Disclaimers: dunque, questo è il parto
di una lezione di diritto comune, riguardante in particolare il duello
cavalleresco.
...Se il prof. sapesse che cosa è uscito da quella sua lezione, credo che
si ritirerebbe per sempre a vivere in un monastero. Perciò non farò nomi,
e vi prego di non fargliela avere. ;P *grin*
Comunque, prima ho inserito qualche file sul periodo storico, per dare un
po' l'idea di dove-quando siamo... insomma, è il primo capitolo e non
succede quasi nulla, non so se vi annoierà ma metto le mani avanti...
Parte 1/?
Nell'amore e nel sangue
di Seilenes Bran
***(Sfondo geografico: Modena, la romana Mutina, venne fondata nel 183 a.C
lungo il percorso della Via Emilia. La scelta del luogo tenne certamente
conto della posizione strategica, essendo Modena posta alla confluenza dei
valichi appenninici e situata tra due fiumi, il Secchia ed il Panaro, per
cui era facilmente difendibile. In epoca romana fu, insieme a Bologna, città
fiorente: la sua ricchezza derivava da commerci facilitati dalla rete
viaria.
Con la decadenza dell'impero romano anche Modena fu invasa dai barbari e,
nel 452 d.C., durante un'invasione degli Unni guidati da Attila, il Vescovo
Geminiano, eletto poi Santo e patrono della città, ne ritardò la conquista
facendo scendere una fitta coltre di nebbia che nascose la città agli
invasori.
Durante il dominio dei Longobardi, nel 728, la città fu colpita da
un'alluvione violenta e si andò spopolando. Gli abitanti si rifiguarono su
un'isola fra la Via Emilia e il fiume Secchia, l'attuale Cittanova. Il
ritorno alla città avvenne solo verso la fine del IX sec. e la
ricostruzione
fu incominciata su iniziativa del Vescovo Leodoino che fece erigere le mura
della città.
Sotto la Signoria dei Canossa, la città ebbe anni di ricchezza e fervore
artistico e religioso (nel 1099 fu iniziata la costruzione del Duomo). Alla
morte della Contessa Matilde di Canossa, nel 1115, l'Imperatore Enrico V,
suo acerrimo nemico, instaurò il Libero Comune, governato da un Console.
Dopo circa due secoli di governo libero e autonomo (nel 1183 fu fondato il
primo nucleo dell'università), segnate però dalle lotte per il potere tra
le
grandi famiglie, Modena si sottomette volontariamente alla Signoria di
Obizzo d'Este (1289). Simbolo concreto del nuovo potere è il castello
estense costruito lungo la cinta muraria settentrionale e sul quale sorgerà
nel Seicento il Palazzo ducale voluto da Francesco I d'Este.
Nel 1598, in seguito alla devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa,
Modena diviene sede del potere della corte estense con il rango di capitale
del Ducato. All'evento segue una serie di trasformazioni che coinvolgono
l'urbanistica, l'edilizia di palazzi e di chiese, l'economia e la cultura.
Modena rimase capitale per quasi due secoli fino a quando, nel 1796, i
Francesi invasero la città, costringendo alla fuga Ercole III, ultimo
rappresentante degli Este. Il dominio francese durò per quasi dieci anni,
fino alla morte di Napoleone I, avvenuta nel 1805. Dopo il congresso di
Vienna, Modena venne riaffidata agli Este, che si erano imparentati con
l'Imperatore. I duchi Francesco IV e Francesco V dovettero però
fronteggiare
più tentativi insurrezionali, tra cui quello di Ciro Menotti (1831) e la
sommossa delle "giunchiglie" (1848) fino all'abbandono definitivo
di Modena
in seguito agli avvenimenti della seconda guerra d'Indipendenza (1859).
L'anno successivo, in seguito ad un plebiscito popolare, anche Modena entrò
a far parte del Regno d'Italia. Le mura della città furono abbattute nei
decenni tra il 1882 e il 1920 e la città andò espandendosi oltre.
Sfondo storico: Quattrocento anni fa circa Alfonso II d'Este non riuscì a
garantire, pur attraverso tre matrimoni, un legittimo erede successore nel
governo del Ducato; scattò così per Ferrara il principio perentoriamente
riaffermato dalla Bolla di Pio V ("Prohibitio alianandi et infeudandi
civitades et loca sanctae romanae ecclesiae" del 23 maggio 1567), in
base al
quale veniva così meno il rapporto feudale tra la Casa d'Este ed il Papa e
si aveva, di conseguenza, l'obbligato ferrarese da parte degli Estensi.
La Bolla, che per qualcuno è stata emessa appositamente
per il "caso
Ferrara-Estensi" ribadiva le regole della succesione ereditaria dei
benefici
feudali ricevuti dalla Chiesa e che riguardava il potere riconosciuto agli
Estensi (dal 1264) di governare Ferrara e il suo contado, con i diritti e
doveri verso lo Stato pontificio. Nel 1598, considerata "bastarda"
la
successione avutasi dopo la morte di Alfonso II (che aveva indicato suo
nipote Cesare d'Este), con la Convenzione di Faenza il Ducato di Ferrara
ritornava alla Chiesa mentre gli Estensi si tresferivano a Modena, dove
governeranno gli altri loro "Stati", acquisiti nell'arco di ben
cinque
secoli (ad essi era stato riconosciuto un notevole grado di autonomia sia a
livello amministrativo che giuridico, sebbene negli statuti di Ferrara vi
fosse una fonte sussidiaria di diritto). Rientrante la scomunica inflitta
dal Papa a Cesare d'Este (che inizialmente si era rifiutato di abbandonare
Ferrara) gli Estensi governarono Modena fino al 1859, anno in cui le note
vicende del Risorgimento del nostro Paese li obbligarono ad abbandonare
l'Italia.
Riconosciuti Signori di Ferrara nel 1264, i Marchesi d'Este diverranno
successivamente Duchi a seguito della Bolla del Papa del 1471; il Polesine
di Rovigo, già patrimonio della loro dinastia fin dal XIII secolo, fu
impegnato alla Repubblica di Venezia nel 1395, riscattato nel 1438, venne
definitivamente perduto nel 1484. Le città di Modena e Reggio, riconosciute
degli Estensi (la prima dal 1288 e la seconda dal 1290 fino al 1306),
vennero definitivamente acquisite rispettivamente dal 1336 e dal 1409 e
governate fino al 1859, fatte salve brevi interruzioni. Il contado di
Frignano, acquisito unitamente a quello di Modena ma da esso separato nel
1494 per essere costituito provincia seguirà le medesime sorti politiche
del
ducato modenese (come la cosiddetta "Romagna estense", che era
stata
acquisita tra il 1408 ed il 1445). La Garfagnana toscana (che stendendosi
lungo la valle del Serchio portava anche uno sbocco marittimo nel Tirreno)
era stata invece acquisita tra il 1430 e 1451 e di essa ne sarà, tra gli
altri, amministratore-fattore il poeta Ludovico Ariosto (dal 1522 al 1525).
Gli Estensi ressero altresì il Principato di Carpi subentrando
gradualmente.
Cento e Pieve di Cento furono portate in dote da Lucrezia Borgia (nel 1502
anno del matrimonio con Alfonso I d'Este); il Principato di Correggio fu
invece acquisito dal Duca Estense di Modena nel 1635, il Ducato di Mirandola
nel 1711 (lacrimuccia: e a me che ispirava farlo abitare a Mirandola... humm, ma si può ancora fare...) e quello di Massa nel 1741. Il territorio
di
Mesola fu acquisito dagli Estensi nel 1471, dopo essere stato sottoposto
alla comunità di Ariano. Successivamente ceduto, ritornò definitivamente
alla Casa d'Este come patrimonio proprio, non sottoposto a vincoli feudali.)***
Fine del 1500
Pianura Padana
(E va bene, non è storicamente possibile, penso che ci siano più errori
che
cose giuste ma consideratelo un fantasy a sfondo pseudo-storico! Chiedo
scusa in anticipo a chiunque ne sappia abbastanza da rendersi conto di tutte
gli orrori storici che mi sono scappati!)
L'aria del bosco era staura di odori, quella mattina.
Era uscito dalla città di Modena con furia, quasi senza fermarsi alla Porta
sud, solo poco tempo prima, ed ora non era null’altro che un’ombra
avvolta
in un lungo mantello purpureo che cavalcava verso sud per raggiungere i
colli vicini, coperti di boschi.
I campi si erano stesi con affettata grazia attorno a lui, mentre le magre
famiglie di agricoltori, in piedi già da qualche ora, violentavano con
fatica la terra per trarne frutto. Presto, essi non erano stati altro per
lui che un ricordo senza nome nè peso alle sue spalle, come lui non era
null’altro per loro che un’ombra senza nome, che non potevano ricordare
neppure se lo avessero voluto, persa nei meandri delle loro menti.
Aveva lasciato l’animale nella radura che conosceva... come al solito...
una
radura ben nascosta, poco lontana dal luogo dell’incontro.
Quindi, aveva continuato a piedi.
L'alba era sorta già da qualche ora, ma il sole era nascosto da vaghe
nuvole
spumose, che più che coprirlo lo velavano. Il cielo era grigiastro,
percorso
da una luce ovattata e costante, cosicchè al di sotto degli alberi più che
vera e propria ombra c'era un pallido chiarore, tenue e continuo, che
ugualmente feriva gli occhi... soprattutto quelli sensibili del vampiro.
Giungeva per un duello.
Verleis era nato un paio di secoli prima, da una piccola famiglia in
decadenza (le loro terre non producevano più abbastanza per i loro bisogni
e
per il loro tenore di vita), e trent'anni dopo era stato fatto vampiro da un
nobile che, dopo averlo reso suo erede, gli aveva svelato tutti i trucchi e
le verità di quella vita immortale, e che poi aveva raggiunto
volontariamente nella morte perpetua l'amata consorte, colei che aveva
perduto quando ancora erano entrambi mortali.
...Perchè il destino ci tenta? Perchè la vita immortale era stata donata
anche a quel nobile vecchio, il cui unico desiderio era lasciare un erede
che gli sopravvivesse?
“Forse perchè quello era l'unico modo per esaudire il suo desiderio, e
per
far giungere questo dono fino a te...” sussurrò Magia nella sua mente.
“Forse non c'è senso alcuno, come non c'è nessun senso in quello che vai
a
fare” ribattè Disperazione.
Andava ad uccidere un giovane impetuoso, un sogno che avrebbe voluto poter
toccare.
"Ma anche se ti avrò attraverso la morte?... Comunque il tuo cuore, la
tuaanima non mi apparterranno mai...".
Perchè faceva ancora così tanto male? ...quanto voleva quel giovane
arrogante...
Per anni, dopo la morte del vecchio, aveva abitato presso il suo castello,
dimenticato da quelli che erano stati i suoi parenti e dimenticando la sua
famiglia d’origine, della quale peraltro prima di andarsene, quando ancora
era solo il giovane mortale erede del Marchese, aveva prosciugato i debiti.
Là non era mai stato amato, nè aveva amato più di quanto imponesse il
dovere, o l’innocenza... finchè era durata.
Dopo non molto, cosciente del ribollire dei tempi, si era spostato e avendo
ottenuto altre terre per alcuni servigi ad un signore aveva finito per
stanziare alla corte di quello, a Modena. Lì aveva, di volta in volta,
formato una compagnia, alcuni giovani belli e vuoti che aveva affascinato
per formare il suo seguito, creando un suo piccolo, lussureggiante giardino
di giochi... tutti i suoi desideri, tutto quello che non aveva potuto
assaporare in vita... ora, anche grazie al cambiare dei tempi, poteva sempre
più permetterselo. Quando era il momento, scompariva dalla corte gettando i
suoi amanti nel dolore, per poi tornare, immutato, decenni dopo. Carte,
testimoni, dipinti... tutto dimostrava che lui era il proprio legittimo
erede, l’ultimo parente rimasto (di volta in volta il figlio riconosciuto,
o
un nipote orfano). Semplice, veloce, inattaccabile. Un paio di volte aveva
perfino pagato qualche vecchio per recitare il ruolo di vecchio Conte che
tornava a Modena per presentare il suo erede prima di morire...
E dopo qualche tempo, appena pochi attimi di lavorìo e di dimenticanza,
aveva messo gli occhi su di lui...
Erano stati anni in cui si era nutrito attraverso i duelli, diventando più
potente con le terre di coloro che sconfiggeva, quando e se gli venivano
donate dal Signore (finchè i duelli erano stati possibili), e con il
sangue.
Lo rendeva più forte, ma era pericoloso cercarlo troppo, e non gli
piacevano
i vicoli delle città, anche se lì nessuno capiva, nè si chiedeva il perchè
di tante morti improvvise.
Ci sono sempre esseri appena al di fuori della “società”, di cui il
vampiro
può nutrirsi senza destare sospetti, o domande. Questo gli aveva insegnato
il vecchio Conte. Ma non aveva mai potuto apprezzarlo, come d’altronde
neppure colui che l’aveva fatto.
Così, sfidando e sfidando senza mai perdere (come avrebbe potuto?...),
aveva
raggiunto una posizione importante, una discreta ricchezza, e si era nutrito
con una certa continuità, permettendosi di uccidere dei nobili suoi pari,
talvolta anche di bere il loro sangue, cosa che non poteva fare con i suoi
fiorellini... se li avesse colti, prima o poi qualcuno avrebbe avuto qualchedubbio. Se avesse bevuto il loro sangue, se non con la stessa attenzione con
cui ne beveva da altri nobili, prima o poi l’avrebbero raccontato a
qualcuno, e lui non voleva destare il minimo sospetto. Era una vita che
desiderava, come una droga, e temeva qualsiasi cosa potesse metterla in
pericolo.
...Col tempo, il suo mondo era forse cambiato, ma la realtà in cui si
muoveva e ciò che creava attorno a sè era rimasto sempre uguale.
E poi, lo aveva incontrato.
Ricordava quell’attimo con il suo cuore da vampiro, non avrebbe mai potuto
dimenticarlo.
Era una festa, attorno al 1597.
In quei tempi a Modena regnavano gli Estensi, nella persona del vecchio Duca
Alfonso II. Presso di sè egli aveva attirato nobili ed arrivisti, una corte
in continua lotta per il suo favore. Anche lui aveva fatto parte di quella
massa, banchetti e spettacoli e danze, tuttavia lo faceva con discontinuità
e senza impegno... non gli interessava, non poteva toccarlo che
marginalmente, perchè non voleva maggior peso nella corte, ed anzi era
sicuro di aver raggiunto la massima esposizione che sentiva di potersi
permettere, in quanto vampiro. Impegnarsi maggiormente più poteva solo
rischiare di metterlo in pericolo, o di procurargli indesiderati problemi.
Aveva invece una sua personale “corte” di favoriti, i suoi amanti o
coloro
che in quanto futuri amanti avevano i suoi favori... o pensavano di averli.
Allora tra di essi c’erano giovani nobili minori, che agognavano alla sua
approvazione e alla sua attenzione, e combattevano per esse. Il vampiro
rideva, vedendoli affannarsi inutilmente per promesse mai dette, e li
lasciava fare, perchè lo trovava divertente ed essi gli erano utili... Perchè così desiderava.
Quell’estate, il Duca aveva dato una festa a Ferrara, a cui era stato
invitato senza poter rifiutare... e così lui vi si era recato con qualcuno
dei suoi piccoli compagni. Aveva preso parte svogliatamente ai divertimenti
della corte, annoiato come non mai dopo tanti anni, e aveva lasciato che le
ore scorressero presto per lasciarlo libero.
Da qualche tempo, la sua anima era stanca ed irrequieta... aveva sperato che
alla festa qualcosa in lui o al di fuori di lui cambiasse, e invece... i
soliti rinfreschi... giochi... trame... lo annoiavano, terribilmente. Era
tutto artefatto, pesante, inutile come non mai. Le dame, che si erano
avvicinate dopo che aveva stornato lontano da sè i suoi passatempi
maschili,
impauriti davanti al suo malumore, se n’erano andate anch’esse dopo un
paio
di balli. Aveva danzato con loro, annoiato ma mostrando la sua solita
apparenza galante (merito anche di piccoli suggerimenti che aveva lasciato
cadere nel loro inconscio...), e ben presto, avendo capito che non avrebbero
ottenuto nient’altro da lui, quelle erano tornate ad altri svaghi... più
penetranti e duraturi.
Letteralmente.
Da quando si era accorto che nessuno badava a lui, era rimasto nell’ombra
ad
osservare.
Metà della sera era passata, e già iniziava a pensare che avrebbe anche
potuto andarsene ormai, quando aveva visto entrare una sua vecchia
conoscenza, un Marchese della famiglia dei Sariconi noto per i suoi imbrogli
e per la sua mediocrità; sapeva che il vecchio lo odiava, perchè tempo
prima
gli aveva strappato un giovane che ora faceva parte dei suoi amanti... un
paio d’anni, gli pareva, ma quel genere di persone non dimenticano, e poi
il
piccolo era proprio un bel bocconcino... anche se immoralmente stupido e
banale... sorrise, nell’ombra, al ricordo.
Il vecchio si era fatto quasi venire un’ulcera dalla rabbia, e aveva fatto
una figura così bassa e infelice, non sapendosi adattare alla sconfitta,
che
per un poco l’alta società dei nobili suoi pari lo aveva snobbato,
dimenticando di invitarlo alle feste, scordando la sua presenza anche quando
era tra loro.
E al vampiro non poteva che far piacere: detestava la stupidità.
Poi era stato lentamente e con sua grande fatica riammesso accanto ai suoi
pari. Ma anche se nessuno lo diceva, tutti ricordavano bene.
Accanto al vecchio si fece avanti un giovane.
Splendeva come uno smeraldo tra gli stracci: sul suo viso si leggeva una
certa noia, il disprezzo per chi lo accompagnava e l’imbarazzo assieme,
uniti alla meraviglia e alla diffidenza. Un animo acuto ed insofferente, con
labbra morbide e chiare appena accennate e carnagione lievemente abbronzata,
su cui spiccavano degli occhi verdissimi ...come limpide polle marine, o
forse uno stagno ai piedi di un salice.
Si guardava attorno un po’ spaesato, senza lasciare trapelare ad occhi
umani
il miscuglio di emozioni che lo animava. Ma il vampiro poteva toccarle con i
suoi sensi, come poteva sentire concretamente nell’aria la disperazione
che
avvolgeva il suo animo profondo: “Peggio di quello che pensavi, eh?”
Aveva voglia di toccarlo... sembrava così timido, e spaesato, ma le
chiacchiere vacue dei cortigiani non lo sfioravano minimamente... un
equilibrio raro ed eccitante, anche se non aveva anccra deciso in che
maniera lo toccava... era uno strano miscuglio di interesse intellettuale e
fisicità... non sapeva se farsi avanti e parlargli, o lanciargli un
richiamo
a cui avrebbe risposto d’istinto, senza rendersene neanche conto... non
sapeva se mostrarsi, oppure restare ad osservarlo.
E poi il vecchio Marchese lo aveva spinto avanti, provocando sul suo volto
una veloce espressione di fastidio, mentre inarcava leggermente la schiena
come per evitare inconsciamente la pressione di quella mano sulla sua vita (aaah, quella vita sottile... avrebbe voluto toccare la sua morbida carne
umana, eppure avrebbe anche voluto sprofondare in quegli occhi antichi senza
che nulla rompesse quell’attimo...). Si erano diretti verso il Signore, e
il
giovane era stato presentato. Il vampiro, senza pensare, era uscito
dall’ombra e si era diretto verso di loro.
Era a pochi passi da loro, quando il Duca li aveva lasciati per qualche
altra inezia. Entrambi si erano diretti verso una sala alla loro sinistra,
da cui proveniva la musica di un madrigale.
Il vecchio sembrava gongolare di gioia, mentre sul viso dell’altro era
dipinto un disprezzo malcelato; l’incontro era stato evidentemente troppo
per lui.
Come lo attirava, questa forza e debolezza... come un giglio e l’edera
assieme, forte e puro... lo aveva avvicinato senza accorgersene, senza poter
staccare i suoi occhi da lui... e poi, all’improvviso, il Marchese, che si
guardava attorno senza sosta, vedendolo avvicinarsi aveva sussurrato
qualcosa nell’orecchio del giovane, la cui espressione si era rabbuiata, e
che aveva girato il suo sguardo... su di lui.
Sul suo volto aveva visto sospetto, odio.
I suoi verdissimi occhi si erano spalancati, per un attimo solo, quando
aveva posato gli occhi su di lui, ma poi con un’espressione combattuta sul
viso il giovane si era voltato, e l’altro lo aveva trascinato via,
controllando alle sue spalle se qualcuno... se lui li stava seguendo.
Si era sentito... ferito. ...quell’odio... non era mai stato in buoni
rapporti col Marchese, ma questo sembrava molto peggio di uno sgarbo, e
iniziava a chiedersi cosa significasse... troppo gongolante prima, troppo
veloce nel volatilizzarsi poi... stava tramando qualcosa, di questo ne era
certo, e ora era sicuro di centrare in quel qualcosa, e non in posizione
privilegiata...
Aveva pensato di andarsene, finalmente, e di lasciarli alle loro trame...
Ma... Sentiva ancora attrazione per il giovane, e voleva a tutti i costi
sapere che cosa stava tramando il vecchio Marchese. Finalmente c’era
qualcosa da fare.
Per questo, la sua “corte” era abbastanza utile.
Rintracciò velocemente uno dei più vicini, e pian piano gli altri si
avvicinarono, come cagnolini scodinzolanti perchè il padrone non era più
arrabbiato. Quando decise che c’erano tutti o quasi, fece loro notare la
strana scena che aveva visto, e li lasciò andare con quella pulce
nell’orecchio, e con un’altra, assai più potente nella mente: niente
domande
dirette, osserva, ascolta e riferisci... e lascia cadere qua e là qualche
parola.
Ed ora, per quello non gli restava altro che aspettare... e per essere in
grado di agire al meglio... doveva nutrirsi.
Avrebbe potuto scendere in città, come probabilmente avrebbe fatto se se ne
fosse andato presto, o avrebbe potuto cercare qualche disgraziato attorno
alla villa, ma quel giorno tutto questo lo disgustava... aveva ancora negli
occhi una visione allettante... ed irraggiungibile, per ora... allora decise
di saziarsi con alcuni dei nobili presenti, un paio di prede sarebbero
bastate. Nobili già ubriachi che, una volta rifocillatolo, avrebbero
passato
la notte sotto qualche baldacchino in giardino, dando all’alcool la colpa
per strani ricordi imprecisi di qualcuno che li abbandonava nella notte
senza che essi potessero muoversi, e per la debolezza che avrebbero poi
provato, il giorno seguente.
Rischioso, ma più che accettabile, soprattutto visti la dimensione della
villa e la quantità di nobili (e anche nobildonne) che ormai vagavano
ondeggiando e sbandando in giro, senza una meta precisa. Aaah, piccola
umanità!
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