"Stupida Kitsune, chi ti credi di essere? Pensi di essere meglio
di tutti noi solo per aver segnato qualche punto in più? Tu sei un
egoista che ci ha sfruttato solo per ottenere il successo personale, altro
che spirito di squadra! Te non sai nemmeno cosa significa avere degli
amici, bastardo presuntuoso!"
Dolore. In quel momento l’unica cosa che Kaede Rukawa riusciva a
percepire era il suo cuore che andava in frantumi, sgretolato da quell’odio
che impregnava le parole di Hanamichi. Perché lo odiava così tanto? Cosa
aveva fatto contro di lui per scaturire una reazione così violenta?
Possibile che l’unica cosa che riuscisse a suscitare nel ragazzo che
amava fosse odio?
Dopo la partita contro il Sannoh tutti avevano sperato che le cose
sarebbero cambiate fra quel ragazzo così silenzioso e il rossino:
dopotutto Kaede aveva ammesso implicitamente con quel passaggio di fidarsi
delle capacità del compagno di squadra, aveva riconosciuto che il suo
rivale meritava il suo interesse e la sua stima. Hanamichi non poteva
aspettarsi di meglio, considerato il carattere del moro. Invece la
situazione, al ritorno di Hana dalla fisioterapia, era precipitata
drasticamente: Sakuragi non perdeva occasione di insultare Kaede, di
scontrarsi con lui ma queste non erano più le solite liti. Dalle parole
di Hanamichi traspariva un risentimento profondo che portava il ragazzo a
ferire volutamente il compagno di squadra, senza curarsi delle reazioni
dell’altro. E Kaede, lentamente, si era rinchiuso nella sua solitudine,
cercando di evitare il più possibile Hanamichi, non rispondendo nemmeno
ai suoi insulti. Sempre più pallido e dimagrito, si era completamente
isolato nel suo mondo fatto solo di basket. Anche il suo stile di gioco
aveva risentito della situazione, non certo peggiorando, al contrario:
Rukawa era diventato ancora più bravo ma in tutti i suoi movimenti si
poteva intravedere la tensione a cui era sottoposto il ragazzo; Kaede
palleggiava come se al mondo non esistesse altro che il pallone,
schiacciava a canestro con disperazione, per annullarsi nel gioco. Un
gioco solitario, violento, portato quasi all’estremo. E con l’inizio
del campionato invernale la situazione non poteva altro che peggiorare.
Lo Shohoku vinse facilmente le eliminatorie. Come era prevedibile, i
ragazzi, enfatizzati dal secondo posto ai campionati nazionali,
sbaragliarono senza nessun problema i loro avversari. E adesso si
apprestavano per partire alla volta di **** dove si sarebbe disputato il
campionato vero e proprio. Il giorno della partenza era una fredda
giornata di fine novembre: le nuvole bianche che solcavano il cielo
promettevano neve in abbondanza. I ragazzi, avvolti nei loro giacconi,
aspettavano con impazienza l’arrivo del pulmann, tremando di freddo.
"Mamma mia, che freddo" esclamò Hanamichi "dovresti
sentirti a tuo agio con questo clima polare, kitsune!"
"Ti prego, Sakuragi, non cominciare!"Kogure si mise davanti
al rossino per evitare una nuova rissa.
"Ho detto forse qualcosa di sbagliato? Lo sanno tutti che ha il
cuore di ghiaccio!"
Prima di rendersi conto di cosa fosse successo, Hanamichi si ritrovò
seduto per terra con la testa dolorante per uno dei pugni di Akagi.
"Un’altra parola e ti lasciò qui!" disse minaccioso il
capitano.
Nel frattempo gli altri osservavano Kaede che sembrava non essersi
nemmeno accorto di cosa era successo intorno a lui. Il ragazzo era così
immerso nei suoi pensieri che a malapena percepì l’arrivo del pulmann:
salì lentamente e prese posto vicino a un finestrino. Ovviamente nessuno
si sedette vicino a lui, preferendo occupare i sedili di fondo per
chiacchierare più facilmente. E nuovamente Kaede si ritrovò a invidiare
i suoi compagni, la loro amicizia, il calore e l’allegria che
irradiavano. Non poteva avvicinarsi a loro perché se avesse tentato, ne
era certo, lo avrebbero trattato con sufficienza perché lui non era come
loro, non riusciva a esprimere a parole ciò che provava, preferiva
ascoltare e lasciar parlare i suoi gesti. Eppure nessuno aveva mai cercato
di capirlo, di decifrare i suoi silenzi, ritenendo più semplice
allontanarlo. E se anche i suoi genitori lo avevano abbandonato, come
poteva pensare che loro si sarebbero comportati diversamente? Loro, ma
soprattutto lui, il suo pensiero ricorrente, l’incubo che da mesi
tormentava le sue notti; la persona che gridava ai quattro venti di
odiarlo e non si faceva remore di rammentarglielo in ogni situazione; il
ragazzo che, nonostante tutto, non poteva fare a meno di amare. Hanamichi
rappresentava per lui la sola persona con cui avesse tentato di stabilire
un rapporto, anche se molto particolare; non ricordava di essersi mai
comportato così con nessun altro, nemmeno alle medie. Sakuragi lo aveva
staccato a forza da quell’isolamento forzato con cui si proteggeva dagli
altri, aveva riempito i suoi silenzi con torrenti di parole senza senso ma
che aveva imparato ad apprezzare per la loro spontaneità e vitalità. Non
poteva immaginare una sua giornata senza quella testa rossa a disturbarlo.
Rivalità, ammirazione, stima e infine…amore. Se ne era innamorato
lentamente, osservandolo mentre cresceva e maturava la sua passione per il
basket, ascoltando i suoi discorsi strampalati e spiando ogni suo
atteggiamento. Si era scoperto ad apprezzare tutto di lui, a desiderare di
poter trascorrere con lui un po’ di tempo da solo per conoscerlo meglio;
quando si era accorto che era geloso di Haruko non aveva più potuto
nascondere i propri sentimenti e aveva compreso di amarlo. Un amore
totale, come quello che provava per il basket, che aveva stravolto tutta
la sua vita: per la prima volta aveva capito veramente il significato
della parola felicità. Si era sentito orgoglioso di lui durante il
campionato, contento per lui quando venivano riconosciuti i suoi meriti,
desideroso di dimostrargli la propria stima. Ma come suo solito non aveva
espresso questi sentimenti a parole, li aveva condensati in quel fatidico
passaggio, un ammissione che lui da solo non poteva portare la squadra
alla vittoria ma che voleva al suo fianco Hanamichi. Come al solito
nessuno aveva compreso, neanche lui. Anzi, sembrava che l’odio tante
volte declamato a parole fosse diventato reale, talmente forte da ferire
anche il suo cuore coperto dal ghiaccio. E a lui non restava che il
basket, adesso più di prima la sua unica ragione di vita: poco importava
se passava tutto il giorno in un campetto da basket dimenticandosi perfino
di mangiare, ritornando a casa solo quando le tenebre gli impedivano di
mirare al canestro, con le mani arrossate dal freddo e i muscoli doloranti
per la fatica; era solo in quei momenti che riusciva a dimenticarsi di
tutto il dolore che provava, consapevole solo del rumore della palla sull’asfalto
e del canestro davanti a lui. Gli era rimasto solo il basket, l’unica
cosa che non avrebbe potuto abbandonarlo mai, così come, lo sapeva, l’amore
per quel dohao.
"Kogure starà in camera con me, Mitsui andrà con Ryota, Sakuragi
e Rukawa occuperanno l’ultima stanza nel corridoio…"
"Io non divido la stanza con nessuna volpe spelacchiata…AHIA!!"
Akagi continuò imperterrito, ignorando i lamenti di Hanamichi, appena
colpito da uno dei suoi famosi pugni: "Non voglio sentire lamentele o
confusione. Siamo qui per vincere un campionato, non per litigare fra di
noi, chiaro?"
Lo sguardo minaccioso del capitano fu rivolto verso Hanamichi che
continuava a disperarsi per la stanza che gli era toccata.
"Tanto non ci staremo molto tempo, solo la notte per dormire"
cercò di rassicurarlo Kogure.
"E ti sembra poco!"
Rukawa, intanto prese la chiave della stanza e vi si diresse
lentamente.
"Dove scappi, volpe? Io non voglio dormire con te!"
"Hn"
"Come osi ignorarmi??!!"
Kaede, incurante degli urli del suo compagno di stanza, mise il borsone
accanto a un futon e vi si sdraiò sopra: non aveva dormito per niente
durante il viaggio e cominciava ad avere sonno.
"Scendi subito da lì, su quel futon ci dormo io!"
Con un grande sforzo per reprimere un sospiro di sconforto, Kaede si
alzò, spostò la sua roba e si sdraiò sull’altro futon, lasciando
Hanamichi stupito del suo comportamento remissivo. Dopo un attimo:
"Ti sei finalmente deciso ad ammettere la mia superiorità, eh
kitsune?"
"Si, nei tuoi sogni" ma questo Kaede si limitò a pensarlo,
preferendo invece chiudere gli occhi per cercare di dormire. Sarebbe stato
un campionato molto lungo.
fine della prima parte