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Nel castello della Gilda parte II di Fiore di Girasole
Claus era di nuovo solo. Alvis era tenuta prigioniera in un’altra stanza, sempre se Delphine non stava ancora cercando di ottenere da lei l’ultimo mysterion. Dio era forse ancora come ipnotizzato a pensare a chissà cosa – sicuramente stremato psicologicamente dall’iniziazione del giorno prima –, e lui naturalmente non riusciva ad approfittare di quel momento di “tranquillità” per sentirsi davvero un ospite. In effetti lì era l’unica persona fuori posto, l’unica priva di utilità per chiunque, tranne per Lucciola e Dio, se avesse potuto aiutarli a salvare le proprie vite. Pensando ciò si distese sul letto, aspettando che qualcuno si facesse vivo con lui perché quel senso di solitudine e d’impotenza erano davvero asfissianti.
Ancora una volta avvertì una morsa stringergli il petto e il volto rigarsi di lacrime mentre i ricordi gli ritornavano prepotenti davanti agli occhi. Gli mancava il Dio che aveva imparato a conoscere in quel lungo periodo passato assieme a lui sulla Silvana; gli mancava il Dio egoista e fiero dei primi giorni, il Dio provocatore, coraggioso ed abilissimo pilota che non disdegnava mai una sfida e che, da vero sportivo, non era affatto triste quando perdeva poiché dava il massimo e se perdeva significava che il suo avversario gli era davvero superiore; e gli mancava anche il Dio burlone, pieno di curiosità e di voglia d’imparare da tutte le situazioni; il Dio sensibile ed affettuoso che lo chiamava Immelmann, capace di piangere di commozione per i semplici regali di compleanno offertigli da Alvis, Lavie e da lui (rispettivamente: una torta fatta con le proprie mani, una borraccia con della prima acqua ed i suoi occhiali da pilota) e che pochi giorni prima gli aveva detto “Noi siamo come due stelle cadenti. Immelmann, diventa stella cadente assieme a me!” per poi dire a Lucciola “Mi sa che stavolta sono proprio riuscito a farmi odiare…” Il ragazzo sorrise e per qualche istante dimenticò le brutte vicissitudini di quegli ultimi giorni. Dio gli aveva detto quella frase in un momento in cui lui aveva molto da fare e poi non ci aveva più pensato. Chissà cosa intendeva dire: ogni tanto sapeva essere anche una sorta di poeta ermetico. Claus ricordava che si girò dall’altra parte senza dargli molta attenzione perché gli era sembrato un tipo infantile che invece di capire quanto c’era da lavorare stava pensando a filosofeggiare in quel modo così particolarmente suo. Però è vero pure che Dio, capendo l’antifona, si rimboccò le maniche e se finirono in fretta di sistemare la vanship fu proprio grazie al suo aiuto. Era migliore di lui anche come meccanico.
Dio dava l’idea di sentirsi superiore agli altri, ma ormai lo faceva solo per scherzo. Da quando si erano conosciuti, era rimasto talmente folgorato dalla bravura di Claus da vedere in lui un esempio da imitare. Però in realtà, tantissime cose lasciavano intuire che era davvero lui il migliore, Claus lo era solo come pilota. Ma nessuno se n’era mai accorto. Era Dio la persona con l’animo più nobile che avesse mai incontrato, l’unica persona incapace di mentire o nascondere i suoi pensieri, sempre pronto a dare il massimo, e nonostante ciò affermava che era Immelmann il migliore. Anche gli altri s’impegnavano al massimo con le proprie forze, ma lo facevano più per sentirsi apprezzati o per autostima, lui invece era sempre spontaneo e sorridente anche nell’obbedire agli ordini. Ecco un altro motivo per cui lui era il migliore: aveva dimostrato di saper essere anche umile, lui il secondogenito degli Eraclea, la famiglia più importante delle quattro casate nobiliari ed a capo della Gilda, futuro Maestro della Gilda (in un certo senso la persona che poteva decidere la sorte dell’intero Pianeta), aveva accettato, pur di stare con Claus e il suo amico e consigliere Lucciola, persino di obbedire agli ordini di Alex e di tutte le persone che avessero un qualunque grado sulla Silvana, anche agli umili meccanici...
“Chissà come mai mi è tanto affezionato” pensò il giovane pilota. Certo erano amici, ma l’affetto di Dio nei suoi confronti era alquanto particolare, sembrava persino più sincero di quello di Lavie, la sua amica d’infanzia e stranamente la cosa lo rendeva felice. Anzi il pensiero di Dio gli dava serenità. Prima o poi, ne era sicuro, sarebbe riuscito a fargli riacquistare la memoria e non avrebbe mai più permesso a Delphine di fargli del male anche a costo della vita: Dio era il suo punto di riferimento, non poteva affatto perderlo o rinunciare a lui. Ed avrebbe accettato qualunque tortura e qualunque umiliazione pur di riportarlo sulla Silvana dove forse Reciuse, il capo-macchinista avrebbe saputo aiutarli, essendo stato in passato anche lui un membro della Gilda. :- È vero! Lui è riuscito a fuggire da qui, dev’ esserci un modo anche per noi. Spero che Lucciola sappia già cosa fare.
Ma Lucciola stava tardando, così decise di andare a cercarlo lui. In fondo, come diceva Delphine, era pur sempre un ospite, anche se avrebbe potuto farlo fuori tranquillamente. Eventualmente avrebbe risposto “Ho pensato che sarebbe maleducazione rifiutare l’ospitalità, così ne approfittavo per fare un giro nel castello, facendo come se fossi a casa mia.” Non lo avrebbero certo ucciso per questo?
Continua…
Che ne dite: sta diventando un po’ più yaoi? Questa seconda parte è piuttosto breve, ma non posso aggiungere qualcosa giusto per riempire fogli. È venuta fuori esattamente come desideravo. Vorrà dire che svilupperò maggiormente il seguito. Ho intenzione di passare all’azione…
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