Disclaimer: i personaggi non sono miei (purtroppo) ma di Inoue-sensei

Dedicated: a Isilme perché se non piaceva a lei non avrei continuato.

Warning: di solito quando mi vengono queste idee mi chiedo se sono del tutto nel pieno delle mie facoltà mentali… E questa volta credo proprio di non esserlo! Vi prego di perdonarmi…  e… se il primo capitolo vi ha ‘sconvolto’ nn leggete il secondo. Lo so che in quanto autrice nn dovrei dirlo ma… invece lo faccio!!


 


Memoria perduta

parte II

di Haiku84


 

Oramai il sole era già sorto e alto, aveva illuminato la stanza con i suoi non più pallidi raggi, risalendo fino al letto e lambendo quel corpo che, assopito, era disteso tra le nere lenzuola che spiccavano e allo stesso tempo mettevano in risalto quella figura. Un vampiro. Eppure, il sole poteva toccare la sua candida pelle senza provocargli dolore, senza fargli alcun male. Un vampiro di più di cinquecento anni. Un junjou che letteralmente significava ‘in modo puro’ e designava quelle creature della notte nate dall’unione sacralmente illecita tra due vampiri. Un’unione che poteva avvenire solo in circostanze alquanto particolari e che era bandita da ogni clan, poiché il vampiro che nasceva lo si poteva considerare fautore di una nuova razza. Non più umani, non più vampiri. Una razza unica di cui al mondo esistevano solo pochi esemplari. Estremamente potenti e dotati di poteri oscuri, erano conosciuti anche per la loro tenacia. Non solo la luce del sole non li poteva fermare, ma neanche l’argento o i semplici paletti di legno di frassino piantati nel cuore. Immortali, ma in senso diverso dagli altri esemplari di non morti. ‘Dal sangue sei nato e con il sangue vivrai’. Solo a questa legge, per loro naturale, erano costretti ad attenersi. In tutto, esistevano tre clan e il moretto, apparteneva a quello che un tempo non molto lontano fu il più potente, il clan dei Kage. Pochi erano i membri facenti parte di ogni clan. E questi erano suddivisi in caste, definibili ‘sociali’, dove ognuno svolgeva il suo compito alla perfezione senza mai commettere errori. Dal vampiro più debole, il servitore, che come un parassita viveva alle dipendenze dei più potenti, man mano si saliva di classe. Le guardie, i cacciatori, ovvero coloro che procuravano il cibo, i succubi, gli incubi, gli psichici, i sire, coloro che erano in grado di trasformare un umano in vampiro e infine, colui che deteneva il destino del suo stesso clan, il kenryoku. E a giorni, esattamente il secondo giorno di luna piena, questo destino sarebbe stato di nuovo scritto. Il moretto lo sapeva bene e proprio per questo era tornato dal suo peregrinare, in quella che considerava la sua casa, sempre che un vampiro ne possa avere una. Sempre che un vampiro si possa realmente sentire legato a qualcosa. Si svegliò controvoglia e, messosi indosso la prima veste che vide poggiata sullo schienale di una poltrona, una sorta di lunga vestaglia anch’essa di seta, uscì. I corridoi dell’immenso castello erano vuoti, come privi di vita. Illuminati a mala pena da una tenue luce solare che filtrava a fatica attraverso i tendaggi scuri che, tirati, coprivano le grandi finestre di vetro smerigliato. Nessun rumore echeggiava sulle fredde pareti di pietra tranne i suoi passi che però erano leggeri. A piedi nudi, si diresse senza timore, verso un’altra ala. Superando porte e passando davanti a quadri immensi che raffiguravano scene raccapriccianti di guerre e massacri, dinanzi a innumerevoli arazzi ricamati a mano in cui erano rappresentati campi, teatri di battaglie o di caccia. Oltrepassò, con noncuranza, armature vuote che, come guardiani, comparivano di tanto in tanto lungo il suo tragitto, presidiando nuove porte, nuovi corridoi. Un labirinto nel quale sapeva perfettamente come destreggiarsi. Fino a che non incontrò qualcuno. Un’ombra, gli si fece incontro. E poi una voce, quasi un sussurro reverenziale. "Signorino. Voi, dovreste essere da vostra madre." Una sorta di sorriso beffardo comparve sulle sue labbra e si avvicinò ulteriormente alla figura, senza proferir parola. Lo guardò negli occhi, parve sondargli la mente, il pensiero. Fissò tutto di lui, i suoi capelli neri a mala pena brizzolati, i suoi lineamenti spigolosi e magri, i suoi occhi grigi che parevano spenti eppure attenti ad ogni piccolo movimento, il suo aspetto sicuro eppure titubante e, infine, le sue vesti, quelle di un servitore. Lo riconobbe, era Raten, il più fidato servitore della sua famiglia, da sempre. Tuttavia, continuò a tacere. A quello sguardo, dinanzi a quegli occhi verdi e grigi, Raten, si riscosse. Colui che aveva davanti, era il principe. "Ma voi signore, quando siete giunto? Vi avevo scambiato per…" "Mio fratello." Lo interruppe e l’uomo si abbassò in un inchino, lasciandolo quindi passare. Il moretto riprese il suo cammino, constatando ancora una volta che, fisicamente, solo il colore delle iridi lo rendeva differente dal suo unico fratello, Kaede. Svoltò per l’ultima volta a sinistra e alla fine del corridoio si fermò ad ammirare la porta in legno bianco, sulla quale spiccavano lamine finissime d’oro che si intrecciavano con le scanalature e le sporgenze del legno lavorato, disegnando un intricato roveto di spine e petali di rose. Per un attimo sembrò indeciso. Lasciandosi trasportare da quello che la mente gli offriva. Rivedere quella parte del castello, era come essere riportati indietro, ad antichi ricordi del passato. Ricordi che nemmeno lui sapeva dire se felici oppure da dimenticare. Poggiò le mani sulle due maniglie e con una leggera pressione del polso le porte si aprirono davanti a lui mostrandogli l’interno della stanza. Era, esattamente come l’ultimo giorno che l’aveva vista, prima di partire. Dei colori del bianco e della crema. Nulla era cambiato. Il letto a baldacchino aveva ora i tendaggi tirati e mostravano diversi cuscini ricoperti di tulle e ricami, sparsi su di un lenzuolo color avorio anch’esso ricamato ed elegante. Sulla testata del letto, un basso rilievo, un uomo che dormiva placido in grembo ad una donna. Le pareti, coperte da quegli arazzi che lei stessa aveva fatto. Gli stessi monili preziosi sul tavolo di ciliegio, gli stessi soprammobili. Il profumo di incenso e calendula. Chiuse gli occhi e di nuovo quella sensazione che lo riportava indietro in un altro tempo, in un altra vita, si fece risentire di prepotenza in lui. Ricordi e non solo, anche rumori, parole, gesti, emozioni, forse. Tutto, come allora, come fosse successo solo il giorno prima. Mentre per un uomo, per un mortale, il tempo è sabbia finissima che scivola via dalle mani, inesorabile e infida, per loro, dei vampiri, non è niente. Un giorno, un mese, un anno, un secolo, non ha valore alcuno, non ha significato alcuno. Il tempo trascorre ma per loro è fermo, immobile. Una clessidra la cui sabbia, andando contro la forza di gravità, ha smesso di scendere, in eterno. E così anche in quella stanza, nulla era cambiato. Un sospiro leggero uscì dalle sue labbra e quando riaprì gli occhi, la rivide. Lei, lì, in mezzo alla stanza, bella anzi bellissima, come l’aveva lasciata molti anni addietro. I suoi occhi scuri, resi ancora più penetranti da una finissima riga di colore nero, fissi nei suoi e poi la sua voce elegante e sottile. "Ryuusei." Un richiamo, il suo nome. Piano, con estrema calma la raggiunse e si inginocchiò ai suoi piedi prendendole poi una candida mano, le cui lunghe unghie erano dipinte dell’oscurità notturna, sulle cui dita affusolate spiccavano alcuni preziosi anelli d’argento. Fece per baciarle il dorso, come richiedeva l’etichetta. Ma la donna ritrasse la mano e poggiatala sulla sua spalla, gli fece alzare il viso con l’altra e lo guardò con quello che sembrò amore. Il ragazzo si alzò, mentre la soave voce della donna, gli giungeva alle orecchie. "Non v’è bisogno di essere così formale." Ryuusei ricambiando di buon grado quello sguardo e il sorriso, aspettò che fosse lei ad abbracciarlo. Per quanto, restarono così, non seppero dirlo, poi. "Madre." Richiamò la sua attenzione Kaede, spezzando quasi una piacevole stregoneria. Lei, sciogliendo l’abbraccio si voltò verso chi l’ebbe interpellata. "Perché non mi hai detto subito che era tornato?" Uno sguardo indecifrabile, insondabile, negli occhi color del mare in tempesta e sul viso. Non avrebbe avuto risposta da essi. Tornò quindi a fissare il suo Ryuusei, notando solo in quel momento quanto effettivamente i suoi occhi e il suo sguardo fossero cambiati dopo molti anni lontano. Comprendendo anche, però, che alcune cose, a differenza di altre, non sarebbero mai cambiate. E prima che Ryuusei potesse rispondere al posto di Kaede alla domanda lasciata in sospeso, fu lei stessa a parlare, alzando una mano e chiudendo per un attimo gli occhi. "Non redentemene partecipe, vi prego. Posso bene immaginare. È sempre stato così. Avete sempre corso l’uno nelle braccia dell’altro, prima di presentarvi dinanzi a me o a vostro padre." Quindi si portò sul letto facendo cenno ai suoi due figli di avvicinarsi. Il lungo e molle vestito che indossava, ricadeva a terra con fragili onde e le maniche in raso che avvolgevano strette le braccia, si allargavano poi sempre di più, man mano che raggiungevano il polso. Era stupenda, come ricordava. Gli anni non avevano indebolito i suoi ricordi e lei sembrava ancora più forte di come l’aveva lasciata. Dei suoi capelli ora raccolti, cadevano alcune ciocche dinanzi ai suoi occhi e lungo il collo, fino alle spalle. Il suo viso, da lei, Kaede, aveva preso il suo fascino e i suoi lineamenti. "Venite, avvicinatevi entrambi." I due, dopo essersi scambiati uno sguardo che valse più di mille parole, si fecero avanti come fu chiesto loro. "Sedetevi qui, accanto a me." Un secolo, o poco più, era trascorso dal giorno della partenza di Ryuusei, il primogenito, e ora era di nuovo lì accanto a lei. Insieme a lei e a Kaede. Passarono così i minuti, le ore, l’intera giornata. E parlarono, aspettando la notte loro sovrana, di Ryuusei e della sua vita da ramingo, di quello che vide, di quello che conobbe. Un secolo, lontani uno dall’altro, eppure se per noi poveri mortali vuol dire molto, per questi esseri superbi, non equivale è che ad un sospiro.

I giorni trascorsero e mentre, finalmente, la luna si mostrava in tutta la sua bellezza e luminosità in cielo, nei sotterranei di quello che, a occhi poco scaltri, potrebbe sembrare un immoto castello, quella notte, si sarebbe tenuto un rituale sacro. Un rito che avrebbe ridato vita al nome dei Kage e al quale erano tenuti a parteciparvi i più potenti fratelli di quel clan. Tredici in tutto, contando anche colui, che quella notte di luna piena, sarebbe divenuto il nuovo kenryoku. Tum… tum… tum… Un suono ritmico, lento, quasi annoiante di tamburi, echeggiava nei corridoi che, bui e polverosi, e altrimenti perennemente silenti, portavano ad un’immensa e pesante porta di legno e ferro battuto. Su di essa erano incise parole e simboli dannati, evocazioni di un mondo e creature lontane. Tum… tum… tum… Inesorabile, continuava senza posa. Ricordava lo stesso rimbombante sussurro provocato da un cuore che batte. Tum… tum… tum… Undici ombre, il cui corpo era celato da una veste scura e lunga, il cui volto era nascosto da un cappuccio che calava sui loro occhi di demoni, si facevano avanti in rigoroso silenzio lungo quell’unico corridoio che li avrebbe condotti verso il suono dei tamburi. Tum… tum… tum… Risuonava più forte, ossessionante, assordante. La flemmatica, cadenza dei passi, seguiva quella dei tamburi. Tum… tum… tum… Parevano creature evanescenti. Le immacolate dita di ognuno di essi apparivano dalle larghe maniche e, affusolate, si stringevano a esili cilindri di cera nera. La cui fragile fiammella, rischiarava, seppur poco, il loro cammino. Tum… tum… tum… Perseguivano ad inoltrarsi nell’oscurità più profonda, quando l’aria intorno ad essi si fece più pungente e più umida. Poi, un altro suono divenne più vivo facendo vibrare i timpani nelle loro orecchie. Acqua. Lo scroscio del liquido trasparente si mescolava irriverente al ritmo dei tamburi. E mentre quest’ultimo incitava, il primo non poteva che acquietare gli animi. Tum… tum… tum… Giunsero infine dinanzi alla solenne porta ed essa, a fatica, si spalancò da sola come eseguendo un ordine che non fu mai dato. Lasciando passare il principe e gli altri vampiri, suo seguito, richiudendosi poi dietro di essi. Il martellante suono dei tamburi, adesso non più ovattato, faceva eco all’interno di quello che si presentò ai loro occhi come un tempio. Elevate colonne di marmo pregiato si innalzavano a sorreggere volte scavate nella nuda roccia. L’acqua sgorgava incessante e abbondante dalla parete rivolta a nord, trovando riposo in quella che sembrava un’immensa vasca termale che nascendo, dalla stessa parete, si allargava fin oltre il centro della stanza, assumendo forma rettangolare. Altre candele più o meno consumate, sparse un po’ ovunque lungo i bordi della vasca e tra le colonne, illuminavano il tetro ambiente donandogli riverberi particolari e costruendo giochi d’ombre. E il tutto assumeva un’accezione ancora più spettrale e agghiacciante. Dinanzi all’acqua che scendeva impervia e violenta, quasi rabbiosa, si ergeva un’unica solitaria colonna più grande e assai più lavorata delle altre. Era quella l’altare sacrificale. Dall’alto di essa cadevano delle catene che, ostili, si serravano sui sottili e gracili polsi di una giovane fanciulla. Una vergine. Incatenata, era già priva di forza, solo le catene la conservavano in quella posizione eretta. Stanca e sofferente, lasciava cadere il dolce ed elegante viso sul suo braccio. I mossi e lunghi capelli paglierini scivolavano negligentemente sulle spalle nude e sul suo seno prosperoso, coperto da un immacolato corpetto i cui lacci intrecciati si chiudevano infine in un molle fiocco. Sembrava esserle stato cucito indosso, le modellava ogni forma fino a ricadere poi, in un’ampia gonna, ben oltre i piedi nudi. La leggiadra veste, inoltre, tagliata lungo tutta la linea dei fianchi, lasciava intravedere la liscia pelle delle gambe, contratte dalla paura. Terrore e sgomento erano però visibili ancora di più nei suoi occhi angosciati e nei tratti tirati del volto. Ciononostante, in quelle iridi verdi, si poteva leggere non solo la rassegnazione di chi sa qual è il destino che l’attende inesorabile ma, al contempo, anche quella voglia di vivere propria del genere umano. Debolmente, i piedi, arrivavano a poggiarsi su una sorta di piccola e sottile piattaforma che circondava, stretta, l’intera colonna e che, a sua volta, si adagiava sulle quiete e tranquille acque. Andando quindi a tendersi, solida e ferma come pietra, verso l’altra sponda. Quello che sembrava un esile ponticello arrivava tuttavia solo a metà dell’ampia vasca dove aveva termine e si allargava a formare un cerchio. E lì, proprio al centro della vasca, si innalzava un’altra figura anch’essa coperta da una tunica scura. Le mani che scendevano placide lungo i fianchi. Tra esse, a metà strada tra la colonna e la fine della passerella, si ergeva, infine, una terza persona. I suoi occhi blu striati di carruba, guardavano attentamente la creatura incappucciata, davanti a sé. Coperta di un elegante e seducente vestito, stretto in vita, lo stesso della vergine, ma del colore della notte, attendeva pazientemente che il rito avesse inizio. La veste, lasciava intravedere ogni forma della donna, la cui pelle lattea riluceva al debole chiarore delle candele. I capelli morbidi e lunghi, anch’essi neri, le incorniciavano il viso dai lineamenti poco dolci che la rendevano ancora più fiera e le sue labbra carminio, socchiuse in un intrigante sorriso, ancora più crudele. Gli undici vampiri, si sistemarono al loro posto, formando un semicerchio, innanzi la vasca ricolma d’acqua. E al bordo di essa, il principe. Tum… tum… tum… Il martellare ritmico dei tamburi non accennava a fermarsi, solo, si era fatto più basso e se possibile, più lento. Poggiate delicatamente le candele a terra, insieme, si tolsero poi i cappucci, mostrando i loro visi, i loro canini che risplendevano alla luce delle fiammelle, la loro natura di vampiri. Quella che si scoprì essere l’unica donna tra i tredici immortali, si fece avanti, verso l’uomo incappucciato. Movimenti studianti, fluidi, ipnotici. Allungò le mani e piano tolse il cappuccio che celava il suo volto. Un volto di angelo, che apparteneva a un corpo di demone. Slacciando, infine, la tunica, proprio sotto il collo, essa cadde a terra. Ora, la sua bellezza era visibile a tutti. Il suo corpo, nudo, i suoi muscoli possenti, la sua pelle diafana e i suoi capelli d’ebano. Kaede, aprì gli occhi, quegli occhi che sembravano assumere sfumature color ametista, intonando poi una nenia. Subito seguito dalla madre e dagli altri vampiri. Il rito, ebbe inizio. Parole sconosciute all’uomo, parole antiche, che riportavano alla memoria tempi assai lontani, quando ancora gli dei camminavano sulla terra insieme ai mortali. Invocazioni di demoni e bestie antiche. Un canto, dove ognuno seguiva un proprio spartito, un proprio sentiero. Parole diverse uscivano dalle diverse bocche presenti. Eppure, ogni voce si avvicinava all’altra, la sovrastava, la incitava, la completava, e tutte, insieme, prendevano un’unica direzione. Il canto divenne uno solo. Un’unica voce. Un richiamo. Un appello. Una richiesta. Una supplica a fare di Kaede il kenryoku. Il suono dell’acqua e il rumore dei tamburi erano ora come spariti, lasciando il posto alle parole del rito, alla nenia che risuonava, ritornava come un’eco, sulle alte pareti del tempio. Quindi, la donna, si voltò verso la giovane fanciulla, il cui viso ora era rigato da candide lacrime. Un sospiro, una preghiera che mai nessuno ascolterà, usciva dalle sulle labbra, incapaci di trattenerla. Le si avvicinò, inesorabile, fino a soffiarle sulle labbra le ultime parole del canto, prima di far scomparire una mano, con un gesto lento, quasi il tempo rallentasse solo per lei, nel petto della vergine. Estraendone poi il cuore, ancora pulsante, ancora vivo. Nessuna macchia scarlatta sul suo vestito candido, che restò immacolato, nessuno squarcio sul suo petto. Gli occhi sbarrati, della vergine, aperti dinanzi a lei, vedevano il vuoto, il nulla. Poi, più niente. Silenzio, adesso, nella stanza. Un tonfo. Kaede inginocchiato a terra. Aspettava. Il viso rivolto verso l’alto, le braccia aperte lungo i fianchi, gli occhi, ora screziati di cremisi, sulla figura che lo sovrastava. La mano della sua genitrice, tesa sulla sua testa. Le gocce di sangue che fluivano dal muscolo che ancora pompava, cadevano sulla sua fronte, sui suoi capelli, sulle sue guance, le sue labbra, le sue palpebre di nuovo serrate, sulla sua gola, scivolando in basso, sul suo addome. E mentre la donna, teneva ancora con una mano il cuore, con due dita dell’altra, scese a toccare quella pelle adesso non più nivea. Contornando, dapprima, le sue morbide labbra, con le gocce di quel sangue caduto sul suo corpo. Quindi, le palpebre e poi, disegnò una linea verticale che dalla gola scendeva fino a non oltrepassare l’altezza del cuore e, quindi, un’altra orizzontale sui pettorali, che andava ad incrociare la prima esattamente nel mezzo. Poco oltre le ginocchia di Kaede, vi era un pugnale. Un drago, allungava la sua testa a formare un’impugnatura d’oro puro, le sue fauci, spalancate, tenevano fra i denti un rubino e un serpente avvolgeva le sue spire sul corpo della bestia sacra, fino alla punta affilata della lama. Lì, vi era la sua piccola testa, i suoi occhi, chiusi. Kaede lo prese tra le mani e si alzò. La donna, adesso, gli tendeva il braccio e sul palmo, aperto, il cuore della vergine. Un dono. Il principe strinse il polso che gli veniva offerto e lo incise, con l’altra mano, nella quale teneva saldo il pugnale e la cui lama richiamava il colore dell’ardesia. Il sangue del vampiro iniziò a scorrere copioso, mischiandosi a quello della fanciulla da poco sacrificata. Senza indugiare ancora, senza aspettare oltre. Non vi era bisogno di parole. Abbassò il suo viso a lambire quel liquido rosso, dissetando la sua sete, appagando la sua fame. Il rito, era quasi compiuto. Il sangue di un mortale, il sangue della madre. Da essi era nato una volta e di nuovo, adesso, stava per rinascere, kenryoku. Era come un’estasi, la sua mente stava scivolando altrove, in un luogo che non era tale, in uno spazio dove sarebbe stata in pace in eterno, annullandosi. A fatica si ritrasse dal continuare ad assaporare quel fluido caldo e metallico, per lui pari all’ambrosia. Posò lo sguardo sul volto della donna e lei, in un gesto quasi affettuoso, gli passò una mano sui capelli e sul volto, lasciando poi che le desse le spalle. Kaede percorse pochi passi, raggiungendo il bordo della piattaforma. Piano, iniziò a scendere gli scalini. Piano, lasciò che l’acqua lo avvolgesse. La sua mente stava per essere liberata da ogni cosa, svuotata, di nuovo, ma in senso diverso. I suoi poteri, tutti, stavano per essere risvegliati. Il suo corpo fremeva, eccitato. Il sangue della vergine e della madre ancora in circolo. I suoi occhi ancora una volta schiusi, rivelavano due iridi cobalto e piccole pagliuzze scarlatte sempre più accese. Due serve, vestite di un abito scarno e molto succinto, lo raggiunsero nell’acqua. Togliendo dal suo corpo ogni residuo di quello che rappresentava, in quel momento, il suo passato. L’acqua non era profonda, a mala pena arrivava a lambirgli il petto, ma era calda, assai calda. Eppure, per lui, quel calore non era niente. Placidamente, gli passavano le mani e l’acqua sul corpo, sul viso, sui suoi capelli di seta. Il rosso del sangue colava nelle trasparenti acque termali, eppure, senza sporcale. Semplicemente spariva come d’incanto, non appena raggiungeva la superficie dell’acqua. Lentamente, camminando sul fondo, raggiunse gli altri scalini. Le due dame si fecero da parte, permettendo solo a lui di percorrere quei piccoli gradini, che lo condussero fuori dalla vasca. Lì, ad attenderlo, vi era il principe Ryuusei. "Kaede." Una dolce e delicata melodia. Il suo nome dalle labbra dell’adorato fratello, che gli si avvicinò, allacciandogli in vita un drappo di seta nera, finissima. Lavorata e decorata con fili d’oro che, intrecciandosi, disegnavano motivi ancestrali. Scendeva sulla sua pelle di luna, fin sopra le ginocchia lasciando scoperti entrambi i fianchi. "Kaede." Quella voce, che ancora pronunciava quasi inquieta il suo nome, lo riportò alla realtà, sciogliendo l’incanto che le acque sacre avevano sul suo corpo e sulla sua mente. Quella voce, lo esortava a posare lo sguardo sulla figura dinanzi a sé e così, fece. Iridi color dell’iris che sfumavano al vermiglio, sempre più accesso, ora fissavano, annegavano nelle sue color smeraldo. Di nuovo, i tamburi. Di nuovo, le voci degli undici fedeli intonavano un nuovo canto, una nuova nenia. Nuovamente, la superba e ferma voce della madre si innalzava sopra le altre e scandiva, lentamente, le parole del rito, una per volta, sillabandole. Ryuusei, il suo sguardo incatenato a quello del fratello, si sporse per baciare con le sue, quelle labbra morbide e in quel momento arrendevoli. Per poi inclinare il volto da un lato e offrirgli, spontaneamente, il collo. Non in un gesto di resa, bensì un patto, una promessa. Un’accettazione. E Kaede bevve il suo sangue e in quel momento pareva avere un gusto diverso, più piacevole, più forte e intenso. Altre due dame, subito si fecero innanzi, accompagnando il loro nuovo signore al centro di quello che era il semicerchio formato dalle undici creature. Principiando a tracciare sul suo torace, sulle sue braccia, sulla sua schiena e sulle sue gambe, simboli e parole magiche, pentacoli e numeri della cabala. Infine, sul suo viso, intorno ai suoi occhi, piccole e veloci linee nere d’inchiostro, preparato anche col sangue. Un calice d’oro e d’argento sul cui manico si attorcigliava, contorto, un serpente, passò di mano in mano ad ogni vampiro. E ognuno di essi, dopo essersi lacerato un polso vi fece colare al suo interno, il suo sangue. L’ultimo, fu il principe, che poi si portò di fronte al fratello e, lì, attese. La voce della loro madre si spense in un ansito, per lasciare il posto a quella del figlio che si apprestava a divenire kenryoku. Nuvole nere coprirono il cielo, fulmini iniziarono a scendere perfidi sulla nuda terra, subito seguiti dal rombo dei tuoni che chiedevano rivalsa. La sua voce, profonda, infernale, aveva il potere di far tremare la terra, di alzare il vento e chiamare ancora fulmini e ancora tuoni. Poi si acquietò, divenendo quasi un sussurro, e un ultimo fulmine si intravide dal piccolo lucernario, in alto, illuminando l’immensa stanza, seppur per pochissimi istanti. Adesso, silenzio. Il suo corpo, tutto, i suoi muscoli, tesi, frementi e accaldati, vibravano e da lui si espandeva come una luce oscura, agghiacciante. L’inchiostro come una bava di lava bruciava sulla sua pelle fino a penetrarvi all’interno e scomparire, per poi lasciarla di nuovo candida. I suoi occhi, sul suo fratello che gli porgeva la coppa ricolma di sangue. Con un gesto, volutamente lento, la prese dalle sue mani, portandosela alla bocca e abbeverandosi come fosse, per lui, la prima volta. Il liquido denso scivolava giù nella sua gola, accarezzando il suo palato con violenza. Lo sentiva, lo invadeva piacevolmente e in profondità. Era caldo, carezzevole, inebriante. Ogni cellula del suo corpo ne assaggiava la consistenza, svegliando il suo potere nascosto, svegliando il kenryoku. Ora, Kaede, non era più solo un junjou, ma kenryoku e deteneva le sorti e il destino di tutto il suo clan. Il rito, era compiuto. Il patto, stipulato per l’eternità e oltre. I suoi occhi ora aperti, fissavano ancora il fratello. Le sue iridi ora completamente di fuoco. Le pupille piccole e nere, contratte. Il calice finì a terra versando sulla pietra levigata le ultime gocce del sangue che conteneva. Forti braccia strinsero subito il corpo di Kaede prima che, privo di sensi, cadesse anche lui al suolo.

 

…tsuzuku

 

I miei soliti commenti p.s.

Adesso inizia a esserci un po’ di storia, no?! Beh, spero piaccia e faccia venire voglia di continuare a leggere… anche perché io ho fatto una faticaccia?! ^^’ E poi...

Un piccolo chiarimento, per evitare problemi in seguito… o meglio, volevo ribadire il fatto, se non si fosse capito, che Kaede e Ryuusei (quest’ultimo un original PG) sono FRATELLI e sono fisicamente UGUALI!! ^^’

Dopo qst... sarà il caso che non dica più niente... --’

Solo… un immenso grazie a chi legge le mie storie da fuori di testa…!?!?



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