Memories
of The Lost Times
parte VI
di
Castalia Rimu
Passò una settimana, senza che quasi lo scorrere del tempo, delle ore mi
sfiorasse, se non come un piccolo e vago presentimento.Il cambiamento delle
cose intorno a noi, però, quello lo si percepiva a pelle.. L'elettricità
scorreva nella nostra piccola alcova di tranquillità come una corrente
innaturale ed insolita, che lasciava i nervi di tutti sotto una costante
tensione.. E lo sfinimento ci stava raggiungendo braccandoci senza tregua.
Una mattina, persi il conto di quale fosse, mi sedetti al piccolo tavolino
della cucina, ascoltando i rumori che faceva Selma nel lavare le poche
stoviglie nel lavabo.
Era un suono piacevole, che non avevo mai potuto ascoltare prima di
allora..ma la cosa che più di tutte mi catturò, fu la breve canzoncina che
la signora si mise a canticchiare pian piano, come fosse venuta dal silenzio
stesso, come se fosse una cosa ovvia e naturale.
Poggiai le braccia incrociandole sul tavolo dinnanzi a me, lasciando curvare
il mio corpo fino a chinarmi su di esse, rilassando il capo in quella specie
di cuscino che mi ero costruito. Era una canzone triste.. Parlava di cose
che non ricordo bene, ma riguardava la morte di una piccola bambina in un
lago. Tuttavia, per la prima volta dopo un tempo che mi pareva interminabile
mi rilassai davvero, tanto che per poco non mi addormentai sul tavolo della
cucina senza nemmeno rendermene conto.
Chiusi gli occhi, lasciando che la mia mente si svuotasse da tutto il caos
che vi regnava, cominciando a seguire il ritmo della canzone ed a
canticchiare il ritornello sottovoce.
Una grande e calda mano mi si posò delicata sul capo, muovendosi in una
breve carezza. Ripresi contatto con la realtà immediatamente, scattando
seduto come me lo avessero comandato, gli occhi spalancati.
"Che razza di sensazione è questa?!" Non potei fare a meno di pensarlo, in
quell'attimo in cui incontrai gli occhi liquidi e neri di Selma, ce mi
sorrideva con molta dolcezza.
Era un calore che non avevo mai provato.. Mio padre e anche Michael mi
avevano fatto delle carezze, ma sebbene le sensazioni fra loro fossero
differenti, quello che mi serpeggiò dentro in quel momento, era una cosa che
mi lasciava perplesso.
-Che bella canzone vero?-
Lei mi parlò, ma per comprendere che le parole erano rivolte a me ci misi
qualche secondo.
-Come?-
Lei mi sorrise di nuovo.
-La canzone della bambina morta, no?-
Mi ravviai una ciocca di capelli che mi era caduta sul viso.
-Era bella, sì. Ma davvero molto triste.-
Vidi che si muoveva lentamente, riponendo i piatti e le pentole nel mobile a
muro.
-Quella bambina viveva vicino a casa mia, sai?-
-Davvero?-
Non che l'argomento m'interessasse particolarmente, ma non volevo lasciar
fuggire quella tranquillità, non ancora.
-Sì, era una bambina bellissima, ma era bianca e nel nostro quartiere non
hanno vita facile.. Un gruppo di ragazzini, la gettò nel lago per dispetto,
ma lei non sapeva nuotare ed affogò.-
Una mano scura le si posò su un fianco.
-A volte mi chiedo come sarebbe diventata da grande.-
Qualcosa, anche se allora non capivo ancora cosa, mi gelò il sangue nelle
vene, lasciandomi quasi senza fiato. Immagini confuse, luci ed ombre
sinistre, che mi terrorizzavano cominciarono ad agitarsi nella mia mente, in
una danza folle.
Selma mi si fece vicino, toccandomi una spalla.
-Ragazzo mio stai bene?-
Ero rigido come un pezzo di marmo, sudavo freddo, ma riuscii comunque ad
abbozzarle un sorriso.
-Sì, tutto bene.-
-Mmh, quel visetto pallido non m'inganna! Adesso ti faccio una bella tisana
al gelsomino e te ne torni di sopra a riposare, va bene? Quella ferita che
hai non è cosa da poco.-
Il mio sorriso si allargò e sentii qualcosa sciogliermisi dentro.
-Grazie.-
Decisi di non bere al tisana lì, volevo sdraiarmi un pochino a letto; avevo
camminato parecchio il giorno prima, per la riabilitazione..ed il piede
ancora faceva sentire le sue proteste. Avevo voglia di rimanere in quella
casa, ma allo stesso tempo ciò che ci circondava dopo la morte di Daniela mi
faceva pensare con gioia alla fuga.. Arrivai persino a pensare che non
sarebbe stato male tornare in Italia, ma mi scossi subito.. Di quella lingua
non ricordavo poi molto e oltretutto era una pura e semplice follia. Mentre
salivo non senza difficoltà la scale mi diedi mentalmente dello stupido per
le sciocchezze che da qualche giorno mi ritrovavo a creare nella mia mente.
Un profumo familiare mi raggiunse lieve e, sollevando lo sguardo una volta
giunto sul pianerottolo mi ritrovai davanti agli occhi la figura assonnata e
lievemente scomposta di Mick. Sorrisi a quei ciuffi dorati scompigliati,
agli occhi ancora liquidi ed al colore spaiato delle calze.
-Ehilà, ancora nel modo dei sogni?-
Lui mi guardò storcendo la bocca lievemente, muovendosi verso di me fino ad
arrivare a tendermi una mano. Lo fissai interrogativamente, ma lui non mi
diede risposta, così mi avvicinai afferrando la mano che mi tendeva.
Un forte strattone mi avvicinò a lui, mentre rovesciavo metà della tisana
sul pavimento.
Sollevai il capo per protestare, ma il luccichio assassino nei suoi occhi mi
bloccò il fiato in gola.
-Ti giuro Alex che se ti metterai ancora a far tanto rumore prima delle
undici te la farò pagare in maniere che nemmeno immagini.-
Per un attimo rimasi allibito, ma poi, come fosse scattato un interruttore
dentro di me, compresi a cosa si riferiva.
Verso le sette, dato che non riuscivo a dormire, avevo preso gironzolare per
la casa. Una piccola stanzetta aveva attratto la mia attenzione e
intrufolandomici dentro avevo scoperto un vecchio pianoforte a muro e, preso
dalla cosa, avevo cominciato a strimpellare vecchie canzoncine che suonavo
da piccolo alle elementari, provocando oltretutto parecchie proteste da
parte del dottore.
Ma davvero non pensavo di aver svegliato anche Michael.La cosa mi fece
sorride interiormente.
-Cos'è, ho rovinato il tuo sonno di bellezza?-
Storse nuovamente la bocca, stavolta di più, lasciandomi andare emettendo un
seccato: -Bah!-, mentre si dirigeva verso la cucina, salutando Selma.
Quel pomeriggio, ci ritrovammo tutti in salotto, anche se non vi era stata
affatto l'intenzione di stare assieme, ma alla fine era venuto così.Il
dottore e Mick stavano giocando a pocker, mentre io leggevo un vecchio libro
di medicina, tentando di capire quel che vi era scritto. Selma entrava ed
usciva dalla stanza, portando ogni sorta di dolce casereccio, riempiendo
brocche su brocche di succo di pompelmo.
La cosa strana di quel posto, è che ancora adesso mi ricordo chiaramente il
profumo che aveva. Non saprei nemmeno dire il perché, ma sebbene non fosse
affatto un bell'ambiente a livello estetico, sembrava assolutamente
perfetto, sapeva di famiglia.
Spesso, gli uccellini prima che le fabbriche cominciassero ad animarsi, si
posavano sugli scalcinati davanzali delle finestre, cinguettando piano,
quasi avessero vergogna a spezzare quell'unico ritaglio di silenzio
concessogli.
Chiusi il libro, prendendo ad osservare la partita di carte, ridacchiando
quando vedevo il dottore cadere nelle trappole di Michael per l'ennesima
volta.
Poi suonò il telefono. E quel suono, giuro, non lo dimenticherò, finché
campo. Perché da esso, tutto avrebbe cominciato il suo corso.
Selma comparve nella stanza, sollevando la cornetta. Qualcosa sembrò
spaventarla a morte, mentre balbettando, comunicava al dottore che era per
lui.
Jhonatan si affiancò a lei e le tolse dalle mani l'apparecchio.
-Pronto.-
Poi i suoi occhi si sgranarono, inconsciamente fece un passo indietro.
-Come ha avuto questo numero?! No, no non è più qui, ha lasciato la clinica
già da diversi giorni!-
Mick scattò in piedi, osservando la figura del dottore severamente,
assumendo la sua aria più glaciale, mentre si muoveva verso di lui.
-Ma…! Ma è la verità..!Io..-
Michael gli strappò il telefono dalle mani, posandoselo pesantemente contro
l'orecchio.
-Sono io. Che cosa vuoi ancora?-
Mi sentii ghiacciare. Era Lucas.
-No. Non te lo darò. MAI. Mi hai capito? MAI.-
Il dottor Dawson si accasciò su una poltrona, stringendosi con forza la
testa tra le mani, mentre Selma non la smetteva di tremare, mormorando frasi
che non riuscii a comprendere.Andai di fianco a Mick e gli strappai con
forza la cornetta dalle mani.
"Ora basta." Mi dissi, "Questa storia deve finire."
Mi guardò allibito, facendo per dirmi qualcosa, ma lo bloccai cominciando a
parlare con la persona dall'altra parte del filo.
-Lucas.-
Un attimo di silenzio da entrambe le parti mi avvolse.
-Alex..?-
-Sì, sono io.-
-Ma guarda, guarda…Non avrei mai creduto di parlare con te.. A cosa devo
tanto onore?-
-Voglio che la smetti, voglio che ci lasci in pace. Sono stanco di tutto
questo.-
Una breve risatina mi giunse alle orecchie.
-Oh, ma senti, LUI è stanco!-
Poi, la sua voce si abbassò in un tono che non gli avevo mai sentito, un
tono basso e cattivo, quasi venisse dal sottosuolo e non da Lucas.
-Io so solo una cosa, che ti ho cercato a lungo e ti voglio, chiaro? Tu mi
servi, per il disegno che mi sono proposto e non ho voglia di stare a
sentire chiacchiere inutili. Ogni protesta è fuori discussione!-
Mi arrabbiai non poco; che si credeva quello, che fossi una sua proprietà?
"A quanto pare sì.." E' quello che inconsciamente mi risposi da solo..
-Ma come ti permetti di dirmi una cosa del genere?! Io non sono di nessuno,
chiaro?! Tantomeno tuo!-
Altra risata.
-A quanto pare sei duro di comprendonio…dovrò usare i metodi bruschi e
d'impatto, a quanto pare! Ciao ciao!-
Il suono della linea libera fu l'unica cosa che sentii. Aveva messo giù.E
poi tutto era successo, così veloce, che nemmeno me ne resi conto, in quel
momento.
Una serie improvvisa di spari, distrussero i vetri delle porte finestre,
mentre altri divoravano il divano e le poltrone, facendo volare la
gommapiuma e brandelli di tessuto. Anche i tavoli fu quasi come spiccassero
il volo, schegge di legno di conficcarono nel muro, altre distrussero i
soprammobili che ancora erano integri.
Michael ci urlò di uscire dalla stanza velocemente, così mi alzai in piedi
senza riflettere e corsi verso di lui, attaccandomi alla sua spalla, mentre
voltandomi per caso, vidi la sagoma del dottore trafitta da sei o sette
colpi di mitraglietta mentre cadeva a terra vomitando sangue, gli occhi
spalancati.. Le sue pupille chiare incontrarono le mie, disperate,
incatenandosi alle miei occhi, con tutta quella disperazione..
Le lacrime iniziarono a scorrermi sul viso senza che potessi impedirmelo,
quando anche l'urlo straziante di Selma mi penetrò nelle orecchie.
"Perché tutti quelli che amo muoiono?! Perché tutti quelli che mi stanno
vicino, che mi danno un po' di dolcezza finiscono per cospargersi di sangue
sotto i miei occhi?" Quel pensiero mi ha torturato l'anima per molto tempo
ancora, forse per troppo tempo.. e nulla lo ha mai potuto scacciare..
La mano di Michael si spostò sulla mia, strattonandomi verso la porta con
tanta forza da farmi un male pazzesco, mentre i miei occhi non potevano
scollarsi dalla scena che mi si poneva dinnanzi.
Le immagini di quel momento poi, mi scorrono nella mente confuse,
appannate..
I miei ricordi si perdono, anche perché credo proprio che in quegli istanti
fossi talmente sconvolto da non capire nemmeno chi fossi. Hehe..mi sembra
quasi ridicolo..
Corremmo, corremmo tanto, il piede mi mandava impulsi di pura sofferenza e
la testa nemmeno se ne accorgeva..Ero come una bambola di pezza trascinata
nella corsa da Mick che invece sembrava perfettamente lucido e cosciente. Mi
stava conducendo seguendo un percorso preciso, attraverso vicoli sempre più
stretti e sporchi..più di quelli che avevamo attraversato per arrivare a
casa del dottore..
Sentivo solo quell'olezzo nauseante, mentre i conati di vomito mi assalivano
incessanti, facendomi sussultare e tutte le persone morte che avevo
conosciuto mi si posero dinnanzi agli occhi, con quel loro sguardo vacuo,
senza luce.. Come fantasmi senza palpebre, poiché le avevano già chiuse sul
loro presente.. Avevo paura, anzi avevo terrore di me stesso..In quella
remota parte di me che ancora lottava per la lucidità, sentii un odio
profondo verso me stesso.. mi convinsi, che tutto quello era successo per
colpa mia, perché io ero maledetto, avevo qualcosa che richiamava la morte,
senza che nemmeno io lo volessi..Ed in effetti era davvero così.
Solo che ancora non potevo saperlo..
La morte di mia madre, quel mistero così grande che andava infittendosi
sempre di più, era la vera ragione di tutto, ma avrei dovuto aspettare
ancora per comprenderlo…dovetti aspettare quando anche l'ultima scintilla di
ragione e di anima che possedevo, si sarebbe perduta.. Ma di nuovo corro
troppo.. Di tanto in tanto, lo sguardo preoccupato di Michael si posava su
di me, probabilmente per via del piede, ma io non sollevavo mai lo sguardo
su di lui.Mi persi in me stesso nuovamente, per tutto il tempo di quella
corsa pazzesca.
Un grosso capannone, come quelle specie di rimesse per le macchine, ci si
stagliò di fronte, e, fermatosi per recuperare fiato, Michael me lo indicò.Mi
chiesi come fosse possibile esistesse una cosa talmente lurida e marcia, ma
riflettendoci, perché avrei dovuto stupirmi di qualcosa ancora?Mi mossi per
primo verso di esso, non accusando per nulla la stanchezza..incredibilmente,
avevo solo un minimo accenno di fiatone. Ancora adesso non so spiegarmene il
perché.
-E' qui?-Chiesi solamente.
Lui mi rispose con un farfuglio indistinto. Mi volsi, stavolta guardandolo
direttamente negli occhi.
Mick mi si fece accanto, lasciando pochi centimetri di distanza tra di noi.
-Mi dispiace, Alex.-
Spalancai leggermente gli occhi.
-E perché mai dovrebbe dispiacerti?-
Piantò gli occhi diritti nei miei, piegando verso il basso le sopracciglia.
-Per tutto il sangue versato che non sono riuscito ad impedirti di vedere.-
Ma la mia testa non era più lì. Ero completamente senza ragione, in quel
momento.Tutto mi rimbombava troppo forte e troppo in fretta contro il
cranio.E così, scoppiai a ridergli in faccia.
Sì, gli risi proprio in faccia, come avesse detto una cosa incredibilmente
buffa, senza che riuscissi a pormi un minimo di decenza. Ridevo
sguaiatamente, senza alcun freno. Lui mi fissava serio, non scomponendosi
minimamente, aspettando e basta.
Lo vidi nei suoi occhi grigi, ridotti a due lame argentee che scintillavano
nel buio di quel pomeriggio scuro, carico di pioggia che non voleva
cadere..Lui stava aspettando, solo quello, solo aspettando. E le mie risa si
tramutarono in pianto. Un pianto feroce, disperato, che mi fece cadere in
ginocchio davanti a lui, aggrappandomi al tessuto ruvido dei suoi pantaloni.
Era come mi fossero venute a mancare tutte le forze.. Gli occhi erano
appannati, colmi di quel liquido amaro che me li stava arrossando e
gonfiando.. Ero completamente distrutto, da tutto, da tutti, da me stesso.
Soprattutto da me stesso.
Michael si chinò, scostandomi piano.
E mi abbracciò. Mi abbracciò forte, fin quasi a togliermi il respiro.Io
urlavo, urlavo forte, urlavo che ero un mostro, che ero una persona orrenda
che uccideva quelli che amava..e molte altre cose ancora che non ricordo.
E lui mi stringeva, cullandomi piano, sussurrandomi all'orecchio cose che
non compresi, ma che erano molto dolci e rassicuranti..
Poi mi lasciò, risollevandomi da terra, mentre allungava una mano ad
asciugarmi le lacrime che ancora mi colavano dal volto.Mi fece un sorriso,
dicendomi:
-Non preoccuparti, Alex, io non morirò. Rimarrò con te e ti proteggerò anche
da te stesso, se sarà necessario. Nessuno potrà toccarti.-
Alcuni singhiozzi mi si strozzarono in gola, mentre lo abbracciavo piano,
strofinando la fronte sul suo collo.
-Ti amo. Perdonami per questo..-
Glielo dissi, pieno di dolore, perché sì, quello era dolore, dolore per
tutto ciò che quello comportava..Ma si sa, la felicità, così come la
fortuna, non sono di questo mondo..
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