Today is Ria Day...buon compleanno Ria!!!

Messo così il titolo non ha senso…
Ma invece ha un suo scopo preciso…
Un giorno ve lo dirò ^^
Intanto…
Disclaimers: e che due balle!
Lo sanno anche i criceti con la voce di Davide Garbolino che i psg sono di Take-chan e non miei, tranne quel CAPULLO del padre di Kaede che è solo mio (miiii, checculo! -.-)
Dediche: a Ria per il suo compleanno^^
Note: tutto in terza persona, abbastanza singolare (spero), ma niente di che!

Fatemi sapere come sempre!

Marty



Multiple choice

di Marty

Il telefonino squillava insistentemente, ma lo ignorava.
E ignorava anche gli sguardi infastiditi della gente che lo guardava fingere di non sentire il trillo penetrante che sembrava rimproverarlo per quella falsa indifferenza che ostentava.
Già, falsa.
Perché dentro gridava di dolore.
Cosa aveva fatto per meritare una sofferenza simile?
L’improvviso silenzio calato nella caffetteria dov’era seduto non lo illuse neppure per un istante.
Figurarsi se si sarebbe arreso.
E infatti tempo cinque secondi il trillo riprese, e gli sembrava più nervoso e irritante di prima.
Con un sospiro sfilò la moppola e prese dalla tasca il minuscolo cellulare che si agitava vibrando come indemoniato..
Senza fermarsi pigiò il bottoncino verde e avvicinò l’oggetto all’orecchio.
Sapeva cosa c’era dall’altra parte.
Un silenzio tagliente e risentito.
“Non ti azzardare a rifarlo” sibilò l’interlocutore.
“A cosa ti riferisci?” rispose lui con finta sorpresa.
“Non fingere con me, non ti è mai riuscito” udì di rimando.
“Questo lo dici tu” la nota ironica che pervadeva quella frase dovette colpire parecchio chiunque fosse all’altro capo, dato che questo rimase in silenzio per alcuni istanti.
“Perché mi parli così” chiese flebile “ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“Qualcosa?!” sbottò il rossino alzandosi di scatto e rovesciando il tavolo a cui era seduto.
“Qualcosa?
Credi che rovinare la mia vita sia soltanto ‘qualcosa’?
Impedirmi di essere felice secondo te è ‘qualcosa’?
Oh, forse ti riferisci alla finzione continua, allo sgattaiolare fuori da casa tua prima che sorga il sole per evitare di essere fotografato, al mentire al mondo intero sul tuo essere…”
“Basta, ti prego” lo fermò l’altro con voce affranta “calmati adesso…
La gente…”
“Ma certo!
Come ho fatto a non pensarci!
Ti preoccupavi di quello che potevano pensare gli altri!
Ma cosa vuoi che me ne freghi?
Quando non posso neanche guardarti negli occhi, prenderti per mano, essere orgoglioso di averti al mio fianco…” la voce si sgranò in piccoli singhiozzi repressi.
“Quando non posso neanche sfiorarti…
Sei così vicino eppure…
Non ti ho mai sentito tanto distante.
E non ce la faccio.
Ho bisogno di un amore vero.
Sembra che tu non possa o non voglia, vero?
Lasciami in pace allora, una buona volta.
Lasciami ricostruire la mia vita.
O per dirla ancora più semplice: lasciami.”
I secondi, scanditi da un grosso orologio a pendolo, passavano lenti.
“No…” il sussurro gonfio di disperazione che raggiunse il suo padiglione auricolare lo scosse nel profondo.
“Ti prego, non farmi questo. Non lasciarmi, io…non posso vivere senza di te.”
Un sorriso amaro piegò le labbra di Hanamichi.
“Ma neanche CON me, a quanto pare, o mi sbaglio?
Se mi sbaglio, vieni qui.
Cercami.
Siediti accanto a me, o di fronte, se preferisci.
Ripetimi queste parole guardandomi negli occhi.
Non ti chiedo un bacio, non ti chiedo di prendermi per mano.
Ti chiedo solo di dirmi che hai bisogno di me quando posso risponderti.”
Il rosso aspettò.
Il respiro del ragazzo che amava era l’unico suono che lo raggiungeva.
E faceva male.
Lentamente si alzò risoluto.
Aveva gli occhi lucidi, ma si impose di trattenersi.
Altrimenti sarebbe ricominciato tutto daccapo.
Come la volta precedente.
E quella prima.
E quella prima.
“Dove…dove vai?” chiese allarmato l’interlocutore.
“Me ne vado.
A casa MIA.
E stavolta sul serio.
Addio.”
E con passo fermo e misurato si avviò all’uscita.
Strinse le dita intorno alla maniglia e, mentre apriva la porta, fece vagare lo sguardo sulla sala della caffetteria per poi voltarsi ed uscire.
La porta a vetri si richiuse alle sue spalle con un tintinnio argenteo.
Il ragazzo si accasciò come svuotato, cercando invano di reprimere i singhiozzi che gli schiantavano il cuore.
“Goumen nasai, koi” balbettava “goumen nasai…”
Tra le dita stringeva ancora il simbolo di quello che li aveva tenuti uniti fino a quel momento.
Un simbolo che riaccese in lui la speranza quando s’illuminò di rosso, il colore abbinato al suo numero.
Gli tremavano, quelle dita, quando aprì lo sportello frontale e disse “Goumen, Hana-kun!
Sapevo che mi avresti perdonato!
Ti prometto che cambierò, che cercherò di essere più…”
“Solo una cosa” il tono freddo che gli ferì l’anima non fece minimamente caso a quel discorso.
“Non mettere più quel maglione bianco, Kaede, ti prego.” E con questo la comunicazione fu interrotta.
In stato di shock, il moro si guardò intorno smarrito e confuso.
Nessuno si era accorto di nulla.
Gli stessi clienti.
Lo stesso odore di arrosto e caffè.
La stessa aria fumosa ed accogliente di sempre.
Ma era buio, perché il suo sole non c’era più.
Kaede si tolse gli occhiali scuri per un istante, cercando di asciugare la lacrima che ribelle cercava di percorrergli la guancia.
In quel momento la ragazza del tavolo accanto si girò e lo vide.
Capelli neri e setosi…
Occhi blu cobalto…
Era lui!
Allungò una mano e gli diede un colpetto sul braccio, dicendo “ehi, ma tu non sei…” ma il moro non le lasciò finire la frase, si alzò ed uscì quasi correndo prima che qualcun altro lo riconoscesse.
“È successo qualcosa, signore?”
Chiese il suo autista, quando Rukawa entrò precipitosamente in macchina come stralunato.
“Portami a casa” rispose atono il figlio del Primo Ministro “portami a casa.”
“Obbedisco, signore” disse l’anziano servitore mettendo in moto.


C’era riuscito!
Questa volta era riuscito davvero a tagliare i ponti con lui.
Era finita.
Si strinse le ginocchia al petto appoggiandovi la fronte, lasciando finalmente le lacrime libere di scendere.
Ma perché, perché lo doveva amare tanto?
Perché non riusciva ad odiarlo come una volta?
Chiuse gli occhi, ricordando quello che era successo in quel periodo che, per quanto breve, aveva completamente sconvolto la sua vita.

“Suki da, Rukawa.”
“Suki da, Sakuragi.”
Bacio da film, spiaggia deserta infuocata dagli ultimi raggi del sole che tramontava.

Avrebbe dovuto essere così, o almeno, questo era il sogno che custodiva gelosamente.
Ma le cose andarono in modo leggermente diverse.
Il giorno in cui Hanamichi aveva deciso di confessare i suoi sentimenti a Kaede, una notizia a ciel sereno data da Ryota prima degli allenamenti: la famiglia Akagi se ne andava.
Non si sapeva dove, o perché, ma era una cosa definitiva.
Gli occhi gli si spalancarono.
Non poteva, non voleva crederci.
Il suo capitano…
Sì, è vero che non lo era più ormai, ma nel suo cuore lo avrebbe sempre considerato tale, era la persona che gli era stata più vicina, che gli aveva sempre voluto bene.
E Haruko…
Anche se i suoi sentimenti per lei erano ormai pressoché fraterni, non poteva immaginarsi senza di lei.
Quindi prese e corse via, lasciando tutti con un palmo di naso, soprattutto Rukawa, che sentì una fitta al cuore.
Aveva deciso di parlargli, di dirgli quello che provava per lui, quel giorno…
Ma che speranze poteva avere?
Lei era più importante.
Lei veniva prima.
Sarebbe SEMPRE venuta prima.
Scosse violentemente la testa, e poi si concentrò caparbiamente sull’allenamento, per non pensarci.
Quando Hanamichi tornò in palestra, correndo, lo trovò addormentato sotto la doccia.
Sì, in piedi, con l’acqua che lo accarezzava gentile mischiandosi a quelle lacrime sconosciute al rossino, che però col cuore pieno di tenerezza lo prese in braccio avvolgendolo in un bianco asciugamano di spugna e lo sdraiò sulla panca dello spogliatoio frizionandolo delicatamente.
Non voleva svegliarlo, ma neanche che si prendesse un’influenza.
Per la prima volta non era turbato, agitato, nervoso o, cosa davvero bizzarra, eccitato dall’averlo così arrendevole ed indifeso.
Era innamorato, quel pomeriggio l’aveva capito.
E ora aveva bisogno di trasmettergli quel sentimento tenero e pulito che traboccava da ogni parte di lui.
Gli accarezzò le guance con un dito, seguendo il suo profilo, soffermandosi sulle labbra rosee e poi ravviandogli i capelli corvini e liberandone la fronte.
Com’era bianca la pelle di Kaede a confronto con l’ambra caramellata delle sue mani…
Si chinò un po’ verso di lui, ad ammirare gli impercettibili movimenti delle sue sopracciglia e della sua bocca, indice sicuro di un incubo.
Era così rapito da quello spettacolo che non si accorse dell’imminente risveglio del volpino che, ancora mezzo addormentato, sdraiò una gamba dandogli un poderoso calcio là dove fa più male, e proprio mentre Hanamichi si accasciava dolorante balzò a sedere di scatto scontrandosi senza preavviso con la zucca dura del suddetto rossino.
Un sonoro KONK rimbombò per la palestra.
I due, intontiti e doloranti, si appoggiarono uno all’altro per rialzarsi.
Ma, traballanti com’erano, finirono con il cadere nuovamente l’uno sull’altro.
Si fissarono negli occhi per istanti infiniti, poi Kaede sorrise dolcemente ed appoggiò il capo nell’incavo della spalla di Hanamichi.
“Goumen” disse in un soffio contro la sua pelle.
Dopo un istante di estatica sorpresa ed incredulità, le forti braccia del ragazzo lo strinsero al petto.
“Ho la testa dura” rispose questo sorridendo di rimando.
“Talmente dura che riuscirò a conquistare il tuo cuore, algida kitsune, perché sono innamorato di te e mi appartiene!” aggiunse, arrossendo ma con voce ferma.
Kaede, che ancora cercava di assimilare il binomio do’hao-abbraccio ed era stato pericolosamente colpito dal binomio do’hao sorriso, venne decisamente messo KO dal binomio letale dichiarazione-rossore.
“Ma è già tuo” rispose quindi con tutta la semplicità di un ragazzino di sedici anni.
“E quando pensavi di comunicarmelo, eh, baka?” gli disse scherzosamente Hanamichi arruffandogli i capelli umidi mentre lo stringeva di più.
Era iniziato tutto così.
E per un po’ erano anche stati felici.
Ma poi…
Rukawa padre era stato scelto per rappresentare la sua coalizione alle elezioni come candidato alla Presidenza dei Ministri, e aveva obbligato il volpino a cambiare scuola e a smettere di giocare a basket, a seguire un corso per giovani imprenditori e, soprattutto, a frequentare la gente giusta.
Hanamichi non rientrava ovviamente in questa categoria.
Non per questo si erano lasciati, comunque, neanche dopo che il padre di Kaede era stato eletto.
All’inizio dovevano solo stare attenti, nessuno conosceva il moro e quindi non era importante che si nascondessero, ma poi con l’elezione del padre Kaede si ritrovò ovviamente al centro del jet set a livello mondiale.
Viaggiavano molto, e le rare occasioni in cui i due innamorati riuscivano a vedersi dovevano adottare espedienti per evitare che qualcuno potesse vederli insieme.
Espedienti come quello.
Nello stesso locale.
Seduti schiena contro schiena.
Ma parlarsi con un freddo apparecchio, senza potersi neppure guardare in faccia.
Ci aveva provato, Hanamichi, ci aveva provato.
Non ce l’aveva fatta.
E così l’aveva lasciato.
Era stanco di litigare, di vederlo tornare a scusarsi e a dire che sarebbe cambiato.
Non cambiava mai.
Teneva troppo a suo padre.
Questo era il motivo che faceva scoppiare la maggior parte delle liti.
La sua cieca obbedienza a un uomo che si era disinteressato di lui per quindici lunghi anni, mandandogli solo i soldi che potevano servirgli e qualcuno ogni tanto che controllasse se era ancora vivo.
Ma in campagna elettorale, avevano detto i suoi sostenitori, l’immagine di una famiglia unita aveva più impatto.
E così Rukawa padre era riapparso nella vita di suo figlio, riappropriandosene all’improvviso e senza chiedere.
Ma Kaede ne aveva sentito così tanto la mancanza che la gioia immensa che gli dava il riaverlo accanto valeva bene qualche sacrificio!
Il problema sorse quando, con il passare del tempo, i sacrifici diventarono un prezzo esorbitante da pagare, soprattutto per Hanamichi.
Ed eccoci al presente.
Qualche giorno prima di quello cui abbiamo assistito, il rossino era diventato capitano della nazionale di basket, ed era quindi andato tutto baldanzoso dal padre di Kaede per chiedergli il suo beneplacito, visto che avrebbe guadagnato più o meno quanto lui e sarebbe stato in vista anche di più.
Ma la risposta dell’uomo lo aveva spiazzato.
“Se uno sportivo è una lurida checca a chi vuoi che importi?
Ma mio figlio non lo è.
E non lo sarà.
Almeno per il mondo.
Se poi nell’intimità preferisce fottersi te che una modella o una ballerina, bah, problemi suoi, anche se –devo dire- ha davvero dei gusti pessimi.”
E con un risolino sardonico aveva ripreso a lavorare, come a fargli capire che il tempo a sua disposizione era finito.
Hanamichi aveva stretto i pugni fino a farsi penetrare le unghie nei palmi per calmarsi, e poi era uscito dall’ufficio.
Quella sera ne aveva parlato con Kaede.
Quando aveva letto nei suoi occhi il panico e la confusione, non ci aveva visto più e lo aveva colpito con un pugno.
“Non dirai niente neppure questa volta!”gli aveva gridato in faccia.
“Te ne starai lì, zitto e sottomesso, vero?
Lascerai che sputi sul nostro amore senza nemmeno provare a impedirglielo!”
Erano finiti a picchiarsi selvaggiamente, anche se in realtà Kaede non aveva fatto altro che difendersi.
Sentiva di meritarsi quel trattamento.
Ma non se la sentiva di perdere di nuovo il padre che aveva rimpianto per tutti quegli anni.
Non era il migliore, ma era l’unico che aveva.
Fu proprio questo che spinse Hana a lasciarlo, il giorno successivo.
Ma fu anche questo che per la prima volta diede modo a Kaede di ragionare a mente fredda e mettere a fuoco le cose nel modo opportuno.
Hanamichi gli aveva voluto bene subito, dal primo momento, nonostante il carattere intrattabile e tutte le incomprensioni, e lo aveva sempre appoggiato.
In tutti i momenti importanti della sua vita, era stato con lui.
Suo padre…
Lo aveva messo al mondo.
Gli aveva dato il denaro per vestirsi e tirare avanti.
Ma come avrebbe potuto tirare avanti senza il do’hao?
Come avrebbe potuto crescere davvero senza saper sorridere?
Semplicemente, non avrebbe potuto.
Questo gli chiarì una volta per tutte come stavano le cose, e la decisione era già salda nel suo petto ancora prima di essere presa.
Ci mise tutto l’anno che gli mancava per diventare maggiorenne a raccogliere il coraggio necessario per un simile passo, ma stare senza Hanamichi era come vivere senza occhi, orecchie, ossigeno.
Non era possibile.
E poi, ormai, era un adulto.
Doveva cominciare ad agire e pensare come tale.
Riempì un borsone di vestiti, mise in una tasca il suo lettore cd e la sua collezione di musica e nell’altra tutto quello che voleva portare con sé.
Poi entrò nel grande salone dove il padre stava fumando un sigaro seduto alla sua scrivania di noce.
Questo alzò appena gli occhi dai fogli che aveva di fronte, lo squadrò da sotto in su e poi con tono indifferente chiese “Vuoi fare il frocio a tempo pieno?”
Kaede si sentì ribollire il sangue nelle vene, quando lo sentì pronunciare una frase simile.
Si diede dell’idiota per non aver capito quanto Hanamichi potesse essere rimasto ferito da un comportamento come quello.
Tuttavia, mantenne la sua impassibilità e rispose caustico“Già, quindi vorrei mi facessi il favore di cancellarmi dalla tua lista di auguri di Natale.”
“Come se ci fossi mai stato” sibilò l’uomo furioso.
“Ma sappi che non avrai più un centesimo da me, e che me la pagherai per questo, maledetto ingrato!”
Ormai però il volpino era libero, aveva spalancato le ali ed era pronto a volare tra le braccia del suo amore.
“Hn” gli concesse come saluto.
Poi, il suono dei suoi passi si spense sul selciato.


“Ah-ah.
Ok.
Senti, ho detto che va bene, no?
Eddai!
Vedrai che non mi dimentico!
Sì, dopodomani alle cinque…
Ci sarò.
Ma ti ho detto che ho capito!
Su, non sono poi così svanito…
D’accordo, un poco sì, ma comunque…
Va bene, va bene, a domani!
E non preoccuparti sempre!
Buonanotte…”
Hanamichi chiuse la comunicazione con un sorriso.
Chissà, si ripeteva.
Chissà.
In quel mentre suonarono alla porta.
Andò ad aprire baldanzoso, sperando fosse un amico a cui poter raccontare le ultime notizie e a cui chiedere quelle che gli mancavano.
Ma non era pronto a vedersi davanti Lui, ancora più alto di come lo ricordava, e così pallido che gli occhi sembravano immensi.
Aveva un grosso borsone fra le mani e uno zaino da campeggio sulle spalle.
“Ciao, Hana” esordì il moro con un sorriso un po’ tirato.
“Sono uno stronzo.
Posso entrare?”
Era così sconvolto che non riuscì neppure a rispondere, e si limitò ad annuire.
Così si scostò dalla porta per permettergli di passare, ma invece di superarlo ed accedere all’ingresso Kaede lasciò cadere il borsone e gli si avvinghiò al collo, baciandolo con tutta quella passione e quell’amore bruciante che aveva accumulato in quel periodo lontani.
Le braccia di Hanamichi lo stringevano e sembrava tutto un sogno.
Se lo è, pensò tra sé il volpino specchiandosi negli occhi nocciola del suo tesoro, spero di non dovermi più svegliare…

Fine

spero ti piaccia, Ria, tesorino dolce!
^^
In realtà c’è un seguito…
Ma per il momento questo “spaccato” è il mio modo di dirti buon compleanno, e grazie per quello che fai per noi!
Sei insostituibile!
Tanti baci, e spero di contribuire almeno un pochino alla tua felicità di questo giorno!
Tivvibbì!

Marty


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