoi figli dovevano tenere la testa alta e la schiena dritta
fissando la cassa che conteneva loro padre. Come futura sposa di Lleroy, del
Don, lei aveva il diritto di stare nel cerchio più interno e non mescolata
alla bolgia nerovestita che si espandeva crescendo come una macchia d’olio
vischioso uscita da uno squarcio sulla petroliera. Come futura moglie del
Don lei avrebbe trattenuto le lacrime e i singhiozzi.
Il prete sollevò una mano tracciando una croce sulla bara e Lleroy sospirò
piano scuotendo la testa.
‘Mangiasoldi sono. Ma ti pare che la mia povera
Colette abbia bisogno di una messa al mese per salire in paradiso? Una santa
fu la tu mamma, una santa. Non farmeli vedere i preti…tutti al rogo li
manderei io quei predicatori di follie.’
Ed era un prete nero e secco, dal naso adunco e dal pessimo accento italiano
a recitare il requiem sopra la sua bara, perché secondo Tony così avrebbe
voluto la sua Colette.
I due becchini tolsero le corde facendo scivolare con delicatezza la cassa
nella terra scura e Dominique si avvicinò alla fossa depositando un grosso
splendente iris.
Lleroy sospirò avvicinandosi a sua volta, ponendo una mano sulla spalla del
fratello, lasciando cadere un fiore. Rimasero immobili un lungo istante,
percorrendo con lo sguardo le decorazioni dorate della bara.
- Secondo te incontrerà la mamma?- mormorò Dom sentendosi infinitamente
stupido.
- Gli starebbe bene: così riceverebbe una bella sgridata per tutte le
puttanelle che si è portato a letto dopo la sua morte-
- Era uno stronzo – sussurrò piano Dom e Lleroy annuì sollevando con
nonchalance il dito per asciugargli una lacrima fuggiasca – Già- mormorò con
la voce che tremava, conducendolo lontano dalla fossa.
Toccava agli altri avvicinarsi e rendere l’ultimo omaggio, in ordine
d’importanza.
Faith.
‘Ma me lo farai vedere un pupo? O ci devo aspettare che
Dominique mi si trasformi in femmina e me lo sforni lui?’.
La nuora da cui non avrebbe mai avuto un nipote.
Joshua
‘Ti raccolsi che ti cagavi ancora addosso, smettila di
chiamarmi Padrino e chiamami babbo’
Che non era stato suo figlio solo perché Tony aveva amato troppo la moglie
per permettere ad altre donne di avere dei bambini da lui.
E via via tutti gli altri.
Zio Franco e zia Rita arrivati dall’Italia con uno stuolo di cugini di cui
Lley non ricordava i nomi e che Dom aveva evitato come la peste.
Il vecchio Greg, con il viso incartapecorito come quello di una tartaruga,
primo alleato di Tony e poi nemico di mille battaglie a scacchi.
Il vecchio Frank con gli occhi lucidi di lacrime
I capi di zona.
I loro sottoposti.
Le loro mogli.
Tutti coloro che avevano ottenuto un favore da Tony, da Victor
Baldassarre(una volta Victor Melchiorre), ai coniugi Trolese (la cui figlia
saltellava sul letto dell’ospedale di Frank). Tutti avanzavano ordinati,
deponendo un fiore sulla bara, mormorando una preghiera in italiano o in
inglese, prima di girasi verso Lleroy ed abbracciarlo, riconoscendolo come
erede di Tony.
Mancavano solo i politici, il procuratore generale e il commissario in capo
del distretto di NY che non potevano presenziare, ma che avevano inviato le
loro condoglianze e una corona di fiori.
Passarono ore, prima che l’ultima persona, un macellaio napoletano che aveva
avuto delle rogne con la sanità, stringesse in un abbraccio affettato
Lleroy, lasciando il cimitero.
Il sole era basso e pallido e s’infrangeva contro i tronchi nodosi degli
alberi.
Con un sospiro spossato Lleroy si accarezzò la cicatrice che tirava
subdolamente. Un’ombra scura si avvicinò, staccandosi dal grosso cipresso
accanto a cui aveva atteso immobile per tutto quel tempo ed il sollievo che
Lley provò nel vedere Roy, si ammosciò immediatamente nel riconoscere in
Joey l’uomo che gli stava accanto. Sapeva che c’era, sapeva che Dominique
aveva bisogno che ci fosse, ma il vederlo era ugualmente irritante.
- E’ finita- mormorò piano Dom lasciando cadere la testa sul petto del suo
uomo che gli posò una mano sulla spalla – è stato straziante- ammise
sottovoce.
I due becchini, mimetizzati discretamente in un angolo, afferrarono le loro
pale.
-Posso?- chiese Roy mostrando un piccolo, bellissimo giacinto bianco mentre
si avvicinava alla fossa. La tomba era completamente scomparsa sotto una
coperta di petali. – Non l’ho mai conosciuto, ma mi piacerebbe…- disse piano
guardando il terreno.
Lleroy annuì sollevando il viso verso il cielo: i piccoli cirri si
ammassavano uno sull’altro. – Penso che gli avrebbe fatto piacere. Gli
saresti piaciuto-
Il giacinto volò nell’aria aggiungendo il suo colore al tumulo di fiori.
- Scenetta commovente, le mie condoglianze DeChicco- gorgheggiò sarcastica
una voce alle loro spalle.
Dominique s’irrigidì digrignando i denti – Che cazzo ci fai tu qui?- sibilò
girandosi di scatto con i pugni stretti, solo per fermarsi allibito.
Eiji sogghignava come al suo solito, i lunghi capelli neri erano stati
raccolti in una lunga treccia che gli cadeva pesante sulla spalla sinistra.
Come tutti i suoi uomini era vestito completamente di bianco e candido era
anche il giglio che stringeva in mano. C’era solo un uomo, un’occidentale
tra una ventina di asiatici, vestito in nero. Gli occhi di Dominique lo
fissarono esterrefatti, soffermandosi sulla mano destra stretta attorno
all’impugnatura di una grossa Steyr GB80
- Siamo venuti a porgere l’ultimo saluto ai DeChicco – mormorò Eiji
avvicinandosi alla fossa allungando il braccio per far cadere il fiore, ma
Lleroy lo bloccò afferrandogli il polso ed il giglio rovinò sull’erba umida.
- Non gli piacciono i gigli, diceva che puzzano- sibilò lasciandolo, notando
con soddisfazione maligna i lividi rossi sulla pelle nivea – e tu lo sapevi-
.
Il cinese si limitò a sorridere sornione, annuendo.
- Ora – continuò pacato Lleroy sistemandosi gli occhiali, - se non ti è di
troppo disturbo ti dispiacerebbe dirmi cosa ci fa un mio uomo in mezzo ai
tuoi?-
Il sorriso di Eiji si allargò sui denti piccoli, affilati e candidi – Mi
dispiace DeChicco, quello è il mio uomo-.
Lleroy scosse la testa sogghignando – Non avrei mai pensato che tu avessi
dei gusti così discutibili, Erik, ti sei portato a letto l’unico essere
schifato pure da Dom.-
Un colpo di pistola si piantò davanti ai suoi piedi, scavando una buca
sottile e profonda. Gli restavano solo 18 colpi. Un’infinità.
Con un grido strozzato i due becchini lasciarono cadere le loro pale,
scappando di corsa, inciampando e zigzagando tra le tombe
- Pensavo fossi cibo per pesci, mi dispiace costatare che non è così.-
aggiunse calmo.
Le labbra del suo ex braccio sinistro si tesero in un ringhio – Non ti
preoccupare Lley, quelle bestioline non faranno dieta ancora a lungo, tra un
po’ vi mando tutti a trovare Karl.-
Dominique sussultò con forza – Cosa gli hai fatto!- gridò stringendo i
pugni. Gli sarebbe saltato contro, incurante della grossa pistola, se le
braccia di Joey non lo avessero tenuto strettamente fermo.
Erik sospirò scuotendo la testa – Povero ragazzo. Voi DeChicco prendete
sempre, incuranti del male che fate vero? L’hai scopato come un calzino e
poi te ne sei liberato,e lui era così sconvolto quando gli ho sparato. Così
terrorizzato che potessi fare del male anche a te. Mi ha supplicato di non
ucciderti. E’ morto con il tuo nome sulle labbra.-
Dominique singhiozzò accasciandosi tra le braccia di Joey. Erano stati
assieme due mesi, più di due anni prima. Possibile che Karl l’avesse amato
davvero?
Un ringhio furioso gli lacerò i timpani, costringendolo ad alzare lo sguardo
da terra.
- Figlio di puttana! Era un compagno! L’hai ucciso? Cane traditore- ringhiò
Joshua andandogli contro, fermandosi solo quando la canna della Steyr gli si
premette contro il torace.
- Non potevo certo portarlo con me. E sta tranquillo non ha sofferto.
Credo…non ho mai avuto una mira buona quanto la tua- sogghignò cattivo.
Con due passi leggeri Lley affiancò il giovane capo cinese afferrandolo
rudemente per la vita – Vedi di non fare scherzi strani Erik- sibilò
premendo due dita contro il collo del ragazzo che gemette.
Con un ringhio il traditore abbassò l’arma e Joshua ne approfittò per
tornare indietro, senza mai dare la schiena all’ex compagno. Solo quando gli
fu accanto Lleroy liberò Eiji, dandogli una spinta così violenta da farlo
cadere a terra. Due uomini, dalla pelle giallastra e dagli occhi piccoli
gridarono qualcosa alzando le armi,ma si fermarono con un borbottio cupo ad
un gesto della mano di Erik.
- Complimenti- sghignazzò Lleroy – ne hai fatta di strada. Con me davi
ordini ad interi manipoli di uomini che ti seguivano per quello che eri, qui
comandi quattro mentecatti – il borbottio crebbe accompagnato dallo scattare
delle sicure – che ti seguono solo perché sei il giochetto sessuale del
nipote del capo. Un miglioramento, davvero.-
Ma Erik sorrise – E’ solo l’inizio. Prima te, poi quel vecchio di Wo-ching e
poi New York sarà nostra.- -E’ per questo che lo fai? E’ per questo che hai
tradito piccolo pezzo di merda- chiese Joshua stringendo i denti, ottenendo
solo un altro sorrisetto in risposta.
Lleroy scosse la testa realmente divertito. – Vi farà secchi in un istante,
tutti e due, anche se quel coso è il suo unico nipote
Eiji ringhiò, incurante dei capelli impiastricciati di fango che gli
sfuggivano dalla treccia- Ne ho abbastanza di voi, figli di cagna! Pensate
di potermi ignorare, pensate che io possa essere messo da parte, ma vi
sbagliate! Fuoco!- gridò.
Joshua afferrò Faith, spingendola lontano, al riparo di una grossa croce di
legno, poi rotolando sulla schiena estrasse da sotto l’ascella una grossa
Desert Eagle. Aveva esattamente la metà della capacità della Styr, più
simile ad una mitraglietta abortita che ad una vera pistola, ma la
conversione al calibro .44 magnum gli permetteva di fare un morto a colpo.
Uno dei cinesi cadde con un urlo violento, sobbalzando sul terreno unto per
alcuni istanti prima di morire.
Con un ringhio Joey si gettò a terra, rotolando fino ad afferrare l’arma che
gli giaceva dimenticata accanto, iniziando a sparare a sua volta colpendo un
altro degli asiatici direttamente in mezzo agli occhi.
- E’ un vestito di Gucci fottutto bastardo!- urlò Faith stringendo un lembo
dell’abito strappato e spuntando in faccia ad un uomo tozzo che la fissava
con gli occhi porcini pieni di un’inequivocabile bramosia, - E non si cerca
di violentare una donna in mezzo ad una sparatoria- sussurrò improvvisamente
con un sorriso prima di stringere le dita attorno al manico della pala
dimenticata a terra e sollevarla con tutta la sua forza in mezzo alle gambe
dell’uomo che la sovrastava. Il cinese sgranò gli occhi, incapace di
respirare per un lungo istante, poi cadde in ginocchio con un gorgoglio
liquido, stringendo le mani a coppa sui genitali sanguinanti. Senza perdere
tempo Faith si alzò, facendo calare nuovamente l’arma improvvisata sul suo
aguzzino che perse i sensi.
- Io direi che basta così!- gridò Erik sovrastando il rimbombo roco degli
spari che si perdeva nel silenzio del cimitero. Immediatamente, ubbidendo ad
un piano prestabilito, gli uomini di Eiji smisero di sparare, permettendo a
lleroy di godersi lo spettacolo.
Immobile, stretto tra le braccia di Erik, la pistola puntata contro alla
gola sollevata c’era Roy.
- Che cazzo fai?- urlò inviperito Eiji correndogli accanto – ti avevo detto
di prendere Dom! Che ce ne facciamo di questo? Dovevamo sfruttare il suo
punto debole, che cazzo combini.-
Le labbra dell’uomo si allargarono in un ampio sorriso soddisfatto – L’hai
detto. Il suo punto debole è qui- mormorò sfiorando con la lingua la guancia
di Roy che si divincolò cercando di sfuggire al contatto.- Ma quante
castronate dici, si vede che l’alzeimer ti ha preso in pieno- sibilò.
- Tu dici? Butta la pistola o la testa gli salta- intimò e la grossa Smith&wesson
di Lley si adagiò con un ponf soffocato sull’erba.
-Sei un vigliacco – gridò Faith puntandogli contro la propria pala.
- E’ poco gentile da parte sua, miss Delacruz, ma in fondo lei non conosce
la gentilezza vero. Come loro lei passa ignorando il povero Erik che vive
tra documenti e siti internet. Il povero Erik, l’unico capace di trovare
informazioni, il buon Erik che sopporta sempre tutto, quello a cui nulla è
dovuto. Quello così inconsistente che viene a sapere sempre tutto perché
tanto nessuno lo nota, vero sbirro? Nemmeno ti sei accorto che ti spiavo
mentre chiacchieravi con il tuo amico al bar. Mi hai deluso però. Pensavo
che Will avesse contato di più per te, che se avessi incontrato Lleroy, o
meglio Walter, l’avresti fatto fuori. Se avessi saputo che eri così
mammoletta non ti avrei invitato.-
- sei stato tu! Tu conoscevi le parole d’ordine, ci hai chiamato tu!-
strillò Faith rimpiangendo di non avere abbastanza forza nelle braccia da
scagliargli contro la pala.
- Non era la sua voce- sussurrò mestamente Dominique ed Erik annuì
soddisfatto – in effetti vi ho fatto chiamare, l’unica telefonata che ho
fatto di persona è stata a Tony.-
- Gli hai detto che eravamo morti, vero? Sapevi che non avrebbe retto il
colpo?- aggiunse Lley indicando con la testa la tomba alle sue spalle.
- Mi dispiace- mormorò Erik e la cosa peggiore era che sembrava davvero
dispiaciuto – quello è stato un increscioso incidente, voi avreste dovuto
davvero essere morti nel magazzino. Non ho capito cosa sia andato storto.-
Roy tremò appena rabbioso e strinse le dita attorno all’impugnatura piatta
della pistoletta che Joshua l’aveva costretto a prendere.
Una Detonics pocket 9, la più piccola calibro 9p sul mercato. Una cosa
bruttina e piatta, senza le bombature sulle guancette, di appena 15 cm.
Gliel’aveva infilata a forza nella cintura dei pantaloni ordinandogli di non
dire a Lley che gliel’aveva data.
Con un urlo da karateka Roy pestò il piede di Erik, calandogli con forza
l’arma sul polso destro, che per il dolore si rilassò lasciando cadere la
grossa pistola, per poi mirare direttamente alla testa dell’uomo che lo
fissava allibito.
- Muori!- gridò premendo il grilletto.
Il proiettile schivò il bersaglio di una trentina di centimetri andando a
spezzare il ramo di un albero, ma il rinculo, troppo potente per un arma
così piccola, fece proprio ciò che Joshua aveva previsto scaraventando Roy a
terra.
Uno dei cinesi urlò qualcosa iniziando a sparare, ma, veloce, Joey si gettò
sul ragazzo che gemeva stringendosi la spalla destra, coprendolo conil
proprio corpo e, afferrata l’arma con entrambe le mani, scaricando i 6 colpi
restanti sugli uomini di Eiji.
- E vai!- gridò Joshua coprendo con il proprio corpo Faith, sparando tre
colpi a sua volta.
Per un attimo il tempo si congelò permettendo ad Erik di vedere la sua
disfatta. Della sua truppa non erano rimasti che il suo piccolo amante
cinese, completamente incapace di usare una pistola e lui stesso, con la
mano destra probabilmente fratturata.
Deglutendo Erik cadde in ginocchio, cercando lo sguardo di Lleroy,
invisibile dietro le lenti scure.
- Sono stato un folle- mormorò mentre le lacrime gli scivolavano lungo le
guance, - lui mi ha stregato, io non…-scosse la testa.
Senza degnarlo di un’occhiata Lleroy si girò verso la tomba del padre,
perfettamente conscio del giovane Eiji che strisciava piano, allontanandosi
da loro. Ma non era quello il momento per inimicarsi i cinesi.
- Ti consideravo un amico Erik- mormorò con calma e l’uomo annuì deglutendo.
- Lo so ed io ho tradito. Non merito la tua pietà- mormorò – ma ti
supplico…non voglio morire.-
Lleroy sorrise annuendo – Hai detto bene – asserì – Non meriti pietà, ma
davvero ti consideravo un amico. Per cui corri: se sbaglia mira sei salvo-.
Gli occhi di Erik si sgranarono allargandosi quanto il sorriso di Joshua,
poi chinò il capo con una smorfia mesta – Non ha nemmeno senso correre-
sussurrò.
Lo sparo rimbombò violento, riecheggiando per un lungo minuto.
- I becchini se ne sono andati- sospirò piano Lleroy fissando la tomba
ancora aperta.
- Ma il vecchio ha avuto il suo ultimo spettacolo- ansimò piano Joshua
lasciando cadere l’arma a terra; ora che l’adrenalina stava crollando il
braccio aveva ripreso a pulsare dolorosamente.
- Già, credo che si sarebbe divertito- sussurrò Lley spingendo un po’ di
terra nella fossa.
- Il possesso di quest’arma è vietato per legge- borbottò Joey raccogliendo
la Desert Eagle di Joshua
Josh si grattò il naso – Ops- disse candidamente facendola svanire sotto la
giacca.
- Cosa pensi di raccontare ora?- chiese Lleroy. Erano tutti e tre in fila.
Immobili rivolti al buco ancora aperto e la risata nervosa di Joey risuonò
stranamente grottesca tra le ombre che calavano sempre più velocemente.
- Cosa vuoi che racconti?- chiese acido – io non ho visto nulla- sibilò
digrignando i denti – io non potevo essere qui. Cosa ci avrei mai fatto al
funerale di un boss mafioso?-
Lleroy sorrise sistemandosi gli occhiali. – Riflettici bene, sbirro, perché
è questa la vita che ti aspetta. Potresti metterti con me…- propose già
conoscendo la risposta e difatti Joy grugnì un no secco – e allora, se vuoi
continuare la tua storia con lui non sarai mai nulla. Né di qua né di là.
Solo in pericolo, minacciato da entrambe le parti. Tu e lui. La differenza è
che io vi proteggerò entrambi, ma la polizia potrà proteggere lui? Lo vorrà
proteggere?- chiese. Ma Joey abbassò lo sguardo verso la terra, senza poter
rispondere.
Un gemito soffocato li riportò alla realtà. Dominique, immobile e contratto,
era in piedi davanti al cadavere di Erik.
Lleroy gli si affiancò, infilando le mani nelle tasche, rimanendo in
silenzio accanto a lui.
Dominique iniziò a singhiozzare piano scuotendo la testa – Ha ucciso Karl,
perché?- mormorò piano e Lleroy sospirò. – Chi lo sa perché le persone
tradiscono. Soldi. Potere. Sesso. Frustrazione.-
-Lui si è preoccupato per me – balbettò – io…io…io…-. Lley fissò il cielo
scuro sopra di loro. Sapeva cosa stava provando. Il dolore profondo dei
sensi di colpa. Quel drago dai canini aguzzi che si dilettava a
mordicchiarti il cuore. Per Dom Karl non era stato che uno dei tanti, messo
da parte come loro, ma ora Karl era morto con il nome di Dominique sulle
labbra marchiando un pezzo dell’animo del ragazzo come non sarebbe mai
riuscito a fare restando in vita.
- Dagli un calcio – consigliò alla fine – riempilo di calci, vendica la sua
memoria.-
Il fratello lo fissò con aria dubbiosa, infilando la punta della propria
scarpa da tennis nel fianco del cadavere tanto per accontentarlo, scoprendo
che in fondo sì, stava meglio. Con un ringhio lo colpì ancora.
Lleroy si girò, lasciandolo solo ad infierire ed insultare il cadavere che
non lo ascoltava – Va da lui- chiese a Joey – portalo con te stanotte.-
Per un attimo si fissarono negli occhi, poi senza dire una parola il
poliziotto lo superò.
Joshua ridacchiò scuotendo la testa – Ma guarda guarda hai cambiato idea?-
- A che proposito- biascicò irritato fin troppo consapevole dell’obbiettivo
dell’amico.
- Prima non lo sopportavi ed ora gli affidi il tuo fratellino-
- Se l’è scelto Dom, non ci posso fare nulla se adora gli inetti-
- Eh, il fatto che abbia salvato il tuo cucciolo da morte certa non c’entra
nulla vero?- sogghignò implacabile.
Con un sospiro, una via di mezzo tra un grugnito ed una bestemmia, Lleroy
gli diede le spalle, avvicinandosi a Faith e Roy, seduti immobili a terra,
una accanto all’altra.
- Se non ci fosse stato lui sarebbe morto, lo sai?-
- Non occorre che me lo ricordi- ringhiò – Voi due, va tutto bene?-
- Mi si è rovinato un altro vestito- mormorò mestamente Faith, stringeva con
entrambe le mani quella tremante di Roy.
Lleroy si accosciò davanti a loro, sollevando con due dita il mento del
ragazzo, che lo fissò con un’espressione vacua. - Hai fatto un buon lavoro –
si complimentò togliendogli una macchia di fango dallo zigomo.
- Come no, mi sono fatto catturare, ho mancato un bersaglio a due centimetri
di distanza e poi per poco non mi ammazzavano. Davvero buono.-
- Con quella pistola è già tanto che il braccio non ti si sia staccato dalla
spalla, il resto è tutta questione di pratica e tecnica. Tu hai iniziativa e
sangue freddo.- si congratulò Joshua con un sorriso immenso – e non hai
nemmeno vomitato. Alla sua prima sparatoria Lley ha fatto una specie di
lago, non la finiva più.-
Roy accennò un sorriso stanco – Non me lo dire due volte, perché penso che
potrei cominciare a farlo in qualsiasi momento.-
La mano di Lley gli scivolò lenta sulla spalla,accarezzandola piano –
Andiamo a casa- ordinò alzandosi e sfilandosi la giacca sporca. – Faith
metti questa, ti si vedono le tette.-
- Vi aspetto alla macchina- borbottò Joshua arrossendo imbarazzato.
*ebbene sì…Lleroy adora Frank Sinatra^_^
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