DISCLAMER: I Pg
appartengono al loro papà.. almeno finché non riesco a rapirli!!è_é
NOTE: Ho scelto di usare i nomi italiani, ossia quelli comparsi nella serie
“Holly & Benji due fuoriclasse”, questo per mia comodità (con i nomi
giapponesi faccio non poca confusione) e per un po’ di sana nostalgia.
DEDICHE: Questa cosa è indegna di essere dedicata, poiché fa schifo!
Tuttavia ne parlai, a suo tempo con Dhely, quando postò la sua bellissima
fic “La Tigre” e proprio grazie a quelle chiacchierate mi sono messa
ascriverla, quindi, per quanto indegnamente, la dedico a lei... Delhy,
perdonami se è orribile!!!!ç_ç
Maree
di Nuel
Il riverbero della luce sulle onde e quell’odore di mare che solo lì aveva
un significato così speciale. Lì, dove quel vecchio maledetto l’aveva
portato e lo aveva salvato per la seconda volta. Senza quel vecchio
ubriacone come sarebbe finito lui? Su una strada, forse, come tanti altri
ragazzini sporchi ed affamati che si riducevano a rubare o peggio per
tirare avanti un solo giorno in più.
Era morto di cirrosi epatica, il vecchio Jeff, lui l’aveva saputo un paio
di mesi dopo e, così, non era neppure andato al funerale. Gli aveva
regalato un sogno, gli aveva indicato una via e lui l’aveva seguita, dove
era arrivato?
Mai, aveva pensato che sarebbe toccato a lui, mai!
Lui, come suo padre.
C’era andato vicino.
Aveva visto la morte in faccia ed, allora, si era chiesto se non avesse
avuto ragione sua madre. Già, se non avesse litigato con lei non avrebbe
avuto quell’incidente, non avrebbe tirato dritto allo stop. Se fosse
morto, senza rivedere sua madre, i suoi fratelli, la piccola che era
diventata adulta e voleva solo rivederlo....
Passi ovattati sulla sabbia, granelli che stridevano sotto scarpe dalla
suola di gomma, come le sue.
-Sapevo che saresti venuto qui. Sono giorni che ti aspetto-
Mark si girò appena. Dietro le lenti scure Ed gli sorrideva.
-E perché mi aspettavi?-
Ed fece spallucce. -Mezzo mondo ti cerca, Danny ha avuto le convulsioni
appena ha saputo del tuo incidente, tua madre e i tuoi fratelli sono
preoccupatissimi, me lo ha detto Danny.... avevo voglia di vederti-
-Bene, mi hai visto, te ne puoi andare-
-E tu che farai?-
-Voglio starmene un po’ in pace, Worner, sparisci!-
L’aveva visto teso milioni di volte, dopo le partite, quando lo lasciava a
quegli inutili massaggiatori che lo innervosivano e basta. Lui avrebbe
saputo cosa fare, come farlo rilassare e sciogliere tutta quella tensione
che si accumula durante 90 minuti di fiato rotto e muscoli tesi ed occhi
impazziti dietro un pallone, lui lo faceva, quando poteva. Ora poteva.
Eliminò la distanza fra loro e si allungò un po’ per prendergli tra le
labbra il lobo d’un orecchio, per succhiarlo piano intrappolandolo tra le
braccia.
Mark appoggiò la schiena al suo petto, allungando il collo ed
offrendoglielo istintivamente.
Ed avrebbe passato settimane, mesi interi a coprire di baci quella pelle
scura e cotta dal sole. Lui lo amava.
Glielo aveva detto quella sera, quella che avevano passato a guardare il
cielo del Giappone perché poi, Mark, chissà quando l’avrebbe rivisto.
Non c’erano i genitori, i fratelli ed i Danny, c’erano solo loro, che non
sapevano come dirsi “arrivederci”, perché “addio” faceva troppo male, alla
loro età, in quel momento, in quel posto.
E Mark aveva detto “Scavalchiamo il muro della Toho ed andiamo a guardare
le stelle dal campo da calcio” e lui gli aveva chiesto “Non ti aspetta tua
madre?” e Mark gli aveva sorriso e gli aveva risposto di si, che lo
aspettava facendogli le valige.
Si erano sdraiati sull’erba umida ed avevano guardato il cielo scuro, più
vicino dell’Europa, dell’Italia, perché l’Italia li avrebbe separati, il
cielo, no.
“Forse dovremmo andare”
“Hai fretta, Worner?”
“No, ma se rimani qui rischi di ammalarti... non è il caso che arrivi in
Italia col raffreddore!” Scherzò per nascondere il dolore.
“Ma non so ancora come salutarti...”
Erano rimasti in silenzio per un po’, poi Ed aveva deciso che doveva dire
qualcosa, che spettava a lui.
“Promettimi che tornerai qui ogni volta che avrai un po’ di vacanza.
Promettimi che tornerai da me e che non ti innamorerai di nessuno!”
“E di chi dovrei innamorarmi? “
“Magari qualche bella italiana che ti si fila nonostante il tuo
caratteraccio”
Mark l’aveva baciato e gli aveva soffiato un “Non preoccuparti” sulle
labbra.
-Dai, andiamo, ti porto al mio albergo-
Mark lo seguì in silenzio, come in silenzio gli aveva permesso di
cospargergli il collo di baci.
Non degnò di uno sguardo il letto matrimoniale dal lenzuolo immacolato, la
finestra della stanza dava su un terrazzino e si vedeva il mare. Mark uscì
e tornò a perdersi nei suoi pensieri. Ed lo raggiunse di nuovo e di nuovo
lo abbracciò, facendolo appoggiare al suo petto.
Suo padre glielo aveva detto, con la saggezza propria degli adulti, ché,
allora, lui e Mark erano solo dei ragazzini.
Suo padre aveva voluto, preteso, di conoscere questo Lenders, questo
piccolo arrogante moccioso che aveva strappato suo figlio alle tradizioni
di famiglia per sbatterlo su un campo da calcio. E Mark non si era certo
tirato indietro. Si era presentato, con lo sguardo cattivo e risoluto, la
bocca una linea sottile e suo padre l’aveva invitato a prendere il the,
con calma e lo aveva spiazzato. Mark si era sentito goffo ed impacciato,
ma non per questo si era tirato indietro. Quando Mark aveva lasciato casa
sua, suo padre gli aveva sorriso. “E’ un bravo ragazzo, Ed. Ma se vuoi
essergli amico, preparati ad essere forte e sostenerlo. Lui crollerà,
prima o poi”
Suo padre aveva ragione: non si può sostenere il peso del mondo da soli e
Mark proprio quello sembrava fare. Se porti il peso del mondo, allora
qualcuno ti deve sostenere, Ed aveva giurato che sarebbe stato lui quel
sostegno, per Mark.
-Vuoi dirmi cosa c’è, Mark?- Lo invitò dolcemente, stringendolo di più a
sè.
Quel gesto era così importante, per entrambi: per Mark significava
fidarsi, affidarsi a lui, per Ed significava che Mark lo amava ancora, che
non lo avrebbe lasciato.
-Sai che sono più di due anni che non torno a casa, Ed?-
Ed rimase in silenzio: sapeva che non era bene forzarlo a parlare.
-Mia sorella è diventata maggiorenne. Ha chiesto, come regalo di
compleanno, di potermi rivedere... ma io... non voglio tornare a casa....-
Un groppo in gola lo fece quasi singhiozzare, cogliendo di sorpresa Ed.
-Mark?-
Mark si girò nel suo abbraccio ed appoggiò la fronte sulla sua, chiudendo
gli occhi, abbracciandolo, con la schiena incurvata perché era più alto di
Ed. Ora Ed poteva sentire il suo cuore battere in modo anomalo: colpi
lenti e violenti che sembravano volergli squarciare il petto.
-Non voglio tornare lì.... sono egoista, vero?-
-No. No che non lo sei-
Mark si raddrizzò, raggiungendo il parapetto del terrazzo.
-Da quando sono andato via, ho mandato molti soldi a casa, ma mi sono
fatto vedere sempre meno. E’ come se.... ceme se mi fossi liberato di un
peso!-
Ed gli era di nuovo vicino, accanto a lui come aveva promesso, in
silenzio, per lasciarlo parlare con i suoi tempi, senza forzarlo.
-Non mi pento di quello che ho fatto per loro, Ed, ma... ero troppo
giovane per tutte quelle responsabilità. So che non me lo hanno chiesto
loro, ma a me sembrava che fosse mio dovere prendermi cura della mamma e
dei miei fratelli. Ora, però... ricordo quel periodo come un incubo. Se li
rivedessi, ho paura di ricaderci dentro. Mi sono chiesto... se io non
avessi voluto a tutti i costi prendere il posto di mio padre.... cosa
avrebbe fatto la mamma? Forse si sarebbe risposata, senza la
preoccupazione di un figlio così ingombrante...-
-No, Mark! Tua madre ti ha sempre voluto bene, lo sai! Non devo dirtelo
io-
Mark assentì con decisione, ma non era convinto, ora voleva solo smettere
di parlare e chiudere gli occhi. Riposare. Recuperare il sonno accumulato
in quegli anni di notti passate in bianco, di stanchezza e lavori
faticosi. Era cresciuto robusto e sano, si, ma aveva mai avuto tempo per
essere un ragazzino?
Glielo aveva chiesto pure quella donna... quella italiana con cui faceva
sesso ogni tanto, ma questo, ad Ed, non poteva dirlo. “Siamo cani randagi,
Lenders. Quelli come noi si accoppiano e basta, né tu, né io abbiamo idea
di cosa sia una famiglia. Se vuoi trovare un po’ di pace cercati qualcuno
che sappia scaldarti il cuore e la casa, ché per mandare gli ormoni alla
testa ci vuole poco, ma dura anche poco”.
Si buttò sul letto vestito, senza neppure scostare il copriletto. Dopo un
secondo sentì il materasso abbassarsi; Ed si era seduto accanto a lui. Che
fosse lui la persona che sapeva scaldargli il cuore e la casa?
Mark gli tese una mano, invitandolo a sdraiarsi accanto a lui, senza un
sorriso, con gli occhi colmi di angoscia.
Ed accolse con gioia l’invito. Si tolse le scarpe da ginnastica e si
sdraiò a sua volta, abbracciandolo. Mark si strinse a lui e chiuse gli
occhi.
Forse, nell’abbraccio protettivo di Ed, sarebbe riuscito a dormire.
Almeno, lo sperava.
Il sonno, però, non sempre è ristoratore come ci si augura. Mark sognò.
Sognò il bambino che era stato, sognò le lacrime ingoiate, le bollette da
pagare, le medicine sempre troppo care ed i fratellini che piangevano.
Sognò le levatacce prima dell’alba e le notti troppo corte per dormire
veramente. La fatica, la rabbia, la solitudine, l’incomprensione... erano
tutti lì a mordergli la carne, a graffiargli il cuore. Gli tenevano le
caviglie, rendendo i suoi passi pesanti quando doveva correre a consegnare
i giornali, gli offuscavano la vista quando doveva servire ai tavoli.....
Avrebbe voluto chiamare suo padre, ma non lo aveva mai fatto: pronunciare
quella parola, per lui, sarebbe stata una sconfitta. Avrebbe significato
arrendersi alla fatica, al sonno, ai morsi della fame e non realizzare mai
il suo sogno!
-Papà- Mormorò piano, nel sonno, nell’inconscio che, di tanto in tanto,
sfuggiva al suo controllo.
Ed lo strinse di più a sé. Lo conosceva abbastanza da sapere quanto fosse
preziosa quella piccola debolezza e vergognarsi, quasi, di avervi
assistito, perché Mark, di sicuro, non lo avrebbe gradito!
Il mattino dopo, Mark fu svegliato dalla voce di Ed nella stanza attigua.
-... sii, ti ho detto di si! Avvisali di non preoccuparsi, ora ci sono io
con lui... d’accordo, ciao. Uff!-
-Sei in contatto con Danny?- Gli chiese Mark appena Ed si affacciò alla
porta.
-Buongiorno- Lo salutò sorridendogli. Adorava quel tono morbido che
assumeva alla mattina. -Si, lo sai come si preoccupa. Avviserà tua madre
che sei sano e salvo-
Ed si allungò su Mark che si stiracchiava e lo baciò dolcemente.
-A tenerti stretto tutta la notte mi sono venuti certi pensierini....- Gli
sussurrò con voce bassa, sdraiandosi su di lui e venendo subito circondato
dal suo abbraccio.
Mark sembrava più rilassato quella mattina: un buon sonno era sempre il
modo migliore per recuperare la stanchezza fisica e mentale, suo padre
glielo diceva sempre! Così Ed decise che avrebbe potuto approfittarne e
stuzzicò il suo ex capitano in modo da non lasciargli possibilità di fuga.
Nel tempo i loro approcci erano decisamente cambiati rispetto a quella
prima volta, tanti anni prima, in cui Ed aveva fatto ricorso all’orgoglio
di Mark per “prenderlo in trappola”
Un loro compagno di squadra si era appena messo con una ragazza e, nello
spogliatoio, non faceva che parlare di lei e lui gli aveva chiesto con
noncuranza “Hei, capitano! Hai mai baciato una ragazza, tu?” L’attenzione
di tutti si era focalizzata su loro, come sempre accadeva quando Mark
doveva parlare. Anche il loro compagno si era azzittito ed aspettava la
risposta di Mark, che non si fece attendere a lungo. Mark sbattè la porta
del suo armadietto e, con voce alta e chiara, aveva sentenziato: “Io non
ho tempo da perdere come te, Worner!” Ed si era sentito felice: Mark non
aveva baciato nessuno! L’aveva punzecchiato per qualche giorno, lontano
dalle orecchie degli altri, chiedendogli se non temesse di fare brutta
figura, la prima volta che avrebbe dato un bacio... l’aveva esasperato! E
poi si era offerto di fare pratica assieme. Mark aveva iniziato qualche
genere di insulto, ma non l’aveva lasciato finire: gli aveva rubato il suo
primo bacio e l’aveva fatto infuriare. Per quasi un mese tra loro c’erano
stati fuoco e fiamme, tanto che ne aveva risentito l’umore di tutta la
squadra.
“Un bacetto per fare pace, capitano?” Gli aveva strizzato l’occhio quando
pensava che Mark avesse cotto abbastanza la sua arrabbiatura.
Mark era montato su tutte le furie e poi era scoppiato a ridere ed avevano
fatto pace. Per più di un anno non aveva forzato in alcun modo la
situazione, finché non aveva usato la stessa tecnica per spingerlo a fare
l’amore con lui. Quella volta Mark non c’era cascato, ma forse aveva
capito che quelli di Ed non erano scherzi di poco conto.
“Vieni qui, Worner! Baciami!” Gli aveva ordinato una sera, dopo gli
allenamenti ed Ed non aveva certo perso tempo.
Ogni volta che gli aveva chiesto il perché di quella sua decisione, Mark
aveva cambiato argomento, ma ormai ad Ed non importava più! Gli importava
solo che pochi giorni dopo, in quello stesso spogliatoio avevano fatto
l’amore in piedi, contro l’armadietto di Mark e poi sotto la doccia e poi
sulla panchina e dietro la porta socchiusa, prima di andarsene e non
avevano più smesso finché avevano avuto modo di giocare assieme.
Forse Mark aveva semplicemente ceduto al suo bisogno d’amore, ma non
voleva ammetterlo. Forse aveva avuto paura di diventare uomo con qualcuno
che di lui non sapeva nulla, che non lo avrebbe compreso, mentre al suo
fianco c’era Ed che lo conosceva tanto bene e chiedeva solo di poter aver
cura di lui. Anche questo non gli importava più. Mark non si era
innamorato mai di nessun altro ed il loro rapporto era diventato profondo.
Un sospiro di Mark lo avvisò che il suo trattamento stava avendo successo.
Mark si rilassava sotto le sue mani ed allo stesso tempo si eccitava. Ed
sapeva quali erano i punti giusti dove toccarlo e sapeva che Mark non gli
avrebbe permesso di toccarli se non avesse voluto.
Lo spogliò delicatamente e si spogliò a sua volta. Il sesso per Mark era
una mera necessità, una cosa veloce e concentrata che lo lasciava
spossato, ma soddisfatto. Non servivano parole, né cerimonie. Ed sapeva
cosa e come gli piaceva, aveva avuto tanto tempo per impararlo, per
conoscere i suoi tempi. A volto avrebbe voluto fare diversamente: dedicare
più tempo alle effusioni, rimandare quell’orgasmo che poneva fine a tutto,
perché poi Mark si alzava e non c’era più modo di riportarlo a letto,
avrebbe voluto prolungare il piacere, ma Mark pretendeva tutto e subito.
Sussultava a denti stretti quando Ed entrava in lui e chiudeva gli occhi
come si sentisse in colpa nel dedicare qualche minuto al proprio piacere.
Poi, con un gemito soffocato, liberava qualche goccia di vita, concentrata
come lui. Rapido ed indolore: lui non aveva tempo da perdere.
Le prime volte Ed ci era rimasto male, soprattutto se Mark gli diceva
“Sbrigati!” con tono di rimprovero, poi aveva imparato ad adattarsi ai
suoi tempi.
-Apri gli occhi- Gli chiese stavolta.
Mark esitò un momento, poi lo accontentò. I suoi occhi erano liquidi di
piacere, ma anche di paura e fragilità.
“Ecco svelato il mistero” Si disse Ed incuneandosi bene nel suo corpo
caldo ed abbassandosi ad abbracciarlo. -Va tutto bene Mark. Rilassati,
amore-
Mark richiuse gli occhi e deglutì a vuoto.
Ed lo liberò di sè, facendolo sussultare. Mark ora lo cercava con gli
occhi sbarrati.
-Fidati- Gli sussurrò cominciando a coccolarlo come se anche lui potesse
prendersi tutto il tempo che voleva.
Mark prima si ribellò, poi accettò il trattamento di Ed che sembrava
deciso a consumarsi le labbra sul suo corpo. Era una sensazione piacevole,
anche se pericolosa: Mark temeva di perdere il contatto con la realtà se
si lasciava andare troppo, di non riuscire più a calarsi nella sua
dimensione di doveri ed imperativi categorici.
Si era già scostato troppo da quello che doveva fare: occuparsi della sua
famiglia, allenarsi, diventare un campione, per la sua squadra e per se
stesso... ma i baci di Ed gli stavano già impedendo di ragionare
lucidamente.
Fuori, le onde si infrangevano sulla spiaggia. Il mare di Okinawa che
aveva corroborato il suo corpo, rafforzato la sua volontà con le sue onde
alte e fredde... altre onde ora invadevano il suo spirito e non c’era
spazio per altro: onde alte, calde che toglievano forza al suo corpo, alla
sua mente...
Mark rabbrividì e gemette ed Ed non ebbe il coraggio di continuare. Il suo
capitano, forte, deciso, sicuro.... stava scoprendo abissi di fragilità
che non poteva ancora sostenere.
Lo baciò dolcemente, poi si premette di più contro di lui, immerse la
lingua nella sua bocca, come volesse estirpare l’aria dal suo corpo e,
quando si ritrasse, Mark lo guardava.
Per la prima volta, Ed non seppe interpretare il suo sguardo.
-Devo tornare a casa, vero Ed?- Gli chiese, allora, Mark, con voce di
nuovo sicura.
-Fatti vedere. Digli che stai bene.... poi verrò a rapirti- Gli sorrise.
-Non ti lascerò perdere di nuovo te stesso-
-Stai attento a quel che prometti portiere: questo è un tiro che potresti
mancare!- Gli sorrise a sua volta.
-Non succederà, mio capitano! Te lo posso giurare!- Ed fu indeciso se
stringerlo ancora oppure lasciarlo andare.
Un uomo può conoscere la profondità del mare? O l’abisso dell’animo umano?
Fine
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