E la morte non avrà più dominio

parte II 

di Ljs


Mi sveglio voltato su di un fianco, le braccia stese di fronte a me, le mani lievemente flesse. Mi guardo nello specchio e sorrido di fronte alla gamba piegata pudicamente a nascondere l'inguine.
In realtà è il dolore. La pelle nuova che ha richiuso la ferita mi tira fastidiosa. Questa posizione mi da sollievo.
E' seduto un po' discosto dal mio corpo: sta giocando coi Tarocchi, sua nuova passione

- Perché noi non sogniamo?

Ci penso un attimo
-Forse per non ricordare quelle che erano le nostre vite precedenti.. la nostra esistenza è già abbastanza gravosa senza caricarla del peso di un passato
Non è soddisfatto

-Mi piaceva sognare. Mi piaceva molto. Trovavo meraviglioso che la mia mente creasse pensieri assolutamente slegati dalla mia volontà, le mie esperienze, le mie conoscenze.. Pensavo che fossero doni

Sfioro delicatamente la pelle del suo fianco, lo osservo meravigliato rabbrividire di piacere, incresparsi e tendersi per essere più accessibile. 
E' uno strumento di diletto, perfettamente accordato. Un oggetto di piacere per i Padri.
E io sono un dono che gli è stato concesso.

Odia uccidere, passava lunghi periodi nell'inedia, disgustato dall'idea di accostarsi ad un mortale per nutrirsi.
Lo disgusta il loro annullarsi: aprire gli occhi e trovare solo polvere lì dove vi era vita, vita che lo colmava prepotente.
-Io la odio la morte, quando mi sono svegliato e ho capito cosa ero diventato ne sono stato inorridito.. e felicissimo.
Mi disgustava l'idea della mia decadenza, l'impossibilità di essere desiderato, bramato.. ero molto stupido ma al momento vedevo il mio futuro con orrore.
E odiavo visceralmente la morte, l'idea di scomparire, di mutare in un modo che non riuscivo ad immaginare, ma che era certamente diverso da quello che chiamavo Io. L'idea del mio corpo che imputridiva per tornare nel grande "ciclo" che è la vita mi terrorizzava, per quanto esso era parte di me, per quanto piacere esso mi donava.
Il suo avrebbe potuto essere un desiderio egoistico, racchiuso su se stesso, ed invece lui non tollera la fine d'alcuna cosa.  La vive come una mancanza intollerabile, un affronto personale.
-Cosa avrebbe potuto portare la sua presenza nella mia esistenza?
Continuava a ripetersi facendo scorrere tra le dita la polvere d'argento che era un corpo
Forse da qui nasce la sua passione per la pittura 
-Non è il momento che blocco sulla tela ma è l'esistenza. La tela ricorda meglio della mia mente ciò che in quell'istante mi ha colpito. E ne conserva l'essenza

Io sono il suo pasto.
Della mia precedente incarnazione ricordo solo la cella, il dolore, il tormento. Ricordo che mi mordevo le labbra per non urlare, che cercavo di contare le gocce di sangue che colavano su di me per passare il tempo, per dare un senso al tempo.
Poi avevo dischiuso gli occhi e lui era lì, vestito di bianco, una veste candida ricamata d'argento. La perfezione dei suoi lineamenti cesellati, i suoi occhi limpidi come le pietre di luna, il suo sorriso.
-Chi sei?
Non capivo: lì non poteva arrivare un angelo, quello era l'inferno..
-Chi sei?
Si era appoggiato al bastone dondolandosi in avanti. Si era accostato al mio corpo, e con un colpetto della sua lingua rosea aveva cancellato goloso un rivoletto di sangue.
-Perché non mi vuoi rispondere?
Era ancora così vicino: avevo teso le braccia e le catene avevano prodotto il grido che io non volevo concedermi.
-Sono un assassino
Volevo allontanarlo, perché la sua bellezza, la sua serenità, il piacere del suo tocco, erano più pericolosi delle percosse e delle torture.
Mi rendevano vulnerabile, debole, mi davano qualcosa da desiderare, di cui sentire la mancanza.
Invece aveva sorriso, più soddisfatto e contento che mai. Aveva afferrato i miei capelli, lunghi e sporchi, avevo cercato la mia bocca, tormentata dalla sete e sanguinante.
E aveva bevuto, e io avevo bevuto lui, mai acqua mi era sembrata più buona della sua saliva.
-Sei buono! Voglio lui!
Si era voltato con un passo lieve, una mezza giravolta che sapeva di danza.
E avevo visto per la prima volta colui che sarebbe divenuto mio Padre

-Vuoi fare l'amore ?

Mi scuoto e sorrido sfiorandogli il volto

-Voglio nutrirmi

Scuote il capo e rotola lontano da me.
Non è infastidito da quello che faccio, è infastidito dal fatto che mi allontano da lui. Li pesa ricordare che esiste una vita fuori di qui.
E' strano: e' facile pensare che una persona che abbia tutta l'eternità di fronte a se tenda all'esterno, i grandi spazi, i luoghi lontani.. non 
Angelo.
Angelo trova affascinante la vastità del minuscolo, riesce ad intuire la possanza del tutto nel frammento. E' affascinato dall'infinitesimale. Per lui una stanza è un regno, una persona l'universo. Non si stanca di passare una giornata ad osservare rapito un bocciolo di rosa, quasi che volesse assorbirne l'assenza. Quasi che volessi fondersi in essa.
Alcuni dei suoi quadri più belli sono riproduzioni ossessive di particolari, petali, foglie, mani, bocche, occhi, una chioma.
Non ricordo per quante volte ha riempito la tela di un nero profondo e vibrante, di fronte al mio stupore per quello spreco mi sorrideva comprensivo
-Sono i tuoi capelli Ute, guarda bene
E io scoprivo fili e fili, e sfumature in quello che, per un osservatore distratto, era solo una tela ricoperta di colore pastoso.
Mi faceva sentire stupido

-Credo che nostro Padre voglia vederti

-Non mi ha fatto sapere nulla.. Se ha bisogno di me mi manderà a chiamare

Mi spazzolo guardandomi nello specchio, chissà da dove nasce quella credenza per la quale non possiamo vedere il nostro riflesso? Che senso ha? Come la fobia dell'acqua, i luoghi sacri, le croci.. quella è in assoluto la più stupida! E la più utile..

-Perché sorridi?

Ritorno serio
-Pensavo alle croci

Mi guarda stupito
-Croci?

-Sì, le croci, i crocifissi

-Ne vuoi uno?
Gli brillano gli occhi, adora fare compere, uscire vestito a festa con la carrozza scoperta e farsi ammirare ed ammirare. Entrare in piccoli negozi esclusivi a farsi comprare di tutto. Non va mai da solo, ha bisogno di un piccolo seguito che offra una degna coreografia, che con il suo sguardo gli dia conferme e gratificazioni. Mi dice che sono perfetto in quel ruolo

-No, non voglio un crocifisso

-A me piacerebbe un crocifisso, un grosso crocifisso di filigrana d'oro bianco e dei granati, di quel rosso scuro e profondo

-Come gocce di sangue?
Sono ironico
Il suo sorriso di risposta è tanto aperto che i canini scintillano mortali e tremendamente lunghi. E' una delle prime lezioni che ti vengono impartite. 
Come mascherare attraverso l'espressione quella che, per i mortali, è una "demoniaca" deformità. Solo tra noi ci permettiamo certi gesti che ci portano, automaticamente, in "famiglia".  Io non riesco però a sorridere così, come farebbe un cucciolo e non uno dei vampiri maggiori di questa casa. Angelo mi è superiore in tutto, eppure, per gli estranei, lui non è che il mio piacevole trastullo. Accecati dalle forme, dall'esteriorità, non riconoscono la realtà, non si fidano, forse, del loro istinto.

-Lasciati i capelli sciolti sulle spalle

-Sono scomodi, rischiano di finirmi sul viso e di portarmi all'errore

-Sono belli, mi piace pensarti mentre corri sui tetti. Brunito e possente, coi tuoi capelli che volano come uno stendardo di notte.

-Non sono il personaggio di una favola..

Pare quasi rattristato
-E' vero, siamo i personaggi di tutt'altro genere di racconti.






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