16 gennaio: tanti auguri Calypso! ^^ So di essere terribilmente in ritardo, purtroppo l’aggiornamento che avevamo pensato di mettere on-line per il nostro compleanno è saltato a causa del tempo tiranno e, visto che la situazione non è che sia migliorata di molto, per giunta non sono neanche riuscita a finire la prima parte… ç_ç Spero di rimediare nei prossimi mesi!

AU ispirata ad un film che entrambe amiamo molto: "Braveheart" di Mel Gibson. Naturalmente sono stati fatti molti cambiamenti, in primo luogo per non offendere la memoria di un eroe realmente esistito e che ha concluso tragicamente la sua vita: proprio per questo ho preferito cambiare i nomi scozzesi ed inglesi dei luoghi e ne ho scelti altri per il loro significato in gaelico. Quando finirò la prima parte, posterò anche una nota con i significati di questi nomi, abbiate pazienza… ^^;;;

La dedica va a naturalmente a Calypso, con un pensiero speciale a Ria, per la sua revisione,a Greta e a Kriss.

HanaRu Forever! ^^


Medioevalia

Prologo

di Nausicaa

 

Non datevi pena di cercare il villaggio di Aidan su di una mappa perché non lo troverete, così come non troverete la cronaca dei dolorosi fatti che vi si svolsero anni fa negli annali degli storici, ma i sovrani che hanno ordinato di scrivere la storia sono gli stessi che hanno impiccato degli eroi.

L’ultimo sovrano libero della nostra terra di Mullach era morto senza eredi e il sovrano del vicino Regno di Kian, un empio pagano dal nome di Cormac Sendoh, rivendicava per se stesso e per la sua discendenza quel trono.

I nobili ed i ricchi possidenti della mia terra non avevano abbastanza potere per opporsi al re di Kian ed accettarono di buon grado quando egli propose loro un incontro per venire a patti; una riunione pacifica: nessuna arma doveva essere portata, nessun soldato, un solo paggio per ogni nobile.

Mio padre, Fionn Sakuragi, aveva scosso il capo quando era stato informato degli accordi da un nostro vicino. Noi eravamo semplici possidenti: avevamo il piccolo appezzamento che circondava la nostra casa e null’altro. Non era abbastanza per poter presenziare a quella riunione. Rammento il volto cupo e teso di mio padre, quello altrettanto nervoso di mio fratello maggiore Ronan man mano che le ore passavano e che non giungeva nessuna nuova… e soprattutto che nessuno dei nobili e dei signori di Mullach tornava indietro…

La mattina del secondo giorno mio padre e Ronan decisero che era venuto il momento di agire e di verificare la situazione con i loro occhi; rammento che quasi litigammo, perché non volevano portarmi con loro. Dicevano che qualcuno doveva badare alla casa e ai terreni, che non potevano essere lasciati incustoditi per nessun motivo e che dovevo occuparmi anche della mia sorellina, Dara. Non riuscii a convincerli: mi impuntai, mi agitai, alzai la voce… avevo appena finito di gridargli contro che non ero fatto per badare a cose o persone, ma per l’azione, quando i loro cavalli partirono al galoppo, portandoli lontano da me e dalle mie urla. Ma io non ero tipo da ubbidire, no davvero…e avevo la mente sveglia, già da allora: raggiunsi il figlio del nostro vicino, che era anche il mio migliore amico e gli chiesi di stare per qualche ora in casa, al posto mio. Il suo nome era Yohei, ed eravamo praticamente cresciuti insieme: i miei ricordi di infanzia sono pieni dei giochi che facevamo io e lui, anche insieme ai figli degli altri membri del clan… anzi, non erano giochi! Sassi, rami… tutto andava bene per allenarci a diventare guerrieri e combattere contro i nemici di Mullach… e spesso il tutto finiva in una rissa fra di noi, per decidere chi fosse il campione che aveva sconfitto il più alto numero di nemici. Yohei accettò di far da guardia alla nostra casa al posto mio, invitato anche da mia sorella Dara, che sembrava preferirlo a me come custode, particolare che offendeva il mio orgoglio; certo, avevo dovuto promettergli un resoconto dettagliato di ciò che avrei visto, ma la promessa non era stata un peso per me: io amo parlare e raccontare, come potete constatare da voi stessi…

Quando mi misi in cammino, non avevo idea della strada da percorrere e trovai quella giusta soltanto seguendo le orme degli zoccoli dei cavalli, ancora fresche; mi sembrò di camminare tanto, forse perché ero ancora un ragazzino, ma era anche vero che il luogo della riunione era stato scelto lontano, isolato, per favorire la segretezza. E gli inganni.

I miei ricordi dei momenti successivi sono sfocati, lo ammetto: so solo di aver riconosciuto i cavalli di mio padre e di mio fratello e di essermi avvicinato ancora di più, di averli visti entrare nella casa, tutto sommato modesta e costruita con il legno, anche più della nostra. Ma da dentro non veniva una voce, un suono. Probabilmente fu l’orgoglio a farmi andare avanti, nonostante la paura che iniziavo a provare: una indefinibile sensazione, mista di emozione per aver disobbedito e timore di venire scoperto. E timore anche per quello che avrei visto…

Girando attorno, notai che il legno era rovinato sul lato posteriore e che mi forniva un ottimo passaggio per entrare. Chissà, se fossi stato fortunato, mio padre e Ronan non si sarebbero accorti di me! Ormai era di nuovo l’euforia e prevalere, ma durò poco… non ricordo più la prima cosa che pensai, quando mi affacciai nella casa e vidi tutti quei corpi penzolare da soffitto… non ricordo se notai prima la posizione innaturale dei colli o il pallore di morte dei volti… Ma so che rimasi immobile, pietrificato per lunghi minuti, fino a che non percepii delle mani che mi scrollavano, mi scuotevano, tentando di distogliere la mia attenzione da quella scena: erano mio padre e mio fratello che si erano accorti della mia presenza. Mi stavano anche sgridando per aver disobbedito, ma le loro voci mi sembrano lontane…

"Stupido ragazzino, e se ci fosse stato ancora qualche nemico, in giro?!".

"Ma proprio non ci riesci a ragionare prima di agire, eh, Hana?".

Preoccupazione mascherata da arrabbiatura… tipica dei Sakuragi…

Quando riuscii a sostenere lo sguardo di mio padre con mente di nuovo lucida, lui mi passò un po’ rudemente, quasi con impaccio, una mano fra i capelli e mi disse: "Non guardare più adesso, Hana… ma non dimenticarlo: mai fidarsi dei Sendoh, neanche quando si presentano con parole di pace". (*)

Il tragitto di ritorno verso casa fu silenzioso e così la cena; nessuno di noi voleva parlare dell’accaduto davanti a Dara, ma io riuscii a raccontare qualcosa a Yohei, che dopo rimase a lungo zitto, senza saper trovare parole adatte per commentare quel crimine: Cormac Sendoh aveva violato la legge dell’ospitalità, facendo uccidere quegli stessi uomini che lo avevano accolto in pace sul loro territorio; aveva violato anche le regole di uno scontro onorevole, colpendo a tradimento uomini disarmati che si erano fidati delle sue parole.

Aveva violato tutto quello che avevamo di più sacro.

Chi parlò, e a lungo anche, furono i capifamiglia del villaggio, quella sera: si erano riuniti nella nostra casa e alla loro testa c’erano mio padre e il padre di Yohei; avevo finto di dormire perché mio fratello la smettesse di controllarmi e se ne andasse dalla stanza per unirsi al clan. Certe volte invidiavo da morire Ronan! Lui aveva già l’età per partecipare alle riunioni e per essere considerato un adulto! Io, invece, ero ancora relegato in un angolo che mi stava sempre più stretto, specie in circostanze come quelle…

Mi ero alzato, mi ero nascosto dietro la porta socchiusa e avevo origliato: le voci si sovrapponevano incessantemente, alterate, preoccupate, arrabbiate; capii che dovevano decidere se affrontare a viso aperto il sovrano nemico o meno. Loro, da soli, senza nobili o veri soldati a guidarli. Alcuni avevano paura, dicevano che non avremmo mai potuto vincere, ma a quel punto fu risolutiva una frase di mio padre, che considero valida ancora oggi.

Si era alzato in piedi, si era portato di fronte al più spaventato fra i suoi compagni e aveva detto con voce netta, pulita: "Non dobbiamo batterli, solo combatterli!".

E poi si era fatto avanti anche il padre di Yohei: "Se non li combattiamo ora, da uomini liberi, penseranno a noi come se fossimo già schiavi".

Ricordo che pensai questo: io sono un uomo libero e giuro che lo rimarrò tutta la vita.

Mentre mi ripetevo questa frase nella mente, gli uomini nell’altra stanza si stringevano la mano e si davano appuntamento all’alba, per partire e avvicinarsi al confine.

Mio padre e mio fratello si misero in viaggio al primo sorgere del Sole; erano seri e concentrati, ma tranquilli. Lo sguardo che mi rivolse mio padre, prima di montare a cavallo, era teatralmente severo… chissà, forse stava elencando nella sua testa tutte le volte che gli avevo disobbedito e avevo fatto di testa mia…

"Cosa credi di fare, Hana?" mi chiese, osservando la spada che stringevo in pugno dopo averli raggiunti.

"Venire con voi: so combattere!!!" proclamai, con decisione.

"Ah, lo so! –non mi stava prendendo in giro, era convinto di quel che diceva- Ma non puoi venire con noi… sto parlando seriamente, Hana: la casa, la terra e Dara non possono per nessun motivo restare incustodite durante la nostra assenza. Ci vuole un uomo qui, perché… perché i soldati di Kian potrebbero arrivare fin quaggiù e allora dovresti combattere per difenderle. Mi hai capito?".

Sì, avevo capito: stavolta il pericolo era concreto, anche se nessuno voleva dirlo a voce alta. Annuii, ingoiando indietro le lacrime mentre mio fratello si chinava a scompigliarmi i capelli in uno dei suoi rari gesti affettuosi. Strinsi l’elsa della spada fino a farmi male: non sopportavo il pensiero di non poterli aiutare, andando con loro, e l’umiliazione bruciava più del fuoco.

Mio padre accennò un sorriso benevolo ed indulgente: "So che ti pesa, ma un giorno capirai…".

Poi partirono. Non tornarono mai più.

 

Anche qui i ricordi sono frammentati: i corpi insanguinati di Fionn e Ronan, le donne del villaggio che li lavavano dal sangue e li componevano pietosamente… le lacrime di Dara, che solo Yohei riuscì a calmare… il fiore che mia sorella gettò nella fossa dove erano stati deposti i corpi e le parole lente, solenni, dolorose del prete…

"De profundis clamavi ad te, Domine. Domine, exaudi vocem meam…"

Dio aveva realmente esaudito la preghiera di mio padre? Forse sì: era morto da uomo libero, mentre combatteva per la sua terra…

Fu durante il funerale che arrivò mio zio, il fratello maggiore di mio padre. Alistair. Era molto rispettato nel villaggio, ma viveva lontano, in città. Non voglio annoiarvi troppo, ma vi dirò che il suo arrivo mi causò il secondo sconvolgimento in poche ore: io già stavo pensando che ora sarebbe stato tutto sulle mie spalle, che mi sarei organizzato e che sarei riuscito a fare tutto, rendendo fiero di me lo spirito di mio padre, quando lui si presentava dal nulla annunciando a me e a Dara che ci avrebbe portati a vivere con sé, per istruirci fino a che non fossimo diventati adulti. Fu solo a quel punto che sbottai: mi impuntai, urlai, lo insultai ferocemente dicendogli di pensare ai fatti propri, che cosa credeva? Che fossi un incapace, che non avrei saputo occuparmi di Dara e della nostra terra? Gliela avrei fatta vedere io! Dissi fino a farmi mancare il fiato che non volevo andarmene, non volevo, non volevo, non volevo…

Alistair rimase in silenzio ad ascoltare la mia sfuriata e poi disse, lapidario: "Non volevi neanche che tuo padre morisse, credo, ma è capitato. Non sempre si può fare quello che si vuole. E, comunque, per poter fare quel che si vuole bisogna prima di tutto sapere riconoscere cosa si desidera davvero. Tu lo sai?".

"Tenere alto il nome dei Sakuragi! Ora sono io il capofamiglia, penserò a tutto!".

"Come?".

Bastò quella semplice parola per umiliarmi. Non seppi trovare una risposta, rimasi là a guardarlo con il respiro pesante, affannato, e le guance rosse di rabbia.

Io e Dara andammo con lui alla fine, naturalmente.

Yohei mi promise che avrebbe badato lui a che nessuno si impadronisse di una terra e di una casa che restavano comunque nostre; io promisi ai miei amici e a me stesso che sarei tornato appena possibile.

Oggi, dopo anni, io, Hanamichi Sakuragi, ho mantenuto quella promessa.

 

 

Quando si nasce figlio di un sovrano, si impara ben presto che la ragion di Stato viene prima delle tue ragioni e che i doveri schiacciano i diritti.

Sono nato nel regno di Eirinn, nella sua più bella e grande città: Oisin, un posto dall’aspetto incantato, arroccata su un monte da cui domina il mare. Forse anche troppo vicina al mare! Da quando ho memoria, non ricordo che sia trascorso un giorno a corte senza le solite discussioni sul problema fondamentale di Eirinn, ossia il vicino regno di Kian. Che poi non sarebbe neanche troppo vicino, anzi… una striscia di mare ci separa da loro… ma è solo una striscia, appunto e ‘loro’ hanno una flotta, un esercito e mire espansionistiche.

Ma la volontà di un altro non è cosa che possa spaventare qualcuno nato nella famiglia Rukawa: mio padre ha reagito, ha difeso il nostro regno e il nostro popolo con orgoglio, rendendo difficile la conquista e logorando Cormac Sendoh quanto più possibile, con azioni di disturbo più che con battaglie. Credo, tuttavia, che ad un certo punto si sia sentito logorato egli stesso. In fondo, sia lui che Cormac sono due uomini dal grande senso pratico o almeno hanno dato prova di esserlo in questa circostanza: cosa c’è di più pratico, infatti, che far unire come compagni i due eredi di due regni in guerra, per far cessare le ostilità?

La mia contrarietà, il mio disappunto, la mia disapprovazione al pensiero di dover lasciare la mia patria per andare in una terra estranea, ostile e nemica, non contavano niente, così come la mia inesistente stima per il compagno che mi si destinava: il figlio di Cormac, Akira Sendoh. Non un uomo crudele ed avido come il padre, questo no… anzi, forse se fosse così dimostrerebbe un minimo di carattere! È, invece, un giovane pigro, viziato, che appare superficiale e attento agli aspetti più futili della vita di corte. Molto sorridente e quasi sempre di buon umore. Ha la fama di essere un buon amante.

Sinceramente, io non lo sopporto: mi dà fastidio chi sorride senza motivo e chi non sa guardare al di là del proprio divertimento… anche se posso comprendere che senta il bisogno di svagarsi, avendo un padre simile…

Ma questo conta poco, ormai: io e Akira Sendoh siamo diventati compagni di vita questa mattina stessa, il giorno dopo il mio arrivo nel regno di Kian. Una cerimonia semplice e sbrigativa, grazie a Dio, cui non ha partecipato nessuno della mia famiglia; suppongo che mio padre non fosse ansioso di trovarsi davanti al mio sguardo tagliente e poi sono sicuro che percepisca questo legame con i Sendoh come una umiliazione: la prova tangibile che i Rukawa non sono riusciti a liberarsi del nemico su di un campo di battaglia, ma solo grazie ad un letto. O, almeno, è quello che pensa lui…

Le mie idee sono molto diverse a riguardo e presto lo scoprirà anche il caro Akira.

È scesa la sera e io sto osservando quella che da oggi sarà la mia nuova camera: un ambiente spazioso, pulito, riscaldato da un grande camino; ho già disposto il necessario per la scrittura sullo scrittoio e adesso sto guardando il caldo manto di pelliccia che copre il vasto letto. In realtà non mi interessa affatto questa stanza, perché vi trascorrerò pochissime ore: sto per dirigermi verso la finestra per affacciarmi ed iniziare a riconoscere questo nuovo panorama, quando odo un lieve rumore di colpi sul legno della porta.

Hn. Non ha perso tempo, a quanto vedo…

"Avanti" dico, gelidamente.

E, infatti, eccolo qui, il mio compagno…

"Le tue cose sono già state sistemate, a quanto vedo. Ti piace qui?" mi chiede sorridente Sendoh, lasciando che il suo sguardo vaghi per la stanza prima di posarsi su di me.

"E’ tutto a posto" rispondo brevemente.

"Anche il tuo segretario… come si chiama… Kogure!… è già nella sua stanza" aggiunge, appoggiandosi con la schiena contro la parete, probabilmente per assumere un atteggiamento più familiare. La notizia, comunque, mi fa piacere.

"Ottimo" è il mio laconico commento.

"Ehm… parli bene la nostra lingua…" inizia lui; avverto una piccola nota di disagio nel tuo tono, rispetto a poco fa: forse si era aspettato che avrei assecondato di più la conversazione.

"Sì, lo so. Mio padre me l’ha fatta studiare alla perfezione- specifico, per fargli intendere che se sto zitto non è perché non sappia parlare!- Riteneva che anche io avrei avuto a che fare con voi di Kian per molto tempo …" aggiungo, amaramente.

Il sorriso si smorza sulle sue labbra, diventa un po’ triste: "Tuo padre si è rivelato quasi un profeta… Ascolta, so che non sei felice di dover vivere qui e so anche che il mio Paese ha dato dei seri problemi al tuo, in questi anni…".

"No, perché? Avete soltanto tentato di conquistarci!" gli faccio notare, sarcastico e sprezzante.

"… mio padre ci tiene molto a rendere salda la nostra corona espandendo il regno: è da quando sono nato che non lo sento progettare altro. Siete stati coinvolti anche voi nei suoi piani e posso capire il tuo disappunto, ma non c’era niente di personale: avete il difetto di essere molto vicini a Kian, tutto qui" mi spiega, andando a sedersi sul letto. Questo particolare non mi piace affatto.

"Perché questa ossessione per l’espansione?" non posso fare a meno di chiedere, gelidamente; ho il diritto di saperlo: dopotutto, è per colpa di questa ossessione che io mi trovo qui.

"Ah… mio padre ama la grandezza e la magnificenza" risponde Sendoh, stingendosi nelle spalle.

Ah, davvero? La mia famiglia, i Rukawa, è di gran lunga più antica e più nobile della sua e non si sognerebbe mai di dimostrare la propria grandezza saccheggiando le terre altrui: la nostra forza non ha bisogno dell’umiliazione di altri per avere consapevolezza di sé e il nostro amore per la libertà è troppo grande per pensare di poterne privare altri uomini.

Ma vedo che qui ragionano diversamente.

"Ma adesso basta parlare, Kaede… c’è un modo migliore per passare la serata…" Sendoh mi sorride sornione, alzandosi dal letto e portandosi accanto a me. Gli rivolgo un’occhiata severa che però non lo intimidisce affatto: mi cinge la vita con le braccia e mi attira a sé, appoggiando le labbra sulla pelle della mia gola per poi baciarla.

"Sei bellissimo, Kaede…" mormora, con il respiro già più affannato, baciandomi dietro l’orecchio. Ma adesso io posso parlare al suo.

"Fermati immediatamente".

Non è una richiesta, è un ordine: ho usato un tono di voce come se stessi parlando ad un soldato semplice. Le sue mani si fermano di colpo, mente stavano scendendo pericolosamente dalla mia vita.

"Cosa c’è?" Sendoh fa un passo indietro, stupefatto.

"Vedo che la situazione non ti è chiara: non ci sarà niente di simile fra noi. Io non sono una donna e quindi non mi abbasserò a chiudere a chiave questa stanza. La porta rimarrà aperta, giorno e notte, ma ti avverto: se tu dovessi provare ad entrare senza essere invitato, se tu dovessi provare ad allungare non dico una mano, ma anche solo un dito, ti ritroveresti conficcato in corpo il pugnale dei Rukawa: lo tengo sempre con me, a portata di mano".

Adesso Sendoh non sembra più così sicuro di sé: "Ma… perché? Forse finora i rapporti fra i nostri due popoli non sono stati idilliaci, ma questo non significa che tu debba continuare a considerarmi un nemico. Io non penso questo di te, penso che tu sia… tu SEI il mio compagno ormai! Lasciami passare la notte con te, ne sarai felice anche tu…".

"No".

"… ti farò impazzire di piacere, non te ne pentirai!".

Modesto…

"No" ribadisco, senza neanche darmi pena di alzare la voce.

Gli occhi di Sendoh ora esprimono solo incredulità: "Davvero non vuoi?".

"No".

"Uhm… ho capito: vuoi farti desiderare! Ma sappi che io già ti desidero tantissimo!" esclama lui, con entusiasmo. Non ho capito se mi stia prendendo in giro o meno, ma non mi interessa: socchiudo minacciosamente gli occhi e ripeto: "L’unica cosa che desidero è di essere lasciato in pace. Fuori di qui adesso".

Il sorriso svanisce del tutto dal suo volto, ma Sendoh non si allontana, rimane qui e continua ad osservarmi, come se mi vedesse per la prima volta: "Stai dicendo sul serio… ma sai- le sue labbra tornano ad incurvarsi, ma la sua espressione è seria- invece stai ottenendo proprio di farti desiderare ancora di più… Ti conquisterò, vedrai… alla fine sarai mio!".

Povero illuso.

"Quando il sole tramonterà ad est, forse; non ti consiglio di tentare alcunché a riguardo, e quando parlavo della mia stanza, e del fatto che non devi entrarvi, non dicevo per scherzo" stavolta lascio che dalla mia voce traspaia l’irritazione: detesto dovermi ripetere più del dovuto e soprattutto non sopporto che non mi si creda!

"Non entrerò, ma non ti prometto che non tenterò nulla. E, a proposito, Kaede… lo sai che questo potrebbe causare l’annullamento del nostro legame?" mi chiede, con leggerezza, ma con sguardo insistente.

"Sì, lo so. Non pensavo di chiederlo, comunque: ho dei doveri verso la mia terra" dico a bassa voce, mentre le parola faticano a farsi sentire; poi, un dubbio: "Vuoi chiederlo tu?".

"Oh, no… non voglio nessun annullamento, voglio te. Quello che intendevo dire, però, è che sarebbe poco piacevole se mio padre o chiunque altro lo scoprisse… poco piacevole per la tua terra che tieni tanto a difendere, intendo. Vedi, sarebbe un’ottima scusa per mio padre: gli darebbe modo di cambiare idea e di attaccare Eirinn di sorpresa, non essendoci più vincoli fra noi…" mi spiega Akira con naturalezza, disinvoltamente.

Io stringo i pugni dalla rabbia, indurisco ancora di più l’espressione con cui lo guardo.

Lui, invece, distende la sua, mi sorride, mi passa il dorso della mano sulla guancia: "Non guardarmi così, non ti sto ricattando. Ti conquisterò a poco a poco se sarà necessario… alla fine desidererai ben più di una mia carezza sulla guancia. Se ti ho parlato così è solo per avvertirti di non essermi ostile in pubblico, se volessi baciarti, per esempio. Rimarrà fra noi due, questo segreto… lo trovo eccitante… - fa un passo verso di me- E adesso ti lascio solo, come mi hai chiesto… buonanotte, Kaede…" si china e mi sfiora con un bacio la guancia. Non gli do neanche la soddisfazione di una reazione, rimango immobile e mi limito a squadrarlo con disprezzo, ma lui sembra non farci caso; addirittura, prima di chiudere la porta dietro di sé, mi fa un cenno di saluto e mi sorride!

Una volta solo, chiudo gli occhi e inspiro profondamente per calmarmi.

Ci sono quasi riuscito, quando un picchiettio contro la porta mi fa sobbalzare e innervosire di nuovo.

"Non ho altro da dire!" annuncio, ad alta voce ed in tono piuttosto secco.

"Kaede-san, sono io…".

Allora posso rilassarmi: è Kiminobu Kogure, il figlio del segretario di mio padre ad Eirinn, che ha avuto l’ordine di seguirmi nel regno di Kian.

"Entra pure" lo invito, e subito la porta si apre.

"Ho visto Akira Sendoh che usciva di qui con una strana luce negli occhi: che è successo?" domanda subito; si vede che è leggermente preoccupato.

Io faccio un gesto di indifferenza con la mano: "Sono stati definiti alcuni particolari" rispondo, rimanendo sul vago.

"Capisco. Io ho potuto sistemarmi nella mia stanza e ho già avuto modo di parlare con il segretario di Cormac Sendoh: ho scoperto che, a Eirinn, non avevamo notizie complete delle mire espansionistiche di quest’uomo… non ci eravamo resi conto di quanto fosse importante per lui conquistare il territorio di Mullach, per esempio. Credo che adesso sia la sua priorità" mi dice, con aria grave.

Io mi volto a guardarlo: "Davvero? Ecco perché è stato così sollecito ad assecondare il legame fra me ed il figlio. Una pace con Eirinn gli dava modo di concentrarsi su Mullach…" considero.

"Probabilmente è così" annuisce Kogure.

Sposto lo sguardo da lui alla finestra, faccio qualche passo fino ad affacciarmi per osservare il panorama notturno di Eoghan, la capitale di Kian, dove ha sede il castello dei Sendoh. È una città grande e molto popolata, dalle strade larghe e dai palazzi maestosi, sia quelli dei nobili che quelli dei ricchi mercanti. Ha un aspetto imponente e grandioso, o per lo meno tale appare da qui. Non ho ancora avuto modo di vedere le case del popolo, di chi non ha niente da ostentare. So che nella loro lingua Eoghan ha il significato di ‘ben nato’…un nome augurale scelto dal leggendario fondatore, senz’altro, ma che definisce bene anche l’arroganza e la superbia di questo posto. Sembra voler affermare che, se la città ed i suoi abitanti sono ‘ben nati’, il resto del mondo non lo è.

Sorrido quasi con scherno, rivedendo nella mia mente l’eleganza senza ostentazione di Oisin…

"Non ti piace, vero?" chiede Kogure, alle mie spalle.

"Eoghan, intendi? No, non credo. Non mi piace la sua atmosfera. I Rukawa apprezzano la forza, lo sai: ma si può essere forti anche senza sentire il bisogno di umiliare gli altri anche solo con l’apparenza, facendoli sentire piccoli ed estranei a questo posto".

"Vedrai, con il tempo ci abitueremo…" mi dice lui, con tono incoraggiante.

Io lo guardo alzando un sopracciglio per rimarcare il mio scetticismo.

"… forse…" conclude infatti Kogure, un po’ più mestamente.

"E’ stata una giornata pesante per entrambi, Kiminobu" mi limito a dirgli, per fargli capire che voglio restare da solo adesso.

"Sì… buona notte, Kaede-san" comprende lui, senza bisogno che io aggiunga altro.

Sento il rumore della porta che viene chiusa e i suoi passi che si allontanano nel corridoio. Io mi porto fino al letto e mi ci sdraio sopra, fissando il soffitto: il sonno sta arrivando e fra poco non avrò più modo di pensare per qualche ora almeno… sapevo che sarebbe successo qualcosa di simile, prima o poi… lo sapevo, la mia famiglia mi aveva avvertito. Non ho mai conosciuto un’altra realtà al di fuori di questa, fatta di obblighi e regole diplomatiche. Ma, in questo momento, sento di desiderarla.

 

I giorni successivi li dedico alla scoperta del castello dei Sendoh e all’organizzazione delle mie giornate, il che non è facile. Gli amici di Akira mi danno fastidio quanto lui e le altre persone che abitano qui si tengono alla larga da me (non che le volessi vicino, comunque): alcuni non si fidano di me, perché vengo da Eirinn, altri sono intimoriti dal mio sguardo algido, altri ancora hanno una luce di desiderio represso negli occhi, quando mi fissano, e cercano di evitarmi per timore della reazione del loro principe. Il risultato è che ho molto tempo per pensare, per girovagare e per allenarmi: ho scoperto che il cortile fra il castello e le mura di difesa è abbastanza lungo per praticare il tiro con l’arco. Ho dato ordine che un bersaglio di corda fosse collocato sul fondo e ora io e Kiminobu siamo qui ad allenarci, per mantenere la mira.

"Forse avremmo dovuto invitare anche Akira-san…" tenta Kogure, ma io lo interrompo.

"Affatto. Lui e quegli idioti dei suoi amici si allenano con un bersaglio a sette piedi di distanza e hanno anche il coraggio di vantarsi quando fanno centro…" commento, con una smorfia di disprezzo. Prendo la mira, mi concentro e scocco la freccia… centro!!!

Solitamente quando ci esercitiamo io e Kogure restiamo in silenzio o quasi, per questo quando sento un applauso alle mie spalle so già che non può essere lui. A parte che lui non applaudirebbe mai per un centro, sa che sarebbe ridicolo!

"Sei bravissimo, Kaede!" si complimenta Akira, venendomi vicino e mettendomi una mano sulla spalla. Io mi scosto.

"Hn".

"Uhm… avrei un favore da chiederti: mio padre ha indetto l’ennesimo consiglio di guerra per i problemi che abbiamo a nord e vuole che io presenzi. Anzi, mi ha già mandato a chiamare, a dire il vero… ma non ho davvero voglia di andarci, tra l’altro avevo già organizzato una battuta di caccia con i miei amici: andresti tu al mio posto, a rappresentarmi?" me lo chiede avvicinando il viso al mio e sfiorandomi la mano con la sua.

Ah, lui non ha voglia di andarci!!! Neanche io avevo voglia di venire qui…

Ma devo comunque imparare a conoscere e a capire sempre di più questa corte, visto che dovrò viverci, quindi decido di accettare.

"Va bene: non sarà un problema" annuisco con distacco, quasi con indifferenza.

Akira si illumina: "Grazie davvero, Kaede! Io… beh, a dire il vero non ne posso più! Prima era Eirinn, adesso è di nuovo Mullach!!! La prossima volta organizzerò una caccia solo per noi due, te lo prometto" forse questo vorrebbe essere il suo ringraziamento, ma scuoto il capo:

"Non disturbarti: odio la caccia e non parteciperei".

Ma lui non è tipo da rabbuiarsi; risponde con un sorriso al mio rifiuto e dice: "Allora penserò a qualche altro modo per ringraziarti. A dopo…" e si china, baciandomi l’angolo della bocca. Mi trattengo dallo spintonarlo via solo perché anche altre persone assisterebbero al mio gesto, che sembrerebbe strano e desterebbe sospetti.

Mentre Akira si allontana da noi, Kogure mi chiede:

"Andrai davvero al consiglio di guerra?" con una nota di incertezza nella voce.

Io annuisco distrattamente, lo sguardo fisso sul castello dei Sendoh.

 

La sala che ospita queste riunioni è isolata e quasi nascosta, sicuramente per proteggere ancora meglio i segreti del regno da orecchie indiscrete; la scala che devo percorrere per raggiungerla è lunga. Mi mancano pochi gradini, ma mi fermo, rimanendo in ascolto di ciò che sta dicendo il sovrano: so bene che, dopo che avrò palesato la mia presenza, il suo atteggiamento cambierà.

"… il problema con Mullach è sempre lo stesso, da anni: quel regno è abitato!".

Risate da parte dei consiglieri.

"…e la popolazione è rimasta ostile a riconoscere la mia sovranità su quella terra! Mullach è la mia terra!".

Non lo è affatto…

"Quanti anni sono che i loro nobili fingono di rispettarmi come sovrano? Oh sì, a parole lo fanno, ma non basta… bisogna rafforzare la nostra presenza sul territorio!".

Bene: voglio sentire personalmente cosa avrà da proporre, quanto a questo; faccio pochi passi ed entro nella sala e tutti i presenti tacciono contemporaneamente al mio arrivo.

È una stanza non molto grande, abbellita con arazzi e un grande camino contro il muro di fondo; alcune torce brillano, dalle pareti, e sulla mensola del camino ci sono un paio di candelabri.

Cormac Sendoh mi fissa contrariato, ma cercando di dominare l’irritazione: "Akira dov’è? Lo avevo mandato a chiamare".

"Vostro figlio ha ritenuto di potersi assentare, maestà. La mia presenza sarà sufficiente" dico gelidamente, senza abbassare gli occhi, cosa che in molti fanno davanti a lui: è un uomo imponente, alto, ancora energico, nonostante una tosse cronica gli stia minando i polmoni. I suoi scoppi di fredda e lucida ira sono famosi in tutti i regni confinanti. È il tipo di persona che, quando vuole colpire qualcuno, non agisce prima di essere sicuro di poter fare più danni possibili al maggior numero di persone.

Non batto ciglio notando un moto di rabbia mal repressa che lo scuote alla notizia che il suo erede ha preferito andare a divertirsi piuttosto che rispettare un ordine.

"Bene… allora dovete restare assolutamente, principe- mi dice, facendo con il braccio un gesto che mi invita a sedermi sulla sedia che sarebbe spettata ad Akira- Se mio figlio ha già in mente di lasciar governare uno straniero, dopo la mia morte, dovete assolutamente imparare a conoscere tutti i problemi di Kian. Prego, sedete!".

Io prendo posto al tavolo, ignorando le fastidiose occhiate che mi rivolgono gli altri uomini: alcune sottintendono quel desiderio cui accennavo prima, altre sono contrariate e diffidenti, sospettose… ma in tutte posso leggere la stessa parola.

Straniero.

A loro giudizio non dovrei stare qui con loro.

"Vi ho interrotto, maestà. Dicevate?" lo esorto in tono freddo, sfidandolo.

Cormac Sendoh mi fissa per lunghi istanti, ma poi decide di raccogliere la sfida e di parlare liberamente davanti al figlio del suo nemico e rivale: "Stavo per illustrare ai miei consiglieri la soluzione che ci permetterà di accrescere la nostra presenza a Mullach. Manderò altri nobili… sì, molti più nobili… Accorderò loro terreni in quel regno e accrescerò l’importanza dei loro titoli; favorirò il loro matrimonio con le figlie dei nobili di Mullach, che non riusciranno ad opporsi al guadagno di un simile prestigio. A poco a poco, prenderemo il loro posto".

Mentre ascolto, ringrazio mentalmente di saper cancellare qualsiasi espressione dal mio viso in occasioni come queste, o il sovrano vi leggerebbe tutto il mio disprezzo: posso capire il volermi far sentire straniero… questa non sarà mai la mia patria… ma che voglia arrivare a far sentire stranieri in casa i legittimi abitanti di Mullach è disgustoso!

"Ma, maestà… non tutti i nostri nobili saranno felici del vostro progetto: nuove terre significheranno nuove e più alte tasse" osserva uno degli uomini più vicini al re.

Cormac si passa la mano sulla barba ormai brizzolata, pensieroso: "Nuove terre significano nuove tasse, eh? E’ innegabile… allora dovremo aggiungere qualcosa di troppo invitante per potervi rinunciare. Gli uomini sono sempre uomini, sono mossi solo dal desiderio di qualcosa… o di qualcuno… Accorderò loro lo Ius Primae Noctis!!- poi mi fissa, nel dire- I nobili potranno vantare diritti sessuali verso le spose, la prima notte di nozze".

Questo non è solo disgustoso: è abominevole e ripugnante.

Nessun nobile ha mai preteso un simile ingiusto diritto ad Eirinn, da quando ha regnato la mia famiglia.

"Cosa ne dite? La prospettiva di doversi trasferire a Mullach sarà più piacevole, così?" il re ride, ma la sua è una risata cattiva e falsa.

"Veramente arguto, maestà!!" si complimentano i suoi degni ministri; mi irrigidisco pensando che forse, se noi non avessimo resistito, se io non fossi venuto fin qui, se Eirinn fosse caduta nelle mani di questi banditi, la stessa cosa sarebbe toccata alla mia gente…

"E qual è l’opinione del principe?" mi chiede, tagliente, Cormac.

Gli sguardi di tutti tornano a puntarsi su di me, la tensione è una presenza concreta nella stanza.

"Non ho mai avuto modo di farmi un’idea sullo Ius Primae Noctis, sire: non era possibile accordarlo ad Eirinn" gli spiego, con una pacatezza che deve suonare molto irritante alle sue orecchie.

"Ah, davvero?" lui alza un sopracciglio, contrariato.

"Davvero: la mia famiglia riteneva che una simile prevaricazione fosse indegna di un vero nobile. Ma sto notando che qui la mentalità è diversa" aggiungo, alzandomi dalla sedia, ignorando le occhiate furenti che mi vengono rivolte e gli occhi del sovrano che si socchiudono minacciosamente.

Sono già arrivato alla porta e sto per risalire le scale, quando mi raggiunge la sua voce tesa: "Ora potete andare, principe".

Mi limito a voltarmi e a riservargli il mio sguardo più algido, senza dire nulla: non ho intenzione di ringraziarlo per un permesso che non ho chiesto; poi mi giro definitivamente.

Kogure mi aspetta alla fine delle scale.

"Kaede-san! Non è durato a lungo, questo consiglio… come ti è sembrato Cormac Sendoh?".

Scuoto leggermente il capo, rispondendo: "Sarà meglio tenere questa gente il più lontano possibile da Eirinn… forza, torniamo ad esercitarci con gli archi" lo esorto.

Ho bisogno di tenermi impegnato, di fare qualcosa che mi appassioni… l’unico particolare rimasto inalterato dalla mia vita ad Oisin…

 

Fine del prologo ^^

 

(*) "Timeo Danaos et dona ferentes" Virgilio, Eneide, II, 76.