Dedico
questa songfic a tutti quelli che mi conoscono, a tutti gli amanti (volevo
scrivere “le amanti”, ma mi suonava un po’ ambiguo^^) di SD e delle fic
basate su questo meraviglioso fumetto, e soprattutto alla mia grandissima sis
Fra.
Come
al solito i personaggi non li ho inventati io, ma Takeiko Inoue, che spero non
leggerà mai lo scempio che scrivo prendendo a prestito le sue creature…
Il
brano è “Rainbow”, di Elisa
Spero
vi piaccia!^^
Antares
Maschere di
Antares
You’re
not my enemy anymore
there’s
a ray of light upon your face now,
I
can look into your eyes
and
I never thought it could be so simple…
(Non
sei più il mio nemico,
c’è
un raggio di sole sul tuo viso ora,
Posso
guardarti negli occhi
E
non ho mai pensato potesse essere così semplice…)
Non
ci ho mai pensato, ma credo di amare l’autunno.
Amo
il colore del tramonto, di quel rosso un po’ speciale, quando il sole
incendia il cielo ad ovest e poi si tuffa oltre l’orizzonte,
inzaccherando le nubi attorno…
Amo
la quieta malinconia delle giornate di ottobre, le ombre che si allungano,
quell’odore particolare di mele, di foglie secche, di falò
all’aperto, di terra bruna…
Mentre
cammino lungo il viale mi sembra di avanzare in un tunnel fiammeggiante,
qualche foglia cade, un lapillo… ne avverto qualcuna annidarsi fra i
miei capelli, ma sono troppo stanco anche solo per fare il semplice gesto
di cacciarla via.
Sento
che si sta alzando il vento.. poco male, magari ci penserà lui a
trascinarle lontano… e difatti le spinge, riluttanti, ad esibirsi in
qualche strana capriola.
Mi
arriva l’eco di grida lontane, ovattate.. forse di qualche ragazzino al
campetto di calcio.. non lo so, e non mi interessa.
Questo
relativo silenzio mi piace, vorrei non finisse mai.
“Oi,
baka kitsune, fermatiiii…”
No,
non era il ragazzino al campetto…
Non
posso non sorridere, dentro di me.. un sorriso ampio quanto l’universo.
Hai
visto come mi riduci, grosso e fastidioso idiota?
Dovrei
punirti per quello che mi fai, dovrei davvero farlo.
Se
solo qualcuno mi spiegasse come…
Mi
volto di poco, giusto per vedere con la coda dell’occhio quel gigante
arrivare trafelato, la cinghia dello zaino di traverso al collo, che quasi
lo soffoca, i vestiti in disordine, le gote arrossate per la corsa.
Non
appena mi raggiunge comincia a lamentarsi.
“Stupida
volpe screanzata” inveisce, tra un respiro affannato e
l’altro”Avresti almeno potuto avvisarmi che te ne andavi subito dopo
gli allenamenti”
Ma
figurati… io che vengo ad avvisare te che me ne vado…
(ma
lo sono davvero?)
e
che non mi piacciono queste piazzate da innamorati
(perché
noi cosa siamo?… meglio smetterla qui… ci sono domande a cui non sono
ancora pronto a rispondere).
Mi
limito a fissarlo, divertito.
Si
piazza le mani sui fianchi, e cerca di incenerirmi con lo sguardo,
mantenendo un atteggiamento di marziale distacco.
Poi
non regge più, e accatasta la dignità residua in un angolino remoto,
piegandosi sulle ginocchia e appoggiando le mani sulle cosce… la testa
bassa, a tentare di riprendere fiato.
In
fondo lo capisco, l’ho fatto correre un bel po’, ma non posso fare a
meno di stuzzicarlo.
“Do’aho”
gli soffio contro, ricominciando a camminare.
E
ci vuole poco perché si riprenda… eccomelo di nuovo a fianco, questo
scimmione testardo, che urla e strepita…
“Come
osi offendere l’immenso Tensai, il re dei rimbalzi, l’arma segreta
dello Shohoku, il messia del Basket, colui che ha…”
Ormai
ho scoperto come evitare di ascoltare tutte le scemenze che sbraita…
praticamente sprofondo in me stesso, è una sorta di catalessi, che mi
aiuta ad estraniarmi dai rumori molesti…
Due
o tre minuti dovrebbero essere sufficienti affinché finisca di delirare.
A
volte mi domando che cosa mi trattenga dal piantarlo in asso…
Me
lo domando davvero, ma ho sempre paura di ascoltare la risposta.
Mi
arrischio a riaprire i padiglioni auricolari, giusto qualche secondo…
“…
il mito vivente, il duro&puro…”
Alzo
gli occhi al cielo, incredulo; se lo lasciassi andare avanti sarebbe
capacissimo di elencare tutte le sue inestimabili doti da qui
all’eternità.
E
così mi fermo.
Quello
scemo nemmeno se ne accorge, continua
a camminare per la sua strada, declamando la sua (presunta)
grandezza.
“Do’aho”
Non
grido, basta un piccolo sussurro.
La
testa rossa si blocca, e si guarda attorno, stranito.
“Sono
qui” aggiungo, per farlo voltare.
Alle
volte è davvero esasperante.
Fa
marcia indietro e si avvicina a grandi passi, minacciandomi con un pugno.
Ohh,
ma smettila una buona volta di fare il deficiente!!!
“TU!”
Sembra
arrabbiato.
“TUUU!!!”
Mi
correggo, è arrabbiato.
Chi
glielo fa fare di reagire sempre così?
Senza
dargli tempo di aggiungere null’altro, dato che non ho voglia di
sorbirmi ancora le sue bambinate, gli prendo il viso fra le mani e lo
bacio; appena appena, appoggio giusto le labbra alle sue, poi mi ritraggo,
ma tengo sempre il suo viso fra le mani…la sua pelle calda fra le mie
mani fredde… morbida… così morbida…
Si,
l’ho fatto solo per farlo stare zitto.
Mi
scoccia pensare che qualcuno possa averci visto… è che lui mi sfinisce
con le sue chiacchiere… e io devo prendere in mano la situazione…
(solo
per farlo stare zitto)
Gli
sto accarezzando il volto e lui mi fissa, imbambolato, per una volta a
corto di parole.
E’
arrossito.
“Do’aho”
Lo
bacio ancora, e ancora…
(solo
per farlo stare zitto?)
Non
mi stancherò mai delle sue labbra, del suo sapore, delle sue braccia che
mi circondano la vita e mi imprigionano in una stretta salda… sicura…
rassicurante.
Affondo
le dita fra i suoi capelli, schiacciandomi di più contro di lui.
Alle
volte ho l’impressione che non siamo mai troppo vicini, e vorrei
annullare la distanza fra i nostri corpi, fondermi con lui, diventare una
cosa sola, attingere a piene mani alla sua forza…
E’
assurdo, lo so.
Io
che sono qui, a baciare questo grosso e rumoroso idiota, casinista fino
all’inverosimile, che fino a poco tempo fa giurava di odiarmi con tutta
l’anima.
Che
ancora giura di odiarmi.
Con
cui fino a poco tempo fa mi azzuffavo a sangue.
Con
cui mi azzuffo ancora.
Il
mio dichiarato nemico.
Lo
bacio.
Ancora
e sempre.
Il
mio dichiarato nemico.
(Il
mio dichiarato nemico?)
La
sua lingua che accarezza la mia, il suo fiato nel mio, e ancora non mi
basta…
Stringermi
a lui, rannicchiarmi contro di lui…
E
ancora vorrei sentirlo più vicino.
Ci
separiamo e prendiamo fiato.
Io
riprendo il controllo di me stesso, rinchiudendo i pensieri di poco prima
al sicuro, nella soffitta della memoria, tra desideri appassiti e ricordi
ammuffiti.
Non
posso permettermi simili debolezze.
Non
è da me.
Lo
guardo negli occhi, non avrei mai creduto possibile specchiarmi a questa
distanza nelle sue pupille d’ambra scura.
Se
qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei osservato stupito le infinite
sfumature delle sue iridi gli avrei rotto il naso…
“Andiamo
stupida volpe, comincia a fare freddo”
Lo
dice sorridendo, dolcemente, e mi prende la mano prima di ricominciare a
camminare.
L’ha
fatto spontaneamente, e io spontaneamente gliel’ho lasciato fare.
Ma
mi sento un po’ a disagio a camminare con lui mano nella mano… forse
dovrei staccarmi…
Io
non ho bisogno di queste sciocchezze…
Forse…
“Ti
accompagno a casa” mi annuncia.. ma sembra più una richiesta che
un’affermazione.
E’
titubante, e la sua stretta si fa meno salda, la sua mano che minaccia di
scivolare via dalla mia, come sabbia asciutta…
Ha
avvertito la mia improvvisa ritrosia.
Allaccio
le dita alle sue.
Tanto
non ci sta guardando nessuno.
E
poi lui è così insicuro.
Lo
faccio per lui.
Certo.
“Hn”
Ghiaccio
e fuoco.
Freddo
e caldo.
La
completezza.
La
perfezione.
You
can hear the music with no sound
You
can heal my heart without me knowing
(Puoi
sentire la musica muta,
puoi
guarire il mio cuore senza che io me ne accorga)
E’
in ritardo per gli allenamenti.
Che
idiota.
Ieri
sera mi ha davvero accompagnato a casa.
Volevo
farlo salire, non so neppure perché gliel’ho chiesto, mi è venuto
spontaneo, proprio come quando mi sono lasciato stringere la mano… ma
non appena ha visto le luci già accese ha capitolato; non vuole
incontrare mio padre.
No,
devo smetterla.
Non
voleva salire.
Punto
e basta.
Non
voleva salire in casa mia, con me.
Perché
sarebbe un passo troppo grande, sarebbe stato come invadere un pezzo della
mia vita, vedere qualcosa di me che gli è completamente sconosciuto… il
Kaede Rukawa fra le mura domestiche, il figlio, il ragazzo che ama la
musica classica e i libri di Mishima.
Ha
ragione… quando stiamo… insieme… lo facciamo sempre in territorio
neutrale.
Sento
la porta della palestra che si apre.
Una
testa rossa come un pallone da basket fa capolino… si guarda attorno e
poi…
Eccolo,
che si precipita dentro, accampando pietose scuse per tentare di sfuggire
all’ira del capitano; tentativo inutile, un bel pugno non glielo leva
nessuno.
E
gli sta bene.
“Sakuragiiiiiiiiii!
Deficienteeeeeeeeeee!!!!!! Ti sembra questa l’ora di arrivareeeeeee???”
Le
urla del capitano rimbalzano per la palestra… è strano, ma l’idiota
sembra farsi piccolo piccolo… sa benissimo che se reagisse una seconda
razione di pugni non gliela leverebbe nessuno.
Dopo
la lavata di capo viene spedito negli spogliatoi, da cui riemerge, pochi
minuti dopo, con la maglia della divisa mezzo fuori.
Sta
borbottando qualcosa, lo sguardo scuro come cioccolato fondente…
sicuramente sarà qualche nuovo insulto da indirizzare al povero Akagi.
“Forza
Sakuragi!!”
La
vocetta stridula del mio personale incubo sembra riscuoterlo dai suoi
pensieri.
Vedo
il suo sguardo correre alla porta della palestra e fissarsi su una gaia
Haruko, che lo saluta con grande sventolio di mani.
Quello
scemo sembra rimanere di sale, ma poi si limita a farle un cenno con la
testa.
Sono
sorpreso.
Ma
felice.
Non
negarlo Kacchan, sei molto felice.
Lei
ci è rimasta male, le braccia le ricadono lungo il corpo, il suo sguardo
si fa interrogativo.
Mi
dispiace (non è vero), ma non ce n’è per nessuno.
Mi
prende l’impulso di dirglielo, a quella ragazzina, che non ha
speranze…
Fortunatamente
ho sempre avuto un ferreo controllo su me stesso.
Il
terremoto vivente si gira a guardarmi, e sembra chiedermi qualcosa, è
ansioso… stupido, lo sai che non me ne frega niente se lei ti saluta.
Tanto…
(da
cosa deriva questa mia sicurezza?)
Il
capitano ci richiama all’ordine.
Cominciamo
gli allenamenti.
E
la testa rossa inizia a giocare da decerebrato.
Mi
fa arrabbiare quando si comporta così.
Non
sopporto che sprechi il talento che la natura gli ha dato, lui, che se
solo volesse potrebbe dare del filo da torcere perfino a me.
Si.
Perfino
a me.
E
invece eccolo, che sbaglia l’ennesimo, semplicissimo passaggio.
Ma
come diavolo fai a perdere palla così, scimmia??
“SAKURAGIIIIII!!!”
Inutile,
capitano, sprechi solo il fiato.
Il
presunto genio fa orecchie da mercante, già sta pensando al prossimo dunk…
l’unica azione degna di attenzione per un genio come lui…
“Do’hao”
Il
mio rimprovero sovrasta gli strilli del grande capo, e arriva a segno.
Sakuragi
si volta, prende fiato…
E
so che è il momento di ricominciare a recitare.
“BAKA
KITSUNEEEE”
Sembra
un grido di guerra… è l’ultima cosa che sono in grado di pensare
razionalmente prima che lui mi si fiondi addosso e cominci a pestarmi.
Oddio…
pestarmi.
Le
sento le sue mani, ma mi accarezzano la pelle in lievi tocchi.
E
il suo fiato sulla pelle del mio collo è caldo e invitante.
Come
vorrei baciarti.
Finiamo
a terra, rotoliamo su noi stessi, e io penso che questa sia la tortura più
dolce che esista.
Gli
altri accorrono per separarci, e io vorrei gridare che no, non devono,
perché
(se
starò troppo lontano da lui mi sentirò male)
non
ci stiamo picchiando sul serio, è tutta una finta.
Ma
non posso.
Siamo
maschere con una parte da declamare.
“Hn”
“Volpino
inetto”
“Scimmia
impedita”
“Ghiacciolo
artritico”
“BASTAAAAAAAAAAAA!!!”
Un
pugno per ciascuno, e la diatriba è risolta.
Ognuno
per la sua strada, ai lati opposti della palestra.
Ma
io continuo a fissarlo, non posso non farlo.
Non
posso.
Gioca
come sai fare solo tu, Hanamichi.
Impegnati.
Hanamichi.
Impegnati.
Si
volta all’improvviso e mi fissa… i miei occhi sulla sua schiena… li
ha sentiti?
La
mia mente che gridava il suo nome… è questo?
Aggancia
il suo sguardo al mio… ed è strano perché mi sembra che il caldo
colore dell’autunno mi avvolga.
Mi
guarda ancora, sempre più fisso, un muro color sottobosco attorno a me.
Poi
annuisce.
E
sorride
Un
sorriso dolce e sincero.
Ha
capito cosa gli sto chiedendo.
E’
come se riuscisse a percepire le parole che non dico, come se avesse
acquisito la capacità di interpretare i miei silenzi.
E’
straordinario, e spaventoso.
E
gioca, la mia nemesi, gioca con tutto se stesso, e quando vola in alto per
schiacciare la palla a canestro fa volare anche me.
Mi
fa bene guardarlo.
Mi
fa bene sapere che sotto quella scorza da teppista si nasconde un
grandissimo giocatore.
E
adesso lui ride, quando tutti gli si affollano attorno per complimentarsi
con lui.
Ride.
E
mi fa stare bene, mi cura il cuore.
La
sua risata.
Il
modo in cui gli brillano gli occhi… gli brillano così anche quando è
con me.
Si,
sono le sole due occasioni in cui vedo le sue splendide iridi scintillare.
E
questo mi riempie di orgoglio.
Io
e il basket, ciò che lo facciamo splendere.
Lui
e il basket, ciò che mi fa vivere.
I
can cry in front of you
‘cause
you’re not afraid to face my weakness…
(Posso
piangere di fronte a te,
perché
non ti spaventa affrontare la mia debolezza…)
Gli
allenamenti finiscono.
Ci
dirigiamo, stanchi e sudati, verso gli spogliatoi, mentre alcune matricole
di turno cominciano a pulire la palestra.
Io
e la scimmia rossa siamo tra i fortunati che possono andare subito a
lavarsi.
Per
oggi almeno.
Come
per un tacito accordo io e l’idiota prendiamo le due cabine-doccia
opposte.
Non
voglio nemmeno pensare a cosa accadrebbe se me lo ritrovassi a fianco…
saperlo così vicino, riuscire a sentire il rumore dell’acqua che gli si
infrange sul corpo nudo.
Non
riuscirei a resistere e so che finirei per fissarlo con la coda
dell’occhio, ed essere invidioso di quelle piccole gocce sfacciate che
accarezzano quello che solo io vorrei toccare…
Le
mie mani sulla sua schiena possente, a sfiorare i muscoli guizzanti e resi
lucidi dal sudore…
Spesso
mi sento un ladro, a sbirciarlo di nascosto, come se stessi cercando di
impossessarmi di frammenti di lui, senza averne il diritto.
Devo
respirare a fondo per calmarmi.
Ma
ancora quella pelle dorata mi rimane nella testa, insolente.
Stupido
do’hao invadente.
Esci
dai miei pensieri.
Io
vorrei avere il controllo su di lui.
Ed
invece senza volerlo è lui che controlla me… ovunque.
Anche
adesso, che sono qui ad accampare pretese su quello che vorrei mi
appartenesse.
Perché
ancora non ho nulla.
Una
parte della mia mente grida che così non è giusto, che non stiamo
andando da nessuna parte, giriamo attorno, cozzando contro noi stessi.
Cozzando
contro questo qualcosa che ci spinge a cercarci, a cui ci rifiutiamo di
dare un nome.
A
cui non vogliamo dare un nome.
Perché
allora dovremmo smetterla di fingere e guardarci senza le nostre maschere,
senza la protezione dell’opera che recitiamo così bene, tanto da non
distinguere più il confine tra ciò che è realtà e ciò che è
finzione.
Alle
volte mi domando cosa accadrà… specialmente quando sento lo stesso
fuoco che mi arde nelle vene divorare anche lui.
Cosa
succederà quando quello che condividiamo adesso non basterà più?
Cosa
accadrà quando le mie mani non ne vorranno sapere di fermarsi?
Quando
i suoi gemiti diverranno ansiti?
Quando
non potremo più far finta di essere quello che non siamo?
“Ehi,
Rukawa, va tutto bene?”
La
voce preoccupata del senpai Kogure mi riscuote.
Raddrizzo
la testa, e mi ci vuole qualche secondo per metterlo a fuoco.
Annuisco,
mi affretto a chiudere l’acqua ed esco dalla doccia.
Voglio
allontanarmi il prima possibile dal suo sguardo inquisitorio, non mi fa
stare tranquillo.
Mi
avvio verso la panchina, dove inizio ad asciugarmi, e non alzo neppure la
testa per controllare se lui c’è ancora.
Mi
limito ad ascoltare per capire che si, non se n’è andato.
Si
sta infilando la camicia (gli insulti che sta rivolgendo a Mitsui mi
giungono stranamente ovattati), e nel contempo tenta di tirar fuori il
borsone dall’armadietto (il clangore dello sportellino metallico che
sbatte ripetutamente contro il muro è inconfondibile, così come lo sono
le sue soffocate imprecazioni stizzite).
All’improvviso
un tonfo spaventoso.
“Ma
sei un caso senza speranza!!”
L’esclamazione
deliziosamente divertita di Mitsui è subito seguita da uno scoppio
incontrollato di risa.
Miyagi.
Non
mi ci vuole molto per capire che quell’idiota si è schiantato per
terra.
Mi
volto giusto un attimo, e, alla vista dello spettacolo che mi si para
davanti, perfino io fatico a rimanere serio.
Il
caso senza speranza in questione si sta dimenando sul pavimento, mentre
cerca di districarsi dal caos di libri scolastici, scarpe e divise in cui
è sommerso.
In
effetti è davvero comico.
I
nostri senpai sono piegati in due dal ridere, si sostengono a vicenda per
non crollare anche loro, gli occhi che sprizzano lacrime.
Finalmente
Kogure, mosso a pietà, si decide ad aiutarlo.
In
pochi secondi è in piedi, un gigante rosso nei capelli come nel viso.
Ok,
per me è arrivato il momento di andare, e perdermi così l’epilogo di
questa gustosa scenetta.
So
già che adesso emergerà il teppista che è in lui, e se la prenderà con
il primo che capita.
Non
sopporta di fare figuracce.
E
io non sopporto di essere preso a male parole.
Non
da lui.
Non
adesso.
Sono
troppo stanco per ribattere, solo per questo.
(Solo
per questo?)
Mano
a mano che mi allontano dagli spogliatoi le grida dei miei compagni
sfumano, i contorni dei suoni si fanno meno nitidi… ora quel che sento
sono solo fantasmi di voci…
Attraverso
la palestra, deserta ora che anche le ultime matricole hanno finito di
pulirla, ed esco in cortile.
La
luce avariata di questo tardo pomeriggio autunnale mi colpisce gli occhi,
senza ferirli.
Mi
guardo attorno, mentre mi dirigo verso le rastrelliere delle biciclette.
Non
mi ricordo dove ho messo la mia… al mattino sono sempre troppo stanco
per badare a simili cose.
In
capo a qualche minuto la trovo… dovevo essere proprio addormentato per
averla imbucata in un posticino così remoto.
Tolgo
il lucchetto e mi avvio verso l’uscita, spingendola a mano.
Una
volta arrivato al cancello la inforco e comincio a pedalare, piano.
Lentamente.
Prendo
la strada di casa, imprimendo ai pedali un ritmo ipnotico.
So
già che questo non mi aiuta, e che presto mi addormenterò.
Dormire.
E
sognare.
Sognare
il colore rosso, la pelle abbronzata, gli occhi come l’autunno…
“Kitsune!”
Questo
richiamo ha lo stesso potere di una tonnellata di sveglie che trillano
tutte assieme.
Il
ritmo dei pedali da lento si fa praticamente nullo, e arrivo ad appoggiare
brevemente un piede a terra per non perdere l’equilibrio.
Decido
rapidamente che è meglio se scendo dalla mia sgangherata bici… con lui
a piedi mi sarebbe comunque impossibile pedalare.
In
un attimo mi è affianco, trafelato come sempre… e come sempre
bellissimo.
Bellissimo?
Si,
davvero.
“Volpe
dispettosa” esordisce appoggiandomi brevemente la mano sulla spalla per
riprendere fiato” Quante volte devo dirti che mi devi avvisare quando te
ne vai??”
Mi
fissa per un istante, tentando di mettere il broncio, ma alla fine
desiste, e il suo viso si apre in un luminoso sorriso, il sole che
squarcia le nubi…
Ora
ci siamo solo noi due, vero?
Kaede
e Hanamichi.
Si
raddrizza e toglie la mano dalla mia spalla.
Perché
questo improvviso senso di freddo… di… vuoto?
Perché
mi ritrovo a desiderare di avere ancora la sua mano a contatto con il mio
corpo?
E’
da stupidi.. è una cosa sciocca, infantile.
E’
una debolezza da ragazzine, e io sono forte, non ho bisogno di queste
smancerie.
No.
Non
è vero.
E’
solo che alle volte è così difficile smettere di indossare la mia
maschera di impassibilità.
(Ma
ora siamo solo noi…)
“Dai,
andiamo a mangiare qualcosa volpaccia.. che ne dici?”
Che
dico?
Andiamo
dove vuoi tu.
A
me basta solo sentirti vicino.
“Hn”
“Lo
prendo per un si”
“Hn”
Non
c’è che dire, una profonda ed illuminata conversazione.
Sbotta
a ridere, nel suo solito modo, mentre fa il gesto di allacciarmi la vita
con un braccio.
E’
un decisione spontanea, lo so.
Automatica.
Improvvisamente
si blocca, e affonda entrambe le mani nelle tasche, il suo sorriso si è
un po’ appannato.
Hai
paura che ti respingerei, vero?
Hai
paura che prenderei a pestare su questi pedali e me ne andrei dritto
filato a casa, lasciandoti qui?
In
effetti ha ragione, perché il mio istinto mi sta gridando di farlo.
Mi
sto cacciando in una situazione che ha sul mio carattere gli stessi
effetti di un’allergia… una parte di me si è asserragliata sui
bastioni più irraggiungibili della mia mente, e da lì continua a urlare
che tutto questo è pericoloso, che rimarrò invischiato come una mosca
nella melassa,
(
e questo è pericoloso),
e
in realtà non voglio che accada,
(perché
so che è pericoloso),
ma
al contempo non mi va di smettere di stargli vicino,
(e
questo è pericoloso).
Un’altra
parte di me mi sussurra di lasciarmi andare, di permettere a questo
pagliaccio dagli assurdi capelli di spalancare la porta di cui ha ormai le
chiavi, e vedere cosa ne viene fuori… non c’è modo di sapere se sia
un male o un bene, ma appunto per questo vale la pena tentare.
(Vale
la pena tentare?)
Mi
arrischio a guardarlo, e quello che scorgo sul suo viso mi fa
definitivamente capire che ha rinunciato ad ogni proposito romantico che
l’aveva così repentinamente sfiorato.
Ma
non posso biasimarlo, non gli faccio mai capire quello che vorrei, non gli
ho mai detto quanto desidero anche solo toccarlo…
Il
nostro… mhhh… rapporto?… è un continuo campo minato.
Ma
in fondo è giusto procedere sempre così guardinghi?
FarLO
procedere così guardingo?
“Do’hao”
E’
uno sguardo lungo, quello che ci scambiamo ora.
Capiscimi
Hanamichi, io e le parole non andiamo d’accordo.
(Ma
tu sai leggere i miei silenzi, le parole che non dico…)
Accosto
la bici e me stesso al suo corpo.
Forza,
casinista, rischia per una volta, tanto ormai è chiaro che non mi sto
tirando indietro.
Per
gli occhi gli passa un’espressione titubate, ma è solo un attimo.
Come
al rallentatore, vedo i fotogrammi di ogni suo gesto, il braccio che si
tende e che mi circonda leggero la vita, senza stringere, solo
appoggiandosi, timoroso.
Non
commento, non ce n’è bisogno.
E’
un altro passo, lo sai vero?
Un
altro mattone nel ponte che stiamo costruendo per venirci incontro, e
capire qualcosa l’uno dell’altro.
Non
avrei mai creduto potesse essere così difficile.
Quando
senti parlare dell’amore ti immagini nuvolette rosa, e due che se ne
vanno felici e contenti in giro, mano nella mano…
Amore?
Bhè,
a questo punto mi pare sciocco negarlo.
Ma
dal pensarci all’ammetterlo ad alta voce, ce ne passa.
E
così proseguiamo, tranquilli, in questa stradina deserta, due ragazzi che
stanno cercando.. si stanno cercando… la testa rossa che mi cinge la
vita in un abbraccio quasi fisicamente inconsistente, ma che vuol dire così
tanto.
Un
altro mattone.
Un
altro pezzo del puzzle.
Ed
è strano, perché adesso non mi sento debole o
stupido come credevo.
Non
sento sminuita la mia forza.
Non
sento sminuito me stesso.
When
will wake up
Some
morning rain will wash away our pain.
‘Cause
it never began for us,
it’ll
never end for us
(quando
ci sveglieremo, qualche pioggia mattutina
avrà
lavato via il nostro dolore.
Perchè
fra noi non è mai iniziata,
e
tra noi non finirà mai…)
Stiamo
camminando da un bel pezzo, ormai.
Lascio
che sia lui a decidere dove andare, in un certo senso mi sta guidando…
la leggera pressione del suo braccio sulla schiena mi indica la direzione
da seguire, quando e dove girare, che via imboccare, dove fermarmi.
Potrei
perfino addormentarmi.. anzi, credo che lo farò.
So
che se chiuderò gli occhi, sarò comunque al sicuro, non mi capiterà di
schiantarmi contro un lampione, o di finire sotto una macchina.
Cosa
diavolo combini, rosso?
Adesso
sto addirittura affidandomi ciecamente a te.
E’
forte la tentazione di appoggiare il mio capo sulla tua spalla, mano a
mano che sento le mie palpebre farmisi pesanti…
Non
ci vedrebbe nessuno, mi sono accorto che stai cercando tutte le viuzze più
nascoste, allungando notevolmente, tra l’altro, la strada…
Si,
tanto non ci vedrebbe nessuno…
(Ma
anche se vedessero?)
“Ehy,
volpastro, non starai mica dormendo, vero?”
Il
suo tono sospettoso mi distrae, e improvvisamente recupero lucidità.
“No”
“Mhhh”
Questo
suo borbottio sarcasticamente poco convinto mi spinge ad affibbiargli una
gomitata sul fianco.
“Kitsune
indisponente e cattiva!”
“Do’hao”
“Grrrr…
come ti permetti…”
“Hn”
“Dovremmo
fare qualcosa per insegnarti le buone maniere…”
Non
mi piace l’intonazione con cui declama quest’ultima decisione.
“…
dovremmo trovare il modo per cercare di addolcirti un po’…”
E
faccio bene a preoccuparmi perché il leggero abbraccio diventa presto una
morsa, e mi ritrovo intrappolato contro di lui, la mia bici che cade
rovinosamente a terra, le sue labbra che cercano le mie…
D’istinto
mi divincolo, puntellando le mani contro il suo petto.
Ma
la mia ribellione dura poco, pochissimo.
Che
senso ha, poi?
Ben
presto non so più dove mi trovo, come mi chiamo, perché sono qui…
Allaccio
le mani dietro la sua nuca e mi lascio baciare, e lui si lascia baciare…
Non
so quanto duri… siamo in uno spazio senza tempo ora.
E’
inevitabile, alla fine ci stacchiamo, leggermente ansanti, su di giri…
“Il
grande Sakuragi è pure un Tensai nel galateo, vero?”
Che
idiota.
Eppure
le sue labbra che sfiorano le mie mentre spara l’ennesima stupidaggine
sono così invitanti che assentirei solo per non farlo allontanare, solo
per costringerlo a darmi un’ulteriore lezione di buone maniere.
“Piaciuta
la dimostrazione?”
Ma
cosa cavolo ridi?
“Pensavo
sapessi fare di meglio”
Adesso
è il mio turno di sogghignare.
Che
scemo sei, arruffi il pelo come un cucciolo contrariato…
“Stupida
volpe!”
Un
altro insulto, prima di tornare a tormentarmi le labbra, ancora e ancora,
la punta delicata della sua lingua che mi accarezza, come a chiedere un
permesso che gli è già stato dato.
Socchiudo
appena le labbra, e lui curioso, si intrufola nella mia bocca, come se
fosse la prima volta.
Come
se fossimo tornati indietro di due mesi, in quel pomeriggio piovoso,
quando lui era in preda all’angoscia più nera per aver fallito il
passaggio ad Akagi.. quel famoso passaggio che aveva decretato la vittoria
del Kainan…
E
sento le mie ginocchia cedere,
(come
sempre, ma come se fosse il mio primo bacio)
le
mani che si aggrappano alla sua camicia,
(come
sempre, ma come se fosse il mio primo bacio)
il
cuore che mi rimbalza in petto,
(come
sempre, ma come se fosse il mio primo bacio).
Ma,
in fondo, è come se ogni volta fosse la prima volta.
Perché
questi baci clandestini non hanno né capo né coda, non hanno senso.
Capitano.
Quando
siamo soli.
Ma
non diciamo mai perché succede, non ne parliamo.
Tra
noi non è mai iniziato nulla per davvero, non ci siamo mai dichiarati
nulla.
E’
comodo suppongo… quello che è iniziato non potrà mai finire.
E’
una sorta di piccolo spazio alieno, solo per noi, una briciola di giornata
strappata via a quello che gli altri considerano essere normalità.
E’
normale che ci picchiamo.
Che
ci detestiamo.
Che
a basket lui sia una schiappa ed io un campione.
Non
c’è nulla di chiaro nel nostro rapporto.
Quello
che accade, capita e basta.
Non
è mai iniziata.
E
per questo non finirà mai.
OWARI
PS1:
Qualcuno mi ha fatto notare che tra le mie fic sembra esserci una sorta di
consequenzialità… può darsi, ma è un effetto non voluto. Io le ho
scritte senza pensare ad un eventuale filo temporale che le legasse.
PS2:
Sono incapace di scrivere null’altro che non sia SD, e alla fine mi
rendo conto che quello che concepisco è sempre la stessa minestra…
perdonatemi!!!
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