Note: alcuni nomi propri traducibili sono stati scritti direttamente in Italiano come il lago di Central Park, The Lake, che è diventato il Lago o lo stesso CP che è il Parco.
NEMICI NATURALI
Il sole calava lento e scarlatto, dopo una giornata d’intenso lavoro in cui aveva fatto segnare 35 gradi all’ombra dei pioppi immensi, che adornavano il parco, e quasi 43 sull’asfalto, che si appiccicava ai pneumatici delle auto che intasavano instancabili le strade, alle ruote dei pattini e delle carrozzine e alle suole di milioni di scarpe da ginnastica.
L’altoparlante, senza preoccuparsi di disturbare gli abitanti dello zoo, chiocciò il suo messaggio per la terza volta invitando i clienti ad uscire e Dominique rabbrividì asciugandosi il naso con il dorso della mano, fulminando con gli occhi la pelle d’oca che gli tartassava le braccia nude. Da quanto tempo si trovava lì?
- Ci vediamo ragazzi- ridacchiò salutando con una mano i pinguini che, indifferenti e per nulla dispiaciuti, continuarono i loro giochi tuffandosi in acqua da una discesa di ghiaccio. Con uno sbuffo, guardando divertito il suo fiato creare una piccola macchiolina di nebbia nell’aria, si sfregò le braccia per scaldarle incamminandosi all’uscita, saltando il reparto tropicale tanto caldo, umido, soffocante e rumoroso da essere in pratica una copia mignon del centro della città. Come al solito s’infilò nel piccolo negozio di souvenir, curiosando tra i pupazzi alla ricerca di un peluche che non avesse già.
- Non c’è nulla di nuovo Dom- l’avvisò la commessa più anziana, una donna alta e larga dal seno abbondante che aveva sfamato sei figli – gli animali son sempre gli stessi e qui si vendono le copie imbottite di gommapiuma che non mangiano non sporcano e non disturbano. Il pinguino ripieno di granelle che hai preso la settimana scorsa è ancora la nostra novità-.
Il ragazzo rise scuotendo la testa facendo scintillare i capelli di rame che gli scendevano lungo il collo – Se lo dici così sembra che l’hai imbottito tu per metterlo al forno Rose-.
- Dio benedetto no, tutto quel grasso non fa bene al mio colesterolo- ribatté il donnone. La sua risata aveva un suono caldo e morbido come lei stessa – Però sai? Non è vero, cioè una cosa nuova ce l’abbiamo in negozio. Ehi Elen vieni qui che ti presento un cliente speciale! - tuonò – A lui non gli devi mica chiedere se gli puoi essere utile, viene qua quasi tutti i giorni, ma si è già comperato tutto quello che abbiamo in negozio. - spiegò strizzando l’occhio ad una ragazzina mora di non più di vent’anni – Cosa se ne faccia poi….se si porta una donna in camera mica c’entrate con tutta quella roba vero? - improvvisamente sgranò gli occhi sghignazzando – Ho capito e bravo il mio Dom! E chi l’ha mai voluta vedere una collezione di farfalle? Meglio invitarle a vedere i pupazzetti, più dolce più tenero, meno lugubre! Elen attenta! Questo è il mio amico Dom, il seduttore!-
Il ragazzo sospirò fissando il soffitto con un’espressione estenuata smentita dal sorriso che gli incurvava le labbra carnose – Sta facendo tutto da sola, eh! Io i peluche li colleziono solo….-.
Rose annuì esageratamente con un’aria di sufficienza.
- Avanti, megera! Meglio collezionare pupazzi che lattine di coca-cola vuote…ahhhh- sbuffò notando l’inarcarsi non convinto del sopracciglio folto della donna – Piacere di conoscerti Elen io sono Dominique, ma chiamami Dom- si presentò porgendole la mano, facendo tintinnare tra loro due sottili braccialetti a catena.
Elen trattenne il fiato fissando la fascetta d’oro bianco che gli cingeva quasi tutta la prima falange del medio, poi con un sorriso timido l’afferrò abbassando lo sguardo ed arrossendo leggermente.
Dominique l’ignorò: era abituato a quella reazione da parte delle donne. La natura era stata generosa con lui, fin da bambino. Aveva dei lineamenti delicati, ma non femminei, due occhi verdi chiarissimi e dei capelli insoliti, soffici, lucenti, di un biondo fortemente ramato. Nonostante non fosse altissimo, 1 metro e 75, davvero troppo poco per giocare nel NBA, aveva un fisico asciutto, temprato da anni di nuoto, arti marziali, di scalate sui cedri per rubare i frutti più maturi prima del raccolto e perché no, anche dallo sforzo di ritirare le nasse assieme ai marinai di suo zio. Le donne l’avevano sempre mangiato con lo sguardo, sia in Italia dove aveva vestito jeans strappati e canottiere che mettevano in risalto la pelle dorata e scottata dal sole, sia lì, dove la pelle, che come i capelli erano un regalo della mamma francese, era tornata bianca e risaltava sotto il nero della maglietta di acetato lucida e stretta. Si sarebbe potuto ritenere davvero un uomo fortunato se, oltre a tanti bei doni, la natura si fosse ricordata di togliergli anche un po’ di sfiga.
- Mi sa che ci vedremo spesso Elen- sorrise riprendendosi la mano che la ragazza si era tenuta stretta, - ma ora è meglio che vada, sono già in ritardo-.
Rose annuì seria – In effetti, è l’ora di chiusura, Central park non è un bel posto dopo il tramonto, nemmeno durante queste bellissime giornate, tu stai su a Eastside vero? Hai un bel pezzo da qui, magari ti conviene già uscire e farti la 5° avenue invece del parco-.
Dominique sorrise – Il Central è più bello e c’è ancora gente, se vedo che butta male piglio e vado fuori, non ti preoccupare Rosy, ci si vede Elen- le salutò strizzando l’occhio.
- Attento ai brutti incontri!- gridò la donna chiudendo la porta del negozio.
Dom sospirò infilando le mani nelle tasche dei jeans neri facendo tintinnare la catena che pendeva pesante e flaccida dai due passanti sul fianco sinistro. Brutti incontri: era la frase magica di NY.
I Brutti Incontri erano ovunque, ti seguivano alitandoti sul collo, annusando le tue orme per trovarti, pedinandoti, nascondendosi nell’ombra e dietro i taxi, appollaiati nei bagni pubblici e stavolta non erano irreali come babau nascosti sotto il letto. Non era quasi nessuno in quella città infestata da milioni di abitanti e divisa non solo tra famiglie diverse, ma anche tra mafie diverse: c’erano loro, pesciolini disorientati nel mare, i cinesi capitanati dalla triade, gli yakuza, gli spagnoli e non c’era più nessun nome che potesse proteggerlo dai Brutti Incontri.
Sbuffò girando a sinistra, allungando la strada per fiancheggiare il Lago, notando distrattamente che il Parco si era svuotato: le famigliole urlanti e i pattinatori folli se ne erano andati lasciando dietro di sé alcune lattine vuote e poche figure che si aggiravano aspettando.
Inspirò con forza l’aria che cominciava a rinfrescare, sentendo che la calma gli scendeva nel petto come una sorsata di tè caldo: preferiva quella pace, quel silenzio; stare solo in mezzo ad un parco grande quanto il principato di Monaco lo faceva sentire meno solo. A casa lui era Dom. Quando passava Dom gli altri gli portavano rispetto. Non si strisciava un’auto se Dom diceva no, non si rubava un motorino, non si picchiava un secchione. A casa, dove la terra era circondata dall’acqua, dove crescevano limoni profumati e saporiti e il marzapane aveva un gusto completamente diverso da quella roba industriale che riusciva a trovare nelle botteghe di little Italy. Non gli piaceva quella città, lì non aveva senso essere un DeChicco, lì, dove la gente stava attenta a non schiacciare gli scarafaggi che dopo il tramonto sciamavano sui marciapiedi per partecipare alla vita notturna, i tentacoli della piovra venivano pestati dall’indifferenza altrui.
- Posso fare qualcosa per te?- gli chiese un ragazzo. Probabilmente non aveva più di 20 anni e i capelli biondo pallido gli cadevano tagliati male sul viso ben rasato. Si era appoggiato accanto a lui, la schiena contro lo steccato, fissava trepidante il parco, lanciando occhiate velocissime da ogni parte.
- Puoi farmi tornare in Sicilia?-
- No però posso farti tornare il buonumore-
- Ti piacerebbe?- sussurrò roco girandosi verso il ragazzo che deglutì incontrando il suo sguardo – Cosa sai fare?- soffiò pianissimo Dom allungando le dita per sfiorargli i capelli, lasciando che le unghie gli accarezzassero appena la pelle del collo.
- Tutto quello che vuoi-
- Quanto?-
Il ragazzo sorrise malizioso – 25 se ti accontenti delle mani, 50 per la bocca e 200 per una cosa completa -
- Dominique inarcò un sopracciglio – Stai pompando! Niente sconti?-
- Senti tesoro sei carino, ma io ci campo con sto lavoro, non lo faccio mica perché mi diverto. Niente sconti-
Dom tossicchiò nascondendo una risata – Non sei molto gentile con i clienti-
- Senti bello, ci stai o no? Non ho molto tempo da perdere io. Farmi te sarebbe stato piacevole, ma non ho ancora tirato su un cent stasera, per cui se non ti vai io glisso-
Il ragazzo sorrise premendogli due dita sugli zigomi costringendolo a girare il viso di profilo – Hai dei bei lineamenti ed anche i capelli hanno un bel colore, devono essere sistemati ma sono brillanti e lucenti e hai un modo di fare scortese e selvaggio che ad alcuni piace molto. Ti andrebbe di guadagnare 150 dollari fissi a sera, più eventuali extra?-
Il biondo sgranò gli occhi ansimando – Se si tratta di uccidere qualcuno non ci sto eh?-
- No. Farai solo quello che fai qui, ma in un locale. Conosci il Purple Red? E’ un club esclusivo- spiegò – e la clientela è altamente selezionata.-
- Cos’è? Un locale con spettacoli a luci rosse per froci?-
- No. Noi lo definiamo un locale d’incontri. Intanto la clientela è mista, uomini e donne e spessissimo anche marito e moglie in cerca di nuove esperienze o scambi di coppia. In più permettiamo agli uomini o alle donne sole di ‘conoscere’ nuove persone che saranno a loro disposizione.-
- Non mi va. Non mi piace che la gente mi dica cosa devo fare. Non voglio un pappa-
- Nessuno ti costringerà a fare ciò che non vuoi, sei tu che deciderai se concederti solo agli uomini o soddisfare anche le signore o le coppie. Sono 150 dollari ogni sera che passi lì, solo per servire i clienti e magari lasciare che facciano qualche battutina e ti palpino il culo, puoi anche reagire a grugniti ed occhiatacce, molti lo adorano. –
- Non devo scoparmeli?-
Dominique si strinse nelle spalle – Non ci si aspetta che tu faccia solo il cameriere, questo no. Ma nessuno ti obbligherà ad andare con le donne o con le coppie se non vuoi. In più c’è una specie di graduatoria, sai prendi un extra di 50 dollari quando un cliente chiede un servizio extra e di solito poi sono loro che ti offrono pure la cena, non hanno il permesso di pagare i nostri ragazzi, ma nessuno vieta loro di fare dei regali ed è gente che ha soldi.-
- Non lo so, non mi va di…-
- Fare la puttana? Lo fai anche qui, solo che sei al freddo invece che in un locale caldo. Non tirare fuori minchiate come l’orgoglio, ti stai già vendendo - l’altro strinse i pugni in due morse ferree stringendo gli occhi in due fessure minacciose – però senti, il mio era solo un consiglio, in fondo che vuoi che ne sappia io della vita da reietto? Prendi- disse scribacchiando velocemente un nome ed un indirizzo su uno scontino recuperato nel portafoglio – Questo è l’indirizzo del Purple Red, se cambi idea va là, chiedi di Josh e di che ti manda Dom. –
- Perché mi aiuti? Cosa vuoi in cambio?-
Dominique si strinse nelle spalle, non poteva certo confessargli che lo faceva solo perché in un’altra epoca e in un altro continente suo nonno e suo zio avrebbero fatto così, aiutando i bisognosi ed attendendo un momento opportuno per poi richiedere il favore. Il loro potere era cresciuto pian piano proprio così, fornendo aiuto e protezione là dove le mani corte dello stato non arrivavano e chiedendo in cambio semplicemente obbedienza ed abnegazione totale alla famiglia.
– Non lo so, mi pare avessi bisogno di una mano, in cambio mha, chissà, io non sono uno di quelli che ci provano gusto quando la preda ringhia, per cui forse, magari, quando avrai imparato a comportarti come si deve ti chiederò di venire a letto con me gratis-
Il biondo inarcò un sopracciglio – Tu mi offri un lavoro che mi darà 150 dollari ogni sera solo per risparmiarne 50 di un bocchino?- chiese perplesso.
Dominique si avvicinò piegando il viso verso il suo, lasciando che il suo fiato caldo sfiorasse leggero e carezzevole le labbra del ragazzo – Ne risparmio 200, cucciolo; non mi accontento mai dei preliminari io- sussurrò pianissimo, la voce roca accarezzando con l’unghia il collo candido, sorridendo sentendo i brividi percuotere il ragazzino davanti a lui. Senza aggiungere una sola parola infilò le dita nella fessura stretta delle tasche dei jeans attillati, lasciandosi il Lago e il ragazzino alle spalle, spiando con la coda dell’occhio la nuova vita che andava popolando il Parco: le giovani creature inguainate in pantaloni così stretti da dover camminare a gambe spalancate e uomini in giacca e cravatta che fumavano impacciati scrutandosi a vicenda, sospettosi. Con uno sbadiglio annoiato evitò lo sguardo invitante di un ragazzo castano, registrando distrattamente l’esame attento di un uomo moro. Richiuse la bocca, cercando di sistemarsi la mascella che si era irrigidita, sentiva ancora gli occhi dei due seguire i suoi passi accarezzandogli la schiena. Con un sorriso civettuolo si fermò intrecciando le dita ed allungando le mani sopra la testa, inarcando la schiena, regalando loro la visione del suo fondoschiena perfetto che si sporgeva accarezzato dalla guaina di jeans, la pelle candida della vita che s’intravedeva sotto la maglia che si era sollevata leggermente e che gli dipingeva i muscoli delle spalle e delle braccia. Si morse le labbra per non ridere notando un uomo con la cravatta verde sgranare gli occhi fino ad assomigliare ad una rana, ma il sorriso sfiorì improvvisamente tramutandosi in una smorfia avvizzita. Con uno scatto si risistemò lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, dimentico di tutta la gente del Parco con l’unica eccezione del ragazzo moro che gli stava davanti. Era poco più basso di lui, ma più grosso, le spalle larghe e dure di un picchiatore.
- Ma guarda, sei venuto nel parco tutto solo – ruggì.
Dominique si grattò perplesso il mento scuotendo la testa – Ehm in verità no io non sono così sfigato da dover venire da solo, in un parco poi - ridacchiò – ma forse volevi vedere? Scusa sai, nulla di personale, ma non sei il tipo che me lo fa rizzare –
Il moro lo fissò perplesso per un lungo istante, per poi arrossire con violenza, gli occhi che minacciavano di cadere dalle orbite – Brutto pervertito schifoso, cosa pensi. Io non sono un deviato come te!-
- Ma davvero?- sibilò Dominique avvicinandosi lentamente a lui, un passo alla volta, guardandolo negli occhi – Ne sei così sicuro? Ma non hai mai provato, come fai ad aver deciso cosa è giusto o no se non hai mai provato- sussurrò premendo col proprio petto contro il torace pompato dell’altro che arretrò di un passo.
- Ti avevo detto di non farti più vedere vicino a Monique-
- Non mi interessa la tua Monique e se lo vuoi sapere è lei che mi si avvicina- sussurrò sfiorandogli con un dito il mento sogghignando nel notare lo sforzo che il moro faceva per non allontanarsi di scatto –è lei che mi cerca, che mi vuole. –
- Sei solo un frocio-
Dominique sollevò gli occhi grandi e lucidi imbastendo un broncio infantile – Perché mi tratti sempre così male? E dire che io vorrei tanto forti provare nuove emozioni, avanti George, dillo anche tu che mi ami!- gridò con voce falsamente lacrimosa.
Il moro spalancò le labbra afferrandolo per un polso trascinandolo in mezzo al bosco che circondava il parco, le orecchie incendiate dalle risatine degli uomini e dalle grida di incitamento di qualche altra checca.
- Hai detto una parola di troppo, brutto frocio-
Dominique sorrise fissandolo in volto, accarezzandogli le spalle con un dito – Guardami in faccia e trova il coraggio di dirmi che sono brutto - ghignò.
- Non sei affatto brutto, anzi io ti scoperei su due piedi se non fossi il lurido figlio di puttana che sei- sibilò una voce accanto a loro e Dominique impallidì.
- Eiji- sibilò girandosi per incontrare il viso leggermente affilato dell’asiatico.
- Quanto a voi- continuò il cinese precedendo di alcuni passi un terzetto che Dom aveva visto spesso accanto a George nel bar dell’università – Questo pezzo di merda lo stendiamo perché è il figlio di un fottuto impiccione che non si è tenuto il cazzo nei pantaloni, non perché è gay chiaro? Il primo che trovo a pestare un gay è prima fottuto e poi morto-
- Come siamo allegri Eiji caro, cos’è ti hanno rubato il lecca lecca?- chiese cercando di indietreggiare piano: doveva recuperare il parco, forse erano tutte checche, forse erano pedofili e gay frustrati, ma erano gente e George e i suoi non erano così coraggiosi da menarlo davanti a dei testimoni.
- Già, il tuo adorato fratellino; passa e prende senza chiedere il permesso. Canal street era zona nostra, lui ha fatto secco Zack e si è preso la pagnotta; ma si è scordato di me-
- Lley è fatto così, le cose poco importanti non le caga- disse d’istinto, rendendosi conto del significato delle sue parole solo dopo averle dette.- Cioè senti Eiji, io non ho idea di chi fosse Zack e mi dispiace tanto che sia morto, ma io nemmeno so dove sia Canal street…-
- Separa Little Italy da China town. Cosa avete intenzione di fare pagliaccio? Voi siete su nei quartieri alti, cosa ci fate in quella strada? Credi davvero che noi e Don Vito vi lasceremo fare? Dove intendete espandervi prima? Su a Little o giù da noi? Manda un messaggino a tuo fratello Dom, siamo pronti ad unirci con gli italiani pur di schiacciarvi, siete zecche salite su un cane già pieno.-
- Noi siamo italiani- sibilò smettendo di arretrare.
- No tesoro- sussurrò Eiji premendoglisi conto – Voi- gli alitò sulle labbra allungandosi per raggiungerle,- non siete nulla. E se ci tenete alla pelle, sloggiate – lo minacciò mordendogli piano le labbra.
Per un istante Dominique si irrigidì resistendo alla tentazione di allontanarlo con uno spintone, poi sorrise e gli circondò la vita con le braccia, tirandolo contro il proprio petto. Le sue labbra si socchiusero permettendo alla lingua di uscire ed accarezzare piano quelle sottili del cinese, percorrendo il labbro inferiore prima di premere con decisione nel centro, aprendosi un varco tra i denti. Eiji gemette cercando di allontanarsi, ma le braccia più forti del rosso lo tennero fermo, iniziando a scivolare lente e sensuali sulla sua schiena, mentre la lingua assaporava piano la bocca esotica, iniziando un lento duello. Eiji chiuse gli occhi abbandonandosi, perso nel bacio che aveva risvegliato i suoi sensi riempiendolo di un violento desiderio. Non era mai stato baciato così, quella lingua sinuosa si attorcigliava attorno alla sua accarezzandola completamente prima di risucchiarla piano. Ansimò con forza, sentendo le gambe intorpidite traballare, quando Dominique lo lasciò.
-Devi perdonare mio fratello Eiji, noi DeChicco siamo abituati a non trovare mai nessuna resistenza, qualsiasi cosa facciamo, conduciamo sempre - gli sussurrò sfiorandogli l’orecchio con le labbra, premendo le dita attorno ai glutei sodi e piccoli dell’asiatico.
- Ci vediamo Eiji- sussurrò arretrando con noncuranza.
- Dove pensi di andare? Fermatelo!- gridò ansimando il cinese e subito George e i suoi amici scattarono piombando con la violenza dei giocatori di rugby su Dominique stendendolo a terra – Ed ora me la paghi bastardo- grugnì il morettino rifilandogli un potente calcio al torace.
Dominique ansimò sentendo l’aria scappargli dai polmoni, impedendogli di chiamare aiuto.
Veloce George calò con un pugno sul suo viso, rompendogli il labbro che cominciò a sanguinare
- Evita di deturparmelo, per favore, il giorno in cui me lo fotterò voglio che sia presentabile-
- Come vuoi, niente in contrario se gli picchio le gambe?- chiese rifilandogli un calcio alla coscia ed un altro sulla caviglia.
- Bastardi, lasciatemi!-
- Bel coraggio, complimenti, in 5 contro uno e in tre che lo tengono fermo- disse alle loro spalle una voce calma, piatta come se stesse commentando le previsioni del tempo.
- Tu chi sei?- sibilò Eiji.
- Non ti interessa, lasciatelo-
- Vattene se ci tieni alla vita-
- Vattene tu moccioso se non vuoi che ti sfregi io quel muso e tu, maciste, lascialo.-
George si voltò furioso scagliandosi contro il nuovo arrivato, il pugno teso in avanti.
L’uomo si girò appena, bloccando il braccio tra le mani, piegandoglielo dietro la schiena con forza in un angolo innaturale ed il ragazzo urlò.
- Lasciatelo o gli spezzo il braccio- li ammonì con calma, spingendo ancora più indietro, ignorando le lacrime di dolore e le suppliche del moro.
Due dei tre aguzzini lo lasciarono andare, scappando veloci tra gli alberi, verso la strada.
- Karl, lascialo- pigolò George contorcendosi per ridurre le fitte micidiali che lo attanagliavano e l’amico annuì sollevandosi – Ora tu lascia George-
Stringendosi nelle spalle l’uomo lo mollò, spostandosi velocemente di lato, evitando il calcio volante con cui Karl cercò di colpirlo.
- Fottuto!- gridò George saltandogli alle spalle, afferrandolo in una morsa che gli tolse il fiato. L’uomo ruotò su se stesso, cercando di agguantare quell'orso che gli si era incollato addosso.
Con un urlo, frustrato e rabbioso, Dominique si sollevò scagliandosi contro i due gettandoli a terra, salendo sopra il compagno di università e picchiandolo al viso.
Con uno sbuffo indispettito l’uomo si alzò, fissando con la coda dell’occhio il cinesino che si dava alla fuga, per poi riassettarsi con calma i vestiti, spingendosi indietro i capelli neri che gli erano caduti sulla fronte.
– Siete due contro due, combattete ancora?- chiese parando con tranquillità un pugno del tipo di nome Karl e stringendo le dita attorno al suo polso.
Il ragazzo gemette scuotendo la testa – No- sibilò
Il moro sorrise maligno, premendo con forza, incidendo il disegno dei polpastrelli nelle pelle delicata – Ora ti mollo e tu vedi di scappare, se resti ti assicuro che, se sei fortunato, ti spezzo solo il polso – sibilò piegandoglielo all’indietro. Karl annuì iniziando ad indietreggiare e, non appena le dita si allargarono, corse via senza guardarsi indietro.
- Tu invece ora sei rimasto da solo- annunciò avvicinandosi ai due che ancora si rotolavano sul pavimento; i pugni di Dominique avevano disegnato dei grossi lividi rossi sul viso dell’altro, ma la disparità di corporatura era troppa perché il rosso potesse averla vinta sull’avversario.
George si fermò con il pugno alzato, osservando sconcertato il vuoto che lo attorniava.
- Conto fino a tre, se poi sei ancora qui mi risolvi il problema di cosa dare da mangiare al mio cane stasera- annunciò con un sorriso l’uomo, cercando di trattenere una risata quando il ragazzo rotolò sull’erba annaspando come un pulcino in cerca di cibo prima di riuscire a rialzarsi e scappare.
Ansimando Dominique si passò la mano sul viso. Un rivolo di sangue gli scendeva dal labbro sul mento e sul collo.
- Stai bene ragazzino?-
Dom alzò gli occhi fissandolo: era uno degli uomini che aveva visto prima al parco, per cui aveva fatto il suo spettacolino prima che quei dementi decidessero di divertirsi con lui. Doveva essere sulla trentina, più alto di lui probabilmente di una testa.
- Benone, grazie, ma se non fosse stato per questi stupidi jeans me la sarei cavata da solo- borbottò sollevandosi in piedi.
- Contro cinque?- ribatté incredulo l’uomo passandosi una mano tra i capelli neri, spingendo indietro un ciuffo ribelle che gli era caduto sulla fronte.
- Sì, anche contro cinque. Senti, ti sono grato, davvero, dell’aiuto, ma non faccio marchette o cose simili e perciò...grazie ed addio- sbottò senza girarsi, alzando appena la mano in cenno di saluto. Ammaccato, con il fianco che piangeva di dolore e la spalla che bruciava fece un passo sollevando il piede sinistro e riappoggiandolo sull’erba fredda. Una fitta gli saettò dalla caviglia al polpaccio violentandogli i nervi, facendolo gemere con forza. L’erba davanti a lui ondeggiò avvicinandosi velocemente al suo naso, ma un braccio forte gli cinse la vita impedendogli di cadere.
- Probabilmente te la sei slogata. Dovresti denunciarli- lo consigliò aiutandolo lentamente a rimettersi in piedi.
- Denunciarli? Io? Ridicolo- sibilò inspirando piano cercando di scacciare i fantasmi del dolore che sembravano intenzionati a campeggiare nella sua gamba.
- E’ un’aggressione in piena regola; gli avevi fatto qualcosa? Si tratta di una vendetta? E’ per questo che non vuoi farlo?-
Dominique ridacchiò, un suono acido scuotendo la testa – Gli ho fatto qualcosa si : esisto. Senti, grazie ancora, ma non ho voglia di mettere in mezzo gli sbirri. Torno a casa, una buona dormita e sono nuovo- insistette trascinando il piede ferito sull’erba, cercando di non gravare col peso sulla caviglia e di ignorare i morsi dolorosi che lo trapassavano da parte a parte.
L’uomo lo fissò in silenzio per un istante – Dove abiti?- chiese con voce incolore.
- Qui alla east side- borbottò agguantando la stoffa sul ginocchio e trascinandola in avanti la gamba che minacciava di non funzionare a dovere.
L’uomo sbuffò –Che altezza?-
- Che cazzo ti frega? 93°. Ti ho già detto che non ti faccio una pompa per ringraziarti vero?-
- Non sono interessato ai tuo favori sessuali, non mi interessano i ragazzini, ma non ti posso lasciare così,siamo all’altezza della 72°, 73° strada, non arriverai mai a casa- sbottò sollevandolo tra le braccia e gettandoselo su una spalla come se fosse stato un lungo sacco di patate.
- Che pensi di fare?-
- Ti porto a casa mia, curiamo quelle ferite e dopo ti accompagno a casa tua-
- E perché dovrei venire da te?-
- Perché abito nella 77°, a tre minuti da qui, non puoi andare in giro ridotto così, non stai in piedi-
- Invece cammino benissimo, mettimi subito giù, guarda che comincio ad urlare-
L’uomo sorrise stringendosi nelle spalle – Fai pure, chissà che così arrivi la polizia e allora poi gli spieghiamo perché e chi ti ha ridotto così, che sono curioso anche io-
Dominique trattenne il fiato – Nessuna denuncia. Nessuno sbirro. Loro sono dei cazzoni e io sono italiano e gay, questo gli basta per mettermi le mani addosso, vuoi mettermi giù?-
L’uomo si fermò facendolo scivolare delicatamente a terra, circondandogli la vita con un braccio per sostenerlo.
Dominique sogghignò,- Se me lo dicevi prima che bastava che dicessi di essere gay per farmi scendere…-
- Ascolta ragazzino- l’interruppe piegando la testa verso la sua per guardarlo negli occhi, così vicini che Dominique poteva respirare il suo alito – chiariamo le cose. Ora o tu vieni, senza fare tante storie, a casa mia, curiamo quelle ferite e poi chiamo un taxi che ti riporti a casa o io ti trascino per i capelli alla centrale di polizia più vicina e restiamo lì fino a quando non denunci quei tipi. Hai la possibilità di scegliere, ma io sono molto più propenso per la seconda.-
Dominique si morse il labbro inferiore, rompendo la crosticina leggera che stava iniziando a sigillare il taglio.
- E che cazzo, un altro po’ e preferivo restare a farmi bastonare da loro. Va bene, andiamo a casa tua! Certo che potresti sbattermi in un taxi ora e spedirmi a casa. Anzi no guarda, basta solo che lo fermiamo un taxi, me lo posso pagare…-
- Bisogna curare quelle ferite, ragazzino- sussurrò interrompendo quel fiume di parole, sollevando la mano. Dominique trattene il fiato, incapace di respirare, c’era qualcosa che gli occludeva i polmoni stringendogli la cassa toracica risucchiandola. Si sentiva come un tubetto di dentifricio schiacciato con forza nel mezzo. Il polpastrello dell’uomo si posò leggero e delicato sulla sua bocca, spostandosi dal centro del labbro inferiore verso l’angolo di destra, percorrendo il taglio per tutta la sua lunghezza.
- Guarda, hai anche ripreso a sanguinare- l’informò l’uomo scostando la mano per mostrargli il dito sporco di sangue – Se torni a casa così i tuoi mi fanno un colpo, ragazzino-
- Non sono un ragazzino, mi chiamo Dom - esalò incredulo di avere trovato fiato per parlare.
L’uomo sorrise – Io sono Joey Kinsley- si presentò porgendogli la mano e Dom la strinse con forza.
- Dominique DeChicco, ma puoi chiamarmi Dom-
oOoO OoOo
Joey apri la porta con la sinistra facendo girare la grossa chiave dentata per tre volte, senza smettere di sostenere su di sé il peso di Dominique.
-Un ultimo sforzo- sussurrò spingendolo nell’appartamento.
L’ingresso e il salotto erano stati uniti in un’unica grande sala spaziosa. A sinistra, contro il muro in spatolato color crema, si stagliava un lungo divano ad angolo di pelle da cui si poteva comodamente guardare sia il grosso televisore con schermo panoramico posto su un mobile di legno scuro, sia il panorama della lunga vetrata che correva sulla parete ovest. Perpendicolare davanti al divano, un largo arco, la parte sinistra chiusa da un basso mobile a muro, separava il salotto dalla cucina.
-Siediti- ordinò Joey depositandolo sul divano.
Con un sospiro Dominique si accasciò tra i cuscini, trattenendo a stento un gemito quando l’imbottitura di piume gli sfiorò la schiena dolorante.
- Vuoi bere qualcosa?- chiese Joey accosciandosi davanti al mobile che chiudeva l’arco ed estraendo una bottiglia scura e panciuta.
- Rum e coca se ne hai-
L’uomo sorrise inarcando un sopracciglio, squadrandolo attentamente - Ce li hai 21 anni ragazzino?- chiese con un ghigno.
- Per tua informazione ne ho fatti 24 la settimana scorsa- sbuffò facendo perno sulle mani per sistemarsi meglio.
- Auguri allora. Sei un leone?- chiese versando la coca-cola in uno spesso bicchiere squadrato e facendovi scivolare all’interno tre grossi cubetti di ghiaccio - Avevo un amico leone,- spiegò avvicinandoglisi e porgendogli il bicchiere senza sedersi - anche lui era uno di quelli convinti di poter affrontare 5 o 10 nemici senza bisogno di aiuto-.
Dominique aprì la bocca, una replica pepata che gli pizzicava sulla lingua, ma la richiuse in silenzio sul bordo del bicchiere, sorseggiando lentamente la coca cola attento a non far andare le bollicine sulla ferita.
- Non c’hai messo il rum - borbottò indispettito - guarda che ce li ho davvero 24 anni-.
Joey sorrise annuendo - Ti credo, ragazzino, ma è meglio che tu non beva nulla di alcolico fino a che non ho dato un occhio a quelle ferite, non vorrei che dovessi prendere delle medicine e la maggior parte non va molto d’accordo con l’alcool. Anzi, sarà meglio che controlliamo subito - decise all’improvviso appoggiando il baloon sul tavolino ed incamminandosi lungo il breve corridoio scuro che conduceva alla zona notte - togliti maglietta e pantaloni io arrivo subito – urlò.
Con uno sbuffo Dominique appoggiò il bicchiere a sua volta scalciando via le scarpe senza piegarsi a slacciarle. Senza fermarsi a pensarci su afferrò il bordo della maglia stretta tirandola verso l’alto. Le costole si contrassero ululando infuriate, costringendolo ad immobilizzarsi, le dita serrate sulla stoffa, i gomiti piegati, le braccia ferme all’altezza del petto incapaci di salire o scendere.
- Lascia, faccio io- lo soccorse Joey posandogli le mani sulle dita e liberando delicatamente la stoffa - prova ad alzare le braccia, tienile dritte e muoviti pianissimo- suggerì facendo scivolare la maglia sul suo petto. Dominique annuì obbedendo in silenzio, vergognandosi troppo per parlare; chissà quanto l’avrebbe preso in giro Lleroy se l’avesse visto in quello stato, farsi spogliare come un bambino! Per fortuna il suo corpo decise di averlo già umiliato abbastanza ed obbedì docilmente.
- Bhe, dai, non è male- ridacchiò Joey fissandolo.
Un grosso ematoma irregolare e rosso si andava allargando sul suo torace, all’altezza della terza vertebra, mentre lividi più piccoli gli costellavano la schiena e le spalle.
- Non e' male? Intendi dire che io non sono messo male o che il loro lavoro non è male?- grugnì sentendo l’aria ferma della stanza pizzicargli fastidiosamente le ferite .
- Che tu non sei ridotto poi male. Questo è piuttosto brutto- sussurrò sfiorando con il polpastrello la grossa botta sul torace, - ma la pelle si è tagliata qua, e guarirà più in fretta, quello che ti fa male è proprio il taglio. Mi sa che la cosa peggiore è la caviglia, sei stato fortunato-.
Dominique sbuffò, - Fortunato? Mi hanno ridotto così in cinque minuti, se non fossi passato tu sarei bello steso sull’erba incapace di muovermi e non è che a quell'ora ci passi poi molta gente in quel posto la sera- borbottò.
Joey sorrise bagnando il cotone con il disinfettante che aveva portato, iniziando a detergere le ferite con tocchi lievi, quasi indolori.
Dominique sospirò piano chiudendo gli occhi: il cotone lo accarezzava leggero sfiorando la sua pelle con una carezza stuzzicante che minacciava di fargli il solletico. Sentiva i polpastrelli caldi scivolargli sul torace attenti a non sfiorare le ferite.
- Rimani fermo, ti spalmo un po’ di crema alla calendula, è cicatrizzante ed eviterà che gli ematomi si gonfino- spiegò spremendosi un lungo vermicello di pomata sui polpastrelli ed iniziando a sfiorare con tocchi leggeri e carezzevoli i cerchi violacei e slabbrati.
Dominique rabbrividì, piccoli serpenti piacevolmente elettrici guizzavano dalle dita del moro inerpicandosi sulla sua pelle martoriata, scivolando lungo la spina dorsale per accoccolarsi in attesa nel suo stomaco.
- Sei bravo con le mani- sospirò, - delicato- si corresse arrossendo leggermente.
Joey non rispose, scendendo a massaggiare una botta scura sul fianco e Dominique trattenne il fiato percependo chiaramente i serpenti piroettare nello stomaco mordicchiandogli il basso ventre. Il suo respiro rallentò leggermente affannato e rumoroso: l’aria si era fatta calda e densa.
- Sono stato davvero fortunato- ripeté per rompere il silenzio - non solo mi hai aiutato, ma mi curi anche. Grazie...ma...senti,- chiese colpito da un pensiero improvviso - tu che cosa ci facevi nel boschetto a quell`ora?-.
Se di giorno il parco era il regno delle babysitter e dei bambini, dopo il tramonto mutava radicalmente faccia, diventando il rifugio allucinato dei drogati e dei barboni, il palcoscenico per i giochi delle puttane di entrambi i sessi e dei loro clienti e, se ci si addentrava nel boschetto, non era più per sfuggire al calore del sole bruciante, ma solo per farsi una dose o farsi fare un servizietto. Ma Joey non aveva l’aspetto di un drogato ed era da solo.
- Ti avevo notato ed avevo anche visto il tuo amico-.
Dominique sorrise ricordando lo spettacolino che gli aveva regalato - Ed hai capito che qualcosa non andava?- sussurrò.
Joey sorrise scuotendo la testa, sistemandosi meglio sul divano per impomatargli un livido lungo ma leggero sullo zigomo.
Dominique chiuse gli occhi, avvolto dalla carezza leggera che gli faceva formicolare il viso
- In realtà credevo volessi fargli una marchetta-.
Il ragazzo spalancò gli occhi allibito, incrociando i suoi, scuri e divertiti -Ti ho detto che non le faccio certe cose - borbottò offeso.
- Me l'hai detto dopo che ti ho aiutato, prima non lo sapevo, poteva benissimo essere -.
- Ah sì - mugugnò indispettito prima di sorridere sornione, stiracchiandosi appena - e se...e se era...cioè...ne volevi forse una anche tu?-.
Senza smettere di massaggiare piano la crema sul suo viso Joey inarcò un sopracciglio - Scusa?- chiese perplesso.
- Volevi vedere se stavo per fare o no una marchetta al tipo no? Perché? Non e'che mi volevi… uhm...ingaggiare?-
- Ma ci mancherebbe solo questo!-.
- Come sarebbe a dire ci mancherebbe?- urlò alzandosi di scatto, sentendo il corpo stringersi su se stesso, gridando di dolore e lasciandolo senza voce. Lentamente si risistemò sul divano stringendo gli occhi con forza annaspando alla ricerca d’aria. - Se non te ne sei accorto- continuò imperterrito ignorando l’espressione divertita di Joey - io sono molto, ma proprio molto, bello. Ero il più bello di tutti quelli nel parco e se non ti basta sono anche un amante fa-vo-lo-so. Non c`e` molto da dire ‘ci mancherebbe’ sai?-.
- Secondo me sei solo un ragazzino presuntuoso, piantagrane ed incosciente- ribattè riprendendo a spalmargli la crema sui lividi che gli costellavano le spalle - Bazzichi nel parco di sera, vestito in modo provocante, conoscevi quel tipo, sapevi che non aveva buone intenzioni e tuttavia sei andato diritto da lui, testa alta, mani nelle tasche, nemmeno mezzo passo di deviazione, mi viene quasi da credere che ci tenessi a farti pestare.-
- Un uomo affronta i propri nemici muso a muso-.
- Certo, ovvio, e poi c'è un sacco di gente che si deve dare da fare attorno al cadavere: polizia, scientifica, medici per l’autopsia, giornalisti, preti, becchini...-.
Dominique ridacchiò - Un modo come un altro per risollevare l’economia del paese...e così mi ritieni provocante?-.
- Non ho mai detto questo..-.
- Pero' dici che un paio di jeans stretti ed una maglietta un po’ attillata sono provocanti il che vuol dire che io sono provocante, perché ti assicuro che Robert DeNiro con questi vestiti non lo è assolutamente-.
- Quei deficienti ti hanno lasciato illesa l’unica cosa che dovevano romperti- sbuffò indeciso se essere divertito dall’assoluta mancanza di cervello del ragazzo o spazientito.
- Cosa?-.
- La lingua ed ora vedi di stare fermo e soprattutto zitto- ordinò sollevandogli il mento con la mano sinistra - e socchiudi un po’ la bocca- mormorò concentrato picchiettando con delicatezza il taglio che scorreva lungo buona metà del labbro, scivolando leggero dal centro verso l’esterno.
Dominique chiuse gli occhi con un sospiro impercettibile, godendosi la carezza.
Il dito raggiunse l’angolo, ma non si sollevò, fermandosi per un momento sul labbro, per poi tornare sui suoi passi, lento, con microscopici saltelli, immobilizzandosi al centro della bocca.
Il membro di Dominique guizzò ricordandosi improvvisamente di esistere, facendogli malignamente notare che era steso su un divano, seminudo, la coscia premuta contro quella muscolosa dell’uomo, dita solide che gli sostenevano il mento, dita leggere che gli accarezzavano le labbra, il fiato caldo che gli sfiorava il collo. Piano, inconsciamente, fece uscire la lingua che si appoggiò appena contro il polpastrello.
I secondi si dilatarono allungandosi, poi la lingua si mosse lenta, strusciandosi come un gattino contro il dito, scivolando sopra l’unghia, avvolgendolo dentro di sé.
Con uno scatto improvviso Joey allontanò la mano - Non mangiare la crema, mi raccomando- lo sgridò come se nulla fosse, avvitando il tubetto.
Dominique socchiuse le palpebre scrutandolo, abbandonandosi lentamente contro i cuscini, le gambe fasciate dai jeans, leggermente aperte - Ma se eri convinto che stessi per fare un pompino a quello stronzo, ma non ne volevi uno anche tu, perchè mi hai seguito?Non dirmi che ti piace solo guardare, saresti uno spreco!-
Joey lo gratificò di una smorfia scuotendo la testa - No: non mi interessi tu, non mi interessa guardare e a te non deve interessare il perchè di quello che faccio-.
- Ma davvero non ti interesso? Nemmeno un pochettino?- chiese mettendo un broncetto infantile che gli arricciò le labbra carnose e sollevando la mano dal cuscino per appoggiarla sulla propria coscia; sulla parte alta. Ammaliati gli occhi dell’uomo fissarono le dita spalancate e pallide sulla stoffa nera, seguendo ogni suo gesto, allontanandosi velocissimi solo quando il pollice iniziò a muoversi piano, la punta che sfiorava leggera il rigonfiamento appena percettibile dei pantaloni.
- Pensiamo alla tua caviglia ora, cercherò di medicarla come posso, ma sarebbe meglio che la facessi vedere da un dottore domani- si raccomandò afferrandogli la gamba e stendendosela sulle cosce.
- Devo togliermi i pantaloni? - sussurrò sottovoce Dominique sorridendo.
- No, non serve-.
- Ma avevi detto di togliermeli...prima-.
- Si, ma non serve, si tratta solo di qualche botta e qui sono abbastanza larghi per essere arrotolati- spiegò sollevando la stoffa rigida fino a metà polpaccio, sfilando delicatamente il calzino di spugna nera cercando di non sfregare troppo la carne leggermente gonfia e livida.
Dominique strinse gli occhi con forza cercando di non gemere di dolore - Sei gay vero?- mugolò
- E tu sei insopportabile ed impiccione. Sì, lo sono, ma prima che tu ti metta qualsiasi cosa in quella testa evidentemente vuota, tu hai 5 anni meno dell'età minima degli uomini con cui esco-.
- Eh?- chiese perplesso.
Joey sospirò alzandosi dal divano sistemandogli la gamba su tre cuscini in modo da mantenerla alta –Fermo così- ordinò svanendo brevemente in cucina e tornando armato con la vaschetta del ghiaccio e alcuni tovaglioli di stoffa verdina - Vuol dire che io di solito non esco mai con chi ha meno di 29 anni-.
- Ma è stupido, prima chiedi ad uno quanti anni ha poi decidi se ti piace o no?-.
Joey infilò alcuni cubetti nella salvietta posandola poi delicatamente sulla caviglia prima di rispondere - No, è che tanto lo so già che i ragazzini non mi piacciono- spiegò pazientemente spostando con delicatezza l’impacco.
- Eppure l’aria da pedofilo mafioso ce l’hai anche: capelli tirati all’indietro, giusto qualche ciuffetto sulla fronte per accrescere il fascino, carnagione abbronzata, ma non toppo, collanina d’oro al collo, pantaloni bianchi con la piega e camicia scarlatta. Ti mancano solo la cravatta scura e la giacca bianca. Non sei nemmeno stropicciato…come fai a non essere almeno un po’ spiegazzato dopo aver preso a pugni quei dementi?-
L’uomo non rispose, limitandosi a scuotere la testa e a continuare gli impacchi freddi.
Dominique si morse piano il labbro, facendo una smorfia di disgusto quando la crema stomachevole gli punse la lingua. Era steso sul divano e Joey gli accarezzava piano la gamba, le dita dure che gli sfioravano il polpaccio così...professionalmente.
L’aveva di sicuro seguito perchè sperava in una marchetta eppure ora non provava nemmeno a sedurlo. Ok, era pieno di lividi poco attraenti, però se quell’uomo era gay doveva essere attratto da lui! Riusciva a piacere a tutti, dannazione perché a lui proprio no? Dominique ansimò sgranando gli occhi mentre la mano di Joey scivolava piano sul suo polpaccio, premendo con decisione l’incavo dietro il ginocchio per costringerlo ad alzare la gamba.
- Faccio male?- chiese preoccupato dall’improvviso irrigidimento , ma il ragazzo scosse la testa, sparpagliando i capelli sui cuscini scuri - No, sono solo..scomodo- mentì sistemandosi meglio sul divano, un braccio a penzoloni verso il pavimento, l’altro indifferente, amorfo, sullo stomaco, appena sopra il bordo dei pantaloni.
- Devo ammettere-, mormorò Dominique, la voce bassa, leggermente roca, - che sei un uomo davvero leale. Molti con un bel ragazzo come me steso sul divano, seminudo, ne avrebbero già approfittato-.
- Mi sembrava di avertelo già detto, ai ragazzini presuntuosi preferisco gli uomini dotati di cervello-.
- E io non ne ho?-.
- Nonostante tu sia steso sul divano di uno sconosciuto con una gamba fuori uso mi provochi, poi non ti lamentare se la gente ti mette le mani addosso-.
Dominique sbuffò muovendo piano il pollice sopra l’ombelico, scivolando lento tutt’intorno al buchetto prima di insinuare la punta al suo interno e ritirarla fuori veloce.
La mano che gli sosteneva il polpaccio strinse appena e il ragazzo sorrise sornione - E chi si lamenta?- sussurrò in un soffio leggero.
- Non mi sembrava ti piacesse molto essere pestato dai tuo amici-.
- Già, ma non è quello il modo in cui voglio che mi si metta le mani addosso-.
- Eppure comincio a credere che ti meriti tutto quello che ti accade; stuzzichi troppo, non mi stupisce che poi la gente reagisca-.
- Perché? Ti sto stuzzicando?- mormorò percorrendo il bordo dei pantaloni con la punta del dito.
Per un momento i loro occhi si incontrarono, poi Joey sorrise piegandosi su di lui, imprigionandolo tra il divano e il suo corpo - No, per tua fortuna non mi faccio impressionare dalle parole di un ragazzino.-
Gli occhi di Dominique si socchiusero sbirciando lo scollo della camicia. Non era vero. Non era assolutamente possibile che lui Dom DeChicco sentisse i brividi percuotergli la schiena ad ogni tocco e quello là se ne stesse buono, buono ad accarezzarlo senza provare nulla. Con un sorriso perfido afferrò uno dei cubetti di ghiaccio passandoselo piano sulle labbra - Mi tira - spiegò, conscio del doppio senso delle sue parole e, per un attimo, gli occhi scuri si soffermarono sulla sua bocca.
Il ghiaccio si spostava lento ammorbidendo le labbra, coprendole di un luccichio umido e brillante. Piano Dominique socchiuse gli occhi e la bocca, spingendo appena il cubetto tra le labbra succhiandone i lati prima di accarezzare con la lingua, percorrendone il perimetro irregolare, spingendola con decisione dentro una piccola infossatura che lo incrinava al centro. Gocce d’acqua gli scivolavano tra e dita scappando sul polso ed altre gli cadevano sul mento scendendo piano verso il collo inarcato.
Joey deglutì distogliendo lo sguardo, riportandolo sul suo lavoro, ma anche la caviglia luccicava invitante di ghiaccio.
- Ah- gemette Dominique fissando con aria falsamente perplessa il cubetto che gli era scappato dalle labbra e che gli scendeva lasciando dietro di sé una scia umida e lucente, simile al percorso di una lumaca, sul petto, sul ventre per fermarsi solo contro i jeans. Il ragazzo sussultò, i pantaloni erano a vita bassa e il freddo gli stava riempiendo di scariche l’inguine.
-Ti dispiacerebbe ridarmelo?- chiese ansimando.
Per un istante Joey rimase immobile fissando il petto del ragazzo, i piccoli capezzoli scuri ed eretti che invocavano una carezza, la scia umida del ghiaccio che scendeva stuzzicante sullo stomaco fino al piccolo cubetto che andava sciogliendosi in una piccola pozza fredda sul suo addome.
- Mi sembra che tu stia meglio, ti chiamo un taxi- disse velocemente appoggiandogli la gamba sul divano attento a non fargli male ma anche a non sfiorarlo più del necessario.
- Perché?-.
- Perché io ho fatto tutto quello che potevo fare e tu non puoi tornare a casa a piedi-.
Dominique si stiracchiò languidamente allungando i muscoli -Proprio tutto?- chiese malizioso.
- Vado a cercare il numero del taxi, se ti va di là c’è la cucina, prendi pure quello che vuoi da mangiare – disse sparendo nuovamente nel corridoio.
Dominique si strinse nelle spalle saltellando verso il frigorifero – Io ci vado anche in cucina, ma tu non ci stai su un piatto- sogghignò aprendo gli sportelli, cercando e trovando una bottiglia di latte.
- Mi tocca giocare sporco- brontolò scrutando perplesso l’etichetta vistosamente arancione della confezione.
– Soia? Mi tocca pure bere latte di soia? Ma che schifo!-
- Ho trovato il numero del taxi, cos’è che ti fa ….- Joey ansimò sentendo le parole incatramarsi nella gola. Il ragazzino era appoggiato languidamente al tavolo, il torace nudo che luceva invitante sotto il neon debole che dal salotto filtrava nella cucina – Vuoi un bicchiere?- chiese senza fiato, ma Dominique scosse la testa.
- No, non ti preoccupare, ne bevo solo un sorso così, non appoggio nemmeno le labbra alla bottiglia- spiegò chiudendo gli occhi.
- Ragazzino, così ti…sporchi- mugolò troppo tardi, sentendo le gambe tremare piano. Gocce candide scivolavano dagli angoli della bocca di Dom, sporcandogli il mento ed il petto.
- Che disastro che sono!- si lamentò appoggiando la bottiglia, passandosi due dita sul corpo raccogliendo il latte per poi leccarle vigorosamente. – Questo latte fa un po’ schifo non è che hai qualcosa di più saporito?- chiese piegandosi sul tavolo, il petto quasi schiacciato contro il piano di legno.
- No- rispose acido l’uomo afferrando un asciugapiatti e porgendoglielo con uno scatto duro.
- Nemmeno un succo?- domandò Dominique passandosi lo strofinaccio sul viso, scendendo piano lungo il petto, rallentando vicino ai capezzoli tesi e scuri.
- Ragazzino, la pianti di fare certe insinuazioni?- sibilò fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure sottili ed imperscrutabili, ma Dom si limitò a sorridere avvicinandosi di un passo.
- Volevo solo sapere se avevi un succo di frutta, sei tu che devi aver visto qualche doppio senso- mormorò allungando la mano per toccare la catenina d’oro che pendeva pesante sul collo dell’uomo.
Joey rabbrividì arretrando – Devo scoprire dove ho messo il cordless così posso chiamare il tuo taxi, intanto, ragazzino, sarà meglio che tu ti rivesta-
- Dominique- sussurrò il rosso con un sorriso – Mi chiamo Dom, non ragazzino- ripeté notando l’espressione sorpresa dell’altro – prova a dirlo.-
Joey sbuffò – Tempo domani mattina e me lo sarò già scordato, dove hai lasciato la maglia?-
- Non è che non lo dici perché hai paura?- chiese festeggiando interiormente quando Joey tornò sui suoi passi per fissarlo in faccia, arrabbiato.
- Perché dovrei aver paura di chiamarti per nome?-
- Perché se mi chiami ragazzino la tua mente bacata può continuare a far finta che quella regola per cui sono troppo giovane sia ancora valida, ma se mi chiami per nome invece potresti scoprire che sei attratto da me, che mi vuoi, che vuoi sentire la mia pelle contro la tua, il mio sapore sulle labbra, le mie mani che ti graffiano la schiena mentre gemo il tuo nome.-
- Stai vaneggiando, ti hanno picchiato anche in testa per caso?- gracchiò.
- Da quando non tieni un corpo caldo tra le braccia? Da quando non lasci che qualcuno ti accarezzi? Da quando non baci qualcuno? Non sono un ragazzino Joey- sussurrò portandoglisi davanti, senza sfiorarlo, lasciando che fosse il calore dei loro corpi a parlare per lui. – Sono un uomo, un bell’uomo e tu mi vuoi. Io ti voglio. Voglio le tue mani su di me, la tua lingua su di me e lo sai. Chiamami per nome Joey- supplicò guardandolo negli occhi in attesa.
- Sei solo un moccioso presuntuoso e vanesio. Non mi interessi, ti chiamo il taxi- replicò con un filo di voce Joey passandosi la mano sul viso con forza, premendo gli occhi stanchi.
- Stai solo mentendo- sussurrò Dominique e, spingendo le punte dei piedi tra i suoi, sollevò la mano, lisciando piano il colletto della camicia, lasciando che le punte delle dita gli accarezzassero il collo, mentre le nocche si sfregavano leggere contro la clavicola.
- Sei un demonio rompipalle- ansimò Joey afferrandogli il polso, fermandolo, ma Dom sorrise stringendo tutte le dita attorno al pollice dell’uomo trascinandosi la mano alle labbra.
- Sono solo la tua coscienza- bisbigliò baciandogli le nocche, insinuando lentamente la lingua tra le dita serrate, leccando piano la pelle sensibile tra loro prima di succhiare la falange del medio -Tu mi vuoi e io te lo sto solo facendo capire.
- Vai al diavolo!-, sbottò Joey afferrandogli la vita con forza, premendolo contro di sé, schiacciando tra loro le virilità ansimanti.
- Vai al diavolo-, ripeté scendendo sulla sua bocca che si socchiuse velocemente per accoglierlo con un bacio violento e frenetico. Non c’era tempo per i preliminari, non c’era tempo per i giochi. Con un ringhio Joey gli artigliò i glutei perfetti, che gli riempirono i palmi, tirandolo verso di sé, sollevandolo da terra e Dom gli allacciò le gambe dietro la schiena, infilando le mani sotto la camicia, accarezzandolo fin dove arrivava, mentre si muovevano ondeggiando come ubriachi nel corridoio che conduceva alla camera. Con delicatezza Joey lo rovesciò sul letto, gettando a terra, con una manata, una grossa foca di peluche, per poi stendersi sopra di lui. Dom mugolò di piacere allargando maggiormente le gambe per permettere ai loro bacini di sfregarsi, ma un gemito di dolore gli scappò dalle labbra, quando urtò la caviglia lesa.
- Che hai fatto?-.
- La caviglia- piagnucolò stringendo con forza gli occhi per fermare una lacrima.
- Che impiastro- ridacchiò Joey costringendolo a stendere le gambe sul letto.
- Vorrei vedere te con una caviglia rotta-.
Joey sorrise scivolando a baciargli il collo -E` solo una piccola slogatura...leggera- l’informò mordendogli appena la pelle prima di percorrere tutta la gola con un’unica lunga e lenta leccata.
Dominique ansimò con forza inarcandosi sotto di lui: la lingua continuò a scendere implacabile e precisa, seguita da una covata di brividi, infilandosi nell’ombelico, stuzzicandolo con una carezza rapida prima di girargli intorno e riprendere a salire. Dom socchiuse le labbra, lasciando che il fiato prorompesse in ansiti rumorosi e rapidi. Joey sorrise scartando un capezzolo voglioso per succhiare lentamente la clavicola, spingendo la mano destra a saggiare il fianco del ragazzo e la coscia soda velata dai pantaloni. Senza smettere di mordicchiargli il petto infilò la mano libera tra i capelli, che gli scivolarono tra le dita, morbidi e lisci come una manciata d’acqua, spingendoli indietro, liberando il collo e il viso su cui si erano appoggiati.
- Carino- sussurrò salendo con leccate brevissime e ravvicinate, all’orecchio, stuzzicando un piccolo cerchietto di metallo che gli decorava il lobo – un po’ inquietante forse- aggiunse fermando con i denti il piccolo pendente a forma di teschio. Dominique non poteva vederlo, ma sentiva il fiato accarezzargli il padiglione e il rumore della lingua che giocava con il suo orecchino. Con un gemito arpionò i glutei dell’uomo spingendoli con forza verso di sé, inarcando al contempo il proprio bacino per premere assieme le erezioni dure che sollevavano la stoffa dei pantaloni.
Joey sorrise abbandonando il suo giochetto per ridisegnargli l’orecchio con la lingua – Non mi venire nei pantaloni, ragazzino; sei voluto arrivare a questo vedi di non togliermi il divertimento ora- sussurrò piano penetrandolo leggermente con la punta umida.
Dominique sgranò gli occhi – Ehi! Con chi credi di avere a che fare? Non sono un adolescente in calore! –sbottò mordendosi un labbro per trattenere un gemito, quando la mano dell’uomo s’insinuò dentro i suoi pantaloni, accarezzandogli la virilità bruciante attraverso il cotone morbido dei boxer. Non si era accorto che glieli avesse sbottonati.
- Davvero? Scusa, sei così docile che ci si confonde facilmente-.
Dominique lo fissò per un secondo poi sorrise scuotendo la testa, ondeggiando sinuoso il bacino sotto di lui, - Sono un uomo ferito e tu sei una specie di colosso, non posso muovermi come vorrei, ma ti assicuro- sussurrò roco accarezzandogli la gamba con la propria – che anche le statue di marmo gemono sotto le mie carezze.-.
- Si, come no, voglio proprio vedere- rise Joey afferrandogli la gamba ferita, tenendola dritta, mentre si rotolava nel letto, portandoselo sopra, - sono qui alla tua mercè ragazzino.-
Dominique ridacchiò piano scuotendo la testa divertito, sistemandosi meglio sulle sue cosce – Una delle cose peggiori che si possano fare in guerra e in amore è sottovalutare il proprio nemico, sai?- chiese malizioso, percorrendogli il petto, ancora coperto dalla camicia, con i palmi di entrambe le mani – Stavolta si è sgualcita- sussurrò accarezzando piano i bottoncini di madreperla. Lentamente, attento a non sfiorare con le dita il suo petto, iniziò a sbottonarli uno per volta, spingendo i lembi della camicia verso i fianchi dell’uomo, scoprendo il petto tornito e muscoloso.
- E questa?- chiese in un soffio accarezzando con la punta dell’unghia una cicatrice antica che correva sbilenca sopra il capezzolo destro, fino al fianco-.
- Un incidente di lavoro- ansimò Joey; teneva gli occhi chiusi e il respiro si era fatto pesante, eppure quel ragazzino non aveva fatto nient’altro negli ultimi infiniti cinque minuti che sbottonargli la camicia.
Veloce la lingua di Dominique sfiorò la pelle traslucida, seguendo il disegno serpentino che tracciava sul petto, senza sorridere, quando il moro s’inarcò con un gemito, ma appoggiandogli le mani sui fianchi duri, facendole salire sotto la stoffa fino alle spalle, spingendo via la camicia.
Ansimando Joey sollevò la schiena permettendogli di sfilargliela, approfittando della loro vicinanza per baciargli il collo un istante, prima che il ragazzo lo respingesse steso sul letto.
- Dio se sei lento, ci metterai così tanto per ogni cosa? –
- I vecchiacci con cui esci di solito non ti spogliano mai?-
- Hanno più esperienza e sono più veloci, marmocchio- ansimò contorcendosi sotto i palmi che continuavano a d accarezzargli il petto con tranquillità, regalandogli brividi leggeri ma insopportabili, facendolo desiderare di avere di più.
- Bha, secondo me non sanno divertirsi, vuoi mettere la gioia di vedere la tua faccia contorcersi, quando ti sfioro appena qui?- chiese passandogli al punta di due dita sul ventre, sorridendo nel vederlo gettare la testa all’indietro, inarcando al schiena con forza, offrendosi a lui – E poi sei abbastanza carino anche da guardare-
- Abbastanza carino? Di solito dicono che sono bello…- ansimò mordendosi il labbro, le dita continuavano a gironzolare sopra i pantaloni, senza mai scendere.
- Tu sei carino, io sono bello-
- Moccioso narcisis…tahh- gridò.
Senza preavviso il viso di Dominique si era abbassato su di lui e la lingua aveva preso il posto delle dita stuzzicando la pelle sensibile dello stomaco, percorrendo il bordo della cintura dei pantaloni, insinuandosi appena sotto alla stoffa, mentre le mani li sbottonavano piano.
- Hai un buon sapore sai?- sussurrò mordicchiandogli lo stomaco proprio sopra l’elastico di un paio di boxer bordeaux – Chissà se sei buono ovunque- si chiese posando un bacio sul pene duro dell’uomo.
Joey s’inarcò ansimando, ma il ragazzo gli aveva già abbassato la biancheria liberando il suo membro teso da un desiderio violento.
- Però, notevole – esclamò stringendolo tra le dita, sfiorandone la lunghezza dalla punta alla base col polpastrello per poi risalire lento, coprendone la testa rossa e succosa con il palmo.
- Ciao Big Jim – mormorò avvicinando il viso – Io sono Dominique-.
- Ma sei idiota?- ansimò Joey incapace di dare un tono più duro alla voce troppo fievole ed incerta.
Dominique lo ignorò sfiorandolo con la punta della lingua –Perché?- chiese senza allontanare la bocca.
Joey scosse il capo, incapace di parlare e Dom ne approfittò per chiudere le labbra attorno al suo calore succhiandolo piano – Dai perché?- chiese nuovamente e Joey ansimò con forza sentendo la lingua muoversi nella bocca umida, accarezzarlo ad ogni parola. Scariche violente di brividi gli scendevano dal collo addensandosi come un temporale incombente; non poteva resistere ancora a lungo.
Con uno scatto deciso afferrò i capelli del ragazzo tirandoli con forza verso l’alto, costringendolo a lasciare la presa – Baciami- ordinò trascinandoselo verso la sua bocca per un bacio lungo in cui Dominique soccombette miseramente. Il suo cervello si spense per un lunghissimo inquietante istante, lasciandolo preda indifesa delle sensazioni che le carezze dell’uomo sulla sua schiena gli lanciavano. Carezze frenetiche ed innocenti che lo accendevano come carbonella. Non esisteva nulla e lui stesso non era nient’altro che la lingua, che si piegava al volere di quella di Joey, e pochi centimetri di pelle benedetta dal contatto con le mani o il petto dell’uomo. Con un sospiro languido si accasciò senza volontà su di lui, le mani strette sulle sue spalle, come ad un’ancora.
Con un ringhio soffocato Joey l’afferrò per la vita rovesciando le posizioni, spingendolo sotto di sé per chiudergli la bocca con un bacio lungo e famelico. Le loro lingue s’incontrarono duellando, intrecciandosi in una danza frenetica, succhiandosi ed assaporandosi come se si fossero incontrate per la prima volta dopo eoni di separazione. Aiutandosi con una mano sola, l’altra era troppo impegnata ad accarezzare i capelli ramati che gli correvano tra le dita, lo liberò dei pantaloni spingendoglieli lungo le gambe assieme ai boxer azzurri, ricordandosi della caviglia ammaccata solo quando la bocca di Dominique lo abbandonò per un gemito sordo.
- Scusa -, sussurrò sfiorandogli le labbra con un bacio gentile, asciugando un filo di saliva che gli correva sul mento, per poi spostarsi verso i suoi piedi, svestendolo con attenzione. Delicatamente si appoggiò la gamba ferita sulla spalla, scivolando con la lingua sull’incavo del ginocchio, tracciando lente lappate bollenti fino all’interno coscia.
- Metti la mano in quel cassetto- ansimò accarezzandogli il membro teso: piccole gocce di piacere lucente brillavano sulla punta scarlatta, sussurrandogli silenziosi inviti.
- Cosa?-
- Apri quel cassetto e mettici la mano dentro- rispiegò.
- Ah, questo giochetto erotico non l’avevo mai fatto- riuscì a ridere tra un ansito e un gemito.
Le dita di Joey si bloccarono immobili sulla sua virilità che sobbalzò irritata, - Ma non è un giochino…- sbottò interrompendosi, quando Dom gli porse il tubetto d’olio e una manciata di preservativi.
- Che idiota-
- Su su, capita anche di peggio nella vita, non ti avvilire, in fondo sei carino no?-
Joey sorrise – Guarda che l’idiota sei tu non io-.
- Mhhh, senti non è che…magari riprendi quello che stavi facendo prima?- sussurrò arrossendo, muovendo appena il bacino sotto la mano ancora immobile-
Il moro scosse la testa – No- mormorò roco prima di piegarsi su di lui ed avvolgerlo completamente nella sua bocca.
Dominique urlò inarcandosi sentendo un calore violento invaderlo con ondate brucianti, mentre Joey cercava di strappargli anche l’anima.
-Johhh- supplicò e Joey lo accontentò versandogli l’olio piacevolmente fresco e liscio sulle cosce, trascinando le gocce seriche tra le sue natiche con le dita.
- No, Jo- gridò con un unico gemito, spingendosi contro la sua bocca, offrendosi alle dita che penetravano piano, nel suo corpo, spingendosi in profondità dentro di lui – No, così io… io sto…-
Joey non si mosse, continuando ad assaggiare quel membro sempre più caldo e dolce nella sua bocca, infilando un terzo dito dentro di lui, massaggiandolo piano, sorridendo appena quando la voce del ragazzo si sciolse in un singhiozzo inutile, sopraffatta dall’orgasmo violento.
- Sei…..uno….stronzo…- ansimò senza fiato, gli occhi ancora chiusi dal piacere.
Joey rise in silenzio, baciandogli lo stomaco – Non credo alle parole d’amore dopo il sesso, sono sempre fasulle- l’informò sistemandosi meglio le gambe sulle spalle, sfilando delicatamente le dita dal suo corpo.
- Ti fa male così?- gli chiese piano Joey baciandogli la coscia e Dominique sussultò appena rilasciando il fiato in un sospiro esausto – Cosa? Ma se non me l’hai ancora messo dentro?-
Per un attimo si fissarono negli occhi, immensi e trasognati quelli del ragazzo, esterrefatti quelli di Joey che scosse la testa con un sospiro – Ma tu dove cavolo eri il giorno in cui distribuivano i cervelli? La caviglia, idiota, la caviglia! Ti fa male messo così?-
Dom rise scuotendo la testa – Scusa sai, ma ti metti lì così, stiamo facendo sesso, ora io mi aspetto che tu mi prenda, che entri in me con un unico colpo e tu ti metti ahhhh…continua..- supplicò incitando Joey che l’aveva penetrato piano con la sola punta, per dargli il tempo di abituarsi all’intrusione. Piano l’uomo lo accontentò facendosi strada in lui con spinte profonde ma lente che rubavano gemiti sempre più profondi e frequenti ad entrambi fino a che la stanza non divenne un immenso coro di sospiri.
Dopo un’eternità di silenzio, rotta solo dai loro respiri troppo affannati ed incontrollabili, Joey infilò la mano sinistra tra i capelli ramati che gli coprivano il petto, lisciando le onde morbide tra le dita.
- Bha - sbuffò sorridendo dolcemente nella penombra - ma guarda te, mi hai costretto ad andare a letto con un ragazzino- lo rimproverò portandosi una ciocca alle labbra. Dominique sorrise chiudendo gli occhi, abbandonandosi alle carezze leggere delle mani gli sfioravano il collo e la spina dorsale. Con un sospiro si accoccolò meglio sul petto dell’uomo, sfregando la testa contro la sua gola, il cuore che batteva lento sotto il suo palmo. - Non sono un ragazzino, ho 24 anni - ripeté chiudendo gli occhi.
-Appunto, un moccioso appena uscito dal college- .
Dominque rise puntellando il gomito sul materasso ed appoggiando la testa sul palmo della mano, fissando dall’alto il viso dell’uomo - Sono al primo anno del biennio di specializzazione in economia internazionale, tu, quanti anni hai?-.
- Tanti-.
- Avanti Matusa- mormorò piano sfiorandogli le labbra con l’unghia - quanti?-.
Joey sbuffò fissando il soffitto, lasciando che la mano destra scivolasse lentissima lungo la schiena del ragazzo, fermandosi a stuzzicare la pelle sensibile dell’osso sacro - Trentuno a gennaio- grugnì.
- MMM vecchissimo- ridacchiò Dom recuperando il suo comodo angolino nell’incavo del collo dell’uomo
- e che fai, sei già pensionato o lavori ancora?- lo canzonò sfiorando con la lingua la pelle sensibile, iniziando a far scorrere un polpastrello sul petto tornito, stuzzicando il capezzolo teso.
- Sono un poliziotto, lavoro per FBI, sezione narcotici- sussurrò girandosi di scatto verso il ragazzo, schiacciandolo sotto di sé .
Dominique sgranò gli occhi rabbrividendo sotto la lenta carezza che gli scendeva lungo il fianco -Un federale? – ansimò.
Joey si limitò a mugolare mordicchiandogli la gola, ma Dominique si leccò le labbra scuotendo la testa, premendo con forza i palmi contro il suo petto per allontanarlo da sé.
- Davvero sei un federale? Cosa mi sai dire di Tony DeChicco?-.
L`uomo lo fissò perplesso, stringendosi nelle spalle - Poco, so solo che è il padrino di una cosca mafiosa, ma non ci sono per ora legami tra loro e il traffico di narcotici.
-E di suo figlio?-.
Joey sorrise scuotendo la testa - In effetti si mormora che sia una possibile minaccia. E’ giovane, ma ha già le mani in pasta in un sacco di faccende ed è meno legato alla tradizione del padre. Lleroy DeChicco, un uomo capace di sguazzare nel fango e non sporcarsi-.
Dominique sbuffò con forza - E l’altro figlio?-.
Joey inarcò un sopracciglio - Un altro figlio? Ah, sì, il ragazzino, com'è che si chiamava...D...D DeChicco- per un istante tacque fissandolo negli occhi e Dom sorrise
- Dominque DeChicco- sussurrò Joey mettendosi a sedere sul letto -Ero convinto che fosse un ragazzino- soffiò debolmente passandosi la mano sul viso.
Dom continuò a sorridere scendendo piano dal letto, -Non lo sono?-.
- La foto che ho visto io era di un bambino...non credevo che tu...-
- Nemmeno io credevo che fossi uno sbirro. Cosa ci facevi al parco?-.
Joey si stese sul letto fissando il soffitto, senza guardare il ragazzo che si rivestiva piano, attento a non sfiorare le ferite - Controllavo. Diciamo che sono in ...uhmmm una specie di punizione e dovevo tener sotto controllo i marchettari, i loro clienti e già che ci sono i fornitori di droga-.
- Ti hanno retrocesso?-.
Joey scosse la testa - No, solo che non hanno molto apprezzato i mie modi nell’ultima missione -.
- Chissà cosa direbbero ora se ti vedessero a letto con me, magari potrebbero accusarti di essere un poliziotto corrotto, venduto alla mafia- ghignò.
Joey si girò appena verso di lui - Già, o forse qualcuno della famiglia potrebbe accusare te di essere un bel pentito. Non ci provare moccioso, i ricatti non funzionano con me-.
Dom sbuffò zoppicando in salotto continuando a scuotere la testa,recuperando la maglia da terra e fermandosi a metà, il torace che si ribellava all’idea di alzare le braccia e piegarle per infilarla -Non volevo dire questo- sibilò - cavolo, è bastato che ti dicessi che sono un mafioso perché pensassi che ti ricattassi, non eri così prevenuto prima -
Con uno scatto veloce Joey scese dal letto infilandosi i pantaloni e, senza allacciarli, raggiunse Dominique
- Aspetta, sollevale piano e tienile dritte, come prima-
Dom si morse il labbro obbedendo - Aiutato da un federale - sbottò - a Lley verrebbe un colpo -
- E tu non glielo dire-
- Senti, sbirro, non ho intenzione di dire a nessuno cosa c'è stato, ok? Non sapevo che fossi un federale, sennò col cavolo che ci venivo a letto con te; siamo nemici naturali, come cani e gatti. Il gatto però lo faccio io-
Joey sospirò scompigliandogli i capelli - Ti chiamo un taxi-
Dominique annuì spostandosi bruscamente, pesando sulla caviglia dolorante, ma Joey fu rapido ad afferrarlo tra le braccia evitandogli di cadere.
- Tutto bene?-
- Ah ah- mugolò.
- Lasciamo stare il taxi, ti accompagno io, non puoi andare in giro così-
Dominique si scostò sorridendo - Cani e gatti. Non puoi venire lì, inizierebbero a farsi domande è meglio un taxi-
- Dom, stiamo a Eastside, non nel Bronx-
Il ragazzo lo fissò negli occhi un istante poi sorrise – E’ stata solo una notte di sesso, ti ci ho pure costretto, non sono un ragazzino non hai responsabilità-
Joey annuì lasciandolo - Chiamo il taxi- sussurrò sollevando il telefono.
Con un sospiro Dominique fissò il portiere semiaddormentato dietro la parete di vetro. Non si era smentito nemmeno quella volta: un bel faccino che poteva avere quello che desiderava ed una sfiga paurosa che glielo portava via.
Cosa aveva di diverso poi quel federale? Bello, certo era bello, ma aveva uno sguardo duro, una decisione diversa dai tipi con cui usciva di solito, non si faceva comandare, non poteva essere lui il direttore d’orchestra nella coppia. Il sesso, lo faceva bene, ma aveva anche avuto di meglio, c’era stato il biondino anglofrancese, quello di due mesi prima che…wow.
No, non poteva immischiarsi con un federale, gliel’aveva detto: erano cane e gatto. Con un sospiro scosse la testa.
- Ehi amore, ti serve compagnia? Sei così bello che ti faccio uno sconto- gridò una donna allungando la gamba lunghissima sotto la gonna inesistente.
Dominique la fissò sorridendo dolcemente, lo strato spesso di ombretto azzurro luccicava sotto la luce dei neon, ingrandendo gli occhi stanchi ed incavati della donna all’inverosimile.
Uno sconto. Quella era zona loro e di certo il pappa della donna pagava un pizzo cospicuo per poter esercitare in una via di lusso come la East. Zoppicando si avvicinò piano, registrando appena il capezzolo scuro che spuntava dallo scollo troppo basso della canottierina risucchiata.
- Conosci i DeChicco?- sussurrò sfiorandole i capelli cotonati.
La donna sorrise - No, non ascolto la musica pop- miagolò.
Dominique sgranò gli occhi spalancando la bocca, scoppiando a ridere con forza, lasciando che la donna lo fissasse perplessa.
- Un gruppo pop- balbettò senza fiato - Oddio un gruppo pop- ripeté piegandosi su se stesso le braccia strette attorno allo stomaco e lacrime lucide che scivolavano lungo le guance.
- Non sono pop?-
Dom scosse con forza la testa negando - No, ma non importa- ansimò rialzandosi, mordendosi il labbro superiore per bloccare un nuovo accesso di risa - hai visto le stelle là in alto?- sussurrò appoggiandosi contro il muro.
La donna scosse la testa posandogli una mano sulla spalla - Tesoro, ti ringrazio, ma non hai bisogno di certe cose con me, bastano 50 dollari-
- Il cielo è tanto lontano a New York-
La donna sbuffò - Certo che è lontano! Te ne stai quaggiù, se lo vuoi vicino sali al Cruise no?-
Dominique scosse la testa accarezzando dolcemente la guancia liscia e coperta dal fondotinta della donna.
- Hai ragione - sussurrò estraendo il portafoglio.
- Puoi anche pagare dopo-
Dominique estrasse una banconota da 100 dollari e la infilò nello scollo della canottiera -Prendili come un regalo, mi hai tirato su il morale, ma io preferisco gli uomini- sussurrò sfiorandole la fronte. Un taxi si fermò davanti a loro e Dom lo fissò soprappensiero.
- Hei qualcuno ha chiamato?-
- No, io no, lei signora?-
La donna lo fissò ancora perplessa -Ma sei scemo?-
Il ragazzo rise infilando le mani nelle tasche, incamminandosi lentissimo per la strada.
Era notte, ma New York ancora non dormiva: le auto scorrevano rade lasciando scie luminose al loro passaggio, rallentando quando passavano accanto alle signore della notte.
Figure scure camminavano per le strade, ridendo sottovoce.
Dominique alzò il viso fissando la punta lucente dei grattacieli che incombevano luccicanti occludendo il cielo.
New York, una città che non dormiva, dove per toccare un cielo che sembrava irraggiungibile bastava prendere l’ascensore del più alto palazzo del continente; una città dove essere un DeChicco non voleva dire nulla.
Con un sorriso si girò verso il palazzo di Joey - Ho un cane ed un gatto a casa- disse a voce alta, disturbando le elucubrazioni di un barbone addormentato in un angolo - e vanno d’accordo. Brutto pezzo di un federale frigido. Vanno d’accordo!- rise riprendendo a camminare.
Le luci brillavano come stelle attorno a lui, mentre la gente camminava senza appiccicarsi contro i muri o distogliere lo sguardo dal figlio del padrino.
Continua...
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