Mi odi davvero?

parte III

di Linras

 

Kaede ritornò in albergo verso le dieci di sera: era semplicemente distrutto e non solo fisicamente. Nella sua mente continuava a rivedere gli occhi di Hanamichi, scuri di rabbia, le sue mani strette a pugno; riascoltava ancora una volta quelle parole cariche d’odio, il silenzio degli altri… Approvavano quello che aveva detto il rossino? Non lo sapeva e in fin dei conti non gli importava nemmeno: a cosa serviva sapere di essere disprezzato dagli altri quando l’unica persona a cui vorresti piacere ti odia?

Lentamente attraversò la hall dell’albergo, con l’intento di tornare in camera, quando percepì le voci allarmate di Akagi e di Mitsui. Non voleva incontrarli, adesso non aveva voglia di parlare con nessuno, troppo stanco per fingere. Così si limitò a fermarsi dietro l’angolo del muro, aspettando che se ne andassero. Tuttavia tutta la sua stanchezza sembrò abbandonarlo non appena sentì il discorso fra i suoi compagni.

"Non è ancora tornato?"

"Macché, quello stupido è sparito appena rientrati in albergo e nessuno sa dove sia finito."

"Forse dovremmo andare a cercarlo."

"Sakuragi sa cavarsela benissimo da solo. E poi…"

Kaede non ascoltò nemmeno il resto delle parole di Mitsui. Abbandonò per terra il borsone che portava a tracolla e si precipitò fuori dall’albergo: Hanamichi non era uno stupido e se non era ancora tornato molto probabilmente si era cacciato in qualche guaio. Il ragazzo impallidì leggermente al pensiero che ad Hanamichi fosse successo qualcosa e che adesso si trovasse da solo in una notte così fredda. Velocemente perlustrò l’isolato vicino all’hotel, maledicendosi per aver giocato fino a quel momento: la stanchezza accumulata durante l’intera giornata rallentava i suoi movimenti e lo obbligava spesso a fermarsi per riprendere fiato. Poi improvvisamente lo vide: il rossino era tenuto inchiodato al muro da due ragazzi che lo avevano afferrato per le braccia, il viso pallido su cui spiccavano violentemente alcuni lividi; i vestiti stracciati lasciavano intravedere la pelle arrossata dal freddo e dalla rissa. Davanti a lui un terzo ragazzo si avvicinava minacciosamente, in mano un coltello. Kaede rimase per un attimo impietrito: volevano uccidere Hanamichi, il suo Hanamichi! Un raggio di luna si riflesse sulla lama, risvegliando il moro: dimenticata la stanchezza, cominciò a correre verso quel coltello, incurante delle conseguenze del suo gesto.

Hanamichi osservò la lama sempre più vicina: quei teppisti l’avevano sorpreso mentre stava tornando all’albergo e a causa della loro superiorità numerica erano riusciti a intrappolarlo contro il muro. E adesso, con il dolore che irradiava da ogni cellula del suo corpo, non riusciva neanche a reagire per allontanarsi da quel coltello. Anche se, forse, non lo voleva nemmeno. Era la giusta punizione per come si era comportato in quei mesi. L’aveva capito solo quel pomeriggio, guardando gli occhi di Kaede velarsi di tristezza, la sua testa china: lui che non aveva mai abbassato la testa davanti a nessuno, aveva lasciato trasparire i suoi sentimenti più profondi proprio davanti al suo più acerrimo nemico; non aveva esitato ad apparire umano e.. sconfitto da lui. Ma non sapeva che in questo modo aveva invece vinto; perché adesso Hanamichi non avrebbe più potuto guardarlo senza rivedere quell’angoscia e senza rammentarsi che era tutta colpa sua. E tutto per la sua stupida paura. Quando, durante la riabilitazione, si era accorto di non odiare veramente Kaede ma anzi di sentire la sua mancanza, si era spaventato: perché le lettere che Haruko gli mandava frequentemente non gli davano nessuna soddisfazione, ma anzi gli rammentavano una certa volpe che molto probabilmente non si era nemmeno accorta della sua assenza? Perché non desiderava altro che risentire la sua voce, anche se solo per insultarlo? Lo vedeva da ogni parte: in tutti i ragazzi mori che incontrava, nelle vetrine dei negozi; tutto gli rammentava lui. Eppure lo odiava?! E se non era così allora che cosa provava per quel ragazzo? Ammirazione? Quello lo aveva ammesso fin dalla prima volta che lo aveva visto giocare: non si poteva non ammirare la sua bravura. Ma il sentimento che provava andava al di là della semplice stima: voleva forse la sua amicizia?! Probabile, visto che per cinque mesi non avevano fatto altro che stuzzicarsi a vicenda e lui era diventato la persona che conosceva meglio Rukawa. Ma quando, una notte si era risvegliato sudato e eccitato dopo aver sognato la volpe, allora aveva realizzato che si era innamorato del suo più tremendo rivale, dell’unica persona che mai e poi mai avrebbe potuto ricambiarlo: figuriamoci se un ragazzo bellissimo come lui, avrebbe mai potuto anche solo guardare "mister 50 fallimenti". Doveva assolutamente dimenticarlo, ma se ciò era stato difficile lontano da lui, una volta ritornato in squadra divenne impossibile: come poteva dimenticarlo se lo aveva sempre sotto gli occhi, se anche solo guardando il campo di basket riusciva a immaginarlo mentre realizzava uno slam dunk? Non poteva! E allora si era spaventato e questo lo aveva portato ad esasperare il suo odio: lui soffriva anche solo vedendolo e tutto ciò si tramutava in parole velenose che non riusciva a trattenere e che avrebbe voluto rimangiarsi un attimo dopo averle pronunciate. Aveva pensato spesso di dichiararsi ma il pensiero di un rifiuto era ancora più doloroso di considerare Kaede come un sogno irraggiungibile.

E ora, ora che aveva capito i suoi sbagli e avrebbe voluto chiedergli perdono…ora sarebbe morto in un vicolo sporco, abbandonato da tutti. Lentamente una lacrima accarezzò la sua guancia, prima che la lama gli trafiggesse il petto.

Per un attimo ci fu solo il silenzio della notte intorno a lui, poi un’improvvisa consapevolezza: era ancora vivo?! Guardò davanti a sé e ciò che vide lo raggelò: la lama aveva trapassato la mano del suo volpino, la quale si era chiusa sull’impugnatura, fermando così il coltello nella sua avanzata. Come al rallentatore vide Kaede schiudere le labbra:

"Non ti permetterò di fargli del male!" pronunciò mentre con un violento pugno abbatteva il teppista. Poi si girò verso Hanamichi, osservando gli altri due ragazzi, i quali alla sua vista non esitarono a scappare.

Erano rimasti soli. Hana, sotto shock, non riusciva distogliere gli occhi da Kaede; come era maestoso in quel momento: le guance lievemente arrossate dal freddo, la bocca dischiusa per la fatica, i capelli spettinati che gli ricadevano in ciocche ribelli sulla fronte, e infine gli occhi: Hanamichi non li aveva mai visti così brillanti, nemmeno quando giocava; sembrava che scintille di fuoco rifulgessero fra quelle iridi più profonde della notte.

Poi il ragazzo abbassò lo sguardo e notò la mano grondante sangue e fulmineamente realizzò cosa era successo: Kaede aveva sacrificato il basket, tutti i suoi sogni…per salvare lui. Lacrime cominciarono a scorrere copiose sul suo volto, mentre si accasciava a terra, singhiozzando. Subito Rukawa si inginocchiò accanto a lui, preoccupato:

"Come stai?"

Vedendo che non rispondeva, gli sollevò il volto per guardarlo negli occhi.

"Non ti hanno rotto niente, vero?"

Hanamichi riconobbe una sottile ansia nel tono della sua voce: si stava preoccupando che lui potesse continuare a giocare mentre invece… Lentamente scosse la testa e Kaede emise un sospiro di sollievo. Poi gli passò il braccio intorno alla vita, costringendolo ad alzarsi.

"Forza, torniamo in albergo."

Poco dopo erano di nuovo di fronte all’edificio. Entrarono stancamente, Kaede che sorreggeva Hanamichi, ancora scioccato per cosa era successo. Il moro condusse l’altro ragazzo, fino alla stanza di Akagi e bussò. Subito delle voci risuonarono nella stanza e la porta si aprì violentemente.

"Sakuragi, imbecille, finalmente sei tor…"

Ma le parole gli morirono in gola alla vista dei due ragazzi: velocemente li fece entrare, mentre anche Kogure si avvicinava spaventato dal tono del capitano.

"Cosa vi è successo?" riuscì a pronunciare, trascinando nello stesso tempo Hanamichi sul letto e correndo subito dopo a prendere la cassetta del pronto soccorso.

Stranamente fu Kaede a rispondere:

"E’ stato assalito da alcuni teppisti."

Poi vedendo che ormai non c’era più niente di cui preoccuparsi aggiunse:

"Io torno in camera."

Gli altri ragazzi annuirono, ma la voce tremante di Hanamichi li bloccò:

"La tua mano…"

Kaede infatti aveva tenuto la mano in tasca: istintivamente cercava ancora di non scoprire le proprie debolezze di fronte agli altri, per proteggersi. Ma alle parole di Sakuragi, Akagi si avvicinò fulmineo a lui e gli afferrò il braccio: alla vista della mano sporca di sangue impallidì violentemente.

"Cretino, cosa aspettavi a dircelo? Bisogna correre in ospedale."

E senza aggiungere altro lo trascinò fuori dalla stanza.

 

fine della terza parte

 


 

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