Memories
of The Lost Times
parte IV
di
Castalia Rimu
Passati alcuni secondi, forse un minuto, cercammo di riprenderci e di
pensare al da farsi.
Dopo tutti quei casini uno dietro l'altro, si riprendono così velocemente?
Direte voi, ma vi assicuro che fu proprio così. In casi del genere, o ti
riprendi subito, o non ti riprendi più, per molto, molto tempo.
Nell'appartamento non si udiva il benché minimo rumore.
Mick aveva lasciato la pistola su un mobile del salotto. Aveva però due
piccoli coltelli nascosti in uno stivale e un' altra pistola infilata nella
cintola. Estrasse proprio quest'ultima, mentre si apprestava ad aprire la
porta della cucina.
La stanza era vuota, ma il pavimento era pieno di frammenti di vetro.
Lui si gettò improvvisamente verso il tavolino, dopo aver spalancato la
porta con un calcio.
Rotolò una volta sul pavimento, poiché il salto fu troppo corto. Afferrò in
un attimo la pistola.
Mi fece cenno di correre velocemente vero di lui, ma io ero bloccato dalla
paura, e, per una frazione di secondo, non riuscii a muovermi. Lui fece un
cenno più spazientito, così mi decisi, e corsi verso di lui.
Non ricordo bene l'attimo subito dopo, ma ripensandoci anche in questo
momento, ricordo il dolore sordo e pulsante che provai quando, arrivato a
pochi passi dal tavolo, una pallottola mi colpì in pieno il piede sinistro.
Caddi a terra, ma con una scatto spinto più dalla paura che dalle mie reali
possibilità, riuscii ad arrivare di fianco a Michael.Avevo l'osso del piede
praticamente spappolato… non sentivo quasi neanche più il dolore da tanto
quest'ultimo era forte.Michael mi guardava con occhi pieni di apprensione e,
dopo essersi rimirato attentamente da ogni angolazione, si strappò una lunga
striscia di tessuto dalla camicia e la avvolse in qualche maniera attorno al
mio piede.Mi lasciai sfuggire un lamento forse troppo forte perché presero
all'improvviso a spararci addosso.
Mettendomi un braccio intorno alla vita, Mick mi trascinò velocemente dietro
il divanetto, dato che il tavolino era ormai ridotto a un ammasso di legno
crivellato.
Girandosi di scatto verso le finestre alla sinistra della stanza, Michael
esplose due colpi che freddarono, rispettivamente con un buco all'addome ed
uno alla testa, due degli sconosciuti inseguitori di Daniela. Numerosi colpi
perforarono un lato del divanetto passando proprio accanto alla tempia di
Mick, uno dei quali lo ferì facendo colare un lungo rivoletto di sangue
lungo il suo viso, proprio vicino all'attaccatura dei capelli.
Non avevamo idea del numero delle persone presenti nell'appartamento, ma
anche la meno rosea delle prospettive pareva irrealizzabile… A Michael
rimanevano solo cinque colpi ( dato che la pistola non era un'automatica e
che essendo a canna corta non era molto adatta alle lunghe distanze…) e
anche ammettendo che non sbagliasse un colpo era un'impresa disperata
pensare di uscirne vivi… Senza contare che io avevo un piede completamente
fuori uso e che quindi non potevo muovermi come volevo.
Improvvisamente uno sparo fece saltare di mano la pistola a Mick, che emise
un gemito soffocato di dolore… Un uomo completamente vestito di nero e con
una vistosa cicatrice di coltello che gli attraversava tutto il volto
passando attraverso le sopracciglia e sfregiandogli naso, zigomo e guancia,
ci si parò di fronte con un sorrisino compiaciuto stampato in faccia.
- Ma guarda un po'! Ragazzi venite a vedere che due bei topolini abbiamo
qui!- Sbraitò ai suoi compari, che vennero a mettersi al suo fianco
ridacchiando. Erano in tutto sette, tutti piuttosto simili, occhi e capelli
scuri e con diverse cicatrici sparse sul corpo. Quando il mio sguardo si
posò sul settimo, però, notai che era completamente diverso dagli altri.Aveva
una corporatura gracile ma incredibilmente flessuosa ed i tratti e
l'ossatura del suo volto erano affilati e sottili, così delicati da far
mettere in dubbio la tua mente sul fatto che fosse un uomo. I capelli erano
un delicato biondo cenere, lunghi sulle spalle e gli occhi di un azzurro
così intenso che parevano finti.
- Bennet, chi sono questi due?- chiese il misterioso settimo uomo allo
sfregiato che ci aveva scovati.
Bennet si agitò imbarazzato, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi ed
accennando ad un mezzo inchino con la testa.
- Sono i compagni della donna capo. -
- Mmmh…- fece quello di rimando. Mosse due passi verso di noi, e ,
infilandosi le mani guantate nelle tasche dei pantaloni, prese a fissarci
placido.
- Io ho già visto la tua faccia da qualche parte…- disse pensieroso
osservando attentamente il volto di Michael.
- Bè, io non ho la minima idea di chi tu sia. - Rispose gelidamente lui.
Gli angoli della bocca di quell'uomo si piegarono in un sorriso allegro e
malizioso. Si voltò poi verso di me, chinandomisi di fronte fino a sfiorarmi
il volto tremante col proprio.
- Ma che bel colore rosso hanno i tuoi occhi…- Mi disse quasi con dolcezza.
- Mi piacciono proprio tanto… scavano dentro l'anima della gente, proprio
come i miei. - Fece, picchiettandosi con un dito vicino al suo occhio
sinistro.
- E' così, vero, che sei riuscito ad addolcire il cuore del nostro Angel?-
Io di scatto spalancai gli occhi. Eppure quell'uomo non mi faceva paura,
anzi… m'ispirava una grande e dolorosa nostalgia…Rimanemmo a fissarci per un
attimo.
- Io e te siamo uguali. - Disse poi con fermezza, affondando ancor più lo
sguardo nel mio.
- Pe…Perché dici una cosa simile…?- chiesi balbettando un po' per il dolore
al piede. Lui notò la mia sofferenza, ma non fece una piega, anzi, si limitò
a sfoderare il suo solito sorrisetto.
- Lo sai qual è la prima parola che ho imparato da piccolo?- Disse sempre a
pochi centimetri dal mio viso. - Du bist kein wunschkind.-
- Non sei un bambino voluto…- Ripetei io traducendo. Lui sgranò appena gli
occhi, piacevolmente sorpreso.
- Capisci il tedesco, bravo. - disse socchiudendo poi gli occhi.
- E cos'avrei dunque in comune io con te?- Chiesi lentamente, inspirando una
boccata d'aria.
- Entrambi siamo bambini odiati dalla propria madre, Alexander Crimson. -
- E tu come fai a conoscere il mio nome?!- Lui rise.
- Sei una leggenda nel mondo degli assassini ragazzo… Con quel gesto tua
madre si comportò veramente da idiota. Non mi meraviglia che al momento di
prendere una decisione tuo padre non abbia avuto remore a ucciderla!- Rise
poi soddisfatto, lasciando me a bocca aperta e con la mente frastornata.
- Adesso basta. - Disse con ferma freddezza Mick, puntando il suo sguardo
tagliente in quello sorridente di lui.
- Oh! Calma, calma non ti scaldare…- Ma poi, qualcosa lo bloccò.
- Vuoi davvero farmi credere che il tuo adorato paparino non ti ha mai
raccontato questa storia?- Si voltò verso di me sgranando un po' gli occhi.
- Ahahahah! Davvero divertente!-
Le mani presero a tremarmi violentemente per la rabbia, e, per non farne
notare il tremito, le strinsi con forza a pugno. Michael, a cui non sfuggì
quel mio gesto, prese a guardarmi malinconicamente.
- Innanzitutto non ti permetto di parlar male di mio padre. In quanto a mia
madre, sono venuto a conoscenza del suo nome solo pochissimo tempo fa,
quindi ciò che lei fece nella e della sua vita, non è cosa che mi riguardi.
Portar rancore ai morti è una cosa assolutamente assurda. - Dissi con voce
ferma e gelida, ricambiando lo sguardo di quell'uomo strano.
Lui mi fissò maliziosamente, estraendo la sua automatica dalla custodia
legata sotto la giacca e me la puntò in mezzo agli occhi.Io m'irrigidii
spaventato.
- Oh, ma che bella lingua tagliente che ti ritrovi!- Fece una pausa, mutando
il suo sguardo in uno estremamente triste. - Non hai paura di morire…?-
Chiese con un fil di voce.
- Non permetterei nemmeno al Padre Eterno di parlare male di mio padre. -
Risposi.
- Mmmh…- Mugugnò. Con un sorriso si chinò definitivamente su di me e mi
sfiorò appena le labbra con le sue, con un tocco così leggero da non
avvicinarsi nemmeno al più pudico dei baci. Io rimasi fermo, irrigidito.
Mick fece per alzarsi in piedi, ma Bennet lo spinse giù a forza, puntandogli
la canna del suo revolver contro il naso.
- Buono ragazzino, - ridacchiò. - Il capo è un gentiluomo, non gli farà
nulla. - Gli altri intorno a loro risero di cuore, tirandosi leggere
gomitate l'un con l'altro.
- Il mio nome è Lucas. - Disse risollevandosi l'uomo dai capelli biondi. -
Adesso dobbiamo proprio andare, temo che presto ci verrebbero a disturbare e
io voglio poter risolvere i conti in un luogo tranquillo. - Mi fissò
dolcemente, accarezzandomi lentamente una guancia con un dito.
- Non vedo l'ora di star un po' solo con te, Alex Crimson…- Detto questo si
voltarono tutti e corsero fuori dall'appartamento.
Il tempo parve essersi fermato, così, all'improvviso.
Avvertii un fruscio, di fianco a me, e la mano grande di Mick mi avvolse una
spalla.
-Alex, Alex dobbiamo andar via. Fra poco la polizia sarà qui.-Volsi lo
sguardo confuso verso di lui.
-Io..non capisco più nulla..- Dissi, una mia mano che si affondava nella
massa castana che mi cadeva sulla fronte. -Che cosa significa, tutto
questo?! Che sta succedendo?!-
Lui assottigliò gli occhi, riducendoli a due lame grigie.
-Stai perdendo troppo sangue, corri il rischio di svenire e questo non
possiamo permettercelo. Coraggio adesso, dobbiamo muoverci!-
Rinunciando a capirci qualcosa -almeno per il momento-, mi sollevai dal
pavimento, aggrappandomi con forza alle braccia di Michael, mentre una forte
fitta di dolore mi partiva dal piede, diramandosi lungo tutta la gamba.
Strinsi i denti con forza.
Mick mi aiutò come poté a scendere il più velocemente possibile le scale,
mentre il paesaggio esterno ci illuminava in tutta la sua pallida atmosfera.Seguimmo
stradine intricate, vicoletti più o meno bui, sfuocati allora come adesso
nella mia mente.
Il dolore mi stava facendo impazzire e, senza potermelo evitare, un gemito
piuttosto forte mi sortì chiaro dalle labbra socchiuse.
Michael si arrestò immediatamente, facendomi delicatamente appoggiare la
schiena contro un muro.Ansimavo pesantemente, la vista che diminuiva sempre
di più. Fissai gli occhi liquidi nei suoi e vidi una grande apprensione.
-Dove stiamo andando?- Chiesi.
Lui si avvicinò a sistemarmi una ciocca ribelle dietro un orecchio.
-Da un medico. E' un mio vecchio amico, il dottor Dawson; terrà la bocca
chiusa e, cosa fondamentale, non farà domande.-
Ma in cosa ero caduto dentro? Che mondo era quello? Tutto era un enorme
caos. Mi sentivo perso, avevo una incontrollata paura verso ogni minimo
segnale, sobbalzavo ad ogni rumore, scricchiolio.
Quell'angelo che mi stava al fianco, sembrava quasi un messaggero della
morte, mentre riprendevamo il nostro cammino intricato nel quartiere: i
capelli dorati che si agitavano per la corsa, goccioline di sudore si
facevano lucenti come specchio degli sporadici raggi solari che arrivavano
in quegli anfratti oscuri.Gli occhi, scintillanti, letali come ogni altra
cosa che si poteva vedere in lui, persi nelle profondità del suo pensiero,
quasi volessero perdersi in qualcosa che non fosse quello che stava
avvenendo in quel momento, ed allo stesso tempo, fossero estremamente
presenti ed all'erta.
E quella sensazione estranea di calore che mi si accendeva dentro ogni volta
che posavo lo sguardo su di lui, diveniva sempre più grande, sempre più
frequente e violenta.
"Ma che mi sta accadendo?!" Me lo ripetevo, come un mantra nel cervello
stanco, in maniera sempre più martellante. La morte, sembrava aver preso
possesso anche di me, in quel mondo che allora non riuscivo nemmeno a
concepire come realmente esistente.
Arrivammo, dopo quasi un'ora, dinnanzi ad uno strano edificio; un piccolo
palazzetto a due soli piani, di un improbabile color giallo canarino,
crepato e scrostato in un'infinità di punti.
Mick si avvicinò alla pesante ed arrugginita porta principale, prendendo a
bussare il più rumorosamente che gli fosse possibile.
-Jhonatan! Alza il culo e vieni ad aprirmi maledizione!-Le parole erano alte
e chiare, ma come al solito, non avevano alcuna inflessione e non
scomponevano minimamente l'espressione sul viso di Michael.Ancora un'altra
volta, schiantò il pugno sulla superficie ruvida dinnanzi a sé.
Una voce di donna, rimbombò oltre la porta, ma non seppi comprenderne le
parole; altri rumori di frettolosi e pesanti movimenti mi giunsero alle
orecchie, qualcosa di infranto e poi, un paio di cigolanti scatti e
l'ambiente all'interno dell'edificio ci fu finalmente visibile.
Un grasso uomo dai capelli spettinati e giallicci ci si parò davanti,
fissandoci attentamente. Le sue espressioni si susseguirono velocemente
attraverso il volto paffuto, passando dal furioso al sorpreso,
all'allarmato.
-Angel! Ma che accidenti ci fai qui?!-
Si scostò rapidamente dall'entrata, lasciando che Mick entrasse nello
stretto e lurido corridoietto, trascinandosi me appresso. Non gli rispose,
ma si diresse velocemente verso una piccola stanzetta che puzzava di
medicinali, aprendone la porta con un calcio, facendomi alla fine sdraiare
completamente su un divano duro come il marmo.
Giunse anche quell'uomo un attimo dopo, tergendosi il sudore che gli colava
costantemente dalla fronte con un fazzolettino.
-Angel, mi vuoi rispondere per Dio?! Che casini ti sei tirato addosso
stavolta?!-
Michael abbandonò il mio sguardo solo per un secondo voltandosi di scatto
verso il dottor Dawson.
-Alexander è ferito. Gli hanno sparato in un piede. Non risponderò per il
momento, vedi solo di curarlo adesso.-
Jhonatan sbuffò sonoramente, biascicando qualcosa a riguardo di Mick,
avvicinandosi a me con pacatezza.
-Allora giovanotto, vediamo questa ferita!-
Non volevo stare sdraiato così, completamente indifeso sopra un divano. Io
odiavo ed odio tutt'ora i divani, con tutto me stesso. Mio padre è morto su
uno di quei dannati cosi ed io non riesco a sopportarne nemmeno la
vicinanza. Perlomeno non così, non in quel modo impotente.
Mi aggrappai ad una manica della camicia di Michael, implorandolo con gli
occhi di togliermi di lì, mentre quell'uomo si rigirava il mio piede tra le
mani, provocandomi ancora un maggior dolore.
Lui mi carezzò la fronte piano, abbozzando un lieve e tuttavia dolcissimo
sorriso.
-Shh..calma Alex. Va tutto bene.-
Eppure io non riuscivo a calmarmi, il cuore non ne voleva sapere di
rallentare, né il mio corpo di smettere di tremare.
Il dottore si avvicinò ad un piccolo armadietto grigio, camminando
pesantemente sotto la mole del suo peso, dopo aver finalmente deciso di
smettere di armeggiare con il mio piede ferito.
L'apparire della cassetta del pronto soccorso, pressoché identica a quella
che a mio tempo usai anch'io su mio padre, fu per me il colpo finale.
Lanciai un piccolo gemito soffocato, tentando di rialzarmi dal quel
maledetto pezzo di marmo sul quale mi avevano costretto a stare, dando fondo
ad ogni energia che mi era rimasta. Ma le mani forti di Mick mi spinsero
nuovamente giù.
-Alex vedi di star calmo, così manderai tutto all'aria.-
Strinsi i denti e chiusi con forza gli occhi, quando il formicolio del
disinfettante sulla mia carne lacerata iniziò a farsi sentire con
prepotenza. Però, ogni volta che alzavo lo sguardo dolorante, gli occhi
argentei di Michael erano sempre dinnanzi a me, che mi fissavano calmi e
limpidi. E questo, almeno in parte, riusciva a calmarmi.
Il dottore finì dopo circa una mezzora. Si avvicinò a Mick, sussurrando
lievemente con la sua voce baritonale.
- Quel ragazzo è stato ad un passo dal perdere un piede! Che accidenti sta
succedendo Angel, vuoi deciderti a dirmelo?!-
Michael sospirò.
-Pare proprio che questa volta io sia andato a toccare tasti troppo
delicati, Jhonny.-
Il medico fece tanto d'occhi.
-Che vuol dire 'tasti delicati' Angel?!-
Michael sfilò dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette ed un
accendino, portandosi poi uno dei piccoli cilindri senza filtro alla bocca,
lasciando che la carta ed il tabacco bruciassero sotto la fiamma arancione
del fuoco.
-Intendo la famiglia Quhang.-
Jhonatan spalancò la bocca, lasciandosi cadere su una delle metalliche sedie
dietro di lui.
-Pezzo d'idiota! Sei andato a stuzzicare proprio la banda di Lucas
maledizione! Come accidenti è successo?!-
Mick poggiò le spalle all'armadio grigio.
-E' stato per Daniela, la figlia di Ronald. La hanno amazzata a casa mia.-
-La figlia di Ronald? Ma non avevi rotto i ponti con quella?-
Michael tirò una lunga boccata dalla sigaretta, che fece cadere la sua
cenere sul pavimento.
- Non ho voglia di parlare di questo ora.-
Il medico si accasciò appena sullo schienale della sedia.
-Ma per colpa di questo, quel ragazzino ha rischiato non solo di perdere il
piede, ma anche la vita! Ti rendi conto in cosa ti sei immischiato?! -
-Sì.-
L'uomo grasso fece una smorfia orribile.
-Bah! Non ha nemmeno senso mettersi a far ragionare gli stupidi! Bada un
momento a lui, io dico a Selma di preparare una stanza e di farvi qualcosa
di caldo da bere.-
Fece un cenno verso di me e lasciò la stanza.
Rimanemmo nel silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, fin quando
un'anziana donna nera apparve dalla soglia, in mano un piccolo vassoio con
due ciotole piene di brodo caldo.
Fece un gran sorriso, pulendosi una mano nel grande grembiule bianco.
-Bene, bene! Il vecchio doc mi ha detto che avete bisogno di una stanza per
la notte! Seguitemi, che ve la mostro!-
Michael mi si fece vicino, prendendomi letteralmente in braccio nel
sollevarmi dal divano, mentre senza il minimo sforzo si avvicinava
all'anziana donna che già si stava inerpicando sulle piccole scalette
malridotte.
Sentii un gran calore salirmi alla faccia e spandersi per tutto il corpo, il
cuore che accelerava per l'emozione.
Sollevai appena lo sguardo verso il suo,fisso dinnanzi a sé.
-Non ti peso?-
Più che una domanda sembrava un bisbiglio appena udibile persino a me. Ma
lui lo afferrò comunque.
-No, sei leggero per essere un ragazzo.-
La mia condizione peggiorò, non appena spostò gli occhi chiari nei miei,
fissandomi con una strana luce in quei due frammenti di vetro.
Fortunatamente per me, arrivammo subito in una stanza piccolina, scura ma
straordinariamente profumata di pulito.
Un letto matrimoniale dalle lenzuola crema, la riempiva nella sua parte
centrale.
Mick mi depositò sulle lenzuola, sollevandole poi a coprirmi, mentre
entrambi bevevamo in silenzio quello che scoprii essere brodo di pollo. Lui
posò le ciotole su un piccolo tavolinetto rotondo da un lato della camera,
levandosi pian piano sia la camicia che le scarpe, infilandosi sotto le
coperte con me.
Rimasi a fissarlo completamente rosso dalla mia posizione seduta.
Michael spostò il capo, fino ad arrivare ad appoggiarlo sul mio ventre. Un
brivido, come una forte scossa, mi percorse da capo a piedi.
-Ti dispiace se sto un po' così?-
Non resistetti alla tentazione ed infilai una mano in quella massa dorata e
liscia che erano i suoi capelli.
-No.-
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