Note: alcuni nomi propri traducibili sono stati scritti direttamente in Italiano come il lago di Central Park, The Lake, che è diventato il Lago o lo stesso CP che è il Parco.






NEMICI NATURALI

Parte Seconda: Scimmie


Era una giornata perfetta: il sole brillava terso scaldando dolcemente la pelliccia dei gatti stesi con indolente pigrizia sui tettini delle auto parcheggiate. Uccellini irriducibili continuavano a cinguettare appollaiati sui fili elettrici, come piumosi panni stesi. Tra le fronde rigogliose e rumorose degli alberi, solo alcune foglie gialle, rivelatrici come capelli bianchi, tradivano l’avvicinarsi dell’autunno.
Una giornata perfetta, una di quelle che odiava con tutto il cuore.
Con un ringhio Joey tirò la tenda color panna lasciandosi cadere con uno sbuffo sul divano. Sempre borbottando incontentabile accavallò le gambe iniziando a sfogliare le pagine di un grosso libro, per lasciarlo cadere immediatamente sul tavolino di vetro rialzandosi di scatto. Non era giusto, l’America era la patria della democrazia, della libertà, il luogo dove ognuno aveva il diritto di fare ciò che preferiva, se non arrecava danno ad altri, ed allora perché avevano deciso che lui dovesse avere obbligatoriamente due giorni di riposo alla settimana? Cosa se ne faceva di quarantotto ore vuote? Eliminando cinque ore di sonno per due giorni gli restava ugualmente un’oscenità di 38 ore da riempire…38, due giorni di riposo attaccati, 38 ore! Gli sarebbe tanto, ma davvero tanto piaciuto che l’idiota acefalo, che aveva stabilito una cosa del genere, si presentasse e gli spiegasse come cavolo faceva uno a far passare 2280 minuti! Con un gemito ferito si sedette su una sedia fissando il corridoio che portava alle camere. Alcuni clacson lontani strombazzarono e al piano di sopra qualcosa cadde, ma non c’erano altri rumori nell’appartamento. Nessuno russava piano o cantava stonato sotto la doccia. Con un sospiro appoggiò la testa contro lo schienale chiudendo gli occhi: doveva inventarsi qualcosa da fare, magari avrebbe potuto prendere l’auto ed andare…da qualche parte. Avrebbe potuto salire in macchina e guidare a caso fino a sera, giusto per scoprire dove si arrivava andando sempre dritto o girando sempre a destra, si sarebbe cercato un albergo e il giorno dopo avrebbe rifatto la strada a ritroso, era una vita che non lo faceva più; un’altra vita.
Il campanello gracchiò, così insolito che Joey ci mise alcuni secondi per realizzare che qualcuno aveva davvero suonato da lui; non aspettava nessuno e mai nessuno si presentava più a casa sua senza averlo avvertito uno o due giorni prima, nemmeno sua madre gli faceva più improvvisate.
Con sguardo scettico fissò l’alta figura maschile che campeggiava sorridente ed allungata nello spioncino e senza una parola aprì la porta scostandosi per lasciarlo entrare.
- Una volta Frank mi telefonava quando arrivavano gli scocciatori-
- Sono anni che ci frequentiamo, il tuo portiere mi fa anche gli auguri di buon compleanno, direi che non sono uno scocciatore. Anche perché uno scocciatore non ti porta questo- continuò con un’aria falsamente offesa che gli faceva brillare gli occhi chiari sventolandogli davanti al viso una cartellina scura – e se ti vai a mettere qualcosa addosso te la faccio anche vedere, lo sai che il tuo torace ha uno strano effetto sui miei ormoni-
- Questo perché sotto, sotto sei una checca….vado a recuperare una maglia, tu metti su un caffé -
- Ma non è che ho interrotto qualcosa?- chiese ignorandolo sbirciando il corridoio scuro.
- Ma figurati, Malcom- sbottò Joey sparendo in camera.
Con un sospiro l’uomo posò la cartella sul tavolo della cucina, accendendo il fuoco sotto il bollitore – Ma figurati- ripeté piano, con tono triste passandosi una mano tra i capelli.
Erano ancora folti, ma aveva dovuto iniziare a tingerli per coprire quelle foreste bianche che si facevano ormai notare nonostante il colore castano chiaro e quel fottuto bastardo buttava via così i suoi anni migliori.
- Ci sono anche dei muffins, li ha fatti Adele, sono ottimi- l’informò Joey sedendosi a tavola, allacciando due soli bottoni di una camicia azzurro elettrico.
- Come tutto quello che fa! Ah, se avesse avuto 20 anni di meno l’avrei anche sposata- confessò versando due grandi tazze di caffé e recuperando i dolci dalla solita credenza.
- Glielo riferirò, la farai contenta. E ora dimmi cosa ci fai qui?-
- Ho pensato che forse avevi bisogno di essere salvato. Due giorni consecutivi di riposo – scosse la testa sorridendo – sembra quasi una punizione e se il mio naso non mi inganna stai pure facendo la torta di mele. Tra quanto è pronta?- chiese sbirciando il vetro nero del forno.
Joey annuì sollevando il viso dal fumo caldo e forte che si alzava vorticando dalla tazza – Venti minuti. Dici che l’abbiano fatto apposta? Ce l’hanno ancora con me per quella missione? Sono esagerati-
Malcom rise – Esagerati? Hai incendiato un edificio, rotto le vetrine di un intero isolato, mandato in corto una centralina elettrica togliendo la corrente a 8 palazzi e distrutto la mia auto. Senza contare che hai sparato nel cuore della notte, svegliato i cittadini che si sono lamentati e ferito 9 dei cattivi-
- Abbiamo estirpato una base di appoggio nel traffico della droga-
- Già – rise – ma non toglie che hai commesso l’imperdonabile errore di svegliare gli americani dormienti che si sono lamentati…e se loro si lamentano il sindaco se la prende con il capo che se la prende con te.-
- Il prossimo che becco a lamentarsi si trova il tatuaggio dell’imboccatura della mia canna in fronte-
- Dio, saresti la gioia dei contribuenti; meno male che ti ho portato del lavoro da fare, sennò per ora di lunedì mi uscivi pazzo-.
Con uno scatto Joey afferrò la cartella spostando l’elastico scuro che la chiudeva – Di che si tratta?-
- Dello sbarco di una nave aliena giù a Battery Park….che vuoi che sia? Un nuovo giro di spacciatori, sembrano i brufoli di Melory ne schiacci uno e ne spuntano quattro-
Perplesso Joey estrasse i cinque fogli dal cartone che li racchiudeva – Tutto qui?-
- Tutto lì –
- Mi pare che ne sappiamo poco-
- In realtà mi sa che sappiamo solo che esistono. Lì ci sono indizi e supposizioni che legano vari spacciatori ad un centro comune, c’è anche l’ipotesi di un paio di zone di potere, ma sono contraddittorie tra loro. Mi pare che ne hai da ricercare no? Mi sa che due giorni non ti bastano. Senti Joey domani sono a casa anche io, che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte? Un po’ in giro, tu, io e la tua torta di mele?-
Jo scosse la testa senza sollevare lo sguardo dalle carte – Se ti rapisco nei giorni liberi Luke mi ha già detto che mi assassina nel sonno e poi non ho voglia di uscire-
- Per quanto ancora non hai voglia di uscire? Sono quattro anni che non esci…senti e se ce ne andassimo via tutti e cinque? Luke ti adora e Mel ti venera-, ma Jo scosse il capo.
- Grazie, ma resterò a casa a fare qualche ricerca, magari trovo qualche filo di nylon che lega assieme questi signori.. Chi è?- sibilò girandosi di scatto verso il telefono, fissandolo minaccioso per un istante prima di sollevare la cornetta ed annuire distrattamente – Va bene Frank, mandalo su- sibilò girandosi verso il tavolo - Solo un attimo Com, è uno scocciatore, me ne libero subito, poi mi dici cosa sappiamo di quei tipi- si scusò piazzandosi davanti alla porta.
- Ma chi sei….Che vuoi- ringhiò aprendola davanti al viso sorridente di Dominique. Sembrava diverso ora che il volto non era deturpato dai gonfiori violacei dei pugni. Aveva un colorito appena dorato messo in risalto dai capelli ramati che scivolavano morbidi e lucenti sul viso.
- Non pensavo certo che ti fossi innamorato di me, ma speravo che almeno ti ricordassi il nome di quello con cui hai fatto la scopata più bella della tua vita…- rispose, la voce bassa e carezzevole.
- Sparisci Dom, non ho tempo-
- Sì che ne hai, è il tuo giorno libero e lo passi sempre in casa, potresti trovare un attimo per un vecchio amico –
- Non siamo vecchi amici e come diavolo sai che è il mio giorno di riposo?-
Dominique sorrise strizzandogli un occhio – Ho i miei informatori-
- Senti, girati e vattene. Te lo ricordi il discorso del cane e del gatto?-
- Ah, ah- annuì avvicinandosi di un passo, trattenendo a stento un sorriso nel notare lo sforzo che Joey doveva fare per non indietreggiare – quello me lo ricordo, te l’ho spiegato io; c’è n’è però un altro che vorrei che mi spiegassi tu è quello sulle api e sui fiori- sussurrò accarezzando leggermente il colletto sbottonato della camicia, stringendo tra le dita il bottoncino candido di madreperla.
Jo si allontanò di scatto lasciando un varco tra sé e la porta in cui Dominique si infilò rapido.
- Avanti,- miagolò – sono più di quindici giorni che non ci vediamo, non hai sentito la mia mancanza? Ehi che profumino! Che è una torta? Sai fare le torte? Io adoro i dolci! Preparo un tè per accompagnare la torta, va bene?- chiese superandolo e piombando in cucina.
- No che non ho sentito la tua mancanza, non mi ricordo nemmeno chi sei- sbuffò Joey chiudendo la porta prima di seguirlo in salotto
Dominique rise divertito, un suono dolce, argentino – Non è vero. E anche se fosse non importa, tu mi hai aiutato e io voglio dimostrarti la mia gratitudine, mi sembrava ti piacesse il modo in cui ti ho ringraziato,- insinuò abbassando il tono in un sussurro roco che accarezzò con un brivido le spalle di Joey – vedrai urle…rai- si bloccò di colpo fissando l’uomo seduto al tavolo con una tazza di caffé fumoso davanti al viso.
Con un sorriso l’ospite alzò la mano in cenno di saluto – Ciao, io sono Malcom- si presentò senza alzarsi.
Dominique lo guardò per un lungo istante. Doveva essere sulla quarantina, o poco meno, i capelli erano folti, di un castano chiaro con alcune riprese bionde, forse per coprire i primi ingrigimenti. Da seduto sembrava piuttosto alto, il fisico asciutto, le spalle larghe.
C’erano alcune rughette attorno agli occhi e alla bocca, ma non facevano altro che accrescerne il fascino. Già, quel Malcom era un uomo affascinante. Il sorriso di Dominique si spense come una stella morta – Io sono Dominique - si presentò inspirando profondamente e recuperando un sorriso di circostanza dalla sua scorta inesauribile – E ascolta, ecco, non fraintendere, non c’è stato nulla tra noi due. Due settimane fa mi hanno pestato e lui mi ha aiutato….mi sarebbe piaciuto dimostrargli la mia gratitudine, ma non me lo ha permesso…ecco insomma….noi non…non devi pensare male ecco….-
- Buon Dio!- sbottò Joey spostandosi una ciocca di capelli con la mano – ma cosa hai deciso adesso? Ma perché invece di venire a perdere tempo qui non vai a vedere se all’ufficio oggetti smarriti qualcuno ha per caso trovato il tuo cervello?-
Dominique si morse il labbro abbassando lo sguardo, ma Malcom riuscì lo stesso a leggere la ferita che quelle parole dure avevano provocato.
- Senza cervello eh?- ridacchiò incrociando le braccia sul tavolo – Questo spiega perché sia venuto di sua iniziativa a cercarti, una persona intelligente non lo avrebbe mai fatto e dato che io sono l’incarnazione dell’intelligenza, Dominique, non sto con lui. O meglio….siamo colleghi di lavoro ed è il padrino di mia figlia, ma basta. Io sono sposato con una donna bellissima e ho due bambini-.
Dom sorrise permettendogli di vedere i piccoli soli che gli ardevano negli occhi – Sei un uomo coraggioso Mister. Ci vuole davvero tanto coraggio a decidere di vivere con una donna, sono peggio degli animali feroci e non parlano mica la nostra stessa lingua- aggiunse notando lo sguardo perplesso di Malcom che annuì deciso.
- Hai ragione!- esclamò alzando la tazza del caffé e mimando un brindisi – al coraggio!-
- Già…al coraggio, ce ne vuole anche per essere il fidanzato di questo qui- sorrise Dominique indicando con la testa Joey immobile, dietro di lui e, afferrata la tazza rimasta sul tavolo bagnò appena le labbra nel caffé amaro prima di posarlo con una smorfia – ma che schifo, metterci lo zucchero pare brutto?-
- Cos’è che saresti tu?- grugnì minaccioso dietro le sue spalle Joey e Dom si girò con un sorriso.
- Il tuo fidanzato no?-
- Da quando?-
- Ma come…dopo tutto quello che c’è stato tra noi due settimane fa….-
- Venti secondi fa hai detto che non c’è stato nulla!-
- Certo perché credevo avessi una storia con lui e non volevo che passassi dei guai, ma visto che non state assieme puoi essere il mio ragazzo-
- Ma sei un moccioso -
Dominique lo fissò negli occhi sorridendo appena, riprendendo a giocare lentamente con uno dei bottoni all’altezza del torace – Non mi sembrava fosse un grande problema – sussurrò sottovoce sfiorando la stoffa con le labbra.
- Vattene-
Dominique scosse la testa sedendosi con un balzo sul tavolo – No. Conosco i miei diritti, federale, e farò un sit-in fino a quando non li vedrò riconosciuti.-
- Se non te ne vai tu, ti prendo e ti sbatto fuori io-
Dominique annuì con forza – Sbattimi pure dove preferisci, sono qui per questo- sussurrò roco.
Malcom fissò per un attimo la schiena del ragazzo avviluppata da una di quelle maglie storte, una felpa attillata rossa che sbucava da sotto una t-shirt verde bosco, prima di comprendere il senso della frase e scoppiare a ridere.
- Sarà meglio che io me ne vada, sarei anche in servizio- sghignazzò alzandosi – Queste te le lascio, se trovi un attimo per dargli un occhio-
- Certo che avrò tempo, lui adesso prende e viene con te-
Dominique sbuffò storcendo il naso – Noooo - pigolò indispettito – preferisco venire con te…ah, niente di personale Mister, sei affascinante, ma non sei il mio tipo-
Malcom si morse la lingua trattenendo una risata, annuendo lentamente – Capisco. Senti Jo, Mel avrebbe bisogno di un libro sulla guerra di secessione, puoi prestarle il tuo? Deve fare una ricerca ed è il più completo che io abbia visto-
- Lo pren…lo recupero- sibilò sparendo in camera.
- Mel?- chiese Dominique
- Melory, mia figlia.-
- Quanti anni ha?-
- 12 - rispose scuotendo la testa – già 12- sospirò.
- Com, vieni un attimo!- urlò Joey dalla camera da letto e Malcom strizzò l’occhio al ragazzo.
- Scommettiamo che mi chiederà di salvarlo da te?-
Dom abbassò lo sguardo fissando le punte delle scarpe da ginnastica – Lo farai?-
- E’ abbastanza grande per cavarsela da solo, è che non so se faccio bene a lasciare te con lui. E’ un tipo…difficile.-
- MALCOM!-
Dominique sorrise – Lo sono anche io- e Malcom scosse la testa – Buona fortuna allora. Vengo!- urlò prima di girarsi a scoccare un’occhiata assassina al ragazzo – E non in quel senso.-
Dominique si strinse nelle spalle – Certo che siete maliziosi voi due. – sbottò.
- Che stavi facendo dannazione a te?- sibilò Joey sbattendogli un grosso libro dalla copertina verde in mano.
- Quattro chiacchiere con il tuo ragazzo. Davvero ci sei stato? Mi pare giovane per i tuoi gusti-
- E’ l’incarnazione dei mie gusti, solo che è senza cervello. Ecco perché non voglio i mocciosi, poi si attaccano come mosche sulla carta moschicida-
- Quanti anni ha?
- 24-
- E tu 31. Solo sette anni di differenza, tra me e Sarah ce ne sono nove e se teniamo conto che da quasi quattro anni tu non vivi più, la differenza scende a soli tre-
- Vuol dire che non me lo toglierai dai piedi?- sibilò.
- Ti sei liberato di uomini maturi, davvero hai dei problemi a disfarti di un ragazzino? E poi scusa, hai due giorni di vacanza, un bel ragazzo ben disposto in cucina, approfittane! Dagli quel che vuole, magari sarà proprio lui a stancarsi e lasciarti in pace-
- Due giorni? Senti, quell'invito per domani…-
Malcom batté le palpebre – Invito? Quale invito? Domani porto Luke e Mel dalla nonna…- sogghignò – Questo te lo rendo appena ha finito la ricerca, ciao- ridacchiò lasciandolo solo nella camera –Piacere di averti conosciuto Dominique- salutò con la mano scappando fuori dall’appartamento.
- E ora veniamo a noi due – sibilò minaccioso Joey divorando il corridoio con alcune ampie falcate per fermarsi davanti all’arco della cucina, le mani sui fianchi.
Dominique sospirò con un sorriso lieve lasciandosi cadere di schiena sul tavolo – Sono tutto tuo- mormorò – e mi piace che ti sei abbottonato completamente la camicia,- ridacchiò fissando i bottoni di madreperla infilati correttamente nelle asole sino al colletto - trovo che spogliarti sia una cosa dannatamente sensuale. Accarezzare piano un bottone per poi slacciarlo e scoprire pezzo per pezzo…-
- Che cazzo vuoi- sbottò Joey trattenendo il fiato, odiando il proprio cuore, che aveva iniziato a battere troppo velocemente, mandando il sangue in zone inopportune, ed anche il proprio cervello incapace di spostare gli occhi dalla figura distesa, dalle gambe leggermente aperte, dal torace che si alzava piano, regolarmente, sotto quella maglia oscena che sembrava avere come unico scopo quello di far risaltare la linea morbida delle spalle, i muscoli docili del torace, persino il lieve rilievo dei capezzoli.
Dominique rise piano spostandosi una ciocca di capelli dagli occhi – Pensavo fosse chiaro: voglio venire di nuovo a letto con te.- sussurrò guardandolo negli occhi.
Con un sospiro pesante, Joey superò il tavolo, appoggiando la schiena contro il bordo, vicino alla testa di Dominique che si girò appena per guardarlo. Aveva un viso immobile, non c’era nervosismo né divertimento, Jo era semplicemente privo di qualsiasi espressione, solo negli occhi si agitava qualcosa, ma l’uomo guardava fisso davanti a sé le mattonelle bianche che rivestivano la parete, ignorando volutamente il ragazzo.
- Bisogna essere in due a voler certe cose e io non volevo nemmeno la prima volta; mi ci hai costretto-
- Ma ti è piaciuto-
- Non è questo il punto…-
- Sì che lo è perché potremmo rifarlo e ti piacerebbe ancora…-
- Non voglio!- tuonò piegandosi in avanti, le dita strette con forza contro il marmo del lavandino – Non voglio venire a letto con te, non voglio andare a letto con nessuno, ho imparato a controllare i bisogni del mio corpo e a ridurli al minimo indispensabile, tutti i bisogni. Cibo, acqua, sonno, sesso e non ho bisogno di un moccioso mafioso che mi scombini la vita.-
- Il tuo problema con me sta – chiese Dom stendendosi prono sul tavolo, giocherellando con i fogli sparsi su di esso - nel moccioso, nel mafioso o nel mi scombini la vita?-
La sua voce era bassa, leggermente roca, ma molto seria e Joey commise l’errore di girarsi a guardarlo. Dominique aveva steso la guancia sulla tavola, accanto alla mano destra e lo guardava in tralice, sentendo sulla propria pelle il cammino vorace di quegli occhi scuri.
Prima sul collo leggermene inarcato che pizzicò piacevolmente come sotto la carezza delle labbra, poi lungo la schiena per salire sui glutei che si inarcarono invitanti chiedendo a quello sguardo di non staccarsi più da loro. Lentamente Dominique si mise a gattoni su tavolo, avvicinandosi al bordo – Perché se quelli sono i tuoi problemi, bhe, non sono un moccioso e lo sai- mormorò passando la sola punta della lingua sul labbro inferiore prima di inarcare leggermente la schiena all’indietro, come un gatto – uno non si può scegliere i parenti e non è colpa mia se loro sono mafiosi e non voglio sconvolgerti la vita-
- Perché sei qui allora – chiese Jo con uno sbuffo.
Dom sorrise scivolando sulla tavola e sedendoglisi composto davanti, i piedi che sfioravano appena il pavimento – Ti sembra così strano- sussurrò portandosi le mani giunte al naso – che io abbia davvero voglia di rifare sesso con te un’altra volta?-
Joey deglutì incapace di distogliere lo sguardo dalle sue dita: la mano destra accarezzava piano, con gesti sinuosi l’indice sinistro, appoggiato appena sotto le labbra; il pollice lo percorreva per tutta la lunghezza sul dorso, mentre il medio e l’indice della destra l’accarezzavano rispettivamente sulla punta e dalla parte del palmo.
- Mi sembra strano sì, sei tu che te ne sei andato e a ragione, perché apparteniamo a due mondi diversi e non mi pare che non ci fosse nemmeno un motivo per tornare-
- No? E le tue mani che mi accarezzavano?- mormorò chiudendo gli occhi, passandosi la punta di un dito sul collo – Le tue labbra che mi baciavano? Il tuo membro che mi…-
- Ma stai zitto!- l’interruppe Joey arrossendo violentemente e premendogli la mano sulla bocca – Ma non ti vergogni di quello… che fai?- ansimò sentendo la lingua accarezzargli le dita che la imprigionavano.
- Gno- mugugnò Dom impossessandosi del pollice ed iniziando a succhiarlo voracemente come se fosse stato un biberon.
- Smettila- si liberò con forza Joey allontanandosi di scatto e dandogli le spalle: non poteva guardarlo, o non sarebbe riuscito a controllarsi – Non voglio uomini, donne e nemmeno ragazzini nella mia vita-
Dominique si morse il labbro stringendo le dita con forza: non voleva che Jo non lo volesse. Con un sospiro girò il viso scrutando perplesso uno dei fogli.
- Dunque- sorrise scendendo – tu credi che io voglia rovinarti la vita o se non altro infilarmi nella tua vita. Non è così- gli sussurrò avvicinandosi così tanto da permettergli di sentire il calore del proprio corpo contro la schiena – Io…io mi sono…ecco l’altra volta è stato così fenomenale fare sesso con te che mi sono chiesto come avrebbe potuto essere farlo senza una gamba maciullata-
Jo si girò abbassando lo sguardo – Era solo una contusione-
Dominique sorrise prendendo tra le dita il bottone che chiudeva la camicia all’altezza del collo – Non importa. Insomma, vorrei solo sapere com’è quando anche io sto bene e posso muovermi. Io non ci credo che non lo vuoi…eri più nudo con il tuo amico, invece per me ti sei vestito completamente, come una verginella timida- sogghignò.
Gli occhi di Joey si socchiusero, mentre l’uomo l’afferrava per le spalle – Cos’è che sarei io, moccioso?-
- Una verginella timida- ripeté pianissimo, lasciando che la propria lingua leccasse le labbra ad ogni sillaba, - avanti Jo solo quest’ultima volta e poi me ne andrò buono senza dire una parola. Ti prego Jo, amami solo un’altra volta - esalò pianissimo alzando gli occhi verso i suoi.
Il timer del forno squillò piano, ma Joey lo ignorò deglutendo, spostando inconsciamente le braccia attorno alla schiena di Dominique, stringendolo contro il suo petto – Poi te ne vai? Promesso?-
Dominique sorrise accarezzandogli piano il bicipite – Sì - annuì con un soffio mentre le labbra dell’uomo scendevano ad incontrare, con un gemito roco, le sue, intrecciandosi in un bacio.
Il timer si azzittì spegnendosi automaticamente, lasciando la torta al caldo e al buio.
- Promesso- lo rassicurò Dom aggrappandoglisi al collo, mordendogli piano la gola e Joey lo sollevò tra le braccia conducendolo in camera.

Con un sorriso ebete, estasiato e divertito allo stesso tempo Dom fissò i piccoli quadratini di vetro scarlatto della porta, scoprendo che in fondo non erano così nauseanti come se li ricordava.
Ridacchiando sottovoce premette il piccolo campanellino argentato, trovandosi immediatamente a fissare il proprio riflesso nelle iridi azzurre di un energumeno sconosciuto che lo squadrava da una piccola feritoia sulla porta.
- Salve!- salutò con un cenno della mano.
L’uomo socchiuse gli occhi – Questo è un club privato Mister, la prego di mostrarmi il suo invito- ordinò con una cortesia così gelida da fargli congelare il fiato in una nuvoletta di condensa.
- Il mio che cosa? E da quando io ho bisogno di un invito e tu chi sei?- sibilò in risposta stringendo i pugni.
- Senti, non attacca, senza invito non ti posso fare entrare, se vuoi c’è un club aperto tre street più giù, vai lì.-
Dominique inspirò – Tu non hai capito. Apri questa porta, immediatamente se ci tieni alla vita, ti assicuro che a Lleroy non piacerà che tu mi lasci fuori.-
L’omone sorrise divertito – Bel tentativo ragazzino, ma non attacca, sono certo che se il capo avesse voluto che un ragazzino come te entrasse qui ti avrebbe dato l’invito lui stesso-
Dominique inspirò fissando con astio la porta. Non c’erano maniglie all’esterno e, nonostante il vetro fosse lucido e brillante e le striature rossastre che insanguinavano ognuna delle 25.750 tesserine che la componevano la facessero sembrare delicata come un bicchiere di vetro di murano, lui sapeva che la lastra era spessa ed infrangibile ed aveva resistito all’urto ravvicinato di uno Smith&wesson .40 senza fare una piega, nemmeno una piccola scheggiatura. L’unico motivo che aveva spinto Lley a cambiare le tessere colpite era che la fibra rossa all’interno aveva assunto un colore scuro che stonava con l’armonia totale della porta. E poi comunque anche se fosse riuscito in un qualche modo a sfondare la porta quel pitone bipede l’avrebbe certamente stritolato nelle sue spire, ma possibile che quel demente trovasse sempre gente così ligia al dovere?
Inspirò rumorosamente – Va bene, senti, potresti chiamarmi Joshua?-
La guardia inarcò un sopracciglio annuendo – Sei qui per un lavoro… già, scusa, potevi dirlo prima- si ammansì aprendo la porta, permettendogli di entrare nell’anticamera asettica squadrandolo da cima a fondo con uno sguardo ferino – Già, già, non credo che avrai problemi a farti assumere – sussurrò accarezzandogli piano una spalla – e se non ti prendono loro se vuoi puoi lavorare per me, anzi pensaci, non posso offrirti una paga come la loro, ma avrai vitto, alloggio e un solo compagno invece di cento diversi, che ne dici?- sussurrò piegando il viso verso di lui.
Dominique sorrise dolcemente – Vediamo, potrebbe anche finire che verrai tu a lavorare per me- rispose con voce bassa, maliziosa.
L’uomo ridacchiò piano permettendo alla mano di scivolare sulla schiena del ragazzo fermandosi appena sopra la linea soda dei glutei – Vado a chiamare Jos, principessina- gli alitò in faccia.
Dominique si morse le labbra trattenendo una risata, fissando la schiena immensa dell’uomo sparire dietro una porta di metallo che si richiuse con un clanck lugubre per riaprirsi dopo appena qualche minuto.
- Allora- borbottò una voce irritata uscendo nell’anticamera – Joshua non può venire, ma Ros assicura che sei uno schianto e che meriti un’occhiata, fatti un po’ vedere ragazzino- sbuffò.
Dominique si girò verso l’uomo biondo, che gli dava le spalle continuando a premere dei tasti su un palmare argentato. Era piccolo, esile, sulla quarantina. I capelli biondissimi e corti erano sparati in tutte le direzioni, tranne un ciuffo che gli cadeva irremovibile sugli occhiali; accanto a Ros, la guardia-armadio, sembrava quasi una bambolina di porcellana.
- Bhè, forse se ti giri un attimo ed alzi gli occhi da quell'aggeggio, forse riesci anche a vedermi, Erik- ridacchiò Dominique spostandosi i capelli dal viso.
L’uomo si girò, uno scatto per volta, come un robottino a molla, la bocca pallida che si allargava sempre di più ad ogni centimetro, immensa, simile allo sbadiglio di una rana.
- Cosa ci fai qui? Cosa vuol dire che ci vuoi lavorare? Non puoi lavorare qui Don Lleroy mi uccide. E perché devi lavorare? Te li do io i soldi, quanto ti serve? 200.000? Un milione? Quanto?- balbettò pallido tirando fuori un blocchetto degli assegni ed una penna.
- Guarda che non voglio lavorare e non mi servono soldi, ho solo bisogno di parlare con Lley, a casa mi hanno detto che è qui-
Erik annuì inspirando piano – Ma allora perché questa sceneggiata? Perché hai detto che ti serviva un lavoro?-
Dominique si strinse nelle spalle – Io non l’ho detto, l’ha deciso lui. Non mi voleva far entrare e volevo che Jos gli spiegasse chi sono-
Gli occhi del biondo divennero due strisce sottili e velenose dietro lenti – Tu hai pensato che lui avesse bisogno di lavorare qui?- sibilò – Lui? Ma lo sai chi è pezzo di merda senza cervello? Lui è il fratello minore di don Lleroy,– sillabò piano, soddisfatto nel vedere il viso dell’energumeno sbiancare ad ogni parola - don Dominique DeChicco-
Dominique gemette sentendo la pelle accapponarsi fastidiosamente. Suo padre doveva averlo odiato profondamente per permettere una cosa simile, certo era stata sua madre a decidere il nome, ma se suo padre non l’avesse odiato non avrebbe mai permesso che gli affibbiasse un nome che sembrava…
- E vedi di ricordartelo imbecille: Don Dom, il capo!-
…un campanaccio stonato.
- Non puoi chiamarmi don, Erik, quel titolo spetta solo a papà- sussurrò, ma il biondo lo guardò con un sorriso affettuoso – Sciocchezze. Solo sciocchezze. Vieni, Lleroy è in riunione, temo che dovrai aspettare un po’- si scusò trascinandolo dentro. – Davvero Dominique sono desolato per quello che è accaduto…-
Dom scosse la testa con un sorriso- E’ tutto ok, Erik. Stava solo facendo il suo lavoro, è colpa mia mi faccio vedere poco qui, non sapevo nemmeno che avessimo cambiato sorvegliante sennò avrei telefonato. Che ne è stato di Todd?-
Erik scosse la testa stringendosi nelle spalle, più eloquente di qualsiasi risposta verbale. Il Purple Red era il vanto di Lleroy e al contempo la sede preferita per i suoi affari, sorvegliarlo voleva dire offrire la propria vita al locale, Todd era durato piuttosto a lungo.
- La sua famiglia?-
Erik sollevò il viso verso il soffitto che spariva nella penombra – Abbiamo già provveduto a fornire loro una cospicua rendita-.
Il che voleva dire che era morto per proteggere la Famiglia. Lleroy non tollerava i tradimenti, o si era con lui o si era contro di lui ed opporglisi comportava l’ecatombe di tutti i propri cari.
- Vado a vedere a che punto sono, va bene?-
Dominique gemette piano abbassando gli occhi per incontrare quelli color fumo dell’uomo poco più basso di lui – Vuoi dire che è in riunione-riunione? Speravo fosse una di quelle riunioni tra lui, due o tre donne, un paio di ragazzi…devo chiedergli un favore, speravo fosse di buon umore-
Erik rise scuotendo la testa – Bhè, non è nemmeno di pessimo umore, non ha ancora minacciato di morte nessuno; appena finiamo lo avverto che lo cerchi, ok?-
Dominique annuì lasciando che proseguisse fino alla porta nascosta dietro le tende scarlatte sulla parte sinistra del locale.
Erano quattro mesi che non metteva più piede al Purple, precisamente da quando due dei ragazzi si erano picchiati a causa sua, finendo con il rovesciare una bottiglia di costosissimo porto sul vestito della moglie di un senatore. C’era voluta tutta l’abilità diplomatica di Erik e tutto il fascino di Jos per calmare il senatore e la donna e poi Lleroy gli aveva gentilmente detto di non farsi più vedere al locale e di lasciar stare i suoi ragazzi se non voleva essere evirato nel sonno e, trattandosi del dolce ed affettuoso Lley, dubitava che la minaccia fosse infondata.
Il locale non era cambiato affatto. Un grosso faro rosso riluceva sopra al piano bar che si apriva come un isolotto tondo al centro della sala, mentre piccole abatjour cinesi di carta scarlatta illuminavano ciascuno dei numerosi, intimi separè di velluto bianco. Una scala a chiocciola di legno pallido saliva al piano superiore dove erano state messe a disposizioni degli ospiti alcune camere in cui poter pernottare, mentre a destra un arco chiuso a metà da una porta mobile come quelle dei saloon conduceva ad un ristorante elegante e raffinato dove si potevano gustare ottimi piatti di pesce e saporite selvaggine alla brace. Per un occhio non addestrato era difficile distinguere gli ospiti dagli intrattenitori. Anche se non c’era nessun obbligo, gli uomini erano tutti in giacca e le donne indossavano abiti eleganti e ricchi con scollature profonde e rivelatrici, ma anche nella penombra Dominique riusciva a scorgere le rughe sottili sui loro volti, l’aria eccitata ed affamata nei loro occhi e l’atteggiamento fermo, riflessivo di chi aspetta che il proprio cameriere si avvicini. Gli intrattenitori erano diversi, ugualmente eleganti, eccetto alcuni il cui look era studiatamente infantile, tutti giovani e si avvicinavano con gentilezza ed eleganza ai tavolini vicino al piano bar, conversando con gli ‘ospiti’ fino a finire la serata nel piccolo separè o nelle camere da letto.
Con uno sbadiglio si appollaiò su uno sgabello di velluto davanti al piano bar.
- Ehilà, ciao Dominique, che cosa ti faccio?- chiese un ragazzo fermandosi davanti a lui.
Dom lo fissò per un istante, doveva avere più o meno la sua età, aveva un occhio nero e brillante, come i capelli che gli cadevano folti coprendogli metà viso. –Michael?-
- Già- ridacchiò quello.
- Che cosa ci fai al bar?- domandò perplesso. Michael era stato uno dei ragazzi reclutati da lui, aveva un’indole gentile che affascinava tanto le donne quanto gli uomini. Non prestava molta attenzione a quanto accadeva al Purple, ma sapeva che fino a pochi mesi prima era uno dei ragazzi più richiesti, ma allora perché stava al bar? La legge non scritta di Lleroy impediva ai clienti di richiedere prestazioni extra ai barman e ai cuochi, loro erano intoccabili.
Michael si strinse nelle spalle – Una brutta storia- sussurrò avvicinando il viso a quello di Dom tanto da fargli sentire il profumo di fragola della sua pelle – un brutto incontro – spiegò sollevando il pesantissimo ciuffo che gli copriva il viso, rivelando una macchia violacea e raggrinzita di pelle bruciata attorno all’occhio. – E’ stato Weimer-
- Il deputato?-
Il ragazzo annuì sistemando nuovamente i capelli sul viso – Ero il suo preferito, una sera non so cosa gli sia preso e mi ha legato al letto; non c’erano problemi, lo facevamo spesso così, solo che mi ha bruciato il viso con l’accendisigari, una bruciatura per volta per quasi un’ora, poi è scoppiato a piangere dicendo che dovevo lasciare il Purple, che nessuno mi avrebbe più voluto e che mi avrebbe dato una casa. Mi ha slegato e portato all’ospedale, continuava a chiedermi di perdonarlo. Quando se n’è andato io…io…ho chiamato Joshua e lui e don Lleroy mi hanno portato in una clinica. Davvero pensavo di aver perso il posto, ma invece mi hanno tenuto e messo qui, mi hanno anche aumentato lo stipendio. Ho trovato anche un fidanzato ora – sorrise strizzandogli l’occhio buono.
- Allora cosa ti faccio?-
Dominique mise un broncio infantile fissandolo con aria da cucciolo ferito – Sei crudele- pigolò – sei al bar ed intoccabile, sei fidanzato e mi chiedi cosa puoi farmi? Sadico- piagnucolò.
- Cosa vuoi bere?- richiese sgranando gli occhi davanti all’espressione maliziosamente allibita del ragazzo.
- Dom, piantala, non ti sono mai piaciuto…-
- Ma non è vero…-
- Allora? Quale cocktail vuoi sorseggiare- ripeté, sperando di aver creato una frase innocua.
Dominique si strinse nelle spalle ridacchiando - Fammi quello che vuoi, basta che ci sia un mare di salatini ripieni, sto schiattando di fame- sorrise arrendendosi.
- In arrivo-
Dominique fissò la schiena esile, le scapole che alzavano delicatamente la maglia di minuscola rete azzurrata mentre mescolava il contenuto di un paio di bottiglie con maestria. Come avevano potuto fargli una cosa del genere? Espirò sentendo la rabbia pervadergli il sangue facendolo borbottare. Una rabbia inutile: solo poche settimane prima il figlio maggiore di Weimer era stato coinvolto in un incidente d’auto in cui aveva perso l’uso di entrambe le gambe e Dom era più che certo che non fosse stato un semplice incidente.
- Dunque tu saresti il famoso don Dom- disse divertita una mano sfiorandogli casualmente la guancia mentre si allungava da dietro la sua spalla per affondare nel piatto dei salatini. Dominique rabbrividì di disgusto: non era un don, non sarebbe nemmeno mai diventato don, suo padre quasi non gli rivolgeva più la parola e perché diavolo tutti si ostinavano a chiamarlo così? Ma non sentivano che le campane suonavano a morto ogni volta che lo dicevano? Din don Dom, din, don Dom.
- E tu chi saresti- grugnì girandosi ad incontrare il viso di un…bambino? Chiuse gli occhi strizzandoli con forza, a volte la penombra rossa poteva creare degli strani abbagli e li riaprì tornando a scrutare un volto bellissimo ed accattivante, leggermente affilato ed appartenente ad un bambino. Da quando Lley aveva iniziato un giro di pedofilia? Al Purple poi! Ci si infiltravano i poliziotti ogni tanto, proprio per cercare di coglierlo in fallo e lui…e lui stava diventando pazzo. Ottimo, quello di cui aveva proprio bisogno era un fratello senza cervello che teneva bambini nel suo locale di punta.
Il ragazzino sorrise appoggiando i gomiti sul tavolo, scuotendo piano la testa sotto la luce scarlatta che fece assumere un colore sanguigno ai corti capelli biondi che gli incorniciavano il viso in uno studiatissimo disordine – Certo che ti devo davvero aver colpito molto, se non mi riconosci- ridacchiò.
Dominique strinse gli occhi, aveva tagliato i capelli e doveva aver fatto dei colpi di luce, o magari, forse, li aveva solo lavati. Indossava una camicia candida semiaperta sul petto a rivelare una maglietta attillata e verde scuro ed un paio di jeans stretti dello stesso colore. Si trattava solo di una nuova pettinatura e di nuovi vestiti, eppure non sembrava nemmeno il ragazzo che aveva incontrato al parco.
- Cavolo, avevo detto che promettevi bene, solo non pensavo fossi così…-
- Giovane?- gemette il ragazzo stringendo le dita attorno ad una ciocca rigida di gel – L’ho detto che questa pettinatura mi fa sembrare un marmocchio e per di più mi ci vuole sempre mezz’ora per sistemarla, in compenso se qualcuno mi infastidisce posso sempre infilzargli un occhio con i miei aculei. Mi chiamo Ronald Morrison ma chiamami solo Roy e senti…non ti offendere eh, ma se posso vorrei evitare di chiamarti Don, mi sembra il suono del campanaccio di una mucca-
Dominique rise annuendo stringendo nella sua la mano tesa del ragazzo – Quanti anni hai Roy?-
- Quasi 20, ma non lo dire tanto in giro, ho scoperto che se ne dimostro meno la maggior parte di questi froci si accontenta di farsi inculare e chiamare papà-
- Non pensavo avresti mai accettato…-
Roy si strinse nelle spalle rosicchiando un altro salatino al peperone – E’ un lavoro come un altro e poi tra un po’ cominciano le piogge e il Central si svuota, qui almeno lavoro sempre e all’asciutto. Faccio un po’ di soldi e poi me ne vado prima che il virus della checchite mi colga, perché posso andarmene vero?-
Dominique annuì distrattamente – Certo che puoi andartene, basta che non ficchi troppo il naso nelle faccende dei clienti. Cos’è la checchite?-
- Una malattia che colpisce il cervello e ti manda le palle in pappa e ti fa diventare….come loro- spiegò fissando disgustato un gruppetto di ragazzi alla sua sinistra. Erano in quattro, tutti vestiti elegantemente in giacca, le cravatte mollemente allacciate al collo, invitanti come piccoli guinzagli erotici e tutti seguivano fedeli come apostoli Lleroy che camminava tra loro ignorandoli.
- Si pavoneggiano sperando che lui li degni di un’occhiata e se li porti in camera, e se vengono scelti non fanno altro che raccontarlo per una settimana. Sembrano ragazzine del liceo dietro al capitano della squadra di rugby, anche l’intelligenza è la stessa.-
Dominique strizzò gli occhi cercando di mettere a fuoco i loro visi trasognati nella penombra. Tutti fissavano l’uomo, che li ignorava, con aria speranzosa, simili a cuccioli che attendono gli avanzi della cena, alcuni continuavano a sfiorargli la giacca e le braccia, ma non erano gli unici in adorazione. Quando Lley era uscito dallo studio si era levato un brusio leggero e diversi visi si erano girati verso di lui: i ragazzi ancora ‘disoccupati’ avevano gonfiato il petto, mentre le ragazze si erano raddrizzate mettendo in mostra le gambe, sguardi vogliosi si erano levati anche dai divani dei separè e molti appartenevano ai clienti.
Mordicchiandosi perplesso il labbro inferiore Dominique fissò il fratello: avanzava impettito tra i ragazzetti che lo attorniavano, più alto di loro di una testa intera. I capelli ramati, corti, leggermente più scuri dei suoi, gli addolcivano gli zigomi, i soliti occhiali dalle lenti affumicate gli nascondevano gli occhi nocciola e le labbra erano sottili, ma dal disegno netto. Il completo bianco, l’unica macchia di colore diverso era la cravatta blu elettrico, gli cadeva addosso a pennello, disegnando le spalle ampie e muscolose, il petto solido e le gambe lunghe. Velocemente spostò lo sguardo su un gruppetto, due ragazze e tre maschi, che stavano letteralmente violentando Lleroy con gli occhi, per poi riportarlo sulla figura altera che si avvicinava incurante degli sguardi che lo stavano spogliando. Bho, cosa ci fosse da guardare proprio non lo capiva, era solo Lley.
- E’ semplicemente un uomo stupendo- sussurrò dietro di loro la voce sognante di Michael.
Dominique si girò con gli occhi sgranati – Lley?-
Il barista annuì – Direi di sì, è fisicamente stupendo ed ha fascino –
- Lley?- ripeté Dom.
Roy rise scuotendo la testa – E Tomahs che dice di questa venerazione?-
- Che finché non tocco e non faccio toccare posso guardare quanto mi pare –
- Lley…affascinante?- chiese di nuovo Dominique e Michael rise accarezzandogli i capelli – Già, ma è tuo fratello è normale che non te ne accorga. Siete belli entrambi, o forse tu sei più bello, hai un viso più dolce e lineamenti più gentili, solo che lui è…dannatamente affascinante-
- Come un cimitero ghiacciato in pieno inverno- sbadigliò Roy, mentre Dominique annuiva convinto – Già, io sono più bello-
- Ciao Dom- lo salutò abbassando appena la testa verso di lui Lleroy.
Michael sorrise porgendo un lungo calice dal liquido ambrato all’uomo – Un sidecar va bene? Senza arancia -
Lleroy sorrise afferrando il calice e a Dominique parve di sentire dei sospiri sollevarsi dall’intero locale.
- Perfetto Mik, tutto bene?-
- Tutto ok, grazie Don-
Lleroy annuì soddisfatto, se Dominique odiava sentirsi chiamare così, lui lo adorava. Don era il titolo che avrebbe dovuto spettare solo al capo della famiglia, ma fin da principio tutti i membri lo avevano preso come un titolo onorifico che spettava anche ai figli del boss e Lleroy si era ben guardato dall’impedirne la diffusione. Più si fossero convinti che era inevitabile che il comando passasse di padre in figlio, più suo padre si sarebbe trovato con le mani legate. Era più facile conquistarsi l’affetto degli uomini che non mettersi direttamente contro quella testa dura di vecchio bigotto e quando si aveva l’affetto e la stima dei membri si aveva il potere e Lleroy DeChicco ormai aveva entrambi.
- Dovevi parlarmi Dom?- chiese appoggiandosi distrattamente al bancone. In silenzio, senza che fosse necessario dire una sola parola il suo corteo si dissolse sparendo nel locale ed anche Michael e gli altri barman, pur non potendo lasciare l’isolotto, si spostarono dalla parte opposta, attenti a parlare tra loro per non sentire i discorsi della famiglia.
Solo Roy rimase immobile dov’era, continuando a mangiare i salatini di Dominique.
- Tu chi saresti?- sibilò Lleroy e il ragazzo si girò a guardarlo.
- Di solito per educazione prima di chiedere il nome a qualcuno ci si presenta, anche se sei il capo e ti conoscono già tutti, comunque io sono Ronald Morrison-
- Sei nuovo – constatò ignorando la mano del ragazzo.
Roy si strinse nelle spalle subendo tranquillamente il suo esame – Già –
- E devi essere quello che ha detto al senatore Wilkinson che prima di toccarti il culo deve riuscire a raggiungere la taglia di un orca…-
- Cazzo, dai assomiglia ad una balenottera azzurra, se mi viene sopra mi disintegra-
- E che ha costretto Mr Troilon a lavarsi le mani prima ti toccarti…-
- Aveva appena pisciato….-
- Glielo dovevi prendere in bocca e ti preoccupavi delle sue mani? La tua fortuna è che sembri un moccioso e ti hanno trovato divertente. Come cazzo ci sei finito a lavorare qui?- chiese con voce incolore, il sorriso di cortesia che scomparve mentre sorseggiava piano il cocktail.
- Ce l’ho mandato io, Lley – confessò Dominique evitando di incrociare lo sguardo del fratello – Ormai hai solo ragazzi affetti da checchite, pensavo ci servisse un maschietto qua dentro-.
- Senti, boss, io sono un professionista ok, non venire a dirmi come fare il mio lavoro-
Dietro gli occhiali gli occhi scuri di Lleroy si assottigliarono – Ne riparleremo ragazzino, ora vattene devo parlare con mio fratello-.
- Perché mi devo spostare io? Questo è un bar non un ufficio-.
- Eeeee sì, mi sa che è meglio se andiamo nel tuo studio, sai è una faccenda delicata- intervenne velocemente Dominique appoggiando la mano sul braccio teso del fratello che lo ignorò continuando a scrutare Roy.
- Dovresti imparare a non contraddire il padrone, Ronald-.
- Sei il mio datore di lavoro, non il mio padrone, c’è una piccola differenza-.
- Senti Lley non possiamo andare…-.
Lleroy si girò guardandolo negli occhi e Dominique deglutì trattenendo il fiato – Sto parlando con lui, Dom- sibilò scandendo ogni sillaba.
Piano, Dominique annuì imponendosi di non distogliere lo sguardo, aveva creduto che l’uso degli occhiali scuri avrebbe attenuato il gelo che gli occhi di suo fratello riuscivano ad emanare, con la stessa facilità con cui Goldrake scagliava le lame rotanti, ma si era sbagliato. Dietro le lenti affumicate le iridi rilucevano più cupe e minacciose e non si riusciva più a capire quanto Lleroy fosse arrabbiato.
- So che stai parlando con lui, fratello, ma lui può aspettare, i cinesi no- disse in un soffio.
Lley si raddrizzò immediatamente – I cinesi? Te le sei fatte suonare di nuovo?-.
- Senti, guarda che il mio sport preferito è fare sesso, non fare a botte. Non me le hanno suonate è che…dobbiamo parlarne qui?- chiese spostando lo sguardo sui barman.
Lleroy annuì facendo un passo avanti, sollevò appena due dita in aria e subito Erik gli fu accanto.
– Andiamo- ordinò senza girarsi, attraversando il locale fino a raggiungere la calma del suo studio, sedendosi dietro la scrivania ordinata, occupata solo dal video piatto di un pc.
- Ho bisogno di un favore- esordì Dominique sedendosi sull’angolo del tavolo, le gambe accavallate rivolte verso il fratello – che finirà per essere tutto a tuo vantaggio-.
- Scendi dal mio tavolo-.
Per un attimo Dom lo fissò perplesso, poi si limitò a saltare giù andando ad accoccolarsi su una delle poltrone di pelle, le gambe incrociate sul sedile.
- Diciamo che ho conosciuto un tipo e….-.
- Non voglio saperne nulla- l’interruppe Lley alzandosi – Non sono qui per aiutarti a conquistare i tuoi tipi-.
- Si però lui…..non posso dirti perché però ha scoperto che i cinesi stanno imbastendo un traffico nuovo di droga- buttò giù in un unico fiato.
Lleroy lo fissò un istante, succhiandosi un labbro, tornando a sedersi.
- Erik?-
- E’ vero, ma come….-.
- Non lo so, una vendetta personale contro i trafficanti di droga che gli hanno ucciso la sorella-, spiegò Dominique inventandosi tutto, – ha giurato di distruggere il traffico ed ha scoperto che c’è questo nuovo giro, solo che lui non sa che sono i cinesi, dalle carte che mi ha fatto vedere io ho pensato che ci possa essere il clan di Eiji dietro.-.
- Aspetta - sospirò Lley togliendosi gli occhiali e sfregandosi piano l’occhio sinistro che aveva ripreso a dolergli, una piccola cicatrice correva lungo tutta la palpebra. – Lui sa che c’è un nuovo giro ma non sa chi lo gestisce, è ridicolo-
- I suoi informatori non sanno che c’è un unico giro, credono che vari spacciatori possano essere condotti ad un denominatore comune, ma non lo riescono a trovare. Se noi gli fornissimo delle informazioni più…dettagliate lui potrebbe arrivare al collegamento, beccarli ed infliggere un altro grosso colpo ai cinesi. Così lui si vendica e risparmia a te un lavoro, che dici?-.
- E tu che ci guadagni?-.
- Io? Nulla. Lo faccio solo per voi, è inutile che fatichiate in due no?-.
- Tu non vai nemmeno a cagare per nulla Dom, perché lo fai? Sai che non voglio che ti immischi nei miei affari-.
- Avanti Lley, ti risparmia un sacco di rogne, se quelli mettono su una buona rete di spaccio…..-.
- Possono recuperare il terreno che gli abbiamo bruciato sotto i piedi- ammise pensieroso Erik.
- E noi dovremmo passare informazioni a uno che non conosciamo e che forse è pure invischiato con la polizia…- replicò per nulla convinto Lleroy.
- I migliori tra i nostri stipendiati sono nella polizia Don…- borbottò Erik evitando di guardare in faccia il suo capo.
Lley sorrise fissando il fratello negli occhi e Dominique distolse lo sguardo. – Perché lo fai?- ripeté.
Per un lungo istante Dominique tacque poi scosse la testa piano – Perché mi piace. Mi piace davvero e lo voglio aiutare e perché se non mi presento da lui con qualcosa di buono in mano quello non mi apre nemmeno la porta.-.
Erik fissò preoccupato Lleroy che ricambiò lo sguardo – Te l’ha detto lui, don Dom, di procurargli queste informazioni?-.
- No- sospirò il ragazzo – lui non sa nemmeno che ho letto le sue carte. Mi ha solo detto di… andarmene e non farmi più rivedere, ma se gli porto delle informazioni simili, se lo aiuto magari…-.
- Incredibile. Esiste un uomo che non vuole il mio fratellino e ancora più incredibile…a quella puttana del mio fratellino piace davvero-.
Dominique inspirò senza ribattere e Lleroy sorrise – Aspetta al bar, ti mando tutto ciò che ho, ma dovrete arrangiarvi tu e il tuo amico a scandagliare, non ti presto i miei uomini.-
- Grazie fratellone!- schizzò in piedi Dominique saltellando alla porta – Sei un amore!- lo prese in giro lanciandogli un bacetto sulla punta delle dita prima di uscire.
Lleroy sbuffò sorridendo dolcemente – Che idiota.- con un sospiro si rimise gli occhiali – Erik, stampagli tutto ciò che a che fare con il traffico di droga, ma evita qualsiasi possibile informazione su altri eventuali traffici cinesi, non mi va che magari mi smantellino per caso una rete già fatta che potremmo assorbire noi; sistemare, correggere ed utilizzare i canali già esistenti è più comodo che non crearne di nuovi. Poi metti Dom sotto sorveglianza per un paio di giorni, voglio che scopri se ha davvero una relazione, non vorrei che si fosse messo in testa di ficcare il naso nei miei affari per colpire quel Eiji-.
- E se ha una relazione? Devo fare indagini sul ragazzo?-.
Lley ci pensò un istante poi si strinse nelle spalle mentre la stampante iniziava a vomitare carte.
– Vedi tu. Se ti pare pericoloso, sennò non vale nemmeno perderci tempo. Le cotte di Dom durano quanto un mal di pancia; ci preoccuperemo di indagare a fondo solo se la storia continua. E, Erik, quando gli porti quella spazzatura- disse indicando le stampe – mandami anche in ufficio quel Morrison- sussurrò con un sorriso togliendosi la giacca ed appendendola alla spalliera della sedia.
Erik rabbrividì annuendo.

- Ti sei mangiato tutti i salatini- borbottò Dominique arricciando le labbra in un piccolo broncetto infantile e Roy sorrise afferrando l’ultimo rotolino di pasta sfoglia e acciughe, imboccandolo.
- Sei il padrone qui, non credo che ti faranno problemi se ne prendi ancora-
- Vero- ammise Dominique deglutendo – ma poi mi sentirei terribilmente grasso per aver mangiato due piatti di salatini e quando stai andando a sedurre una persona non è il caso di sentirsi grassi-
Roy abbassò lo sguardo scuotendo piano la testa – Il che vuol dire che non ho speranze con te?-
Dom puntellò il gomito sul bancone, appoggiando la guancia al palmo della mano destra, sospirando piano – No, il mio cuore appartiene ad uno che l’ha preso, l’ha pestato con gli scarponi da montagna, l’ha infilato nel tritacarne e se l’è mangiato a pranzo-
- Pensi che lo vomiterà prima o poi?-
Per un istante i due ragazzi si fissarono negli occhi, scoppiando a ridere nello stesso istante.
- Non lo so- balbettò Dominique piegando la testa contro la spalla del biondino, gli occhi che gli lacrimavano leggermente per le risate.
- Bhè, se l’ha pestato con gli scarponi deve aver inghiottito un sacco di germi- sussurrò Roy contro i suoi capelli, scatenando una nuova ondata d’ilarità in Dominique che gli si accasciò contro.
- Don Dom?- lo chiamò Erik e Dominique si rialzò immediatamente, disgustato.
- Ciao Erik- lo salutò – come stai?-
- Come cinque minuti fa- rispose perplesso l’uomo scrutando la mano di Roy che ancora posava mollemente sulla spalla del signorino. – Ti ho portato le carte che avevi richiesto- annunciò porgendogli un grosso quadernone ad anelli – ci sono tutti i dati che ti possono servire-
Gli occhi del ragazzo s’illuminarono mentre le sue mani accarezzavano piano, con dolce venerazione, la copertina verde.
- Vedi Roy, per avere quello che si vuole ci si deve ingegnare- sussurrò strizzandogli un occhio, ma il biondino si limitò ad inventare un accenno spento di sorriso.
- Ronald, Don Lleroy ti vuole parlare; ti attende nel suo studio- sussurrò piano Erik. Quei due ragazzi erano troppo vicini. Possibile che Dominique ancora non si rendesse conto di quanto fosse accattivante e di come i ragazzi del locale tendessero a perdere la testa per lui? Era tornato da meno di un’ora e già l’ultimo arrivato lo guardava con aria sognante. Roy sbuffò infilando le mani nelle tasche dei pantaloni – E’ lui che mi vuole parlare no, che venga qui-
Erik sgranò gli occhi boccheggiando, ma Dominique lo precedette posando la mano sull’avambraccio del ragazzo.
- Lui è il capo qui dentro Roy ed ha un caratterino poco piacevole, non lo fare arrabbiare ok? – mormorò guardandolo negli occhi fino a che Roy non abbassò un paio di volte la testa annuendo.
- Cercherò di ricordarmelo. E suppongo che è meglio che non lo faccia aspettare- borbottò incamminandosi attraverso il locale, aprendo la pesante porta senza bussare e richiudendola delicatamente dietro di sé, fissando lo studio.
In un qualche modo era stonato. La grande scrivania occupava il centro della stanza attorniata da alcune morbide poltrone girevoli in pelle scura, cinque delle quali davano la schiena alla porta. Un mobile a cassetti, in metallo opaco, alto e stretto occupava un angolo della stanza, sostenendo una stampate sottile. Oltre a ciò non c’era nulla. Nessuna foto. Nessuna pianta. Nessuna finestra. La luce, troppo violenta e diretta per chi proveniva dal limbo avinazzato del Purple, scendeva sulla stanza da due faretti al neon collocati in modo da non creare ombre inutili. Più che nell’ufficio di un locale a luci rosse sembrava di essere nel ventre asettico di una sala operatoria.
- Carino qui, minimalista direi, siamo a corto di fondi? O lo fai per evitare che ti chiedano un aumento?- sogghignò rimanendo immobile davanti alla porta.
Lleroy lo fissò incrociando le dita sotto il mento – Di solito si bussa- lo sgridò lapidario - Siedi- ordinò indicando una delle poltroncine davanti a lui.
Roy si avvicinò al tavolo lasciandosi cadere con uno sbuffo soddisfatto dell’imbottitura sulla poltroncina, guardando fisso in viso il suo datore di lavoro che lo scrutò in silenzio a sua volta.
Per un lungo istante rimasero immoli, zitti entrambi, poi Lleroy sogghignò scuotendo la testa.
- Suppongo che tu non ti sia proprio reso conto vero? Non importa, mi basta che la prossima volta ti comporti saggiamente e, se io dico di dover parlare con qualcuno, tu te ne vada-
Roy socchiuse gli occhi appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo –Mi hai chiamato solo per dirmi questo? Potevo benissimo restarmene fuori con Dom, mannaggia. Senti, non per mancare di rispetto, ma se si vuole parlare in privato con qualcuno è scemo farlo di fianco all’unico bar del locale no?-
- Vedi questo posto è mio, e qui si fa quello che dico io e se io voglio parlare in mezzo alla pista da ballo, ci parlo e gli altri vanno a ballare da un’altra parte; chiaro?- chiese tamburellando il tavolo con le dita.
Roy si strinse nelle spalle sfidandolo con lo sguardo – Certo, però anche Dom ritiene che sia meglio parlare in uno studio privato…-
- Lascia stare cosa dice o non dice Dom; anzi lascia proprio stare Dominique-
- Perché? Non è anche lui un cliente? Non può approfittare dei ragazzi del Purple? Tu lo fai: Terence, Sally, Eleonore, Mattiahs, Clark…- elencò contandoli sulle dita.
Lleroy ringhiò posando gli occhiali sulla tastiera, passandosi delicatamente la mano sinistra sugli occhi, prima di fissarlo in faccia con un sorriso maligno.
- Mi stai stancando, ragazzino- l’avvertì con placida calma alzandosi lentamente e girando attorno al tavolo, infilandosi davanti a lui, tra la scrivania e la sua sedia. – E io non sopporto chi mi stanca- sibilò estraendo una pistola da dietro la schiena.
Roy la fissò attentamente, sentendo l’aria farsi fangosa.
Non se ne intendeva di pistole, però la grossa arma che Lley aveva fatto comparire praticamente dal nulla non aveva un aspetto molto invitante. Era più grande di quelle per autodifesa ed aveva una canna molto più lunga ed affusolata. Anche il colore era insolito, non era quel grigio fumo-blu spento, come quelle della polizia, ma la parte superiore era di un bell’argento brillante mentre l’impugnatura era grigio chiaro, con venature più scure che davano un aspetto quasi marmoreo.
- Carina – disse espirando.
Lleroy sorrise – Decisamente. Smith&wesson lr.40, canna di 5 pollici, caricamento monofilare. Proiettili a frantumazione, ha un basso potere di perforazione e di deformazione, ma quando colpiscono il bersaglio seminano piccoli pallini di piombo in tutta la superficie. Se sparo da questa distanza il tuo cervello mi ridipinge tutta la parete con un bell’effetto spugnatura. Ma sai qual è la cosa veramente carina di questo gioiello? La canna. Ha una lunghezza superiore a quella di quasi tutte le semiautomatiche in circolazione e vedi?- chiese con un sussurro premendogli la pistola al centro della fronte – Mi permette di lasciare un bel cerchietto tondo su quasi ogni superficie-
Roy sorrise accavallando le gambe – Non puoi uccidermi- mormorò – sei senza silenziatore, ti sentirebbe tutto il locale.-
- E credi che a loro potrebbe fregare qualcosa? Se dovessero esserci delle indagini tutti loro negherebbero persino di conoscere questo posto; sai com’è, hanno una certa reputazione da difendere. Però hai ragione- aggiunse in un soffio spostando piano la canna sul suo viso, scivolando lungo il rilievo gentile del naso per fermarsi sulle labbra morbide – Non ti posso uccidere, proiettili di questo genere costano troppo per sprecarli così; ci sono altri modi per educare quelli come te- sussurrò spingendo la canna lungo il suo collo, giocherellando con la stoffa della t-shirt – spogliati-.
Roy sgranò gli occhi sbuffando – E se non lo facessi?-
- Lavori per me moccioso e io voglio che ti spogli per me, subito-.
- Se non lo faccio mi licenzi? Molto onesto da parte tua, ma non m’importa un gran che di lavorare qui, posso tornare a fare quello che facevo prima-.
- Sulla strada? Oh, non credo. Se lasci questo posto tu non lavorerai più, piccolo marchettaro. Una sola telefonata e la tua faccia sarà conosciuta in tutta New York, come ‘sgradita’ e nessuno si fa fare nemmeno una pompa da una persona che Lleroy DeChicco non sopporta-
- Non erano questi i patti- sibilò tra le labbra socchiuse alzandosi in piedi – mi era stato detto che se mi fossi stancato avrei potuto andarmene quando volevo-
Lleroy sorrise spostando la pistola lungo il suo petto, fermandosi sopra il bordo dei pantaloni
– Certo, ragazzino, ma vedi, non sono solito liberare nelle strade randagi che possono mordere, fammi vedere che sei un bravo bambino obbediente e quando mi sarò convinto che pigoli tanto, ma che sei innocuo ti permetterò di tornare per strada. Ora non mi fare innervosire, spogliati- ripeté con uno sbadiglio.
Roy lo fissò allargando le gambe – Va bene, facciamola finita, ammazzami e non se ne parli più. E’ quello che vuoi no? Credi che io abbia paura di morire? Pensi che non l’abbia mai desiderato? E non ti preoccupare, nessuno indagherà, non c’è nessuno che mi aspetta o che si chiederà che fine ho fatto. Muoviti- sibilò allargando le braccia a croce, le palpebre serrate.
Uno sbuffo divertito gli colpì le orecchie, penetrando con l’alito caldo il padiglione.
- Ti ho già detto che non spreco proiettili per te e poi qualcuno che si interessa a te c’è. Dom ha il brutto vizio di prendere sotto la sua ala protettiva tutti i ragazzini che spedisce qui e sai, io odio dover dare delle spiegazioni a Dom- sibilò da dietro la sua schiena Lleroy.
Roy si morse il labbro ostinandosi a rimanere in silenzio, immobile nella stessa posizione anche quando le dita affusolate gli sbottonarono i jeans abbassandoli, assieme alla biancheria in un colpo solo.
– Vedi, Ronald,- gli mormorò piano accarezzandogli la pelle del collo con il fiato bollente – quello che io non sopporto sono i ragazzini irrispettosi. Devi capire che qui sono io il padrone e se io devo parlare con qualcuno, tu te ne devi andare, anche se fossimo in un bagno e tu fossi a metà cagata. Io ti pago perché tu obbedisca-.
- Tu paghi il mio lavoro. Se non fosse per il nostro lavoro, questo posto non esisterebbe e tu non saresti nessuno- grugnì.
Con uno scatto veloce Lleroy lo spinse contro il tavolo, schiacciandogli lo stomaco sul grosso bordo di legno.
- Mi hai mancato ancora di rispetto- sussurrò premendogli la pistola sulla nuca ed iniziando a scendere lungo la spina dorsale con estrema lentezza. Un centimetro alla volta, una carezza costante che si attardò appena sul bordo della maglietta, percorrendola dal centro al fianco, per poi scendere gelida sulla pelle sensibile dell’anca. Roy rabbrividì quando il metallo premette dolcemente contro l’osso sacro, continuando a scivolare subdolamente in basso, tra le sue cosce, fino a stuzzicare lo scroto con l’aletta del mirino. Era fredda e dannatamente liscia. Tutta la canna scivolava tra le sue cosce semiserrate, sfiorando la pelle sensibile con il suo gelo metallico, mentre la pinna superiore s’intrufolava sotto i testicoli per stuzzicare la base del membro, che sussultava indeciso, scivolando lentissima avanti ed indietro.
Lleroy gli leccò piano la nuca, premendo la pistola contro il suo inguine e Roy sussultò con violenza, senza emettere un suono.
La pistola retrocedette piano, premendosi tra le sue natiche, andando a stuzzicare col mirino la sua apertura.
- Sei solo un altro frocetto che si crede un uomo- rise Lleroy accarezzandogli, con la mano sinistra, il membro turgido, che si indurì tra le sue dita.
- Guarda che è il mio lavoro- ansimò Roy stringendo le mani attorno al tavolo – è normale che lui sia sensibile, ma non vuol dire nulla-.
- Oh certo- concordò ironico Lleroy sfregando l’indice sulla punta bollente ed umida, spingendo nello stesso tempo la canna nel suo corpo. Roy s’inarcò istintivamente, cercando di sottrarsi a quel ferro che lo penetrava senza riguardi minacciando di sventrarlo. Il mirino sembrava scavare solchi profondi nella sua carne morbida ed impreparata, mentre il gelo del metallo anestetizzava leggermente il bruciore.
- Bastardo- gemette imponendo alle lacrime di tornare indietro. Era solo la canna di una pistola e, per quanto il mirino sporgesse, era sempre più sottile del più piccolo dei cazzi che gli avevano infilato.
Le dita tornarono a stringere piano la sua virilità accarezzandola con perizia lanciando scariche di piacere che s’intrecciavano nello stomaco facendolo tremare.
- Sì, solo un frocetto - ripeté Lley mordendogli il lobo – e scommetto che hai cominciato a fare marchette perché speravi che qualcuno te lo ficcasse nel culo, vero?- sussurrò ritirando la pistola quasi completamente fuori dal suo corpo, prima di spingerla nuovamente in profondità.
Roy ansimò con forza, muovendo il bacino per incontrarla. – E io scommetto- ansimò con voce roca, ma ferma –che tu i tuoi ragazzi sei costretto a soddisfarli con quell’arnese perché non ti si rizza più.-
Con un sibilo irritato l’uomo spinse con forza l’arma nel suo corpo, premendo fino a quando il grilletto non sbatté contro la sua carne morbida – Mi stai irritando, ragazzino- sussurrò – ed ho proprio le dita sul grilletto-
Roy ridacchiò, un suono strano, affannato e gutturale – Non puoi uccidermi, ricordi, poi dovresti dare spiegazioni a Dom-.
Lleroy s’immobilizzò fissandolo perplesso: il petto era premuto contro il tavolo, mentre il sedere era spinto in alto verso di lui. L’impugnatura della pistola spuntava tra le sue natiche come un mostro alieno, il suo pene vibrava violentemente nella sua mano e tuttavia quel ragazzino riusciva ancora a trovare la forza per farlo innervosire.
Con un ringhio l’afferrò alla vita costringendolo supino sul tavolo e Roy sorrise cercando i suoi occhi – Preferivo prima, almeno non dovevo guardarti in faccia- confessò placido.
- Hai una pistola nel culo e un’erezione notevole, perché cazzo non taci e ansimi come un gatto in calore?-
Roy si strinse nelle spalle spingendosi un po’ più giù dal tavolo, in modo che il calcio della pistola non sbattesse contro il legno – Sono un professionista, anche se il mio corpo, da bravo, reagisce agli stimoli, la mia mente pensa ai fatti suoi; quando si fa un lavoro simile è più conveniente non essere psicologicamente coinvolti. A mente fredda si capiscono e soddisfano meglio i desideri dei clienti, vogliono che urli di piacere? Io urlo. Devo piangere e gemere come un moccioso, lo faccio. Non si può recitare bene se si è troppo coinvolti.-
Lleroy lo fissò con un ghigno, scuotendo piano la testa – Tu sei un….-
La porta si aprì con uno schiocco sordo e crudo e Lleroy si girò di scatto allungando al mano dietro la schiena alla ricerca della pistola che non c’era.
- In riunione eh? Lo sapevo che era questo genere di riunione- sibilò la donna fissando ostentatamente il ragazzo seminudo steso sulla scrivania. – Complimenti, stavolta è così dotato che te ne basta solo uno- sogghignò senza staccare gli occhi del membro rigido e gonfio.
Con uno sbuffo Lley si allungò sulla scrivania recuperando la propria giacca e gettandola svogliatamente addosso a Roy che fissava con vivo interesse la ragazza sulla soglia. Era giovane, nonostante il trucco pesante e scuro non poteva avere più di 27 anni. I capelli biondissimi erano raccolti sulla testa in una specie di banana indisciplinata, imprigionata in una miriade di piccoli fermagli a bastoncino, che spuntavano dai lati della testa come raggi di legno incorniciando un viso, leggermente a cuore, dai lineamenti gentili. La figura era snella, le curve, già poco pronunciate, ulteriormente nascoste da un corto abito scamiciato, dal corpetto squadrato, color malva. Con occhio clinico Roy lasciò scorrere lo sguardo sulle gambe affusolate. Era bella, per certi versi simile alle bambole di porcellana, solo che invece di avere immensi occhioni da cerbiatto, tondi e buoni, aveva due sottili fessure allungate ed ardenti di rabbia.
- Cosa ti dà il diritto di piombare qui senza essere annunciata, eh Faith?- sibilò con astio Lley.
La ragazza lo fissò arrossendo con violenza ed abbassò lo sguardo – Il fatto che io sia la tua fidanzata non conta ancora nulla vero?- sibilò chiudendosi la porta alle spalle, senza tuttavia avanzare nella stanza. – Non me ne frega nulla se sei frocio e se queste sono le tue importantissime riunioni, stiamo assieme, ricordi? E tu hai dei doveri verso di me! Cosa devo dire a tuo padre ogni volta che non ci sei?-
Con un sospiro impercettibile Lleroy alzò gli occhi verso il soffitto, appoggiando la schiena al tavolo, accanto alle gambe a penzoloni di Roy che vide le sue labbra muoversi silenziosamente formulando le parole: avevamo un patto.
- Avevamo un patto!- sbottò con voce acuta la ragazza portandosi una mano ai capelli e fermandosi prima di togliere uno dei fermagli – Noi due stiamo assieme. Noi due ci sposeremo e daremo un bell’erede a tuo padre. Io devo lasciarti fare le tue orgette sante senza mettere bocca e tu devi comportarti come un fidanzato! E invece no, tu mi ignori e ti chiudi nello studio a ciucciare il suo cazzo.-
Piano Roy spostò lo sguardo dal bel viso furente ed arrossato di Faith a quello di Lleroy, ma il DeChicco non sembrava assolutamente intenzionato a fermare quella valanga di parole. Se ne stava immobile accanto a lui, le braccia intrecciate all’altezza del petto, le gambe allungate in avanti, leggermente accavallate, con aria annoiata.
- E poi mi chiedi con che diritto vengo qui? Con quello della futura Miss DeChicco e prova un po’ ad impedirmelo!- strillò battendo il piede per terra.
Lleroy si alzò fissandola – Nemmeno mio fratello entra qui senza essersi fatto annunciare- le rispose con uno sbuffo.
Gli occhi della donna si strinsero minacciosi – Il gran Dominique, la somma delusione di tuo padre eh Lleroy? Il tuo lavoro migliore. Tu sei frocio quanto lui, tesoro mio, anche se hai l’accortezza di infilare sempre qualche donna nelle tue riunioni, anche se sei fidanzato con me da due anni, tu le donne non le sfiori nemmeno. Non ti piacciono vero Lley?-
- No, è che non gli si drizza- borbottò Roy rendendosi conto di averlo detto a voce alta solo quando i due girarono il viso verso di lui.
- Ehm scusate, non volevo disturbare- balbettò mordendosi il labbro per non ridere.
Lo sguardo di Lleroy lo fissò acido per un istante prima di tornare a posarsi annoiato sulla fidanzata – Cosa faccio o preferisco non ti deve interessare Faith-
- Però a te è interessato che il Don sapesse che il tuo fratellino, il suo adoratissimo figlio minore era gay vero? Appena l’hai scoperto sei corso a dirglielo. Ti vedo, falso come sei, con l’aria contrita, senza guardare in faccia quel vecchio, ‘padre abbiamo un problema. Non posso dirtelo, ti distruggerei il cuore, ma per il tuo bene, per il bene della banda, te lo devo dire, Dominique, il nostro adorato Dominique è gay. Gli piacciono i maschi, padre io…io l’ho visto’, è questo che gli hai detto vero? Sapendo bene che il vecchio, morigerato Don, l’uomo che non ha mai tradito tua madre nemmeno col pensiero, l’uomo che ancora ringrazia la vergine prima di mangiare, si sarebbe disperato chiedendosi dove aveva sbagliato con il suo bambino, con l’erede su cui aveva riposto tante speranze; con il ragazzino che avrebbe dovuto condividere con te il dominio della banda. E tu ti sei preso tutta la torta, anche la sua fetta e vivi come unico signore della famiglia, prendendo in giro tuo padre, nascondendoti dietro una fidanzata adorabile ed alle orge perché nessuno scopra quello che sei. Ma non mi hai mai toccato, a volte- aggiunse abbassando la voce in un mormorio cattivo – mi chiedo come faremo ad avere un figlio-
Lleroy sorrise crudelmente fissandola – I capelli rossi sono difficili da ereditare e mio padre era moro, basta che non sia di colore, dopo per quanto mi riguarda puoi farti ingravidare da chi vuoi, è mio padre che vuole un nipote – rispose stringendosi nelle spalle.
Faith avanzò di un passo per poi indietreggiare subito – Ti rimorde mai la coscienza per quel che hai fatto a Dom?- sibilò tra i denti sfidandolo con gli occhi, ma Lleroy sorrise – No, ho solo detto la verità a mio padre-
- La tua verità! E se io glielo dicessi?-
L’uomo si riappoggiò al tavolo, iniziando ad accarezzare piano la gola di Roy, che li fissava senza parlare – Fai pure. Dì loro e a tuo padre che è tutta una recita, che non potrai mai essere la Signora DeChicco-.
Faith si morse il labbro fissando con astio il dito che si muoveva piano sul collo del ragazzo. Lei non era mai stata accarezzata così.
- E se lo dicessi a Dom? Se raccontassi a lui la verità su come suo padre l’ha scoperto? Come pensi che reagirebbe lui sentendo che tu l’hai tradito?-
Con un solo passo Lleroy la raggiunse cingendole con forza la vita e premendola contro di sé, togliendole il respiro – Dì una sola parola a Dominique, una sola- sibilò contro il suo viso inondandolo con il fiato bruciante – e tu sei finita-.
Faith spalancò gli occhi annuendo. Le gambe tremavano piano, incapaci di sostenerla e il cuore batteva selvaggio, ma non d’eccitazione, bensì di paura. Semplice, istintiva, ma non salutare come quella che spingeva i conigli a scappare all’abbaiare dei cani, ma mortale, immobilizzante come quella che coglieva i cerbiatti e li congelava in mezzo alla strada mentre l’auto rombava sopra di loro. Piano Lleroy si allontanò lasciandola, fingendo di ignorare il tremito che la squassò costringendola a fare un passo per impedirsi di cadere a terra.
- Comunque hai ragione, in questo ultimo periodo ti ho trascurato un po’ e non sta bene. Domani sera ti porto a mangiare fuori e poi a teatro, ti passo a prendere alle 7 ora vattene- ordinò calmo, come se nulla fosse stato, girandole le spalle.
Faith si passò piano la lingua sulle labbra, il ragazzino steso sulla scrivania fissava il suo fidanzato con aria pensierosa. Inspirò piano, spingendo uno dei bastoncini, troppo lasco, in mezzo ai capelli.
- Sarà meglio che tu sia puntuale, odio i ritardatari e potresti anche essere così cavaliere da accompagnarmi alla porta –
Lleroy si girò con un sorriso – La porta sai dov’è dato che ci sei entrata da sola, io non posso accompagnarti, ho un affare in sospeso con lui.-
- Il suo affare suppongo- sospirò stanca – se ne avessi avuto uno in mezzo alle gambe anche io tu….-
- Mi sarei fidanzato con tua sorella. Sarò il prossimo don, e gli uomini non seguono un capo gay.-
- Ragazzino?- chiese gentilmente Faith guardando Roy, che in tutto quel periodo non si era minimamente scomposto – Fai per me quello che io non potrò mai fargli: se te lo mette in bocca mordi con quanta più forza hai-.
Ronald spalancò gli occhi sogghignando mentre quelli di Lleroy si socchiusero appena.
- Arrivederci Faith- la salutò aprendole la porta e spingendola fuori, nel mare rossiccio del Purple.
- Era la mia fidanzata Faith Delacruz – spiegò a Roy passandosi la mano sugli occhi, la piccola cicatrice aveva ricominciato a pulsare molesta.
- L’avevo capito- ridacchiò Roy e Lley lo guardò. Era ancora fermo come l’aveva lasciato, la schiena appoggiata sul tavolo, il sedere a mezz’aria in una posizione scomoda e quasi insostenibile e per di più sembrava…divertito.
- Come puoi?- sussurrò togliendogli la giacca di dosso: l’erezione si era affievolita, ma non era sparita completamente e il suo membro sollevava ancora la testa scarlatta e luccicante –Come puoi?- ripeté puntellando le mani accanto al suo viso – Te ne sei stato lì, in questo stato, immobile senza dire nulla, con lei che ti fissava mentre litigavamo-
- Lavoro- ripeté annoiato scandendo ogni parola – hai mai fatto un pompino ad un uomo mentre sua moglie guarda? No? Io si. Sono un professionista. Il mio corpo non è affar mio.-
Lley sbuffò scuotendo piano la testa ed afferrò il calcio della pistola sfilandola con un colpo secco che lo fece gemere di dolore.
- Vacci piano, quella cosa ha una specie di uncino- biascicò torcendo la bocca.
- E’ il mirino- spiegò l’uomo pulendo l’arma su un pezzo di raso azzurro.
- Non m’interessa cos’è fa male-
- A me sembrava che ti piacesse-
Roy sogghignò – Non illuderti- lo contraddisse stendendosi più comodamente sul tavolo, fissandolo.
- Rivestiti- disse Lleroy alzando la pistola e controllando al canna argentea controluce.
- Credevo che volessi sbollire la rabbia come tutti gli uomini e che ti sostituissi tu a quella cosa-
- Se non vuoi morire, non paragonarmi a tutti gli uomini moccioso. Limitati ad obbedire agli ordini, non occorre che capisci; nessuno pretende tanto da te-
Roy scese dal tavolo infilandosi i pantaloni – Oh, ma io capisco bene le scimmie altrui-
- Le cosa?- chiese perplesso Lley girandosi, c’era troppa luce nella stanza e gli feriva l’occhio.
- Le scimmie. Si dice che quando ti fai di coca una grossa scimmia ti si attacca alla schiena e resta lì, è la dipendenza, il tuo peso eterno, per quanto ti sforzi sarà sempre con te a fare il suo versetto da scimmia e le facce buffe ricordandoti che hai voglia di sniffare. Tutti hanno una loro scimmia, quella della tua ragazza sei tu, o meglio l’idea che tu sei suo ma non lo sei. Molti altri hanno i ricordi del passato aggrappati alla schiena e tu…tu hai tuo fratello-
Lleroy rise scuotendo la testa – La tua scimmia ti deve star succhiando il cervello con una cannuccia; non ho rimorsi per quello che ho fatto-
- Non parlavo di rimorsi, parlavo di affetto. Eri in riunione eppure dopo cinque minuti che lui è entrato tu sei uscito. Lo guardi come se fosse la cosa più bella che c’è sulla terra, non ti ho visto rivolgere sguardi simili neppure a Terence, eppure fa parte delle tue orge quasi sempre. Gli hai dato quello che voleva e uno che avesse davvero tradito in quel modo il proprio fratello non lo aiuterebbe come fai tu. Il suo viso tranquillo davanti a te colpevole, l’ingenuità con cui si affida alle tue mani e ti chiede aiuto, se tu fossi stato davvero così bastardo non lo aiuteresti-
- Senso di colpa?- suggerì distrattamente Lley sedendosi al computer.
- Il senso di colpa logora le persone e le spinge ad essere ancora più crudeli con la loro vittima, perché lei ricorda loro il loro peccato. Io credo che tu…che tu l’abbia tradito per salvarlo- buttò giù con calma cercando di sistemarsi la maglia nei pantaloni; come faceva Joshua a mettergliela senza che facesse tutte quelle grinze?
- Tu sei costretto a nasconderti per fare il capo e Dom…bhè, ecco non mi pare che Dominique sia uno capace di nascondersi; io non penso che tu abbia voluto portargli via la torta, ma solo liberarlo da un peso che non gli si addice.- grugnì tirando fuori la t-shirt e decidendo improvvisamente che, piuttosto che con quella borsa immensa sopra la cintura, stava meglio tutta fuori.
Lleroy si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, premendosi le dita sull’occhio, perché non smetteva di bruciare?
- Hai finito di dire stronzate? Forse non te ne sei accorto, ma devo lavorare, cavati dai piedi, veloce se non vuoi che ricominci- lo minacciò tamburellando distrattamente la pistola sul tavolo.
Roy sgranò gli occhi scuotendo la testa – Non ci sono già più Don- lo rassicurò spalancando la porta e richiudendola con un boato dietro di sé.
Lleroy spense le luci, lasciando che solo il monitor illuminasse la stanza. Da quanto lavorava lì quel moccioso? 10 giorni? Forse meno. Come poteva vedere così tanto? Senza aprire gli occhi afferrò il cellulare schiacciando il numero 3 – Vieni qua- disse lapidario, senza attendere risposta.
Quasi immediatamente Joshua aprì la porta arricciando il naso nel vedere la penombra.
- Mal di testa capo?- chiese avanzando piano, appendendo ad una sedia la giacca bianca che era rimasta inerte sul pavimento.
- L’occhio- rispose senza aprirli.
- Ho visto uscire la signorina Delacruz, pensavo….-, ma Lley lo interruppe scuotendo al testa
– Solo l’occhio, ma se non altro ho una scusa per evitare di vedere come sei vestito-
L’uomo rise divertito – Benissimo, come sempre- disse spalancando le gambe davanti alla scrivania. Indossava un paio di pantaloni a vita bassa attillatissimi, in pelle lucida completamente aperti all’altezza del ginocchio e collegati alla parte inferiore solo da tre stringhe sottili. Il torace ampio era fasciato da una maglia senza maniche con colletto alla coreana, rosso fuoco, intonata alla fascia che gli teneva indietro i lunghi capelli castani, chiusa solo fin sopra l’ombelico in modo da mettere in vista lo stomaco piatto e duro. Una miriade di braccialetti scintillanti tintinnavano sul polso destro, mentre un grosso anello in argento brunito gli decorava il pollice.
- Josh?-
- Sì capo!- scattò l’uomo portandosi la mano sinistra alla fronte in un saluto militare.
- Ronald Morrison….-
- Si?-
- Voglio che lo sposti al bar-
Joshua sbattè piano le palpebre -Roy…al bar? Perché?- chiese prima che la sua mente riuscisse a fermare la lingua.
Lley aprì gli occhi – E’ pericoloso, vede troppo e parla troppo-
- I clienti adorano quel suo fare selvaggio, capo. E’ già molto richiesto, ha un viso da ragazzino e una boccaccia insolente; corona i sogni di molti pedofili-
- Non è un moccioso addestrato, non sa quando fermarsi. E la sua insolenza può essere pericolosa, non voglio che si ripeta un caso come quello con Weimer. Non mi piace che i figli scontino le pene dei genitori, ma mi tocca farlo quando i genitori disubbidiscono. Mettilo al bar, fino a che non sarà pronto-
Jos annuì – Gli devo insegnare come ci si comporta?- chiese con uno scintillio felice negli occhi: quel Roy prometteva di essere un bell’ animaletto selvaggio e divertente da domare.
- No. Ci penserò io. Quel moccioso deve imparare che il capo sono io e che lui non pensa se io non gli dico di pensare. E, Josh, dagli il resto della serata libero e retribuito.-
Joshua aprì la bocca sorpreso, ma la richiuse immediatamente annuendo- Va bene capo, in pratica è già stato fatto- confermò posando la mano sulla maniglia.
- E Josh…-
- Si?-
- Stai dando qualche lezione ai ragazzi?-
- Adesso intendi? No…-
Lley annuì soddisfatto infilandosi gli occhiali e fissando il monitor – Allora dopo vieni nella mia camera, ho bisogno di un massaggio- ordinò spegnendo il computer.

Con aria assonnata, borbottando contro il mondo che osava suonare alla sua porta la domenica mattina alle 10, Joey aprì la porta, impreparato al sorriso radioso di Dominique.
- Tu cosa ci fai qui?- borbottò scuotendo la testa, che stesse ancora dormendo? Sì, forse era un incubo, ma la testa rossa si piegò sgusciando sotto il suo braccio ed infiltrandosi nell’appartamento.
- Ieri non mi hai fatto nemmeno assaggiare la torta di mele! Ma ti sei appena alzato? Fai le ore piccole senza di me la notte? Male- lo ammonì agitandogli un dito davanti al naso – Vieni che ti faccio un caffé -
Inebetito, Joey lo seguì in cucina scuotendo con forza la testa per schiarirsi le idee.
- Dove hai nascosto quella torta- miagolò Dom scrutando il forno vuoto come il suo stomaco, ma una mano calò pesante sulla sua spalla costringendolo a girare su se stesso – Dominique…- mormorò Jo fissandolo negli occhi.
Dom gli si premette contro sfregando il viso contro il suo petto, espirando rumorosamente – Cavolo ti è già venuta voglia, non ci speravo così presto-
- Idiota!- sibilò allontanandolo – Volevo solo sapere come hai fatto ad entrare, Frank non ha citofonato-
Dominique sollevò il viso verso il soffitto, tossendo piano- Magari ha pensato che non c’è bisogno di disturbare ogni volta che il tuo ragazzo ti viene a trovare…-
- Il mio…checosaglihaidetto?- ansimò sbiancando.
Probabilmente stava ancora dormendo ed era un incubo.
- Ecco ieri sera…quando me ne sono andato…l’ho salutato…e lui stava guardando la partita di Hockey…e gli ho chiesto chi stava vincendo, sai a me interessa molto….e così facendo quattro chiacchiere mi sono presentato come Dominique Delacruz, il tuo ragazzo….-
Joey sgranò gli occhi – Cosa hai fatto?- chiese in un unico soffio; doveva per forza essere un incubo.
- Oh, guarda che lui è felice, ci fa i suoi complimenti-
– Tu…tu avevi detto che se avessi fatto sesso con te poi te ne saresti andato!- chiocciò.
Dominique annuì con un sorriso radioso – Infatti me ne sono andato!- ridacchiò.
- Ma dovevi non tornare! Non ho intenzione di fare di nuovo sesso con te chiaro? Puoi anche spogliarti e masturbarti nella mia cucina ma è e sarà sempre no-
- Carina come idea, magari poi mi fai vedere come dovrei fare?- mormorò malizioso strizzandogli un occhio - Comunque sono qui per proporti un affare-
Jo socchiuse gli occhi passandosi una mano tra i capelli neri spettinati dal sonno – Che tipo di affare?-
- Uno scambio- mormorò Dom avvicinandosi con un sorriso – Ieri ho visto l’ incartamento sul caso a cui stai lavorando. Si tratta di un nuovo giro di droga vero? Ma state brancolando nel buio…io credo che tu abbia bisogno di un buon informatore-
Gli occhi di Jo si animarono subito – Ne conosci uno?- chiese gemendo dolorosamente quando il viso di Dom si allargò in un incredibile sorriso.
- Ce l’hai davanti.-
Joey sospirò sconsolato, chissà perché si era aspettato un’oscenità simile.
- Io posso darti un sacco di informazioni su di loro-
- Cosa vuoi in cambio?- borbottò presagendo la risposta.
- Te. Per ogni informazione utile, dovrai venire a letto con me….oh, non ti preoccupare, non sono uno sfruttatore… prima ti do l’informazione in questo modo dopo tu puoi fornirmi una prestazione sessuale direttamente proporzionale al valore della soffiata…se ci riesci- aggiunse premendosi contro il suo petto, giocando con la collanina d’oro che gli cingeva il collo.
Joey abbassò lo sguardo, rimanendo immobile tra le sue braccia – Dovrei arrestarti sai? Il non collaborare con la giustizia equivale ad ostacolarla-
- Ma gli informatori si pagano- rise il ragazzo allontanandosi per spegnere la caffettiera e riempire due tazze.- Senti davvero, non ne voglio approfittare, facciamo così, io ho già, qui con me, per caso, alcuni dati che potrebbero esserti utili, scandagliali bene e se ti aggradano poi mi paghi. Visto? Tutto onestissimo, anzi, sono io che mi rimetto alla tua buona fede- mormorò deciso mettendogli in mano due fogli del grosso plico che gli aveva fornito Lleroy.
- E mentre io li studio tu che fai?- chiese sospettoso l’uomo. Non gli piaceva, c’era il trucco lo sapeva che c’era un trucco.
- Non lo so, leggo qualcosa, guardo un film…ce l’hai la playstation?-
- Resti qui?- chiese senza fiato Jo stringendo la carta nella mano e Dominique sorrise – Ovvio, fosse mai che poi ti dimentichi di pagare. Dove hai messo la torta di mele?-
Con uno sbuffo Jo si lascio cadere su una sedia: doveva sopravvivere solo altre 18 ore, poi per fortuna sarebbe tornato a lavorare.



Continua...


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