Nemici Naturali 5

di Niane


Pesci all’amo


Una freccia di luce attraversò la barriera di plastica verde mare della tenda alla veneziana e gli colpì le palpebre socchiuse. Con un muggito Dominique si girò sul fianco sbattendo il naso contro una spalla dura e fresca. Lentamente, come se non gli appartenesse e per farlo fosse costretto a digitare l’ordine sulla tastiera di un qualche computer interno, sollevò la mano posandola sulla pelle liscia, facendola risalire dalla piana morbida del collo fino ad un mento ispido per la barba neonata.
Annuì contento: era a letto con Jo. O, almeno, sperava che fosse Jo. Sì, ma cosa ci faceva Joey ancora a lì? Dormiva quanto e come un cane da guardia: sempre con i sensi all’erta, pronto a scattare in piedi al minimo sussurro e non si attardava mai a letto durante la mattina, soprattutto quando doveva andare a lavorare. Gli occhi verdi si spalancarono terrorizzati: con chi cavolo era andato a letto? Eppure la figura nuda accanto a lui, gli occhi chiusi, seminascosti dalla frangia spettinata, era quella del suo Jo. Si sfregò gli occhi con i pugni, sorridendo, per poi gettare un’occhiata distratta alla sveglia digitale i cui numeretti verdi annunciavano le 7.20. Con un miagolio soffuso s' accoccolò contro l’uomo: era l’alba di sabato e il suo Joey era a riposo.
Si morse le labbra elettrizzato: il suo Joey. Lo stesso Joey che la sera prima l’aveva scaraventato sul letto e l’aveva amato a lungo. Quante volte lo avevano fatto? Quattro? Cinque? Gli accarezzò il mento con un dito, sorridendo dolcemente mentre lo guardava dormire. Quattro volte; già solo quattro, perché quando lui aveva ricominciato a blaterare per la quinta volta Jo non gli aveva più chiesto con cosa dovesse tappargli la bocca per farlo stare zitto, ma l’aveva minacciato di una morte lenta e dolorosa se non avesse chiuso quel forno. Ridacchiò felice: piccoli brividi gli zampettavano per tutto il corpo, allegri come cuccioli a primavera. Piano, cercando di non far ondeggiare il letto, si alzò stiracchiandosi come un gatto, sollevando le braccia sopra la testa e piegando la schiena all’indietro, fino a compiere un ponte quasi perfetto.
- Una doccia veloce e poi ti preparo la colazione. - sussurrò fissando famelico l’invitante accavallarsi delle pieghe candide del lenzuolo sui glutei dell’uomo. Con un sorriso malizioso aprì la porta del bagno infilandosi nella cabina tonda della doccia ed aprendo l’acqua alla massima potenza, lasciando che le gocce tiepide gli sferzassero il corpo purificandolo come quella delle cascate faceva con gli antichi samurai. Alla cieca allungò la mano destra raggiungendo la bottiglietta del bagnoschiuma che si versò generosamente annusando il vivace profumo di pino. Gli piaceva quell’odore, lo respirava sempre sulla pelle del suo uomo. Con un sorriso alzò il volto ricevendo in faccia l’acqua e si appoggiò alle piastrelle verdi e fredde. Il suo uomo. Suonava così bene. Era strano, ma Joey gli piaceva davvero. Il suo carattere burbero, la dedizione che metteva nel suo lavoro e gli piaceva davvero tanto il modo in cui lo trattava. Per la prima volta lui era solo Dominique, al massimo Dom il rompiscatole o Dom il ninfomane, ma sempre Dom, non il figlio di don Tony o il fratello di Lleroy. E non era più nemmeno il ‘capo’ che scorazzava per le vie della Sicilia con il suo codazzo di bulletti. Già, la Sicilia con gli aranci ed i limoni e le nuvole nere di zanzare che si alzavano affamate dalle pozzanghere di acqua stagnante, con le corse in scooter senza casco, che gli annodavano irrimediabilmente i capelli, e i bagni in mare. Dove i ragazzi dei quartieri poveri correvano da lui, la pelle scurita dal sole che spuntava da sotto le canottiere bianche, chiedendo protezione quando il commesso di un supermercato li aveva sorpresi a taccheggiare la merce o aiuto quando si trovavano a litigare per il possesso di una ragazza o di una zona. Andavano da lui come i loro padri andavano da don Mario e Dominique, i capelli rossi e le lentiggini leggere che spuntavano sul suo naso nonostante l’abbronzatura, si sentiva importante. Era ascoltato, perché era il nipote di don Mario DeChicco. E si faceva i ragazzi più carini, quelli che se andavano a passeggiare impettiti per la spiaggia, rimorchiando le straniere. Se li trascinava nelle cabine degli stabilimenti, o nella piccola insenatura nella diga o la sera, nascosti tra i pedalò e loro non rifiutavano mai, perché erano giovani e non conoscevano il sesso e perché lui era il ‘capo’ e dopo si stringevano a lui, affannati e tremanti.
Aprì gli occhi girando la testa infastidito quando due gocce maligne gli ferirono le pupille.
Era un bel pezzo che non pensava più al passato, alla sua terra natale ed era strano. L’aveva rimpianta per così tanto tempo ed ora non sentiva più la benché minima nostalgia. Aveva speso tutte le sue energie, scaricandosi come una batteria in un walkman dimenticato acceso, odiando New York perché in quella città frenetica ed indifferente lui non era nessuno solo per scoprire che, prima, al massimo era stato solo il nipote del don. Gli portavano rispetto in quanto parente del don. Nessuno lo poteva ignorare perché sennò sarebbe incorso nelle ire del don. E invece Jo era capace di ignorarlo anche per ore, immerso nel suo lavoro, per poi prenderlo all’improvviso. Sorrise sospirando felicemente: dopo il sesso lo avvolgeva dolcemente tra le sue le braccia, , stretto stretto, come se lui, il figlio di un capo mafioso, avesse bisogno di essere protetto.
Sospirò piano accorgendosi improvvisamente che la sua mano era scesa sull’inguine duro. Chiuse gli occhi con un gemito soffocato.
Un profumo invitante di caffé e brioche lo investì appena emerse dalla nuvola di vapore del bagno.
- Buongiorno- lo salutò Joey: era seduto sul letto, una tazza di caffé fumante nella mano destra ed il giornale del mattino aperto sulle ginocchia.
- Buongiorno- rispose perplesso Dominique.
- Vuoi fare colazione?- lo invitò indicandogli un vassoio su cui erano stati sistemati un paniere pieno di croissant caldi e fette di pane tostato, il burro di arachidi, la spremuta di pompelmo ed il bricco del caffé.
- A letto?-
Jo posò la tazza per sorridergli – La tua proposta mi era piaciuta, ho anche provato ad aspettare che uscissi da qual maledetto bagno e preparassi tu la colazione, ma poi ho pensato che, forse, una delle tartarughe ninja era sbucata dallo scarico della doccia ed avevate iniziato a giocare a scacchi, visto che non uscivi più
Dominique ridacchiò saltando a letto, tirandosi le coperte sullo stomaco e spingendo i piedi freddi verso le gambe di Jo.
- Potevi anche raggiungermi sotto la doccia- borbottò addentando una brioche alla marmellata.
- Così nessuno avrebbe preparato la colazione e saremmo morti di fame entrambi-
- Avremmo potuto sempre mangiarci l’un l’altro-
Jo sorseggiò il proprio caffé sfogliando il quotidiano – Hai per caso visto qualche documentario sui cannibali?Qual è il canale che li trasmette? Il 32 vero? Devo disdire l’abbonamento, ti metti idee troppo strane in testa.-
- Non mi fascio influensciare dalla tv- biascicò cacciandosi tutto il cornetto in bocca recuperando con le dita una grossa goccia di marmellata arancione, che minacciava di cadere dal suo mento sulle lenzuola, e succhiandola avidamente.
- No, certo. Il fatto che tu abbia visto un documentario sulle bertucce e che la notte stessa tu abbia cercato di ammazzarci entrambi tentando una posizione assurda, possibile solo ad un mammifero dotato di coda prensile è solo una coincidenza.-
Dominique borbottò qualcosa rubandogli la tazza dalle mani per svuotarla con due sorsate prima di sospirare soddisfatto infiltrandosi sotto il suo braccio per appoggiargli la testa sulla spalla, sfregando la guancia contro la pelle morbida e calda. Un languore dolce gli stava scaldando il corpo, qualcosa di più soffice del desiderio violento che l’aveva spinto ad accarezzarsi sotto la doccia.
Mugolò piano strusciandosi leggero contro quel corpo tiepido e Joey sorrise – Cosa c’è?- chiese continuando a leggere attentamente la stessa pagina di giornale.
-Mmmm- rispose Dominique spingendo le dita sul suo viso, sentendo la barba neonata pizzicargli divertita i polpastrelli mentre la mano risaliva lungo la guancia fino a spingere le stanghette degli occhiali, facendoli cadere sul letto.
- Così non riesco a leggere- mormorò sottovoce Jo accarezzandogli lentamente un fianco.
Dominique rabbrividì di piacere – E non leggere- sussurrò roco fissandolo negli occhi, inumidendosi le labbra con la punta appena visibile della lingua; un gesto inconscio, non intenzionale e per questo ancora più erotico. Gli occhi del moro si scurirono affondando in quelli socchiusi del ragazzo e la mano di Dominique scattò posandosi sullo stomaco nudo dell’uomo, accarezzandolo piano con tocchi impalpabili. Per un lungo istante rimasero immobili a guardarsi, le labbra separate da un nonnulla d’aria, poi Joey scosse la testa sorridendo, allontanò il giornale e trascinò Dominique tra le proprie braccia, facendogli posare la testa contro il bicipite in modo da riuscire a guardarlo in faccia.
- Dom- mormorò accarezzandogli la guancia vicino alle labbra –Tu ti sei accorto che non prendi mai l’iniziativa? In modo diretto almeno? Siamo stesi a letto, tu hai voglia di baciarmi, ma stai facendo di tutto tranne che colmare due millimetri di aria.-
Dominique distolse lo sguardo, un leggero rossore gli colorava il viso incendiandogli violentemente le orecchie.
- Non mi va di disturbare…insomma…o lavori o leggi…se ti bacio poi ti distrai ecco…- balbettò giocherellando con l’orlo del lenzuolo.
Joey sgranò gli occhi sogghignando – Non vuoi disturbare? Secondo te fare le pulizie nudo mi distrae meno di un bacio? Ma ti ho mai detto che sei completamente scemo?-
Dominique sorrise stringendosi nelle spalle – Lo so, è la sventura di noi bellissimi-
- Non dovresti farti simili complimenti da solo- lo sgridò bonariamente infilando le dita sotto la massa fulva dei capelli per accarezzargli la nuca.
- Ma è vero, lo so.- mugolò inarcandosi come un gattino - Pensa che sono tanto bello che dovevo diventare il nuovo sex simbol del cinema. Non sto scherzando. Ero appena arrivato a New York quando un produttore cinematografico mi ha fermato per strada chiedendomi se volevo recitare.-
- E poi?- la mano scese lenta percorrendo la colonna vertebrale.
- Poi gli ho detto di sì e, proprio perché sono bello e fotogenico, mi ha preso nel suo cast, ma la bellezza è una maledizione - esalò con voce tetra – il protagonista del film, che doveva essere il mio rivale in amore, si è preso una cotta per me…e sai com’è la vita nel cinema no?-
-No.-
Dominique lo fissò scuotendo la testa – Oltre alla cronaca estera dovresti leggere un po’ più di gossip sai?Comunque in quell’ ambiente tutti vanno con tutti e quando sei l’ultimo arrivato ti adegui e fai quello che fanno gli altri…solo che all’attore protagonista non è piaciuto molto trovarmi a letto con il produttore che, per inciso, era anche suo padre…è scoppiato un casino-.
Joey sospirò – E?-
- E che dovevo fare? Sono scappato no?In fondo la vita dell’attore non fa per me e poi non credo che Lley avrebbe apprezzato…ci sarebbero stati troppi giornalisti a ficcanasare in giro. Cosa vuoi? Sono troppo bello ed ho pure i capelli rossi. Da noi in Italia si dice che i rossi sono tipi un po’…ehmm vivaci e pestiferi. Rosso mal pelo.-
Joey rise tornando ad accarezzargli piano i capelli con tocchi lenti e sensuali – Io li trovo bellissimi- sussurrò portandosene una ciocca alle labbra.
I loro occhi si incrociarono per un lunghissimo istante, rimanendo immobili abbracciati gli uni negli altri, poi Dominique sospirò socchiudendo appena la bocca e Jo vi posò il pollice percorrendo il labbro inferiore leggermente umido.
- Di nuovo. Vedi? Vuoi essere baciato anche adesso, ma non fai una mossa.-
- A che mi serve faticare? Tanto lo so che non mi puoi resistere- rispose sbruffone, incapace di guardarlo negli occhi e con un violento rossore traditore sulle guance.
- Sei insopportabile- mormorò pianissimo Joey piegandosi su di lui,dandogli ragione.

Nel giardino davanti a lui Violence si stiracchiò allungando le zampe anteriori fino a sfiorare l'erba col torace scolpito.
Le labbra di Joshua si aprirono imperiose tuonando un ordine che non riuscì a sentire ed indicando col dito un lacero manichino di corda mangiucchiata. Il moncherino di coda dondolò nell’aria un paio di volte poi il cane schizzò sulla destra, ignorando il padrone ed il fantoccio per capitombolare, con una brusca frenata che la fece slittare, su una grossa pallina arancione.
Magda rise appoggiandosi alla bassa palizzata di legno scuro per non cadere a terra, mentre il cane depositava il suo trofeo ai piedi del padrone allibito.
- Si è messo in testa di addestrarla da solo, ma a quanto sembra è Violence che addestra lui- sussurrò Lley alle sue spalle.
Roy sobbalzò appena, leggermente sorpreso dal suo arrivo improvviso, ma non si girò continuando a tenere lo sguardo fisso su Josh che, ubbidiente, lanciava la pallina arancione il più lontano possibile.
- Del resto è un cane di razza, orgogliosa come tutti quelli della sua specie e di certo non è disposta a prendere ordini da un pazzo in tuta rosa con fiorellini azzurri stampati sopra-
- Sono coniglietti- sorrise Roy – li ho visti stamattina. Voleva vederti, ma tu dormivi così mi ha lasciato una busta, l’ho messa sul tavolo della cucina. Ha detto che non è particolarmente urgente, si tratta delle solite cazzate .-
- Stamattina?- chiese Lleroy –che ore erano?-
Il ragazzo arretrò di mezzo passo, sbattendogli contro e si affrettò a ripiegare sulla destra per poi girarsi a guardarlo in faccia. Lley era ancora avviluppato nella vestaglia di seta, ma il viso era già stato accuratamente rasato e le punte dei capelli rivelavano ancora l’umidità di una doccia recente.
- Le nove e mezza, tre quarti forse- rispose stiracchiandosi.
- Per lui è un orario normale, non dorme mai, tu invece ti sei alzato presto….-
Roy smise di inarcare la schiena e riportò le mani nelle tasche – Ovvio, mi hai riportato a casa prestissimo ieri sera, alle due ero già addormentato! Come faccio ad essere stanco e a dormire?-
- Quando uno sta male deve avere un po’ di riguardo per se stesso e rimettersi perfettamente prima di iniziare a lavorare, altrimenti è solo un peso; se non fossi il rompipalle che sei, ieri non ti avrei permesso di andare a lavorare nemmeno per le 4 ore che hai fatto.-
- Mi annoio a stare in casa a far nulla.-
Lleroy sbuffò scuotendo la testa, dirigendosi verso la cucina per versarsi un’abbondante tazza di caffé caldo – Ti annoi? Immagino che Dominique sarà felice di sapere che la sua compagnia ti annoia, se non mi sbaglio è venuto qui quasi tutti i giorni…-
- Sì e alle nove mi sbatteva a letto-
L’uomo sogghignò malevolo – Ti sbatteva a letto? Quante volte? Anche se è mio fratello non può pensare di farlo gratis. Oh- aggiunse divertito guardandolo arrossire – non ti preoccupare gli farò un bello sconto.-
- Ma cos’hai capito?- grugnì girandosi verso la finestra fissando imbestialito il suo stupido riflesso dalle guance arrossate – mi mandava a dormire alle nove! Da solo! E lui tornava a casa. Siamo solo amici…credo.-
- Credi?-chiese Lley girandosi tra le dita la busta bianca che attendeva sul tavolo.
- Si, insomma… Io non ho mai avuto amici, ma solo gente che voleva portarmi a letto….sì, bhè, c’erano gli altri del parco, ma non è che si possa essere davvero amici tra di noi, insomma, siamo concorrenti. Certo, a volte capitava di trovarsi a mangiare un hamburger da MacDonald’s assieme o, se la serata ti era andata bene, facevi il piacere di glissare e lasciare i clienti a loro, ma tutto qui…invece con Dom… lui non ci prova con me, viene qui, chiacchieriamo, mangiamo pop-corn davanti alla tv, si fa spennare a poker…-
- Perché tu bari-
Roy lo ignorò – Per cui dovremmo essere amici, no? Credo…- si morse le labbra.
Nel giardino Josh si era seduto sconsolato per terra mentre la cagnetta si divertiva a saltargli sulle ginocchia.
- Hai fatto colazione?- domandò Lley scartando un paio di muffin ed infilandoli nel microonde.
- Una tazza di caffé -
- Frank ha detto che dovresti magiare di più…-
- Ci credo che Cicciolo ha detto che devo mangiare di più. Ma l’hai visto? E’ una specie di mappamondo con le zampe, per lui tutti sono troppo magri-
- E tu ti mangi un muffin lo stesso- ordinò posando i due dolci su un piattino e rompendo la busta che continuava a rigirare tra le dita.
- Guarda che il nostro contratto termina con la morte di uno dei due, per cui se poi divento un mappamondo mi paghi lo stesso.-
- In quel caso ti farò studiare medicina- ribatté distratto Lley: nella busta c’era un’altra busta più piccola, una di quelle da bigliettino di auguri, già aperta, ed un foglietto su cui la calligrafia ruspante di Jos l’informava laconica: stesso posto, stesso sistema, stessa persona.
Con una smorfia Lleroy sfilò il pesante cartoncino, scritto con un evidenziatore verde.
- Hai visto nulla di strano al Purple ieri?-
Roy scosse la testa – La coscia strana sembravo io- biascicò con la bocca piena di dolce – pensavano che fossi morto e che fossi un fantasma. Ma che razza di posto! Uno sta a casa sette giorni e lo danno per spacciato, capisco la malasanità, ma mi pare che esagerino.-
- I ragazzi sono pagati più che profumatamente per il loro lavoro e in caso di bisogno sanno che basta una parola e noi provvederemo ad aiutarli. Hanno la nostra protezione dentro e fuori del Purple. L’unica cosa che devono fare è non vedere e non parlare, ma alcuni si credono furbi e strizzano gli occhi per vedere più di quello che dovrebbero e lo raccontano in giro per una manciata di dollari in più. E, quando capita, loro non fanno più ritorno.-
- Questo dovrebbe spaventarmi?-
Lley sorrise girando tra le dita il cartoncino– Te lo dico solo perché è giusto che tu sappia in cosa sei entrato-
- Molto gentile da parte tua, prima mi ci trascini dentro a forza e poi mi dici in che nuoto nella merda.-
- Va a tuo vantaggio, se sai che stai nuotando nella merda puoi tenere la bocca chiusa ed evitare di inghiottirla. Guarda un po’ questo- sibilò gettandogli il bigliettino avanti.
Ultimo avviso: vattene.
-Simpatico, chi lo manda?-
- Non lo sappiamo, per questo ti ho chiesto se hai visto qualcosa di strano. L’hanno trovato nel vostro camerino. -
- Sì, ma a chi è indirizzato?-
Lleroy lo fissò con gli occhi socchiusi – A chi vuoi che sia indirizzato, idiota? E’ una specie di minaccia per me, un invito a togliermi dai piedi e a lasciare Canal street-.
- E te lo mandano al Purple? Nella stanza di cambio dei ragazzi?-
Lleroy sospirò passandosi una mano sulla cicatrice – Un minimo di strategia! - sbottò –non possono intraprendere una guerra diretta, così mi fanno trovare questi messaggi nel Purple….nel mio locale, in una delle stanze inaccessibili ai clienti, giusto per farmi capire che loro possono arrivare ovunque e che io farei meglio a fare quello che dicono.-
Roy annuì pensieroso – E l’evidenziatore verde ha un senso? No perché a me sembra un biglietto scritto in tutta fretta e pure con una pessima calligrafia-.
Due colpi discreti alla porta d’ingresso attirarono l’attenzione di Lleroy impedendogli di scoppiare in un insulto. Con uno sbuffo sbirciò dallo spioncino, operazione inutile dal momento che si poteva raggiungere il suo appartamento solo dopo aver sfilato davanti a tre diversi posti di osservazione, ed aprì la porta.
- Buongiorno Don, Ronald- salutò con un sorriso Erik.
- Finalmente sei in piedi, ma che fai di notte invece di dormire?- chiese Joshua, infilandosi nell’appartamento.
Incredulo Lleroy strabuzzò gli occhi fissandolo attentamente: era vero, la tuta non era costellata da piccole margheritine, ma da un’infinità di piccoli coniglietti in pose kamasutriche.
- Sei disgustoso…-
Joshua lo fissò con un sorriso – Guarda che quello che si alza a mezzogiorno sei tu. Mi devo appostare sotto la tua finestra per vedere quando sei in piedi o no.-
- La tua unica fortuna Joshua è che non conosco nessuno in grado di assassinarti- sibilò Lleroy passandosi una mano sulla cicatrice – avanti. Tediatemi di mattina presto,che c’è?-
- Non è mica tanto presto…-
Erik gli regalò un’occhiata cattiva intimandogli di tacere poi si sistemò gli occhiali sul naso e sorrise. – Ho trovato il cavallo di Troia.-
Il don sorrise indicando con la testa il tavolo della cucina, recuperando altre due tazze e riempiendole di caffè – Non ne avevo dubbi. Chi è?-
- Gli italiani e i cinesi non collaborano direttamente, hanno due modi di fare troppo diversi, obiettivi e mentalità inconciliabili, secondo me l’unica cosa su cui si trovano d’accordo è che tu sei una spina nel fianco. Ma anche per farti fuori hanno bisogno di un mediatore…e chi è l’unica persona che ha le mani in pasta con entrambi e che può avere un suo personale tornaconto se tu sparisci da canal street?-
- La pasticceria Viennese?- chiese Joshua annegando un muffin nello sciroppo d’acero.
Erik e Lleroy lo fissarono allibiti, mentre Roy si mordeva un dito per non ridere.
- perché la pasticceria?- chiese erik in un sussurro e Lley gemette.
Josh annuì serio – il pasticcere ha le mani in pasta- spiegò mellifluo.
- Ma crepa- sibilò il biondo tornando a guardare direttamente il proprio capo – dicevo…prima del nostro arrivo canal era zona di frontiera, né italiana né cinese, una specie di terra di nessuno il cui status era tutelato da entrambe le parti. Ci si trovava di tutto, soprattutto grossi quantitativi di droga che poi venivano acquistati e rivenduti. Da quando ci siamo noi lo spaccio di droga si è dovuto spostare a nord, ma in quel modo ha perso una grossa fetta di mercato, dato che tutti gli spacciatori autonomi ora si riforniscono dai cinesi o dagli italiani ed ovviamente il costo della droga è cresciuto. Eliminando noi da Canal si può ripristinare l’ordine preesistente e riprendere il mercato. C’è un’unica persona che fa affari con cinesi e italiani spacciando Droga ad entrambi : Donald McCornic.-
- Il proprietario della pasticceria Viennese.-
Erik sgranò gli occhi – Mi prendi per il culo?- ma il compagno scosse la testa – No. La pasticceria è davvero sua- sorrise.
- Lo sapevi già?- domandò Lley; aveva incrociato le mani sotto il mento e fissava alternativamente i due uomini.
- Bhè, non era un segreto. O meglio, sapevo che la pasticceria era stata una base di spaccio, che lui vendeva droga a tutti e due quei fetenti, solo non pensavo che fosse così idiota da aiutarli contro di noi. E’ un deputato, pensavo avesse un minimo di cervello.-
- Infatti non troverai mai nulla che lo leghi direttamente né alla mafia italiana né a quella cinese o tanto meno al traffico di stupefacenti. E’ pulito, troppo pulito. Non frequenta case di piacere…non si è mai visto al Purple anche se alcuni colleghi del suo gruppo parlamentare sono tra i nostri migliori clienti. Così lindo che luccica.-
- Troppo per un politico-
Erik annuì con decisione rischiando di farsi cadere gli occhiali dal naso – Già. Credo che li stia usando per far fuori te. Mette un luogo neutro in cui si possono incontrare e, se è come suppongo, è lui che tiene da qualche parte tutti i documenti che riguardano le due mafie; non penso che nessuna delle due parti si fiderebbe a lasciare dei documenti compromettenti all’altro.-
- Il punto debole del cavallo?- chiese Josh.
- I ragazzini…- Erik sospirò piano scuotendo la testa – avrebbe potuto essere uno dei nostri clienti migliori, invece frequenta i locali dei cinesi. Gli piacciono i ragazzini.-
- Frequenta anche il Central- sbadigliò Roy.
Tre paia di occhi si girarono contemporaneamente su di lui.
- Stiamo parlando del deputato che fa parte della commissione per l’istruzione no? Quello ciccione con i baffetti da maialino? Manda l’autista al Central a rimorchiargli qualche ragazzo. Aveva una passione per me e Steven…magari assieme. Cazzo…era una favola andare da lui, la mattina dopo ti offriva di quelle colazioni da scoppiare.-
Gli occhi di Erik scintillarono dietro le lenti – In che rapporto sei con quest’uomo?- chiese non vedendo le pupille del don ridursi percettibilmente.
- In che senso?-
- Potresti farti rimorchiare da lui?-
Roy si strinse nelle spalle – Te l’ho detto io e Steven gli stavamo simpatici….quell’uomo ha un che di disgustoso…se avesse potuto adottarmi e dar vita ad una parvenza d’incesto sarebbe morto di piacere. Mi ha detto che posso passare da lui quando voglio, anche senza telefonare…anche perché chi è che ha soldi da spendere in una telefonata?-
- l’hai mai fatto? Andare da lui di tua iniziativa?-
Roy annuì pensieroso – Sì, un paio di volte quando buttava male e avevo voglia di pan cakes caldi, la sua cuoca li fa da dio…-
Senza aggiungere una parola Erik incrociò lo sguardo di Lleroy scoprendolo cupo e tempestoso invece che elettrizzato.
Si schiarì la voce spostando lo sguardo verso la finestra – Potremmo aver trovato un aggancio- sussurrò piano, incerto, ma Roy annuì stiracchiandosi.
-posso farlo tranquillamente, solo dovete dirmi cosa devo farmi dire.-
- Nulla- sibilò Lley alzandosi in piedi – non è un compito adatto a te.-
- E a chi è adatto allora? Mi pare di essere andato più che bene con Everege-
- Non se ne parla.-
- Cioè? Scusa…ma cos’è che non ti piace? Il fatto che mi offro volontario e che non puoi minacciarmi? O che non ti ho chiesto un aumento? Guarda che puoi anche pagarmi la missione a parte…-
-Roy..- sibilò sbattendo una mano sul tavolo.
Joshua si alzò sgranchendosi rumorosamente.- Non è una cattiva idea, se qualcuno può cavare qualche informazione da quel tipo questo può essere Ronny:) ha quel visino ingenuo ed adorabile che ti fa calare ogni difesa. Ma, in ogni caso, vado a vedere se trovo qualcun altro che faccia al caso nostro.- annunciò allegramente afferrando Erik per un braccio e strascinandolo fuori dall’appartamento.
Per un lungo istante Lleroy fissò Roy, poi lo superò in silenzio chiudendosi nello studio senza aggiungere una sola parola.
Roy sbuffò spegnendo la televisione che non aveva offerto altro che stupidi telequiz per tutto il giorno e si avvicinò alla vetrata, fissando Blake e Milton che dormivano acciambellati uno accanto all’altro.
La porta dello studio si aprì cigolando minacciosa, ma lui non si girò.
- A volte mi chiedo se hai un minimo di pudore- sibilò Lleroy fermandoglisi alle spalle – Ti rendi conto di cosa ti sei offerto di fare?-
- Cosa? So scopare bene, ci ho sempre guadagnato dei soldi e non vedo perché non dovrei guadagnarci anche informazioni. Anzi, in questo caso il guadagno è doppio, lui non sa che lavoro per te per cui oltre alle informazioni mi darà anche dei soldi e del cibo.-
- L’uomo scosse la testa stringendo gli occhi – Non riesco a capire se sei cinico e schifosamente venale- sibilò infastidito – riesci a venderti al miglior offerente senza battere ciglio.-
- Io non mi vendo, offro solo il mio corpo, la cosa non mi riguarda.-
- Come cazzo fa a non riguardarti? E’ il tuo corpo-
Roy si strinse nelle spalle fissando la finestra, le luci dei lampioni si mescolavano tra loro, mentre il cielo in lontananza aveva assunto la sua solita tonalità rossiccia e malata.
- Suppongo sia questione di abitudine. Avevo nove anni quando Eddie ha deciso che dovevo procurarmi un lavoro…-
- Eddie?-
- Mio fratello- Roy chiuse gli occhi e il ricordo delle luci dei lampioni iniziò a proiettarsi lentamente e sfocato sulle palpebre. – Ha aperto la porta della camera da letto, una stanza microscopica che condividevamo, ha chiuso il libro che stavo studiando e mi ha detto “E’ inutile far finta di nulla. Papà se n’è andato, io non ce la faccio è ora che anche tu pensi a portare a casa qualche soldo.” Erano due anni che papà non tornava a casa e che mamma continuava a sorridermi dicendo che era via per lavoro. Eddie ha sei anni più di me e all’epoca lavorava, prima di scuola, come magazziniere per un ortofrutta, mentre mamma si sfasciava gli occhi in una ditta tessile eseguendo ricami. Mi sembrava giusto contribuire, forse se avessi lavorato anche io avremmo potuto comprare un’auto nuova e magari una macchina da cucire per mamma; se avesse avuto una macchina decente avrebbe potuto lasciare la fabbrica e fare la sarta. Ero più che disposto a lavorare, così Eddie chiuse la porta e si abbassò i pantaloni ordinandomi di cercare di farglielo venire duro. Può sembrare strano, ma non approfittava sessualmente di me, mi stava solo insegnando e lo fece gradualmente: prima dove toccare e come usare le mani, poi la bocca. Durante le lezioni si tratteneva imponendosi di non eiaculare in mia presenza e il giorno in cui non riuscì a trattenersi e mi venne in bocca, mi accarezzò la testa, mi regalò una tavoletta di cioccolata a forma di grande puffo e mi annunciò che ero pronto. Procurava lui i clienti. Di solito erano suoi compagni di scuola…venivano da noi un pomeriggio a studiare, mi osservavano e, se tornavano il giorno dopo, si chiudevano in camera con me. Pagavano dai 20 ai 30 dollari, a seconda del servizio. Alla fine io ottenevo sempre 5 dollari di mancia mentre gli altri finivano in quella che Ed chiamava la cassa d’emergenza; solo a 15 anni scoprii che le emergenze di Eddie erano carenza di erba ed acido. Fu anche il periodo in cui conobbi il signor Taylor. Era l’insegnate di religione e mi aveva messo gli occhi addosso. Il mio primo lavoro indipendente e la prima volta che lo presi nel culo. Fu terribile, rimasi a letto due giorni, i cinquanta dollari nascosti in mezzo a quella roba morbidiccia con cui si imbottiscono i cuscini. Quello fu il vero inizio: non avevo bisogno di Eddie, per le strade c’era sempre qualcuno disposto a darmi 50, a volte 100 dollari e ci misi poco a farmi furbo e a farmi offrire anche la cena prima. A molti piace offrirti da bere o da mangiare, dà loro l’illusione che sia tutto meno squallido. Appena fui abbastanza grande lasciai Twinoaks e mi spostai a New York. Come vedi non c’è nulla di squallido in quello che faccio, è solo un lavoro come un altro. C’è chi vende il proprio corpo mettendo a rischio la propria vita come guardia del corpo o assassino, io lo vendo per offrire piacere.-
Lleroy chiuse gli occhi sollevando la mano in aria, per fermarsi prima di sfiorargli la testa – Mi dispiace,- sussurrò - non devi aver avuto un’infanzia piacevole.-
Roy aprì gli occhi guardando fuori, il vetro pulito rifletteva il suo sorriso – Bha, io credo di sì. Sei tu che sei pieno di pregiudizi, solo perché mi faccio pagare per fare sesso hai deciso che ho avuto una brutta infanzia…eppure la mia famiglia mi vuole bene, ora mia madre fa la sarta come ha sempre voluto e io sono meno stressato di te e guadagno un sacco di soldi…nel tuo locale perbenista.-
- Vuoi davvero andare da McCornic?-
Roy annuì – Certo-
- Avverto Josh e Erik, quando sei pronto chiamami, ti accompagno fino a casa sua.- sibilò sparendo nello studio.


Le luci rosse dei fanalini di coda e quelle bianche dei rari anabagglianti che incontravano ciondolavano attorno a loro, infinitamente lontane dalle perfette strisce bianche e rosse ritratte su tante cartoline.
L’East River scorreva accanto a loro, così placido e scuro da parere immobile. Qualche battello turistico, luminoso come un precoce albero di natale inquinava, l’oscurità dell’acqua rivelando la presenza, altrimenti impercettibile, di bassi barconi attraccati alla riva, in perenne balia del dondolare stanco del fiume.
-Ci ho vissuto per un anno- sbadigliò Roy senza mettere la mano davanti alla bocca.
-E io ci ho aperto la prima versione del Purple su uno di quei cosi.-
-Carina come idea, più originale di dove sei ora. E perché hai chiuso? Se gli sbirri avessero annusato qualcosa avresti sempre potuto affondare le prove.-
Lleroy sorrise superando una mercedes e premendo a fondo sull’acceleratore – Il dondolio dava la nausea ad un sacco di ragazzi e anche a me. E non ho bisogno di affondare le prove, un paio di ispettori e due o tre senatori lo fanno al posto mio.-
-Mai fare tu quello che puoi far fare agli altri- borbottò Roy – anzi, non capisco perché hai un' auto con il cambio…non fai una fatica inutile a cambiare le marce? Anzi, ma perché hai un’auto così? Una bella rolls royce con autista? Così ti risparmiavi anche a fatica di guidare…e mentre uno lo fa al posto tuo tu potevi startene dietro a molestare qualche ragazzo. No, aspetta troppa fatica anche quello…ehi Lley? Hai mai pensato di assumere qualcuno che faccia sesso al posto tuo? –
-Roy se non la pianti me ne frego che hai solo diciannove anni e ti infilo nel culo il cambio - sibilò esasperato.
Il ragazzo sgranò gli occhi fissando perplesso il grosso pomello squadrato poi sogghignò – Da una pistola ad un cambio, stai diventando megalomane.-
Lleroy inspirò rumorosamente parcheggiandosi sotto un albero. La casa davanti a loro si ergeva pallida illuminata dalla luce gialla dei lampioni. Un paio di finestre erano illuminate, entrambe al piano superiore, , ma non c’erano sagome scure a decorare in controluce le tende.
Le dieci.
-Quanto dobbiamo aspettare?- chiese
Roy fissò l’orologio mordicchiandosi il labbro – Almeno un’altra ora. Ti avevo detto di essere qui per le undici, undici e mezza….non sono scemo, non vado via dal Central prima delle dieci e dobbiamo calcolare che con la metro ci vogliono almeno 40 minuti per arrivare qui.-
-E se va a letto?-
Il ragazzo ridacchiò – Lo sveglio. Cazzo, sarà la sua serata fortunata: svegliato in piena notte da un ragazzo che vuole andare a letto con lui. Il sogno erotico di ogni vecchiaccio, non sei d’accordo? Ehm..di ogni vecchiaccio a cui si rizza senza viagra.- aggiunse .
Lley sospirò scuotendo la testa scrutando la notte davanti a sé e Roy si accoccolò meglio contro il sedile di pelle chiudendo gli occhi: sarebbe stata una notte lunga e, se ricordava bene i gusti dell’uomo, piuttosto bavosa.
Non c’erano rumori nella strada, eccetto l’eco di qualche auto che passava poco lontano. Sembrava di non essere nemmeno a New York. Niente sirene. Niente urla di ubriachi. Niente schianti, niente liti, solo il vento e lo sporadico terrificante verso di qualche animale notturno. Come si faceva a dormire in quel silenzio? Spalancò gli occhi.
- Oh- sussurrò, ma Lleroy si girò con un sospiro verso di lui.
- Spogliati- ordinò.
Roy sbatté le palpebre perplesso, fissandolo a lungo. –Eh?-
- Ti ho detto di spogliarti- ripeté.
- Così? All’improvviso? Ma che è? -
L’uomo sorrise togliendosi gli occhiali ed appoggiandoli con cura sul cruscotto. – Non ho voglia di sentire le tue scemenze per un’altra ora. Adesso facciamo un esperimento: non ho preso la mia dose di viagra oggi, vediamo se riesci a farmelo venire duro tu da solo.-
- Spiacente non mi imbarco in imprese impossibili…-
- E sarà meglio per te riuscirci- continuò Lleroy non dando segno di averlo sentito, - perché se non ci riesci con me ti fai lui- spiegò accarezzando con due dita la pelle liscia del pomello del cambio.
Roy deglutì. Le dita affusolate percorrevano con l’unghia le sottili incanalature delle marce e scivolavano lente sulla testina grande e squadrata. Troppo simile ad un trapezio e troppo grande.
Lleroy sorrideva divertito.
- Tu non hai voglia di fare sesso- brontolò il ragazzo indispettito dal sorriso maligno che s’ingigantì sul viso in penombra del suo carnefice.
- Infatti non voglio fare sesso con te- fu la replica appena sussurrata – Io sono troppo pigro per questo. Spogliati, devo ricordarti che sei pagato per ubbidire ai miei ordini?-
Roy inspirò ed espirò con uno sbuffo – Ma guarda tu le fantasie perverse dei vecchi bacucchi - borbottò sfilandosi con velocità la stretta magliettina rossa ed iniziando a slacciarsi i pantaloni.
Una risata divertita lo bloccò al secondo bottone.
- L’alzeimer incalza…che hai da ridere adesso?-
-Nulla, continua pure, magari però mettici un po’ di sensualità.-
- Oh insomma, non ti va mai bene nulla! Cosa devo fare? Vuoi un ninfomane? Un verginello? Cosa?-
- Il verginello ti si addice.-
Lleroy l’afferrò all’improvviso per la nuca affondando la propria bocca nella sua. Preso alla sprovvista Roy spalancò gli occhi, socchiudendo inconsciamente le labbra sotto la pressione ferma della lingua che gli si strusciava contro, pretendendo l’accesso, abbandonandosi alle mani che scivolavano sul suo corpo con carezze lente.
Dita sul collo, sulla gola. Dita ad accarezzare quella pelle così dannatamente sensibile della schiena lanciando scariche di piacere frizzante. Dita che premevano sulla stoffa dei pantaloni massaggiando piano il ginocchio. Dita ovunque.
Ansimando Roy girò il viso,liberandosi di quella bocca insistente per prendere un po’ d’aria e le labbra di Lley scivolarono placide e leggere sul suo collo, raggiungendo la giugulare, mordicchiandola piano e Roy gemette incapace di trattenere il suono, artigliandogli le spalle. Con un sorriso Lleroy si spostò in basso, titillando(aggettivo pensato appositamente per naika^_^ dom>_< non interrompere la lemon idiota>_<) la punta eretta di un capezzolo, costringendolo ad ergersi duro prima di succhiarlo dolcemente, tormentandolo a lungo.
Improvvisamente le labbra lo abbandonarono e Roy aprì gli occhi, che non si era reso conto di aver chiuso con forza, per fissare il proprio riflesso nelle iridi divertite di Lleroy che gli sfiorò il viso con la punta dell’indice.
- Già, il verginello è la parte che più ti si addice- ripeté con un sorriso strano fissando l’alone rosato che gli colorava le guance – e mi sa che non devi nemmeno sforzarti molto- aggiunse chiudendo con un bacio la bocca di Roy, spalancata in una replica, costringendolo a piegare la testa all’indietro, soccombendo al bacio.
Senza rallentare il bacio Lleroy gli afferrò la mano destra spostandola dalla propria spalla, che stringeva convulsamente, verso l’inguine teso e duro. Roy sussultò appena, prima di premere piano sulla stoffa liscia, accarezzando la virilità nascosta al di sotto. Impacciato scivolò piano in basso, sulla coscia, prima di risalire con una pressione costante e leggera verso la vita, impossessandosi del bottone di madreperla ed abbassando la cerniera dei pantaloni. Il respiro dell’uomo si fece più veloce mentre le dita sottili abbassavano la stoffa scura dei boxer per impossessarsi del membro bollente nell’aria fredda della notte, cominciando ad accarezzarlo piano, sapientemente.
Con un gemito Lleroy abbandonò la sua bocca per accasciarsi contro lo schienale, gli occhi chiusi, ottenebrato dal piacere che gli stava regalando.
Con un sogghigno Roy si mise a ginocchioni sul sedile allungandosi a sbottonare, con la mano libera, la camicia scura dell’uomo, leccando come un gattino la pelle morbida.
- A chi stai dando del verginello?- sibilò piacevolmente accaldato dai gemiti che scuotevano la gola dell’uomo. Suoni corti, involontari. Le sue dita strinsero appena, aumentando il ritmo della stimolazione e le labbra dell’uomo si aprirono in gemito sottile.
- Succhialo- mormorò piano, senza aprire gli occhi.
Con un sorriso Roy si piegò ubbidendo, stringendolo tra le labbra con lentezza, accarezzando la punta infuocata con la lingua, succhiandolo con voracità.
Le labbra di Lleroy si strinsero tra loro con forza cercando di non lasciarsi scappare i gemiti che gli scoppiettavano in bocca,mentre la sua mano scivolava tra i capelli di Roy implorandolo silenziosamente di aumentare la velocità. Dio se lo sapeva fare bene. Non c’era nulla da ridire: quell’Eddie era stato un ottimo maestro. Gli occhi gli si spalancarono con forza. La sua virilità pulsava felice tra le labbra dolci del ragazzo, ma il piacere gli si bloccò all’altezza dello stomaco, non riuscendo a risalire fino al cervello. Roy aveva sempre ubbidito ai suoi ordini senza fiatare. Era pagato per farlo. Aveva fatto quello che gli chiedeva. Senza mai replicare. Senza mai prendere un’iniziativa.
Con un sospiro afferrò una ciocca di capelli costringendolo ad alzare il viso.
- Che c’è?- ansimò Roy leccandosi un filo di saliva che gli bagnava l’angolo del labbro sinistro.
- Abbiamo finito qua. Devi andare a lavorare, rivestiti.-
Per un lungo attimo Roy rimase immobile, gli occhi fissi sul volto ancora alterato dell’uomo, poi abbassò lo sguardo: la virilità di Lley , che non si era affatto ammosciata come aveva supposto, svettava indomita e tumida.
- Non abbiamo affatto finito, né tu né io- brontolò sedendosi sul sedile per il tempo necessario a sfilarsi i pantaloni.
- Hai diciannove anni! Sei più piccolo di mio fratello!-
Roy sbuffò stringendosi nelle spalle – Ero più piccolo di lui anche quando mi hai ficcato la pistola nell’intestino. E non ho mica capito come funziona, se non voglio mi scopi, se voglio no? Che è una forma di sadismo?- sbottò scavalcando il cambio, facendo attenzione a non sbattere contro il pomello per sistemarsi a cavalcioni su di Lley, un sorriso sensuale ed un’espressione da predatore sul viso che si sgretolarono non appena il ginocchio destro urtò contro la plastica dura e ruvida del freno a mano.
- Ahi! E che cazzo di auto, ma cosa ci fa il freno a mano vicino alla portiera?- piagnucolò puntellando il piede contro il sedile per fissare demoralizzato il proprio ginocchio su cui la pelle lesa si stava già arrossando.
Lleroy sogghignò scuotendo la testa – Che impiastro che sei- ridacchiò piegandosi a sfiorargli con le labbra il ginocchio. Roy sussultò sorpreso, sentendo uno strano brivido serpeggiargli lungo la schiena ed azzannargli i polmoni impedendogli di respirare.
- Cosa stai facendo?- balbettò sentendo la lingua di Lley scivolare lungo la sua gamba lambendogli il polpaccio.
L’uomo sollevò il viso guardandolo. Lentamente la mano sinistra gli accarezzò il volto, sfiorando con dolcezza la tempia prima di scivolare sul collo, sulla spalla, lungo il braccio.
- Possibile che ti lamenti sempre?- chiese pianissimo sfiorandogli le labbra con le proprie.
Roy sospirò rumorosamente e, passategli le braccia attorno al collo, si piegò all’indietro, puntellandosi contro il volante freddo, mentre sollevava il bacino per immolarsi sul suo membro.
Lley socchiuse gli occhi gemendo piano e la lingua di Roy ne approfittò per infilarsi tra le sue labbra implorando un bacio.
Con un sospiro Lleroy lo abbracciò stringendolo con forza iniziando a muoversi lentissimamente e profondamente dentro di lui, mentre le dita assaporavano la schiena liscia e perfetta.
- Vecchio bacucco maniaco- piagnucolò Roy quando le labbra abbandonarono le sue per raggiungere quel dannatissimo sensibilissimo pezzetto di pelle troppo ricettivo sotto l’orecchio – non puoi accelerare un po’?- supplicò iniziando a galoppare su di lui, ma Lley sorrise afferrandogli i fianchi.
- Così?- chiese sollevandolo in aria fin quasi ad uscire da lui e riaccompagnandolo su di sé con lentezza esasperante penetrandolo a fondo.
Roy ansimò incapace di parlare mentre il suo aguzzino ripeteva quel gioco infernale che di sicuro l’avrebbe ucciso. Troppo piano. Troppo inteso. Troppi baci sulla sua pelle. Troppe carezze. Troppo e troppo bruciante.
- Perché non puoi fare sesso come tutte le persone normali- gemette piegando la testa contro la sua spalla, mordendogli piano la clavicola.
Le mani di Lley scivolarono lente lungo le sue cosce accarezzandole piano – Perché altrimenti non potrei soddisfare la mia fantasia erotica- gli spiegò malizioso nell’orecchio, allungando la lingua ad assaggiarne la profondità.
- Che….sarebbe- ansimò allungando le proprie mani verso il pene ribollente, deciso a farla finita.
- Riuscire a farti stare zitto- sussurrò Lleroy bloccandogli i polsi e portandosi i palmi alle labbra, per percorrerne le pianure con la lingua.
Roy ansimò mordendogli il collo – Vai al diavolo- borbottò incerto, sperando che quella fosse la farse corretta da dire: ormai non capiva più nulla.

Lleroy fissò Roy avanzare lungo il sentiero deserto, fermarsi davanti al cancello ed attendere e strizzò gli occhi quando lo vide spingere contro l’inferriata ed entrare nel giardino. La luce sbucò dalla porta di entrata spalancata, illuminando l’oscurità e richiudendosi velocemente dietro il ragazzo.
L’avevano fatto entrare, anche se era mezzanotte passata. Tutto come previsto.
Accarezzò piano il volante su cui poco prima, nell’esplosione del piacere, Roy si era inarcato con forza prima di precipitargli ansimante sul petto. Zitto.
Abbassò il finestrino: si era alzato un vento debole ma gelido che annunciava l’arrivo dell’autunno e, come al solito, il cielo era troppo chiaro per riuscire a vedere le stelle. Con un sospiro si adagiò contro lo schienale ancora reclinato, evitando di guardare il sedile passeggero al suo fianco dove il ragazzino si era rivestito in tutta fretta, ed accese una sigaretta: sarebbe stata una lunga attesa.
Furono le luci pallide dei fari alle sue spalle a scuoterlo dal torpore in cui era caduto. La radio continuava ad interrompere la musica con la voce chiocciante di una speaker che sapeva solo dire frasi stupide ed irritanti.
La grossa auto lo superò parcheggiandosi davanti a lui,le ruote a filo con il bordo del fosso.
Lleroy sorrise stiracchiandosi, non si era vestito in modo decente nemmeno per quel lavoro.
-Cosa ci fai tu qui?- borbottò Joshua spalancando la portiera della Corvette.
- Sei in anticipo di ore- replicò giocherellando con il largo polsino di pizzo verde della camicia – sono solo le due-
- Non avevo sonno e poi- si strinse nelle spalle fissando la casa bianca, completamente addormentata – insomma, non potevo essere sicuro che quello se lo tenesse davvero a dormire no? Roy ha detto che di solito offre anche la colazione…ma non mi andava di sapere il marmocchio qui fuori al freddo. Tu perché non sei tornato a casa?-
- Perché è un piano assurdo…cosa diavolo è venuto in mente ad Eric? Abbiamo mandato un ragazzino….-
- Come piano non fa una piega…chi sospetterebbe di lui? McCornic non frequenta il Purple…però frequentava il parco..e Roy è già stato da lui. Perfetto. Lineare. Insospettabile, quasi geniale.-
- E’ un ragazzino e non è nemmeno armato.-
Joshua sogghignò – Questo è un bene, visto il modo in cui spara e non è proprio tanto ragazzino. Vai a casa capo. Ci penso io qui- .
- Lleroy lo fissò per un istante prima di spostare lo sguardo sulla casa – Va bene. Eric arriva per le 8, appena quello lo lascia uscire riportalo a casa. Non perdete tempo in giro.- sibilò accendendo l’auto e Joshua scattò sull’attenti – Agli ordini mein Fuhrer- rispose, mantenendo il saluto militare fino a che la corvette non sparì dalla sua vista.
- Visto?- disse a nessuno in particolare – lo sapevo che era qui ad aspettare-. Scosse la testa divertito salendo nell’ampio bagagliaio del fuoristrada – ed ora invece qui ad aspettare ci sono io – mugolò acciambellandosi in un angolino – ma quanto sono fesso.- mormorò fissando la tappezzeria scura. Sarebbe stata una lunga attesa.



Aprì l’acqua lasciandola scorrere a lungo fino a quando la grande stanza da bagno non fu completamente invasa dal fumo, solo allora si spogliò lentamente con la schiena rivolta al grande specchio appannato. L’aveva sempre fatto, era il suo lavoro e lui era un professionista. Eppure gli era costato fingere quando Erik aveva aperto la porta con un sospiro ed un sorriso che rivelavano un sollievo profondo e sincero.
-Siete tornati, meno male. Sono quasi le undici- aveva sussurrato a bassa voce fissandolo negli occhi, come se fosse stata colpa sua se quello lo aveva mandato a dormire solo all’alba! Mica poteva perdere la sua colazione…nessuno di loro aveva idea di che cosa sapesse preparare la sua cuoca!
Aveva chiesto di fare subito rapporto, così almeno dopo avrebbe potuto chiudersi a riposare e a dimenticare quella lingua…strinse gli occhi scuotendo la testa.
–Se ti dico quello che so, quanto mi paghi?- aveva chiesto con un sorriso ma Lleroy non aveva risposta limitandosi a fissarlo in faccia e lui aveva sospirato raggiungendo il divano e stravaccandosi sui cuscini morbidi.
- Erik aveva ragione, fa il mediatore tra le due fazioni. Non solo, durante gli incontri che si tengono in un suo magazzino al Fulton fish market..-
- Un magazzino al mercato del pesce? E a cosa gli serve?- aveva chiesto Joshua sinceramente perplesso.
– Non chiedere e non andare mai a comperare le torte alla Viennese.- l’aveva avvertito. Sapere cosa ci mettevano in quelle torte tanto buone l’aveva demoralizzato parecchio.
-Durante gli incontri?- era intervenuto Erik evitando che il discorso degenerasse in una dissertazione culinaria.
-Durante gli incontri lui registra tutto quello che viene detto e lo archivia…e quando le acque si saranno calmate e i DeChicco saranno fuori dai piedi, lui potrà usare quello che sa per ottenere grandi favori da entrambe le due mafie. Mica scemo. La cosa divertente è che mi ha anche detto che tutti i documenti sono nella cassaforte del magazzino. Pare che gli dia un piacere segreto tenere delle prove così compromettenti proprio sotto il naso dei suoi amici-nemici. Lo fa sentire furbo-.
Gli occhi di Erik si erano illuminati – Basterebbe trovare quei documenti per seppellire gli italiani e i cinesi-
- O per lo meno per tenerli buoni e lontani da noi- aveva aggiunto Joshua pensieroso.
-Non è che sai anche dov’è la cassaforte?- aveva domandato Erik stringendo con forza la penna tra le dita, ma quello no, non lo sapeva. Quello era un segreto che il grassone si era tenuto nella saliva che aveva in bocca. Se gliene era rimasta ancora un po’.
Poi era accaduto tutto in fretta.
Lleroy aveva ordinato a Erik e Josh di preparare gli uomini per un’improvvisata quella sera stessa.
Ma c’era un’indecisione nei suoi occhi, come se non ne fosse convinto. Come aveva detto?
- Hai saputo tanto e troppo in fretta-
Già, era la sensazione che provava anche lui, però era altrettanto vero che anche Everege si era sbottonato immediatamente decretando la propria rovina.
Un altro grassone schifoso.
Rabbrividì; sentiva ancora la saliva vischiosa dell’uomo che gli scivolava sulla pelle, in mezzo alle gambe, invadendo ogni poro. Lo stomaco gli si contrasse in una morsa rabbiosa minacciando di sputare fuori la colazione. Inspirò piano, profondamente e si infilò sotto l’acqua troppo calda. Gli scottava la pelle, pizzicando spiacevolmente. Cosa gli era preso? Il deputato non era più repellente della media dei panzoni tremolanti con cui era stato e il suo modo di fare sesso era anche più tranquillo, più blando. Perché tutta quella repulsione allora? Era stato sul punto di spingerlo lontano. Ed ora si sentiva sporco. Infettato dalla saliva, dallo sperma acidulo dell’uomo. Era un comportamento poco professionale: un netturbino non si sentiva sporcato dai sacchi di immondizia che raccoglieva e un parrucchiere non doveva esserlo dalla forfora che gli cadeva sulle mani. In caso contrario avrebbero dovuto cambiare lavoro, ma lui cos’altro poteva fare?
Con un ringhio chiuse l’acqua asciugandosi in fretta con una salvietta morbida prima di indossare un pigiama di seta che gli scivolò sulla pelle provocandogli un brivido di fastidio, ricordandogli la carezza leggera di due mani altrettanto lisce, ma più umidicce e grasse.
Si sfregò i capelli con rabbia, asciugandoli approssimativamente. C’era un’unica spiegazione. Non era ancora guarito. La febbre lo aveva lasciato probabilmente più debole di quanto non pensasse e il suo corpo ancora provato aveva resistito più che bene nell’auto con Lleroy, ma era poi crollato per lo sforzo con il deputato. Aveva preteso troppo da se stesso. Sorrise gettando l’asciugamano sul cesto di vimini della biancheria sporca, si sentiva più tranquillo ora che aveva compreso il perchè di un simile malessere. Sarebbe bastata una bella dormita per tornare come nuovo.
Fischiettando piano, stonando le note più alte, si chiuse nella propria stanza infilandosi sotto le coperte.
Doveva essere in forma per quella sera, non li avrebbe lasciati andare da soli.
Le lenzuola erano fredde ed ostili e strizzò gli occhi con forza costringendo le palpebre a rimanere serrate. Doveva dormire. La lingua grossa e ruvida gli accarezzò la fronte lasciando dietro di sé una scia di saliva. Salsicciotti gli allargarono le cosce. Roy saltò a sedere stringendosi le coperte al petto. Non poteva dormire. Non ce la faceva. Non era abbastanza stanco e la sua mente continuava a mostrargli le ultime disgustanti ore passate con il ciccione. Si alzò con uno sbuffo infilando i piedi nelle babbucce morbide e calde. (
Poteva guardare un po’ di televisione, o meglio ancora un dvd, uno di quelli che aveva lasciato lì Dominique, un cartone animato senza tante pretese, ma invece di girare a sinistra verso il salotto, voltò a destra, attirato dal clicchio infervorato del mouse.
Lleroy era chino davanti al computer, due dita che accarezzavano piano l’occhio ferito, altre due che spostavano ininterrottamente il mouse grigio sul tappetino.
- Pensavo andassi a dormire- disse rimanendo immobile sulla soglia.
Lleroy alzò la testa sfilandosi gli occhiali – E io credevo che tu lo stessi già facendo-
- Non ho sonno-
- Siamo in due-
Per un istante tacquero entrambi fissandosi, poi Roy abbassò lo sguardo sul pavimento. Le ciabatte giallo canarino stridevano con violenza contro il blu scuro della moquette.
- Senti- borbottò continuando a studiare con immenso interesse i peli blu della moquette – lo so che è strano che io ti chieda ma…- s’interruppe sbuffando come un cavallo
- Che vuoi?-
Roy inspirò profondamente poi giro il viso evitando di guardarlo – Ti va di prendere un paio di pastiglie di viagra e fare sesso con me?- vomitò in un'unica parola non sapendo nemmeno lui perché glielo chiedesse.
La sorpresa di Lley fu appena percepibile nel sollevarsi leggero delle sopracciglia, poi l’uomo sogghignò – Cos’è? Sei entrato nella pubertà e ti si sono risvegliati all’improvviso gli ormoni?-
Roy fece una smorfia – Spiritoso. E’ solo che quel vecchio ha passato tutta la notte a leccarmi- e distolse lo sguardo per riportarlo sui suoi piedi – e non è che sia stato poi molto soddisfacente – biascicò cercando di dissimulare, malamente, un brivido – così, magari mi chiedevo se tu avresti potuto, avessi voluto….-
- Davvero ha passato tutta la notte solo a leccarti?-
- Quello e un po’ di fra coscio-
- Ed è stato così disgustoso?-
- Non è stato disgustoso è stato solo poco appagante- mentì senza alzare il viso – lo so che è strano che io venga a chiedere ad uno impotente come te di..di..di fare sesso con me, ma ci sei solo tu qui e…- due dita forti gli fecero sollevare il mento e Roy si trovò a guardare direttamente negli occhi scuri di Lley.
- Quanto mi paghi se lo faccio?- gli chiese e Roy sorrise – Puoi detrarre le spese per il Viagra dal mio stipendio – sussurrò.
- Come offerta è pessima, non sono mica un ente di beneficenza- sbuffò Lley spingendo la propria mano sulla nuca del ragazzo che aprì la bocca per ribattere, ma il braccio sinistro di Lley gli circondò il fianco costringendolo ad aderire al suo petto, mentre le labbra dell’uomo si impadronivano con dolce lentezza delle sue. Roy gemette piano, artigliandogli la camicia quando la lingua scivolò lenta sulla sua abbracciandola sinuosamente. Ancora una volta perse il controllo del suo corpo traditore accorgendosi di aver camminato all’indietro solo quando, incespicando contro il bordo, si trovò disteso sul grande letto di Lley.


Il ragazzo accavallò le gambe stiracchiandosi sul divano e l’uomo ai suoi piedi gli leccò la pianta del piede, dalle punte al tallone, per poi succhiare la pelle delicata e sensibile del tendine. Il ragazzo sorrise passandosi la mano tra i capelli neri.
- Pensavo- si interruppe per attorcigliarsi meglio attorno al polso una lunga catenella argentata – che è ora di fare qualche telefonata, non credi? Non vorrei che i nostri ospiti prendano altri impegni per la festa di domani sera-
L’uomo più anziano si stiracchiò un istante prima di sfregare la testa contro il polpaccio del ragazzo – I numeri sono nel mio cappotto.-
Il ragazzo si alzò avviandosi verso la porta e l’uomo attese paziente che la catenella si tendesse strattonando il morbido collare che aveva al collo prima di gattonare dietro al suo padrone. Non c’era moquette sui pavimenti e le sue ginocchia nude sfregavano contro la seta liscia e morbida di preziosi e colorati tappeti persiani.
- C’è un’agendina magnetica nella tasca interna- l’informò scrutando dal basso le natiche alte e tonde del suo padrone; quel pomeriggio si sentiva un cane un po’ indisciplinato: aveva voglia di mordicchiargliele. – Dominique è sotto la D come anche Faith Delacrux, se invece vuoi il numero del poliziotto lo trovi a matita nell’ultima pagina.-
- L’amante di Dominique?-
- Già, invita anche lui è una vecchia conoscenza di Lleroy-
Il ragazzo sorrise accarezzandogli la schiena con un piede – Sei un bastardo-


Lleroy sbatté la porta dietro di sé facendo gemere di dolore i cardini ben oliati che ruotarono di nuovo su loro stessi aprendosi sul viso irato di Roy.
- No- ripeté per la nona volta l’uomo uscendo nel giardino illuminato a giorno dai faretti alogeni.
Cinque grosse station wagon nere, dai vetri affumicati, sostavano davanti al cancello della palazzina, mentre l’Hammer di Joshua, con tutte le portiere aperte, era parcheggiato davanti al garage della corvette.
- No, un cazzo. Io me lo sono scopato quel tipo, io ti ho portato le informazioni e io vengo con voi.- gridò Roy barcollando sotto l’impeto di Blake che gli buttò le zampe anteriori sul petto cercando di leccargli il viso.
Lleroy inspirò rumorosamente senza voltarsi – Non è una scampagnata a cui possono partecipare i bambini. E’ pericoloso, non sappiamo cosa ci aspetta, può anche darsi che ci sia da sparare e tu sai a malapena tenere una pistola in mano.-
- E allora? Tu la sai tenere in mano bene, ma la usi nel modo sbagliato!- sbuffò riuscendo a liberarsi dal boxer – ed ho deciso che vengo anche io-.
Erik, immobile vicino alla portiera posteriore destra del fuoristrada, soffocò una risata in un elegante colpetto di tosse, fissando il cielo con la stessa attenta scrupolosità di un antico indovino greco.
- Mi sembrava- sibilò Lleroy girandosi a fronteggiarlo – che avessimo deciso che tu avresti dovuto ubbidire ai miei ordini ed io ora ti sto ordinando…-
- Solo agli ordini non stupidi- l’interruppe il ragazzo – e questo è un ordine stupido-
- Maledizione, Ronald! E’ troppo pericoloso per te.-
- Cosa? Si tratta di un magazzino semivuoto in cui sono nascoste cartacce compromettenti. Ci sarà qualche guardia…e poi se è troppo pericoloso per me lo è anche per te-.
- Sei pazzo?- la sua voce non era più alta del fruscio gelido del vento invernale.
- Tu sei il capo della banda, non dovresti esporti a pericoli in prima persona-
- Ha ragione- si lasciò scappare Erik a mezza voce, venendo ricompensato da un’occhiata crudele che tentò di squartargli il petto per strappargli il cuore.
- Bhè, capo, - cercò di giustificarsi grattandosi la nuca – ha davvero ragione. Tu sei l’erede di don Tony, se ti accade qualcosa…-
- Che cazzo dovrebbe accadermi? Oltre a te e Josh ci sono altri 25 uomini, non mi accadrà proprio nulla.-
- Bene, vedi è sicuro, allora è deciso vengo anche io.- aggiunse Roy.
Una risatina divertita uscì dalle profondità del bagagliaio dell'Hammer – Ti sei fatto fregare capo. Ma non ti preoccupare ci penso io al marmocchio-.
Roy gemette piano sentendo il desiderio di unirsi al gruppo scemare vertiginosamente: non era affatto sicuro di voler essere protetto da Josh, anche se, forse, quella era la soluzione migliore. Nessuno, per quanto fosse crudele ed assassino avrebbe mai potuto infierire su un uomo con camicetta di tulle rosa e boa piumoso al collo.
- Non è che mi devo vestire come vuoi tu vero?- piagnucolò. Era ancora in tempo per ritrattare e stare a casa?
Josh saltò giù dall’auto stringendo tra le mani le tendine di pizzo che aveva staccato e Roy aprì la bocca allibito.
L’uomo lo fissò un istante, lasciando scivolare lo sguardo sulle scarpe da tennis, sui jeans spessi, sulla stretta t-shirt nera e sulla felpa verde scuro poi, lanciate le tendine ad Erik, gli posò le mani sul collo, infilando le dita sotto la felpa.
- Direi che va benissimo, certo che se imparassi a sistemare il colletto, ma non ti dà fastidio tutto arricciato all’indentro?- chiese aggiustandogli i vestiti.
Roy non rispose, lasciandolo fare, limitandosi a fissarlo stupito.
Joshua, il maestro dei vestiti, l’uomo infiocchettato, l’amante delle piume di cigno e degli ombelichi scoperti, il maestro torturatore che lo inguainava in abiti troppo stretti persino per il fidanzato di Barbie era…era…
Fece un passo indietro strizzando gli occhi prima di riguardarlo con attenzione.
I capelli castani, su cui svettava un paio di occhiali da sole dalle lenti gialle, erano stati tirati all’indietro, stretti in un corto codino che gli lasciava libera la fronte ampia.
Un gilé nero, pesante e dalle tasche rigonfie era aperto su una stretta maglia verde scuro che gli disegnava i piani dei muscoli prima di sparire catturata da un grosso cinturone di pelle screpolata e da dei pantaloni mimetici leggermente larghi infilati, all’altezza del polpaccio, in un paio di stivali.
Il calcio di legno di una grossa Colt Python gli sbucava sul fianco sinistro.
- Sei…sembri…- balbettò incapace di staccare gli occhi dall’uomo.
- La brutta copia di Rambo- lo aiutò ridacchiando Erik – e non hai ancora visto cosa nasconde nelle tasche….-
Roy annuì – Sì, assomigli ad un marine e…bhè, sei bellissimo.-
Joshua sorrise raddrizzando la schiena e spingendo in fuori il torace che tirò la stoffa elastica.
- Diciamo che non sembri il pagliaccio che sei- sbuffò Lleroy togliendosi gli occhiali per sfregarsi leggermente l’occhio ferito – e, appena hai finito di pavoneggiarti davanti al ragazzo, se ti garba, vuoi fare il punto della situazione?-
Joshua sogghignò – Signorsì signore- annuì scattando sull’attenti – intanto direi che al signorino serve una pistola- e così dicendo estrasse dalla tasca una pistola piccola e tozza.- tiè, questa è Domitilla, vedi di trattarla bene.-
- Domiche?- chiese Roy afferrando l’arma per la canna.
- Domitilla. Una Tomcat, una Beretta 3032. 7 colpi, 6 nel caricatore più uno in canna, è modificata per supportare un calibro 9. Il caricatore è monofilare, schiacci qui – e premette su un pulsantino tondo appena sotto il carrello dell’arma – e viene giù e gliene metti un altro. E’ ad azione mista per cui ricordati di sganciare il cane prima di sparare- per un istante si fermò a fissarlo negli occhi – Ronny spara solo se il tuo bersaglio è appiccicato a te e io non sono nelle vicinanze ok?-
Roy annuì; pochi giorni prima era sceso con Joshua nella cantina adibita a poligono della casa ed era più che cosciente della sua totale inettitudine come pistolero. Non era la mira che gli mancava, ma la pratica: ad ogni colpo le sue mani tremavano e la canna si spostava così tanto che era riuscito a centrare il petto del manichino accanto a quello a cui mirava.
- E prendi anche questo – aggiunse estraendo dagli stivali un grosso coltellaccio dalla lama seghettata – di punta lo cacci in un occhio o nella gola, di taglio gli sfregi la faccia- spiegò piegandosi per infilargli il coltello nella cintura dei jeans, assicurandolo in modo che non potesse ferirlo. – Tutto il resto capo è qui- assicurò strizzando un occhio nell’indicare l’interno dell’auto, più simile ad un vero e proprio arsenale che non a un bagagliaio.
- Hai anche armi di distruzione di massa?- chiese in un sussurro Roy e l’uomo sogghignò .
- Certo che no- lo rassicurò spettinandogli bonariamente i capelli, - sono armi troppo pericolose…metti che mi esploda l’auto…tu hai idea di quanto costi il gas nervino? E l’uranio? –
Roy aprì la bocca e la richiuse e, deciso che non voleva sapere se stesse scherzando o meno, salì in auto.
In silenzio Josh spense le luci avanzando lentamente nell’oscurità fino ad uno spiazzo infestato da resti umidicci di scatoloni e casse di legno marcio.
- Quello è il nostro magazzino- disse spegnendo il motore. Roy deglutì rumorosamente fissando il rettangolo pallido, lungo e basso, che si ergeva minaccioso tra altre due costruzioni gemelle. Un cubetto di cemento grezzo, con le macchie di salsedine illuminate dai lampioni giallastri e decorazioni filiformi di muffa da umidità vischiosa e verdastra ad agghindarne la base.
-Sei sicuro che vuoi venire?- domandò sottovoce Erik posandogli una mano sulla spalla di cui Roy si liberò con uno scossone scontroso.
- Certo- sibilò aprendo la portiera e saltando giù dal fuoristrada. L’aria era fresca e puzzava di acqua stagna e pesce morto.
Uno degli uomini smontò dall’altra auto per raggiungerli. Era vestito di nero, con un grosso giubbotto antiproiettile che faceva capolino da sotto il profondo scollo a v del maglione.
Joshua lo salutò con un sorriso più simile ad una smorfia e gli gettò le chiavi della propria auto – Ricapitoliamo- disse inforcando gli occhiali – Restate qui, fuori vista. Le auto accese, se ci sono problemi ci sentiamo – disse picchiettando piano il piccolo microfono inserito nell’orecchio sinistro – e in ogni caso intervenite al primo sparo. La mia chiamata, o i colpi, sono le uniche cose che vi faranno spostare da qui, chiaro?-.
L’uomo annuì con un sorriso stanco – Lo so, capo lo so- sbadigliò e Joshua sogghignò – Meglio ripetere. Tu sei sicuro che vuoi proprio venire? – Chiese incrociando lo sguardo di Lleroy.
-Certo. Quel tipo ci sta prendendo in giro e, se per caso, è là dentro….- si strinse nelle spalle – non ti permetterò di ammazzarmelo e togliermi il divertimento Josh.-
- Cocciuti come asinacci tutti e due- sghignazzò girandosi a fissare il magazzino a poche centinaia di metri di distanza – Roy non è che hai avuto un attacco di saggezza e vuoi restare fuori?-
Roy scosse la testa – No. Potrebbero esserci delle telecamere- sussurrò aguzzando la vista.
- Probabile- assentì Erick – ed è per questo che Karl e i suoi andranno a fare un po’ di casino- spiegò indicando una delle station wagon che si stava parcheggiando proprio davanti al grosso portone di ferro arrugginito. – Si faranno riprendere un po’, mentre noi sgusciamo nell’ombra.-
- Già, loro in tv e noi a strisciare lungo i muri riempiendoci di melmaccia- brontolò Josh incamminandosi lungo la strada – per favore Lley e Roy statemi accanto, potrebbe essere l’unica occasione che ho per fare un’orgia con voi-
Avanzarono in silenzio, raggiungendo l’ombra del muro del magazzino numero 7, strusciando contro il cemento, in fila indiana.
- Il prossimo è il nostro- sussurrò Josh che li precedeva – se tutto è andato bene Karl ci ha già aperto l’ingre…- s’interruppe bruscamente afferrando la pistola.
- Non sparare, sono io- sibilò un bel ragazzo moro correndogli incontro. Aveva gli occhi azzurri, grandi.
- Karl che cazzo….-
- Abbiamo un problema capo- ansimò fermandosi davanti a Josh, cercando in ogni modo di non posare lo sguardo su Lleroy che gli si era affiancato.
- Che problema?-
- Dominique. C’è….-
- L’auto di Dom- aggiunse con un bisbiglio sbalordito Roy. Era proprio davanti a loro, parcheggiata a spina di pesce contro il marciapiede davanti al capannone numero 11. Una mini Minor verde bosco, le strisce rosso rubino che le tagliavano i fianchi, un piccolo draghetto scarlatto dall’espressione sorniona e dagli occhietti neri pieni di stelle stampato sul cofano.
Lleroy gemette massaggiandosi la cicatrice – Non è la sua- mormorò.
- Quante mini hai visto con Vladimiro stampato su?-
- Chi?-
- Vladimiro…è il nome del drago-
Lleroy inspirò con forza: sentiva il mal di testa premere contro la tempia, un altro po’ e la pelle si sarebbe rotta pur di partorire quella bolla dura e sofferente.
- Cambio di programma. Karl tu ed Erick andate dentro, cercate quel pezzo di demente, lo portate in salvo e domani Erick mi trovi le prove che dimostrano che lui non ha i miei stessi geni. Josh noi invece proseguiamo col piano originale. Tu vieni con me.- aggiunse afferrando il polso di Roy – E se ti sogni di allontanarti per i fatti tuoi giuro che ti castro e poi ti licenzio.-
- C’è un'altra porta sul retro, entrando da due posti diversi è più facile che qualcuno si imbatta in Dominique- suggerì Erick estraendo la pistola e sparendo nel vicoletto accanto al magazzino non appena Lleroy ebbe annuito.
Roy si morse il labbro, tirando inconsciamente la pelle morbida, stringendola tra i denti, lasciandola appena prima di romperla. L’aria attorno a lui era cambiata, si era fatta improvvisamente densa e minacciosa, diversa da quella effervescente che l’aveva avvolta alla partenza. Joshua avanzava davanti a loro silenziosissimo, una macchia appena più scura contro il muro, la mano sinistra bassa sul fianco a stringere la pistola, la destra alta all’altezza del viso. Aveva un che di ferino nei movimenti sinuosi, negli scatti rapidi della testa, sembrava che stesse annusando l’aria pronto per azzannare il nemico…o la preda. Anche Lleroy era diverso, lo sentiva nelle dita che continuavano a stringergli il polso, salde, sicure, indomite, la presa di chi non lo avrebbe mai lasciato cadere. All’improvviso qualcosa dentro di lui si ribellò all’idea di accompagnarli: non sapeva sparare e sarebbe stato solo un peso.
- Ci siamo- sibilò Joshua annuendo ed infilandosi con uno scatto veloce nel magazzino.
- La situazione è tranquilla boss, non ci sono movimenti né dentro né fuori- sussurrò una delle ombre nere che li attorniavano.
- Ok- aggiunse la voce ovattata di Joshua.
- Stammi dietro- sibilò Lleroy liberando il polso di Roy con un gesto quasi carezzevole – e non ti allontanare da me per nessuna ragione al mondo-.
Roy annuì chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente. Con un sogghigno riaprì gli occhi fissando la strada davanti a lui; parcheggiata arrogantemente in diagonale rispetto al marciapiede c’era un elegante Audi TT grigio perla. Con uno scatto corse all’interno dell’edificio, sbattendo contro la schiena di Lleroy che l’afferrò violentemente per la vita.
- Un’altra mossa del genere e ti ammazzo e non per sbaglio, idiota-.
- C’è qualcosa che non va- replicò piano.
- Certo che c’è qualcosa che non va, questa fottuta città non mi appartiene ancora, ecco cosa non va…-
Roy lo fissò per un attimo cercando di indovinarne i lineamenti nell’oscurità sentendo chiaramente il muggito debole di Joshua incapace di soffocare totalmente una risata.
- Non era questo…c’è l’auto di Faith.-
Lleroy chiuse gli occhi stringendo tra le dita il calcio della pistola.
- A questo punto capo, o Don Tony ti ha preparato un matrimonio a sorpresa o è una trappola.-
- E’ una trappola- rispose seriamente Lleroy ignorando la battuta dell’amico – mio padre non avrebbe mai invitato Dom.-
Cominciarono a sparare all’improvviso, da ogni parte.
Lleroy afferrò Roy per il braccio gettandosi dietro alla copertura di legno e cartone di una pila di scatoloni, mentre Joshua rotolò a sinistra,- Imboscata!- urlò nel microfono, correndo basso contro il muro verso la figura esile che si trovava alcuni metri alla sua sinistra. Si gettò a terra evitando una gragnola di colpi, afferrando la donna per le gambe, trascinandola a terra con sé, fin dietro ad una pila di scatoloni.
- Che diavolo ci fa qui, miss?- sibilò aiutandola a sedersi in ginocchio accanto a lui.
- Mi avete chiamato e io sono qui, sono la futura moglie di Lleroy, quando il mio don chiama ubbidisco anche io.-
-Non l’ha chiamata nessuno…-
-Io ho ricevuto una telefonata…-
- Non m’interessa. Ora striscia fuori di qui e se ne va a casa.-
- Dov’è Lley?-
- Non lo so ci siamo divisi…-
- Io non me ne vado senza di lui- annunciò alzandosi in piedi.
-Oh sì che te ne vai e di corsa, non tollero capricci chiaro?- grugnì spingendola verso il basso, dietro il riparo di un muro di casse.
Gli occhi di Faith lampeggiarono irosi – Come osi- sibilò spostando la mano dietro la nuca per caricare lo schiaffo, ma Joshua la bloccò afferrandola per il polso.
- Senti un po’, bionda, non mi frega se sei la promessa sposa del capo, ora sei solo un peso, obbediscimi o ti uccido.-
- Fallo- sibilò – così poi il mio fantasma ti potrà torturare per tutta l’eternità, brutta checca-.Con un ringhio rabbioso Joshua le piegò il polso dietro la schiena premendosela contro il petto – Mi stai irritando femmina- sibilò minaccioso e Faith sollevò gli occhi che si sgranarono all’improvviso.
- Dietro di te- gridò sbilanciandolo di lato.
Una pioggia di pallottole cominciò a scrosciare attorno a loro. Colpi imprecisi che puntavano più sul numero che non sulla precisione.
-Il bastardo ha una mitraglietta- sibilò Joshua rispondendo ai colpi. Un rivolo di sangue gli zampillava dall’avambraccio, rendendogli le dita incerte e scivolose.
- Non si molesta una signora, porco!- tuonò alle sue spalle Faith alzandosi in piedi.
Il cuore di Joshua si fermò un istante mentre la sua bocca si apriva spontaneamente urlandole di stare giù; ma era troppo tardi. Faith si ergeva immobile alle sue spalle, le gambe affusolate divaricate a tendere la stoffa della minigonna, le braccia unite puntate in avanti: un bersaglio facile.
Fu un unico colpo e la macchia scura davanti a loro si afflosciò cadendo a terra, lasciando andare la mitraglietta che continuò a vomitare proiettili verso il soffitto.
- Così impari piccola ameba ultrasviluppata- grugnì la donna accucciandosi nuovamente dietro gli scatoloni; Joshua la fissava con la bocca aperta.
- Sai sparare- borbottò allibito ricevendo un’occhiata gelida in risposta.
- Ovvio -
- E l’hai ucciso con la pistola dei puffi…-
Faith abbassò lo sguardo sulla propria arma, una pistola di metallo bronzeo con l’impugnatura e la canna riccamente adornate da un’incisione di edera. Un’arma piccola, grande quanto la sola impugnatura di quella di Joshua.
- E’ una Derringer- rispose perplessa .
- E’ microscopica. Cos’ha, tre colpi?-
Faith annuì prendendo la piccola borsetta di pelle nera. Altri echi di colpi risuonavano nel magazzino mescolandosi: era impossibile capire dove o chi stesse sparando. - Sarà microscopica ma ci sta in borsa – spiegò estraendo una piccola forbicina da unghie ed iniziando a tagliare il bordo slabbrato della maglia di Josh ricavandone una lunga striscia sfilettata di stoffa nera con cui iniziò a bendargli il braccio ferito.
- Siamo in mezzo ad una sparatoria- sussurrò l’uomo fissandola con un mezzo sorriso.
- Ma va non me ne ero accorta- sbuffò lei in risposta.
L’uomo sorrise scuotendo la testa ed appoggiando la schiena contro uno degli scatoloni.- Non avresti dovuto strappare con i denti un pezzo del tuo abito per fasciarmi?-
- E’ di Moschino, costa più della tua auto. Lo porto in pulitura e torna nuovo, la tua maglietta invece era già bucherellata.-
- Mi aspettavo che ti venisse una crisi isterica o che almeno ti mettessi a piangere di paura…-
- Per una semplice sparatoria? E poi sono troppo scioccata…ero convita che fossi una checca utile solo a sistemare il make up, invece…ora capisco perché Lley ti tiene con sé.-
Joshua distolse lo sguardo con un sospiro – Già, il capo prende solo le cose migliori- sussurrò stringendo gli occhi. Immobile, in attesa accanto a loro, giaceva una piccola rudimentale bomba.

Fu secco, imperfetto e apparentemente lontano: un primo boato cupo, soffocato, quasi metallico, seguito da un secondo e da un terzo, più secco e ravvicinato. L’aria si riempì di polvere e frammenti di calcinacci, carta e schegge di legno.
- Merda- sibilò Lleroy alzandosi da terra: l’aveva visto, un ragazzino poco più giovane di --Roy, un sorriso spaventato sul viso ed un aggeggio terribilmente simile ad un detonatore stretto nella mano sinistra. Non aveva armato il cane, aveva solo afferrato Roy spingendolo a terra, sotto di sé ed il ragazzino aveva gridato isterico mentre premeva il pulsante. Lo scoppio era stato immediato, un bidone di metallo era saltato lanciando il proprio coperchio nell’aria nell’impeto dell’esplosione.
-Tutto bene?- chiese cercando di non respirare l’aria polverosa che gli faceva prudere il naso. Roy annuì strizzando gli occhi. La mano di Lleroy gli scivolò per un istante tra i capelli sporchi, accarezzandogli lentamente la testa ed il collo caldo.
-Andiamo a cercare quell’idiota- mormorò alzandosi guardingo, ma non c’erano molte possibilità di vedere i nemici. Aborti affumicati di casse si innalzavano miracolosamente assumendo le forme più strane, alcune bruciavano ancora di un fuoco leggero che si sarebbe estinto da solo entro breve. Materiale ignifugo e pesante. Non avevano voluto arrostirli in un incendio, la loro speranza era stata riposta nelle pallottole e nei contraccolpi dell’esplosioni. Un’idea buona, ma mal congegnata. Sospirò: erano dei deficienti: non ci si doveva preoccupare di salvare un magazzino quando si pensava ad uccidere un nemico.
Roy gemette piano nascondendo il viso contro il suo petto e Lleroy gli passò meccanicamente un braccio attorno alle spalle. Il moccioso che aveva premuto il detonatore giaceva immobile davanti a loro, la scatoletta stretta ancora nella mano destra, il bacino troncato a metà da una lastra di metallo sottile. Gli occhi allungati erano aperti e fissavano disperatamente il soffitto, spostandosi senza tregua da una parte all’altra.
- Cinesi.- sussurrò piano Lleroy armando il cane.
Roy trattenne il fiato premendo il viso contro il suo petto quando lo sparo rimbombò nelle sue orecchie superando l’eco del frastuono che non voleva ancora calmarsi.
- Ora non soffre più- annunciò tetro l’uomo – andiamo a cercare Dominique- grugnì e Roy annuì ansimando appena – Si può sapere che ti piglia ragazzino? Sono dieci minuti che non parli.-
Roy si morse il labbro – Non apro la bocca solo per darle aria come fai tu- mugolò. La voce era bassa e sofferente e Lleroy si girò per scrutarlo attentamente. Uno strato di polvere biancastra gli copriva i vestiti ed i capelli tra cui spiccavano residui di cenere. Anche il viso era una maschera di sporco e fuliggine. Nel complesso assomigliava ad una scopa dimenticata in uno sgabuzzino e ricoperta da anni di polvere e ragnatele. Se non fosse stato per la mano premuta con forza sulla coscia non se ne sarebbe nemmeno accorto.
- Fa vedere- sibilò spostandogli la mano.
-E’ solo un graffio-
Gli occhi dell’uomo si socchiusero minacciosi. Non era un graffio, era un buco, un piccolo buco stretto, ma probabilmente profondo.
- Siediti-
-Ma Dom…-
- Ti ho detto di sederti- ordinò sovrastando il rumore e Roy ubbidì lasciandosi cadere di peso per terra sospirando con forza.
- Capo!- gridò Joshua correndogli incontro trascinando con sé Faith i cui tacchi incespicavano continuamente tra i detriti che si accavallavano sul pavimento.
- Dov’è Dominique?- sibilò continuando ad occuparsi della gamba di Roy
- Non ne ho idea- ammise Joshua accosciandosi accanto a loro – Non so nemmeno dove siano Erik, Karl o i nostri. Va' vedere. E’ una scheggia. E’ ancora dentro per cui non sanguina.- Scosse la testa – Non la vedo, non lo so. Se è infilzata nella carne va bene, ma muovendoti si potrebbe spostare e recidere una vena…-
- E se sto fermo mi trovano e mi impallinano- sbuffò Roy facendo forza sulle mani per sollevarsi. _ Raccattiamo Dom e andiamo all’ospedale- sibilò sospirando di sollievo quando Joshua lo afferrò per la vita tirandolo in piedi.
La polvere si stava abbassando.
- Non sparano più- mormorò Roy gravando contro il petto di Joshua.
- Non lo dire troppo forte. Mi servono le mani. Faith aiutalo tu- ordinò affidandole il ragazzo.
La donna annuì senza replicare passandogli un braccio attorno alla vita – Un modo come un altro per metterti le mani addosso- sussurrò sentendosi sollevata nel vedere l’ombra di un sorriso aleggiargli sul volto.
Diciannove anni.
Sua madre sarebbe morta se l’avesse visto in quello stato. Un ragazzino. Un adolescente. In quei momenti era felice che Lleroy fosse gay, così non avrebbe mai avuto un figlio da mettere in pericolo in una vita del genere. I suoi occhi scivolarono sulla figura di Joshua che apriva la strada; nonostante la ferita teneva un’arma in entrambe le mani. Con un senso di colpa fissò il piccolo bracciale che l’uomo le aveva dato quando avevano lasciato il loro rifugio per cercare Lleroy. Un bracciale di perle rosa, tranne una così pallida da sembrare bianca. Bastava tirare quella per srotolare un filo di metallo sottile ed affilato identico a quello nascosto nel boa di piume che indossava sempre al Purple. La sua arma preferita. Abbassò gli occhi cercando di non rovinare a terra portandosi dietro Ronny.
-Che cosa ci fai tu qui?- gridò una voce sconosciuta davanti a loro. Faith alzò gli occhi sentendo Roy tendersi al suo fianco – Dom- sussurrò il ragazzo sbattendo gli occhi. Era come un brutto film: c’era un cumulo di macerie là dove un’esplosione mal calibrata aveva fatto crollare un pezzo di muro. In ginocchio tra i calcinacci c’era un uomo, i capelli neri imbiancati dalla polvere, la giacca elegante ridotta ad uno straccio e delle macchie scure che gli chiazzavano la manica. Dominique giaceva tra le sue braccia, immobile, la testa ramata appoggiata con delicatezza sulle cosce dell’uomo. Un bell’uomo,registrò distrattamente il suo cervello. Un bell’uomo che aveva visto alcune volte al Central. – Jo- sussurrò pianissimo.
- Cosa diavolo ci fai tu- sibilò Lleroy puntandogli contro la pistola – allontanati da lui-
L’uomo moro si alzò piano, attento a non turbare troppo il corpo inerte tra le sue braccia e si mise davanti a Dominique, facendogli scudo con il suo corpo.
- Cosa c’è Walter? Vuoi portarmi via anche lui ora?- sibilò rabbioso.
- Se avessi saputo che eri tu…maledizione Erik!- gridò inutilmente, il compagno non era con lui. – Jo- sputò facendo risuonare la sillaba nel magazzino come un nuovo sparo – Joey Kinsley. Di nuovo tra i piedi. Allontanati da mio fratello!-
- Perché? Per permetterti di far assassinare anche lui?-
Le labbra di Lley si strinsero fin quasi a scomparire mentre risuonava il ticchettio deciso dell’armamento del cane. – Ho sempre desiderato ucciderti.-
Il poliziotto sorrise – Verrai all’inferno con me Walter.-
- Ora basta pezzo di idioti che state a fare?- gridò Roy facendo due bruschi passi avanti, precipitando accanto a Lleroy che non riuscì a frenarne la caduta.- cazzo Lley, Dom è steso lì immobile, vuoi almeno vedere cos’ha? –
Faith inspirò correndo in avanti, raggiungendo il ragazzino svenuto. Una scia di sangue gli scivolava piano sul viso, rendendolo simile ad una maschera di morte.
- Siamo riusciti ad evitare la caduta del muro- sussurrò Joey scuotendo la testa – non lo so, poi si è portato la mano alla testa ed è svenuto.- accorciò il racconto. Non gli andava di dire loro di come si era guardato il sangue che gi macchiava la mano, di come aveva sorriso tristemente chiedendogli scusa perché era un impiastro, prima di cadere al suolo. Quello era il suo Dom. Solo suo.
- Andiamo all’ospedale. Lleroy ora andiamo all’ospedale, i vostri conti li regolate dopo.-
Per un lungo istante Joey e Lleroy rimasero immobili fissandosi in faccia, poi Roy gemette stringendosi la gamba che aveva iniziato a sanguinare e Lleroy lasciò cadere la pistola sollevandolo tra le braccia. – Joshua occupati di Dom-
- No. Prendilo tu.- ordinò Faith a Joey . Gli occhi di Lleroy si socchiusero.
- Joshua è ferito! Vuoi che stiamo qui? Vuoi che ci sediamo a terra così mentre voi litigate dio solo sa per che cosa, ti muoiono un amico, il fratello e l’amante e pure la fidanzata che si impicca dopo una crisi di nervi? E’ questo che vuoi?- gridò tra le lacrime.
Lleroy ispirò con forza – Faith vai con lui. L’ospedale Trimegus. E’ più lontano del Blancher, ma abbiamo un rapporto privilegiato.-
Joey annuì sollevando il corpo immobile di Dominique tra le braccia.


Roy non ebbe difficoltà a trovare la sala d’aspetto, bastava seguire il silenzio.
Non c’erano risa, non c’erano chiacchiere. Solo un candore accecante.
- Come sta?- chiese accasciandosi sulla prima sedia libera.
Erano tutti lì.seduti immobili, composti, come tanti studentelli sgridati dalla maestra. Joey e Lleroy seduti il più lontano possibile evitavano addirittura di guardarsi, mentre Faith non faceva altro che far vagare lo sguardo dall’uno all’altro. Fu lei a scuotere la testa – Non sappiamo ancora nulla. Tu che cosa ci fai qui?-
- Era una cosa da nulla. Posso tornare a casa, devo solo prendere questi antibiotici per i prossimi dieci giorni- disse lanciando una scatoletta bianca e verde a Lleroy che l’afferrò senza nemmeno guardarla. – Josh?-
- Sta bene- rispose incolore Lleroy – ma è una ferita di arma da fuoco. E’ meglio che rimanga sotto controllo per un paio di giorni. Per quanto ti riguarda poi vado a sentire se puoi davvero uscire da qui.-
- Sì che posso- sbuffò appoggiando la testa contro la mano; si sentiva terribilmente stanco e si accorse che la porta si era finalmente aperta solo quando tutti scattarono in piedi. Si alzò a fatica allungando gli occhi nella camera. Dominique era steso sul letto, pallido quanto le lenzuola. Il cordone di un flebo gli si infilava nel braccio sinistro, mentre di lato una piccola macchinetta dallo schermo verde monitorava le sue attività cerebrali.
- Frank? Allora?- sibilò Lleroy e l’uomo inspirò piano.
- Trauma cranico. – sussurrò - Non ha portato lesioni ferite gravi, ma…è in coma.-
Lleroy impallidì entrando nella camera.
- e’ un tipo forte ed è sano. Potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento-
- Potrebbe- mormorò piano Joey avvicinandosi al letto – non mi piacciono i condizionali. Si sveglierà sì o no?-
- Lei chi è?-
- Nessuno- rispose con un sibilo Lleroy.
- Il suo ragazzo- disse Roy
Frank annuì avvicinandosi a Jo, posandogli la mano sulla spalla – Ci sono buone possibilità che si riprenda. Ci sono alcune reazioni. Resti con lui. Gli parli, gli faccia capire….-
- No. Se ne va subito- sibilò Lleroy – Non ti permetto di stargli vicino chiaro? Ti sei impicciato già una volta di troppo.-
Joey si alzò e Roy trattenne il fiato. Erano quasi alti uguali ed avevano entrambi uno sguardo che non gli piaceva nemmeno un po’.
- Tu non riuscirai ad allontanarmi da lui, Walter. Non mi porterai via ciò che amo . Non questa volta. Né mai più.
- Lleroy- sussurrò con calma Frank – non è il momento migliore per litigare. Se lui è il ragazzo di Dominique…per quanto a te non possa piacere è l’unico che lo può aiutare…-
- Ha ragione, Lley- sussurrò piano dall’entrata Joshua. Indossava una camicia da notte candida e il braccio era legato al collo.
- Dovresti stare a letto- lo rimproverò aspramente Frank – poi ti viene la febbre, ma un po’ di intelligenza non c’è?-
- Lascialo stare qui, quando Dom si sarà ripreso ne riparleremo- continuò ignorando il medico.
Lleroy si premette con forza la cicatrice che aveva iniziato a dolergli con forza dal momento in cui aveva rincontrato chi gliel’aveva procurata.
- Se siete tutti d’accordo va bene. Resta con lui. Vedi un po’ se puoi ammazzarmi anche lui-
Joey strinse i pugni con violenza sentendo le unghie corte trapassare la pelle – Come se Will l’avessi ucciso io- sibilò con rabbia, inutilmente.
Lleroy aveva lasciato la stanza.
Faith sospirò pesantemente inginocchiandosi accanto al letto di Dominique. – Sono una cosa inutile- sussurrò tra le lacrime – ha bisogno di qualcuno…di sfogarsi…la cosa che ama di più al mondo è qui immobile e lui non può fare nulla… e io sono la sua fidanzata- trattenne il respiro asciugandosi gli occhi con il dorso – e non posso nemmeno consolarlo con il mio corpo- scosse la testa sorridendo tristemente. Non era il momento di piangersi addosso; poteva almeno verificare per lui quanti dei loro uomini avevano perso la vita in quella maledetta trappola.
Roy sbuffò grattandosi la testa – Insomma i compiti più ingrati toccano sempre a me- sussurrò lasciando la stanza.


 

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