AUTORE: Gojyina-chan
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 1/1
PAIRING:RuHana
RATING:R
DISCLAMER: I personaggi sono di T. Inoue.
Al solito, mandate le critiche carine a me e gli insulti, al mio analista.
( Se scrivo assurdità è solo colpa sua!!!>_<)
ARCHIVIO: Ysal
NOTE:Questa fic, chiude l'ideale trittico, composto da Dead or Alive e American Dream.
Un What if, partito dalla prima fic e concluso con questa storia.
D'ora in poi, scriverò di Hanamichi felice tra i prati in fiore e steso su una spiaggia assolata, insieme al sul Rukawa!^^
-Non ci credo nemmeno se te lo vedessi fare con i miei stessi occhi!-.-; nd Hana
-A me basta che ci siano le lemon, poi...;nd Ru
-Non si fida più nessuno di me!ç__ç Dovrò andare dall'analista!;nd Gj
-AAAAAARRRGGHHHH!!!!!!; nd analista disperato.
 


Mother Love

di Gojyina-chan


 

Rukawa pedalava veloce, nella fitta nebbia mattutina. Non vedeva l’ora di arrivare a scuola, anche se quel giorno non c’erano lezioni.

Anzai, aveva organizzato un’ amichevole con il Ryonan e, il volpino, doveva assolutamente battere Akira Sendoh, per poter fare, concretamente, sogni a stelle e strisce.

La sera prima, infatti, aveva ricevuto la telefonata di un talent scout che lavorava per alcune importanti università americane che vantavano delle squadre di Basket di ottimo livello.
Kaede aveva saputo che anche Sakuragi, Mitsui, Sendoh e Maki avevano fatto colpo.

Il pensiero di giocare ancora con loro lo elettrizzava. Un po’ meno piacevole era l’idea di aver a che fare con il Do'hao anche oltre oceano…

Quel tizio lo deconcentrava!

Hanamichi, dopo il Campionato Nazionale, era molto cambiato. Non che fosse diventato più serio, ma era meno presuntuoso e molto paziente. Soprattutto con una nuova matricola che aveva qualche buona qualità, ma niente di speciale. Il rossino, gli faceva notare i suoi errori, ma senza umiliarlo o sfotterlo. Un po’ come aveva fatto il gorilla con lui.Forse proprio la mancanza di Akagi, lo aveva responsabilizzato.
Ma la grande differenza, era che non considerava assolutamente più il volpino!!!

Niente litigi, niente botte. Kaede si era reso conto che quei battibecchi gli mancavano,e tanto, anche!

Che diavolo gli era preso, a quel dannato Do'hao?!


Hanamichi arrivò in palestra prima di tutti. Dopo la serataccia appena trascorsa, sentiva il bisogno di distrarsi un po’, giocando. Per fortuna non c’era ancora nessuno, così era riuscito a medicarsi il braccio da solo. Se Ayako lo avesse visto, sarebbe partita con un interrogatorio di terzo grado! Con una fascia, poteva inventare una balla più semplice.

Ripensò alla telefonata dello straniero…

L’America… Tsk! Lui che andava in America! Stava diventando tutto maledettamente serio e non sapeva come far tornare indietro il tempo, per rivivere quei giorni spensierati che sembravano lontani anni luce!

America uguale…Rukawa!

Per la miseria!Non capiva più se stesso! La partita contro il Sannoh, lo aveva cambiato in molti sensi.
Aver battuto quella squadra incredibilmente forte, insieme al volpino, in quegli ultimi secondi al cardiopalma, era stato…bello. Pure troppo!
Aveva provato un sentimento strano, veramente strano, per il tanto odiato rivale.

Una volta ripresi gli allenamenti, quando si erano rivisti dopo quasi un mese e mezzo, ogni volta che lo guardava o gli stava vicino, il cuore del rossino, batteva all’impazzata e non sapeva come fare per calmarsi!
Aveva, allora, deciso di stargli alla larga, tanto il Kitsune quando gli parlava, lo faceva solo per rispondere ai suoi epiteti. Quindi, bastava che Sakuragi non gli rivolgesse la parola! Il volpino, mai gli si sarebbe avvicinato di sua iniziativa.

Era un piano perfetto. Tanto, cosa gliene poteva fregare a Rukawa di lui? Non doveva neanche essersene accorto!

“Hanamichi! Sei già qui?!”

Una voce femminile, lo strappò alle sue elucubrazioni. Era Haruko, insieme alle sue inseparabili amiche.
Il ragazzo la salutò garbatamente. Si sentiva a disagio con lei, come se, con quei nuovi sentimenti che provava per il suo compagno di squadra, stesse tradendo la sua amicizia.

Lei sorrise e, come sempre, gli fece i complimenti per il suo impegno.

“Anche il mio fratellone è molto fiero di te! Stavo notando che anche la tua muscolatura è migliorata…ma…Cos’hai fatto al braccio?” chiese, toccandogli il bicipite fasciato.
“Ehm…La sera lavoro in un cantiere vicino casa…Sai, per avere qualche spicciolo per uscire con gli amici…Ho preso una piccola botta, ma niente di serio!” mentì lui.

“Devi prestare maggiore attenzione ora che l’area sotto canestro è solo tua! Però! Lavorare ti fa proprio bene! E’ meglio della palestra e molto più redditizio!” scherzò Haruko ridendo.
Stavano ancora lì a divertirsi, quando arrivò Rukawa.


Quella maledetta mocciosa!

Kaede, vedendo la mano della ragazza sul braccio del rossino, sentì il sangue salirgli al cervello.
Dannazione! Doveva assolutamente darsi una calmata! Andò dritto negli spogliatoi, non prima di aver notato come Sakuragi avesse distolto lo sguardo vedendolo arrivare, il viso di colpo serio.

Bene! Se voleva evitarlo, che facesse pure! Lui , di certo, non gli avrebbe parlato per primo!
Tornato in palestra, sentì dire da Ayako che il pullman del Ryonan aveva forato e, quindi, la partita era stata rimandata al pomeriggio.

Le ragazze decisero di fare un giro in zona e trascinarono con loro un titubante Hanamichi.


Dopo due ore di allenamento, Rukawa uscì nel cortile per abbeverarsi alle fontanelle.
Vide la macchina di suo padre e si avvicinò al cancello.

“Kaede, stamattina hai dimenticato le chiavi di casa “ disse l’uomo porgendogliele.
Alto quanto lui, stessi occhi, capelli sale e pepe, il signor Rukawa era un gran bell’uomo. Riservato e taciturno come suo figlio. Quando il ragazzo lo vide abbozzare una specie di sorriso, capì che c’era qualcosa sotto.

“Senti, tra un mesetto è il tuo compleanno, se vuoi…mi tengo libero per quel giorno ed andiamo a cena insieme, che ne dici?”.

La sua data di nascita, coincideva con il giorno della morte di sua madre. Da che avesse memoria, non lo avevano mai festeggiato.

“Che diavolo mi devi dire?” chiese senza mezzi termini.
“Vedi, è che…- sembrava incerto sulle parole da usare – Quell’agente americano che ti ha telefonato ieri sera…Non so, forse ne dovremmo parlare, non credi?”
“Io giocherò in America. Fine della discussione e risparmiati la cena.” Fece per andarsene , ma il padre lo fermò.

“Un attimo! Hai una vaga idea di quanti vanno laggiù e quanti realmente riescono a sfondare? Ti chiedo solo di valutare un paio di alternative! Se malauguratamente non dovessi diventare professionista, avresti comunque qualcos’altro fare nella vita! Così, per stare più tranquilli!” spiegò l’uomo con gentilezza.
Fu proprio quel garbo a far saltare i nervi al volpino.

“Non mi hai mai considerato in quasi sedici anni di vita, e adesso fai il padre premuroso?! Sei ridicolo!” sibilò adirato.

“Che diamine dici?! Sei il mio unico figlio!” sembrava sconvolto davvero.
“Come no? Un figlio che nemmeno volevi! Ti ho sentito, una volta, parlare con quel tuo amico d’infanzia e dire che, se avessi potuto scegliere, avresti preferito che fossi morto io e non la mamma! Gran bel padre che sei! Non so che farmene di uno come…”

SCIAFF!

L’uomo gli diede un ceffone così forte, da lasciargli un segno rosso sulla guancia. Era la prima volta che faceva una cosa del genere.

“Non ti permettere mai più di parlarmi in questo modo o…” ansimava di rabbia.
“O cosa? Mi picchi ancora? Vado ad allenarmi. Ho una partita da giocare. Grazie per le chiavi!” disse ironicamente.

Voltandosi, vide Sakuragi a pochi metri da loro.
Merda! Doveva aver assistito a gran parte dello show!
Senza dir nulla, Kaede tornò in palestra a passo spedito.


Hanamichi aveva sentito l’ ultima parte del litigio, e ora , guardava quell’uomo, che pareva soffrire molto per il figlio.

Sapeva bene che non erano affari suoi, ma la morte di suo padre, qualche anno prima, lo aveva sensibilizzato molto, da quel punto di vista. Istintivamente, gli chiese se stesse bene.
“Sì, sì! Grazie! – l’uomo dovette notare la divisa dello Shohoku che gli spuntava da sotto la giacca perché domandò – Fai Basket con Kaede, vero? Posso farti una domanda? Ti sembrerò patetico, ma…Mi puoi dire com’è mio figlio?”

“Rompiscatole, arrogante, saccente, orgoglioso ed insopportabile! Senza offesa, eh! – poi, con voce più bassa, aggiunse – Ha così tanto talento che non sa che farsene, mannaggia a lui! Possiede quella fredda determinazione che hanno solo i grandi campioni!” Sakuragi trasalì per quelle parole, uscitegli di bocca senza rendersene conto.

Doveva aver fatto una faccia buffa, perché il signor Rukawa scoppiò a ridere di gusto, contagiandolo.
“Sai, tu mi ricordi tanto…- si interruppe, di colpo serio – Scusami ora…devo andare a lavoro.Ciao e…grazie!”.


Impossibile! Kaede, dalla palestra vide suo padre e Sakuragi… ridere!
Non aveva mai visto il suo unico genitore con quella faccia allegra e provò una fitta di gelosia peggiore di quella sentita per la Akagi.

Stava davvero diventando una persona così meschina?!
Non ebbe il tempo di darsi una risposta, perché il resto della squadra arrivò ed iniziarono l’allenamento di rifinitura.


Gli faceva male, dannazione, gli faceva un male del diavolo!
Mancavano due minuti alla fine del primo tempo. Il Ryonan era in vantaggio di una solo punto e Hanamichi non riusciva quasi più ad alzare il braccio sinistro.

Senza contare le occhiatacce al vetriolo che il volpino gli scoccava, di tanto in tanto.
Perché ce l’aveva con lui?

Il numero undici stava disputando una partita strepitosa, sembrava una furia scatenata, e il rossino non gli era di intralcio in nessun modo!
Forse era ancora incavolato con suo padre…Ma perché se la prendeva con lui?!


Non lo sopportava!

Rukawa segnava punti su punti, ma la rabbia non gli passava.

Era talmente sensibile alla presenza di Sakuragi, che poteva sapere la sua posizione in campo ad occhi chiusi.
Sakuragi con la mocciosa, Sakuragi che assisteva alla lite con suo padre, Sakuragi che fa ridere suo padre! Sakuragi che non lo sbeffeggia in alcun modo ma, anzi, disputa una partita esemplare, senza degnarlo di uno sguardo!

Non lo tollerava più!


A metà del secondo tempo, però, Kaede si rese conto del notevole calo di forma del compagno. Non riusciva quasi più a tirare a canestro, anche se i rimbalzi rimanevano il suo forte e doveva, di continuo, parare il fondo schiena alla nuova matricola, tesa per il debutto in campo.

Durante un’ azione del Ryonan, Sakuragi non riuscì a fermare Sendoh, perché saltò usando solo il braccio destro, ed il porcospino segnò.

Istintivamente, Rukawa gli si avvicinò dicendogli la sua classica frase:”Non vali niente, l ’ho sempre saputo!”

Sapeva di farlo incavolare così tanto, da fargli dare il massimo. Era uno schema collaudato!
Quando non sentì le grida del rosso, si voltò verso di lui, stupito.
Hanamichi aveva gli occhi sbarrati e lo sguardo profondamente ferito. Lo vide allontanarsi senza aprire bocca.

Cos’era successo?! Si erano sempre detti di tutto, ma nessuno dei due se l’era mai presa sul serio?
“Gli fa male un braccio. Possibile che non te ne sia accorto?” gli disse Sendoh, guardandolo con disapprovazione.

Kaede notò per la prima volta la fasciatura sul braccio.Era stato distratto dalla Akagi, che aveva toccato proprio lì Hanamichi, quella mattina.

“Hai sempre avuto un’ottima visione del gioco, nel suo insieme. Ma continui a non badare ai particolari.” gli disse Akira, andando in difesa.
Il volpino ebbe la netta sensazione che non stesse parlando solo di Basket.


La partita terminò con la vittoria dello Shohoku per un solo punto di vantaggio.

Negli ultimi secondi,il Ryonan aveva tentato un ultimo assalto. Hanamichi era saltato ancora con un solo braccio, cosa che aveva fatto per tutta la seconda metà della ripresa, ma Rukawa, in contro tempo, era riuscito a stoppare Sendoh, salvando così il risultato.

“Dovresti farti vedere quel braccio da Ayako.” disse Kaede al rossino, a fine partita, cercando un modo per scusarsi. Non era un granché con le parole!

“E che te ne frega? – rispose l’altro, senza nemmeno guardarlo – Sei l’eroe del giorno, no?” ed andò via senza aspettare una risposta.

Merda! Non era quello che intendeva dire Rukawa, non era quello!


Dopo la doccia, andò a cercarlo, per tentare di chiarirsi e lo vide vicino al cancello, che parlava animatamente con il suo amico… Mito , forse…
“Devo, non c’è alternativa!” stava dicendo il rossino.
“Ma…non puoi andare avanti così, Hanamichi!” c’era una punta di disperazione, nella voce del ragazzo.
“Tu non puoi capire!NON PUO’ CAPIRE NESSUNO!!!” urlò Sakuragi, andando via di corsa.
Aveva ragione Sendoh. A lui sfuggivano i particolari.


Quella sera, Rukawa, passò accidentalmente , nella zona in cui abitava il rosso. Non sapeva ancora cosa dirgli, ma sperò in una brillante idea, di quelle che gli permettevano di realizzare canestri impossibili.
Sentì la voce del ragazzo, poco distante da lui e la seguì, arrivando nei pressi di un cantiere.

“Ehi, rosso! Ma non sei mai stanco?! Beata gioventù!” scherzò un operaio sulla cinquantina.

“Vecchio, non lo sai che le bollette non vanno a pagarsi da sole? E poi, guardami! Con tutti questi muscoli, le ragazze iniziano a cadermi ai piedi!” rise il ragazzo.

Rukawa, in quel preciso momento, provò un sentimento nuovo, qualcosa che credeva impossibile provare per Sakuragi: RISPETTO .

Il volpino dormiva in classe, perché si allenava fino a tardi nel giardino di casa, mentre l’altro passava quel tempo a lavorare per aiutare la famiglia e poi crollava durante le lezioni.

Aveva sentito dire che aveva perso il padre, ma non credeva che la sua situazione economica fosse così grave!

Istintivamente, si toccò la guancia, ancora leggermente arrossata.
Poteva dire di tutto sul suo, di padre, tranne che gli avesse mai fatto mancare né un pasto caldo né un paio di scarpe da ginnastica costose.

Forse la sua brama di raggiungere i propri obiettivi personali, gli aveva impedito di notare il mondo che lo circondava per troppo tempo.

Fece per andarsene ma si bloccò, notando dei graffi sul viso di Hanamichi ed un polso fasciato.

Strano. Non li aveva quel pomeriggio. Probabilmente se li era fatti al lavoro, ma Kaede aveva deciso che non avrebbe mai più dato nulla per scontato, da quel giorno in poi.
Tornò a casa, pensieroso.


Nei giorni successivi, Sakuragi si trovò a corto di frottole. Non sapeva più come giustificare quelle contusioni, che aumentavano in maniera esponenziale.

A metterlo maggiormente a disagio, era il modo in cui Rukawa lo guardava. Sentire quegli occhi su di sé, gli impediva di concentrarsi sul gioco, già difficile a causa dei lividi!
Prima lo odiava, poi sembrava in ansia per lui.

Che diavolo gli era preso, a quel dannato Kitsune?!

Ma, ad essere sinceri, aveva problemi ben più gravi che preoccuparsi dell’umore instabile del volpino.
Tra l’altro gli bruciava la partita contro il Ryonan. Non fosse stato per Kaede, avrebbero perso di sicuro.
Un pensiero lo assillava da giorni, dilaniandolo.
Se le persone che ti stanno accanto, ti dicono tutte la stessa cosa, un fondo di verità ci doveva pure essere!
Forse non valeva davvero niente…


Per l’ennesima volta, Rukawa passò al cantiere, per vedere Sakuragi di nascosto.
Rimase molto deluso nel trovarlo chiuso, doveva essere giorno di riposo.

Quel pomeriggio, il Do'hao, aveva una faccia tremenda, e lui si sentiva in parte responsabile, per quella sciocchezza detta durante la partita.

Da dietro un cassone dell’immondizia, sentì un mugolio, probabilmente di un cane.
Quando passò di lì e vide che steso per terra c’era Hanamichi, pieno di lividi e sangue, quasi stramazzò al suolo.
Lo caricò sulla bici e pedalò più velocemente possibile.


Una volta arrivati a casa, Kaede fece stendere il compagno di squadra sul divano e andò in bagno a prendere l’ occorrente per medicarlo.
Erano passati mesi, e ancora il Do'hao non si ficcava in quella zucca vuota che, se veniva beccato a fare a pugni, tutto il club di Basket sarebbe andato nei casini.

Stupido, stupido rosso!

Tornò in soggiorno ed iniziò a disinfettargli le ferite.
Stava applicando l’ ennesimo cerotto, quando entrò suo padre.
“Kaede! Non ti ho sentito entrar…- si fermò di colpo – Per la miseria! Ma è il tuo compagno di squadra! Cosa gli è successo?” chiese preoccupato.

“Non lo so.” Rispose con voce atona. Ci mancava solo lui a completare la bella serata!
L’uomo si avvicinò al divano. ”Forse non è necessario chiamare un medico, però…- rimase un istante in silenzio e disse – Il tuo amico deve essere una testa matta, vero?”

“Non è un mio amico!… Pazzo sì, ma non mio amico!” rispose, tornando a curarlo.
“Hai sempre avuto la propensione a portare a casa gli animali randagi!” scherzò il padre.
Rukawa pensò a quelle parole. In effetti, Sakuragi, gli era sembrato un animale maltrattato e se lo era caricato in bici senza quasi rendersene conto.
“E’ davvero impressionante…”sussurrò l’uomo, parlando tra sé e sé.
“Cosa?”

“Stamattina ho fatto due chiacchiere con lui…Ti sembrerò matto, ma…Ha lo stesso sorriso di tua madre! E anche adesso, guardandolo dormire…Non so…Ha qualcosa che me la ricorda, sai?”
“Mia madre assomigliava ad un maschio?!” chiese allibito il ragazzo.
“No, certo che no! Ma il modo in cui parlava, gesticolava, le sue facce un po’ buffe…le ho riviste in questo ragazzo.” sorrise al ricordo della giovane moglie.


Kaede rimase immobile per diversi secondi. Non solo era la conversazione più lunga che avesse mai fatto con lui in tutta la sua vita, ma era anche la prima volta che gli parlava di sua madre.

“Ho ripensato a quello che hai detto stamattina e ho cercato di ricordare cosa avessi detto quel giorno, al mio amico. Hai sentito bene, ma il senso del discorso era completamente sbagliato. Quando aspettavamo te e il dottore ci disse che poteva essere pericoloso, pensai che forse sarebbe stato il caso di interrompere la gravidanza. Era questo di cui parlavo. Vedi, una donna diventa madre appena scopre di avere una vita dentro di sé e matura questa consapevolezza di giorno in giorno. Per un uomo, invece, la paternità arriva all’ improvviso. Ho capito di essere un genitore nel momento in cui ti ho tenuto in braccio per la prima volta. Avevi una faccia talmente comica che…- scoppiò a ridere, mentre Rukawa lo fissò corrucciato – Ecco! Avevi quell’espressione lì! – poi, tornando serio, aggiunse sottovoce – Amavo tantissimo tua madre, se non ci fossi stato tu, non mi vergogno a dirti che mi sarei sicuramente tolto la vita. – si voltò a guardare suo figlio negli occhi – Forse non sono un buon padre, è un po’ difficile per me esprimere i miei sentimenti, forse mi capisci, visto che il tuo carattere taciturno lo hai preso proprio da me! Kaede, l’unica ragione che mi ha permesso di sopravvivere alla donna che amavo, l’unico motivo per cui mi alzo la mattina, giorno dopo giorno, sei solamente tu! Almeno di questo, non dubitarne mai !”

Non sapendo cosa dire, il ragazzo rimase in silenzio, tentando di soffocare una sensazione pericolosamente simile alla commozione.

Hanamichi, nel sonno mugolò di dolore, strappando entrambi i Rukawa ai loro pensieri.
“Bene! Io vado a letto, se hai bisogno di me, sai dove trovarmi!”così dicendo, il padre andò a dormire, ma Kaede capì che stava battendo in ritirata, imbarazzato per la confessione appena fatta.
Possibile che fossero così simili, e non se ne fosse mai accorto prima?!
Passò il resto della nottata a riflettere su quello che era successo in quegli ultimi giorni.


Sakuragi si svegliò completamente indolenzito e pieno di dolori. Rimase per diversi minuti sdraiato, guardandosi attorno confuso. Non capiva dove fosse……
Un odore di frittelle calde gli arrivò alle narici, facendo brontolare il suo povero stomaco. A fatica, si mise seduto.

Pochi istanti dopo, Kaede e suo padre, entrarono in soggiorno, con due vassoi pieni di cibo.
“Ehi, bell’addormentato! – lo salutò l’uomo – Ti sei svegliato finalmente! Come ti senti?” chiese allegramente.

Hanamichi lo guardò come se fosse pazzo. Ma…come?! La mattina prima sembrava uno che reggeva l’anima con i denti, ed adesso sprizzava gioia da tutti i pori?! Che gente strana che c’ è al mondo!
“B…Bene…sto bene, la ringrazio…Ora tolgo subito il disturbo…” tentò di alzarsi ma due mani lo tennero fermo.
Vide padre e figlio bloccargli entrambe le braccia, nei loro occhi scorse la stessa fiammella di determinazione.
“Doha’o, tu non vai da nessuna parte! – annunciò il Kitsune – Ti devo prima rifare le medicazioni. Quindi mangia, e poi si vedrà!” pareva più una minaccia che un invito…


Lo rimpinzarono fino a scoppiare e mentre il padre di Rukawa era in cucina a preparare il caffè, Hanamichi colse l’ occasione per parlare al volpino.
“Immagino che dovrei ringraziarti…” disse un po’ seccato.
“Non ne sono del tutto sicuro.” rispose l’altro, guardando in direzione del genitore, con un’espressione serena.
“Io..adesso devo proprio andare… ehm…mia madre sarà preoccupata…” si giustificò, imbarazzato.
Ringraziò entrambi, e andò via pensieroso. Da quando il Kitsune era così gentile, e proprio con lui, per giunta! Mah! Forse la pazzia era un gene di famiglia…


“Quel ragazzo è nei guai.” commentò il signor Rukawa.
“Quello, lo è sempre!” disse il ragazzo, scrollando le spalle.

“No, no! E’ una cosa seria, davvero seria…” borbottò, prima di salutare il figlio e recarsi a lavoro.
Ripensando al comportamento strano del rosso, forse i sospetti del padre non erano del tutto infondati.

Ciò che più sconvolgeva Kaede, era il bisogno che sentiva dentro, quasi fisicamente, di aiutare quel Doha’o…Forse era gratitudine, perché, in effetti, grazie a lui aveva migliorato il suo rapporto con il padre, o forse era a causa di quel sentimento che aveva sentito per lui fin dall’ inizio, ma al quale non aveva volutamente dato un nome…


I compagni di squadra insultarono Hanamichi per ore, incavolati neri. Se continuava ad essere così rissoso, ci finivano tutti di mezzo! Era davvero stupido, irrispettoso, incosciente, bla, bla, bla…
Il numero dieci, finse di ascoltarli, senza tentare di giustificarsi in alcun modo. Meglio così! Che lo credessero pure un teppista, perché la verità era cento volte più umiliante!


Rukawa fu l’unico a non dire niente, si allenò come sempre, ma non riusciva a non buttare ogni tanto uno sguardo al rosso, che giocava come fosse un automa, con lo sguardo freddo e distaccato. Gli mancava! Kaede aveva nostalgia delle sue sbruffonate, delle sue gaffe e, soprattutto, della sua risata contagiosa.
Dato che non stava ancora molto bene, Sakuragi non riusciva a saltare come al solito, ed in più di un’ occasione, Kaede corse in suo aiuto a difendere il canestro.

Dopo l’ ennesimo salvataggio del volpino, il rosso gli rivolse la parola, per la prima volta da quella mattina.
“Lo so che non valgo granché, Kitsune! Non c’è bisogno che tu me lo faccia notare ogni secondo!” mormorò con la faccia un po’ triste, voltandosi poi dall’altra parte.
Rukawa provò più dolore per quella frase, che non per i pugni che gli aveva dato il Doha’o nel corso della loro conoscenza.

Lo aveva ferito. Di nuovo. Anche se la sua intenzione era quella di aiutarlo…ma forse, mostrarsi gentile, così all’improvviso con lui, poteva essere frainteso.

Ironia della sorte! Adesso che Kaede sapeva esattamente cosa provava e non aveva più paura di ammetterlo con se stesso, ignorava completamente, come dimostrare i suoi sentimenti.


Anzai, date la condizioni del rossino, decise di farlo tornare a casa a riposare. Ayako si offrì di dargli una controllata alle ferite, ma Hanamichi, abbozzando un sorriso, le fece segno con la mano di non preoccuparsi per lui.
Nella fretta di andarsene, il ragazzo dimenticò la borsa, e Rukawa si offrì di portargliela, Non per gentilezza, si affrettò a spiegare ai compagni che lo guardarono attoniti, ma solo perché era di strada…

Arrivato davanti al portone, chiese ad una signora che stava uscendo, in quale piano fosse l’ appartamento dei Sakuragi. Ottenuta la risposta, salì in fretta.
Una volta arrivato sul pianerottolo, sentì una voce di donna che gridava epiteti irripetibili ed un suono di colpi violenti.

Rimase per un istante impietrito vedendo una signora sui quarant’anni, corpulenta, picchiare con un grosso matterello Hanamichi, seduto per terra, che con le braccia tentava di coprirsi la testa.

“Idiota! Buono a nulla! Sarebbe stato meglio abortire, ma tuo padre non ne volle sapere e guarda in che bel modo lo hai ringraziato! Sei un fallito!!! Non servi a niente, l’ ho sempre saputo!” .
Il volpino, a quelle ultime parole, sbiancò e corse a fermare quella matta che puzzava d’alcol da far schifo.
“Ora è meglio che si dia una calmata, signora!” disse con voce glaciale.

Al suono della sua voce, il rosso sgranò gli occhi, sconvolto.

“C…Che cosa ci fai tu qui! N…No, lasciala! Lei…- abbassò gli occhi e con voce appena udibile, mormorò – Lei è mia madre…”.
Rukawa, rimase talmente scioccato da quella notizia, che quasi non si accorse dei vicini, accorsi alle urla di quella donna, che la portarono in casa tentando di calmarla, e di uno di loro che gli chiese di portar via quel povero ragazzo.
Solo quando rimasero da soli, si impose di scuotersi. Andò vicino al rosso, se lo caricò sulle spalle e lo portò via.
“Che fai, Kitsune?! Io sto bene! Non…” Hanamichi tentò di muoversi, ma le costole gli facevano male.
“Andiamo da me. E non è una domanda!” annunciò il volpino. Troppo sconvolto per mostrare uno straccio di gentilezza.


Con un terribile deja vu , Rukawa varcò la soglia di casa, ma decise di portare il ragazzo in camera sua, per metterlo sul letto e si sedette sulla poltrona accanto.
Come poteva una donna trattare il figlio in quel modo?! Cominciava a capire tante cose che aveva avuto sotto gli occhi, ma che non aveva mai capito. L’agonismo sfrenato del rosso, il suo ripetere, quasi ossessivamente di essere geniale, la violenza che gli rodeva dentro e minacciava di bruciarlo vivo. Era stato davvero così cieco?!

Fece notte, senza che il volpino se ne rendesse conto.
“N…non era così una volta…- sussurrò Sakuragi, nel dormi-veglia – Una volta era una buona madre, ma…quando papà è morto, ha avuto un esaurimento e ha cominciato a bere…- si voltò dall’altra parte mugugnando – Glielo aveva detto, io, al dottore, che era troppo presto farla uscire dalla Clinica…Ma tanto, nessuno mi da retta!” sprofondò nuovamente nel sonno.
Dannazione! - pensò il volpino – La commozione è un sentimento davvero insopportabile!!!

Il mattino seguente, telefonò ad Anzai, spiegandogli l’accaduto. L’anziano uomo, gli promise di occuparsene personalmente.
Quando suo padre si svegliò, mise anche lui al corrente dei fatti e lo sentì commentare:”Lo sapevo, io! E’ incredibile! Aveva la stessa espressione di tua madre, quando aveva l’appendicite, e non mi diceva nulla, per non preoccuparmi!Sono il genere di persone che, piuttosto che preoccupare gli altri con i loro problemi, si farebbero uccidere! L’ orgoglio è una gran brutta bestia!”.
Stavano ancora parlando, quando sentirono suonare alla porta.
Si trovarono davanti, il Mister insieme a Mito e ai due fratelli Akagi.

“Perdonate l’invasione – disse il più anziano del gruppo – Ma volevamo sincerarci delle condizioni di Hanamichi!”
Si accomodarono in soggiorno ed Anzai, spiegò che, quella mattina, la signora Sakuragi era stata ricoverata in ospedale, in coma etilico ed era indeciso se e come dirlo al ragazzo.
“Nonno, non sono più un bambino da un pezzo, sai?” una voce familiare fece voltare tutti i presenti, verso le scale.
“Hanamichi! Santo Cielo! Dovresti essere a letto, conciato così!” disse Haruko, scattando in piedi preoccupata.
“Sciocchezze! Non sono mai stato meglio!” la rassicurò il rossino che tentò di fare un passo. Sarebbe finito faccia a terra, se un certo volpino non lo avesse prontamente sorretto.
“Stai benissimo , eh?” gli disse.

Senza rispondergli, Hanamichi chiese dove fosse stata portata la madre, ma il gorilla tentò di farlo ragionare.
“Ascolta, tu rimani qui a riposare. Andiamo noi a …”
E’ mia madre , Gory! Devo andare!!! - lo interruppe il rosso, trattenendo a stento la rabbia – Io…vi ringrazio dell’interessamento, ma è un mio problema, non vostro ! Ho già arrecato fin troppo disturbo.Ora devo andare da lei!” disse categorico.

Il dottore spiegò che la donna era fuori pericolo di vita, ma sotto sedativi e che presto sarebbe stata ricoverata nuovamente nella stessa clinica di disintossicazione dalla quale era stata dimessa il mese precedente.Un solo anno di terapia, non era stato, evidentemente, sufficiente alla signora, per riprendersi dalla sua malattia.
Anzai si offrì di ospitare Hanamichi a casa sua e decise, addirittura, di intraprendere le vie legali, per diventare suo tutore fino al compimento dei suoi diciotto anni.

Frastornato da tutti quegli avvenimenti, il ragazzo volle restare un po’ da solo.

Rukawa gli lasciò qualche minuto per riprendersi, poi lo raggiunse sulla terrazza dell’ospedale. Lo vide in piedi, affacciato alla ringhiera con gli occhi lucidi, ma tentava disperatamente di non piangere.
Gli andò accanto senza fiatare. Rimasero a lungo in silenzio, fino a quando il rosso disse con un filo di voce:
“Nelle ultime settimane…ho desiderato che morisse…- si coprì il volto con una mano – L’ ho desiderato davvero! Faccio schifo, faccio veramente schifo!!!” si inginocchiò per terra e scoppiò a piangere.
Kaede, lo abbracciò forte e rimasero così finché il ragazzo non si fu calmato.

“Ssh! Va tutto bene! Adesso, andrà tutto a posto!”
“P…Perché stai facendo tutto questo per me, me lo spieghi?” domandò il rosso, con voce tremula.
“Se davvero te lo devo dire, sei veramente l’Imperatore dei Do'hao !!! - gli disse, tentando di farlo sorridere – Io…ti volevo chiedere scusa per quella frase idiota che ti ho detto l’altro giorno! Non potevo immaginare che… lei te lo dicesse sul serio… Io volevo solo farti incavolare. Mi piace vederti rosso di rabbia!” gli mormorò il volpino all’orecchio.
“Ti… piace la mia faccia?!” chiese Hanamichi, un po’ confuso dalla sua vicinanza.
Rukawa, senza degnarlo di una risposta, inclinò leggermente il capo, e lo baciò.

“C…Che diavolo fai?!” sussurrò il rossino, baciandolo a sua volta.
“Non lo so,”
“Bene! Continua a non saperlo!”.
Dopo diversi minuti, si separarono per respirare. Hanamichi appoggiò il capo sul suo petto, ansimando forte.
Era in stato decisamente confusionale quindi, Rukawa, decise che spettava a lui mantenere un minimo di controllo. Esisteva un alto tasso di probabilità di finire a far l’amore sul terrazzo di quell’ospedale, e non gli sembrava proprio il caso!
Armandosi di tutto il coraggio che possedeva, fece alzare Sakuragi e raggiunsero gli altri.

Hanamichi riprese le lezioni quattro giorni dopo.
Mito aveva messo in giro la voce che la madre era partita per l’ estero e, perciò, l’amico era andato a stare dal Mister, così si erano evitati pettegolezzi velenosi.
Quando Haruko andò a salutarlo, il rosso credette di morire dalla vergogna. Con che coraggio poteva guardarla in faccia, quando il bacio del volpino ancora gli bruciava le labbra?!

Conoscendo il soggetto, Rukawa era certo che Sakuragi sarebbe stato imbarazzato nel rivederlo.
Ma la realtà superò di gran lunga le sue previsioni!
Per un intera settimana, quando i loro sguardi si incrociavano per caso, durante gli allenamenti, Hanamichi voltava di scatto la testa diventando talmente rosso, da far concorrenza al colore dei suoi capelli.
Probabilmente doveva anche provare un terribile senso di colpa nei confronti della Akagi, perché la trattava con una gentilezza che sfiorava il servilismo.
Il nono giorno, Kaede perse la pazienza.

Mentre i compagni di squadra erano già andati via, vide, negli spogliatoi, Ayako che dava una controllata all’ultima ecchimosi rimasta al rossino.
Aspettò che la manager se ne andasse, entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Tu?! Q…Qui?! Tu ! Io… Vado! ” balbettò paonazzo Sakuragi, talmente confuso, da non riuscire a formulare una frase coerente.
“Io sono qui e tu rimarrai con me finché non avremo parlato.” annunciò il volpino con voce ferma e decisa, anche se era sinceramente divertito dalle buffe espressioni che si succedevano sul viso del ragazzo.
“Ah, parlare! Giusto. S…Senti…f…facciamo finta c…che non sia successo nulla e…” quando si accorse di gesticolare in modo incontrollabile, trasse un profondo respiro e si sedette sulla panchina, sconfitto.
Rukawa si inginocchiò di fronte a lui, guardandolo con tenerezza.
“Proposta inaccettabile!” sentenziò, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo appassionatamente.
Lo sentì trattenere un gemito.
“Mmm…Non posso! Haruko è un’amica…” tentò di protestare il rosso, ma senza allontanarlo.
“Non sono una sua proprietà. La sua cotta infantile, le passerà presto. Io ora voglio te!” disse cominciando a toccarlo dappertutto.
“E’ assurdo, lo capisci?!” mormorò l’altro, accarezzandolo a sua volta.
“Perché siamo due maschi?” volle sapere Kaede.
“No. Perché tu sei il Kitsune e io…sono io !E’ strano…” gemette, sentendo le mani del compagno di squadra abbassargli i pantaloncini e massaggiarlo… !
“Allora vuoi che mi fermi?” domandò il volpino, con le labbra sul suo collo, pur sapendo già la risposta.
“ Proposta inaccettabile!”
Fortunatamente, nessuno passò da quelle parti, perché i due ragazzi rimasero chiusi negli spogliatoi per molto, molto tempo.

 

*fine*