Alle amanti di Kogure e Mitsui.

A chi mi aveva chiesto di fare una fic su di loro.

A Toby, che ancora mi sopporta. Per ogni scodinzolio.

Alla mia Coda di paglia, perché adoro quando fa le fusa.

A Hymeko, Naika, Nausicaa, Cioppys e a tutti i ff writers

                                              che mi hanno fatto ridere o commuovere con una furry.

 


My fidelity 9

by elyxyz


POV di Kogure.  

 

Appena esco dal cancello, me lo ritrovo davanti.
E lui mi guarda, come se vedesse un’apparizione.

Gli sorrido impacciato, non so come comportarmi.
E lui si riscuote dal suo torpore, venendomi incontro.

Mi abbraccia forte, quasi con disperazione.

“Mi sei mancato.” mi sussurra all’orecchio.

Il cuore mi batte forte. rischia quasi di scoppiarmi fuori.

Ma, poi, realizzo che, a lui, è mancato il suo migliore amico, non il suo cane.

“Anche tu…”

Ci separiamo, e solo ora noto i suoi occhi lucidi e rossi.

Vuole fare il duro, ma ormai ha dimenticato come si fa.


Cosa dovrei dirti, adesso?
Cosa ti aspetti che faccia??


“Sto andando dalla signora Ikeda, vieni con me?” chiede con un tono triste.

“Certo che vengo….” – lo rassicuro- “Mi spieghi che cos’hai?!”

Kami!... quanto mi sento falso.

“Non ora… facciamo dopo, ti spiace?!” taglia corto lui.

“Ok.” Tanto… la conosco fin troppo bene, la storia.

Hisashi suona il campanello, e la dolce vecchina si affaccia sulla porta, aprendoci il cancello.

“Come sta, Ikedasan?” chiede premuroso lui.

“Mitsui-kun, Kogure-kun!! Venite dentro…” ci accoglie festosa.

Ma sia lui che io, notiamo quanto sia affaticata la vecchietta, e quanto il suo malore abbia inciso su di lei.

“Non la vorremmo importunare, ho solo una domanda da farle, poi toglieremo il disturbo…” spiega Hisachan.

“Dimmi…” è la curiosa risposta.

“Per caso, oggi qualcuno è venuto a riprendere un cane che le è stato affidato?” il suo tono non cela una certa tensione, mista a speranza.

“Stamattina…” - replica lei- “Due cani e un gatto, mi sembra. Un padrone è tornato da un viaggio di lavoro, e una famiglia da una vacanza…”

“Mi sa dire di che razza erano i cani?” si informa.

“Oh, no!... mi spiace, ma non me ne intendo di queste cose… non ci bado… gli animali ti danno affetto, a prescindere dal pedigree.” chiarisce convinta.

“Lo so.. lo so… ma era importante…” ritenta lui.

“Mi spiace, figliolo, ma se n’è occupata mia sorella, perché io dovevo riposare… e qui c’è sempre un gran via vai… ricordo solo che uno era nero, piccolino. E l’altro era color champagne, a pelo lungo, una bestia buonissima…. Ma potrei anche confondermi… sai… la mia testa comincia a fare la capricciosa, alla mia età…” si schernisce.

Noi due cerchiamo di sdrammatizzare e, ringraziandola, ce ne andiamo.

Sembra lievemente più sereno, dopo quello che ha sentito.

Entriamo in casa.
Sua madre è seduta al tavolo della cucina, triste anche lei.
Non l’avevo mai vista con quest’espressione addolorata, da che Hisashi ha ripreso a comportarsi bene.

La sua buona educazione le impone comunque di salutarmi e di chiedermi come sto.

Le rispondo in modo garbato, ma conciso.

Questa cucina sembra un altro mondo, ora.

 

Le mie ciotole sono ancora lì, a lato del frigo.

Ogni tanto il loro sguardo ci scappa sopra, per poi distogliersi, con rammarico.

Davanti ad un tè, per me oggi troppo amaro, mi ragguagliano sugli eventi dell’ultima settimana.

E io me ne sto zitto, annuendo.
Ripercorrendo tutto, ma alla luce dei loro occhi, stavolta.


E realizzo di aver lasciato un segno, in questa famiglia.

Un solco profondo.
E che, sorprendentemente, nessuno mi ha ancora accusato di averli abbandonati.

Sono tristi. Certo.
E sono preoccupati per la mia sorte.

Ma nessuno dei due ha pronunciato parole cattive, verso la mia ingratitudine.

Forse, i loro cuori hanno capito più di quanto le loro menti siano ancora pronte ad accettare, chissà.

Io cerco di rassicurarli, per quanto possibile….

Ma non è facile nemmeno per me.

Vorrei gridare che sto bene, che sono qui, che non li ho abbandonati.
Non per mia scelta.
 

E invece mi tocca starmene zitto.
Masticando il loro dolore, e il mio.

Sono già le quattro passate.

Sua madre si rialza dalla sedia, scusandosi.
Dice che la casa va mandata avanti.
Che ha da fare.

Ma sappiamo bene entrambi che è solo una scusa.
Per occupare la mente, per non pensare.

“E tu non hai un appuntamento?” chiede al figlio.

Hisashi sembra ricordarsi improvvisamente della Mishima.

“Sì, ma…. Non ho molta voglia di andarci….” borbotta lui.

“Invece tu ci vai!” mi intrometto io.
Per la prima volta in vita mia, ho la certezza di far la cosa giusta.

I due mi guardano, sorpresi dalla mia veemenza.

Arrossendo per la mia audacia, corroboro la mia iniziativa:

“Restare qui non ti serve a nulla, e non ti aiuta di certo.
Invece, uscire, potrà farti distrarre, perché tanto le cose non cambiano….

Non puoi stare qui ad aspettare il tuo cane.
Forse, probabilmente, non tornerà più.

So che, in questo momento, sei infelice e abbattuto, ma se gli hai voluto bene, dovresti sapere che ai cani le persone tristi non piacciono.
Non ti vorrebbe vedere così.

Quindi vai a cambiarti, ed esci a svagarti… è la cosa migliore.”


Lui ha ascoltato la mia ramanzina in silenzio.
Ma ora annuisce, perché si fida delle mie parole.
Anche sua madre assentisce, con un cenno del capo.

Io gli sorrido, ottimista.


Mi trascina in camera sua, mentre si prepara.

C’è ancora del pelo mio, sul tappeto.

Ma col tempo ogni traccia del mio passaggio sarà cancellata.
Solo ora mi accorgo che non abbiamo scattato neanche una foto.

Meglio così.
Preferisco rimanere nei suoi ricordi.


“A che ora è l’incontro?” chiedo curioso.

“Fra mezz’ora, davanti al Blue Sky” -spiega lui.- “Esco con la Mishima , della 2^ B…” cerca di farmi un quadro generale della situazione.

“La conosco, fa parte come me del comitato sportivo dello Shohoku…”

“Ah. Non lo sapevo…” è sorpreso.

Ci sono tante cose che non sai…

“E’ una cosa seria?” devo capire, per farmene una ragione.

“E’ presto per dirlo… ma potrebbe diventarlo.” e arrossisce, imbarazzato e gongolante.

“Il solito rubacuori….” lo punzecchio divertito.

“Lo sai che ho smesso di fare stronzate… non voglio una storia di sesso.” ribatte, falsamente offeso. 

“Se hai bisogno di qualcosa, di qualunque cosa, sai dove trovarmi.” Glielo dico col cuore in mano.

Mi sorride. Non servono parole tra noi.
So che ha capito.


Sua madre bussa, ed entra col cesto della biancheria stirata tra le mani.

“Vuoi indossare i pantaloni beige per dopo?” suggerisce premurosa.

Lui rifiuta, gentilmente, prendendo in mano i capi piegati che lei gli porge.
“Ho scelto…” fa per spiegare lui.

“Jeans scuri e camicia nera a strisce azure shimmer. E’ la decisione migliore.” -Lo precedo.-“Io non avrei saputo scegliere di meglio.” Concludo, indicandoli appesi all’anta dell’armadio.

Ocaasan annuisce concorde.

E lui è felice di aver ottenuto l’imprimatur da entrambi.


“Ho trovato questa, in giardino.” -Riprende poi la padrona di casa.- “La tieni tu?” chiede, mostrando la spazzola che lui ha comprato per me.

“Mettila con le ciotole in garage.” risponde, distogliendo gli occhi dai ricordi dell’altra sera.

La tristezza è ritornata prepotente tra noi.

Ocaasan è restia ad abbandonarci così, dopo aver, seppur involontariamente, riacceso lo sconforto.

Prendendo fiato, o forse solo coraggio, fa per incamminarsi verso l’uscita, ma poi sembra ripensarci, e posa lo sguardo materno sul figlio:

“Ricordi cosa ci siamo detti il primo giorno, in veranda?”

Lui ci pensa un po’ su, poi annuisce.

“Forse ha finalmente trovato la sua ‘persona speciale’.” è il suo responso.

“Già.”  è una magra consolazione, ma è pur sempre un inizio.

Oppure ha solamente appena smesso di cercarla…
Ma non posso dirlo a loro, tutto questo.


“Si sta facendo tardi!” lo incito.
E in breve siamo entrambi fuori di casa, davanti al cancello, pronti a separarci.

“Poi, dimmi come è andata, ok?!”

“Puoi giurarci… ti aspetta un resoconto dettagliato quasi in tempo reale…” ghigna.

“Risparmiami i particolari, ti prego…” protesto indignato.

“Neanche mezzo!!” è la malefica risposta.

Il mio sguardo mezzo esasperato e mezzo complice lo sta mettendo di buonumore.
Per fortuna.

“Ti chiamo stasera!!” urla, mettendosi a correre.

“Ok!” concludo salutandolo, sventolando una mano.

Adesso puoi smettere di fare l’amico, Kiminobu.
Togliti quel sorriso falso dalle labbra.

Sei felice per lui.
Sinceramente.

Ma non puoi impedirti di soffrire almeno un po’.
Non sei perfetto.
I miracoli non li sai fare.


Potrei andare da Akagi, ora, a sentire una rassicurante ramanzina da parte sua, sulla mia sparizione improvvisa, e poi andare con lui al campetto….

… oppure potrei andare da Rukawa a farmi coccolare un po’…. -Un ghigno mi sfiora le labbra.- ma non ho così tanta fretta di diventare lo scendiletto di Sakuragi...

Me ne tornerò a casa, e la pulirò da cima a fondo; penso che troverò gli elefanti, in frigo…

E’ la mia considerazione, mentre svolto l’angolo che porta a casa mia.

Senza nemmeno sapere come, mi ritrovo a terra.

“Senpai Kogure!!! Oh, Kami!... scusami.. sono mortificato!!!”

Davanti a me sta un ragazzo, probabilmente mio coetaneo, che si sta profondendo in mille scuse e inchini.

Io mi risollevo lentamente.

“Ti sei fatto male??” chiede ansioso.

Con una mano mi massaggio i glutei, arrivando a sfiorare il coccige indolenzito, dove, meno di 24 ore fa, c’era la mia coda.
Sono un po’ scombussolato, non lo nego.

“No… no… solo qualche ammaccatura…e tu piuttosto??” è il mio turno di dimostrarmi preoccupato, indicandogli la fronte.

Ha un piccolo taglietto sulla tempia destra, da cui esce un rivoletto di sangue.

“E’ una sciocchezza!!” -si schernisce con un sorriso. –“Mi spiace di esserti venuto contro.. stavo correndo e non ti ho visto…” si giustifica.

“Anche io, quindi siamo pari…” è la mia soluzione conciliante.

Mi sorride di rimando, felice che io non ce l’abbia con lui.

Ha un viso vagamente conosciuto, ma ignoro chi sia.

Lui sembra notarlo, perché si presenta, chiedendomi come sto, visto che non mi vede da una settimana agli allenamenti.

“Non sapevo che venissi a seguirli…” dichiaro, sinceramente stupito.

E lui arrossisce un po’, balbettando una risposta che sa tanto di scusa.


“Bene, Ayano-kun… allora ci vedremo lunedì, in palestra!” concludo cordiale.

Sembra quasi che gli brillino gli occhi, mentre mi saluta con un grande sorriso:

“Non mancherò!”

Sa tanto di promessa, questa affermazione.


“A lunedì.” Ripeto.

“Sì.” E sorride di nuovo, avviandosi per la sua strada.

Forse per lui, oggi, è una bella giornata, chissà.

E mi allontano anche io. Stranamente, le parole della signora Mitsui mi tornano in mente.

Forse Ayano sta andando incontro alla sua ‘persona speciale’.


…continua.

 

Disclaimers: Kogure, Mitsui, Hana e Ru non mi appartengono, purtroppo…
Un grazie a N, per averla corretta, malgrado i tanti impegni…
Un abbraccio a Mel, che ha atteso paziente.

NOTA: a titolo informativo, l’uso delle lettere maiuscole, delle minuscole e la punteggiatura in generale di questa fic, non sempre rispetta le regole imposte dalla Lingua Italiana. E’ una scelta consapevole, la mia, per assecondare una sorta di armonia interiore.... chiamatela “licenza poetica”, oppure ignoratela....

Se decidete di mandarmi C, C & C, mi trovate al solito divano blue navy: elyxyz@libero.it


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