Nota: il titolo è quello di una canzone dei Korn, credo che il loro stile si addica davvero molto a questa storia! 

 


Make me Bad

parte II

di Kima

-pow di Alexiei-

E rido. Vedendo i suoi occhi interessarsi a me, il suo sguardo addosso per la prima volta, di colui che mi ha sempre ignorato. Non sapeva neppure che esistessi, decisamente.
È bello. Mille volte più di quanto pensassi e sembra anche più crudele del previsto…meglio così, il mio "dono" sarà più apprezzato. E la mia ricompensa più meritata. Evviva…
Si siede senza distogliere lo sguardo da me che continuo a sorridere soddisfatto, lo voglio. Per il suo fascino, la crudeltà che ha dentro, per gli istinti violenti che sfoga nelle sue torture leggendarie, temute da tutti, tutti quelli che lo odiano e sono tanti, che non lo apprezzano, non lo amano come lo amo io.
Questa casa ha qualcosa di claustrofobiaco, un peso che ti si avviluppa addosso, dentro, come una ragnatela. E lui è il ragno. E io la mosca sua prigioniera. Perché con lui qui non voglio andar via.
- Allora?- è impaziente, vuole sapere. Sono debole qui, devo ricordarlo, devo essere lucido.
- Be'…te l'ho detto, no? Ti darò Astor. Lo vuoi, vero?- la mia voce è sibillina, me ne rendo conto anche dalla sua lieve smorfia e me ne compiaccio.
- Non conta questo. C'è qualcosa sotto- anche lui sembra voler restare a terra, ma nei suoi occhi c'è una luce famelica. E non mi sbaglio.
- No no. Non c'è niente sotto. Come sei sospettoso…dovresti fidarti di me…la mia devozione sarebbe totale se…- non riesco a non usare questo tono. È come un riflesso condizionato dalla sua presenza.
Si tira lentamente in avanti, poggia i gomiti sulle ginocchia, un fascio di luce lo illumina da un buco del soffitto.
- "Se…" cosa?- le sue parole continuano a darmi fremiti e io che pensavo di abituarmi!
- Se…mi farai tuo- annuncio serio come mai.
È strano esprimere il proprio desiderio all'interessato a voce alta, hai la sensazione che si materializzi per un attimo. Perché, da quel momento, ne siamo entrambi consci. E possibili artefici.
Iago abbassa la testa e io arriccio il naso: non può togliermi così la visione del suo viso! Incomincia a ridere sempre più forte. Non mi sta prendendo sul serio, prevedibile. Ma non importa. Ho i miei mezzi di persuasione come tu hai i tuoi, mon cher. Mi guardo le scarpe. Lui ride ancora. Lo ignoro, vincerò. Poi, non so come, sono al muro con lui contro. La sua bocca e il riso cattivo che ne esce a un palmo mentre lo vedo illuminarsi di ferocia.
- Ho una figlia, un padre depravato, un fratello, una sorella troia, un genero, un capo stronzo e un esercito di nemici. C'è troppa gente nella mia vita, capisci?! E io non ho bisogno di nessuno. Tantomeno di un moccioso lussurioso dal sangue bastardo! Ora ti farò a pezzi, voglio vederti piangere, patetico bamboccio bevisangue!-
E sono di nuovo io a ridere. Gli accarezzo le labbra con la mano, ho voluto farlo dalla prima volta che l'ho visto, otto mesi fa, e vorrei arrivare a ben altro...
Per lui non cambia nulla: la nostra posizione immutata, la sua espressione intatta.
- Mmh…sei troppo impaziente caro mio… dovresti prendere in maggior considerazione la mia offerta, pensa a quello che ne potresti ricavare: al piacere di torturare Astor, all'indebolimento della sua progenie bastarda…-
Lo sento fermarsi e allentare impercettibilmente la presa. Il suo unico punto debole è ora davanti a me.
Nessuno sa chi lo abbia fatto e chi sia la sua progenie, il mistero circonda completamente la sua storia. Dicono sia un'ottima precauzione per difendersi dai nemici, e lui ne ha tanti e se è ancora qua è una valida precauzione. Ricordo ancora tutte le raccomandazioni di Astor dal guardarmi da lui…vecchio, non sono servite a nulla: sappilo.
- E se non volessi accettare?- dice stranamente diplomatico. Ho un brivido lungo la schiena…forse anche Frederick può sentirlo…
- Ma tu vuoi accettare quindi non vedo il problema-
Sorride per la prima volta senza l'intenzione di farmi paura, anche perché non ci riuscirebbe mai a pieno. Ogni suo gesto non è che una manifestazione del suo fascino.
- Sei furbo ragazzino, davvero…- mi guarda, ancora una volta e mi sento riempire di orgoglio, hai ragione, sono furbo; come si dice "la necessità aguzza l'ingegno" e tu mi sei necessario e io affino il mio cervello per raggiungerti.
- Però, vedi, io non mi fido di nessuno. Quindi tu devi darmi una garanzia…potresti uscire di qui, con quel bel faccino, e dire a troppa gente, perché ce n'è tanta che vuole saperlo, dove vivo e questo non va bene…non posso crederti. Nessuno vorrebbe quello che vuoi tu quando potrebbe vendersi la mia testa, capisci? Tu mi stai prendendo per il culo e non mi piace- hai fatto diventare l'aria gelida però il mio sguardo non si distoglie da te: io voglio la vittoria.
- Non ti posso dare torto,- convengo riprendendo a passeggiare davanti e indietro - ma andrei contro il mio interesse…non guadagnerei mai abbastanza dalla tua testa e, soprattutto, non otterrei quello che voglio…e per quanto riguarda questa tua bella casetta sarebbe potuta andare in fiamme una qualsiasi sera di questi ultimi sette mesi, un po' di cherosene e un cerino e…puf! Bye bye temibile Iago! Non è successo e io non permetterò che succeda. E neppure i tuoi nemici tenterebbero tanto, credimi, il fuoco non è un modo abbastanza sicuro per ucciderti e la tua ira sarebbe sicuramente peggiore della tua opera- credo in ogni singola parola che ho pronunciato per infrangere la tua diffidenza, so che non funzionerà ma mi piace azzardare e la posta è decisamente invitante…
Incroci le braccia sul petto, stendi le gambe e sovrapponi le caviglie, tiri infuori le labbra per qualche secondo e io mi sento sciogliere…accetta e facciamola finita. Mi vuoi snervare, tentativo inutile, sono molto paziente e l'unica cosa insopportabile è non poter godere del tuo corpo.
- Tu portami Astor vivo e io vedrò di venirti incontro, questo è il massimo che avrai- sorridi con i canini, sei sicuro che non ce la farò, vero? Be', ti sbagli e, per di più, alla grande.
- E io? Come faccio a fidarmi?- domanda retorica, mi fido e basta ma voglio sapere cosa dirai.
- Preoccupati di come fare la tua parte, non se io farò la mia. Rischi molto di più di non essere felice se non stai al gioco. Non avrei problemi a farti diventare cenere con in bocca tutte le informazioni che hai su di me. Come un bavaglio. Le cause di una tua "accidentale" morte potrebbero essere molte, vedi di scegliere bene se aspiri a questo. Oppure aspetta, so essere molto generoso- non è mai stato così loquace e lo ha fatto per minacciarmi, come se avessi avuto dei dubbi. Starò ai patti, non ti preoccupare, ho una certa voglia di assaggiare la tua generosità…
- Sappi che non sono uno che si arrende- ti avrò. Non sembri convinto ma sarà così.
- E 'sti cazzi?! Ora te ne puoi pure andare e non farti rivedere fino a che non avrai Astor- è scocciato, mi diverte. Dev'essere fastidioso per lui far uscire qualcuno vivo da qui. Non poter quindi aggiungere una tacca sulla parete delle sue vittime, so che lo fa, l'ho visto. Lo fa poco prima dell'alba, in una stanza del piano superiore, a petto e piedi nudi con un chiodo arrugginito, dicono che con quello abbia torturato per giorni colui che ha fatto Astor. Dicono anche che non dorma mai. E che i paletti non gli facciamo il minimo effetto. E che già da umano si divertiva ad uccidere. Che l'oscuro bene gli abbia solo dato nuovi mezzi. Dicono che rida dopo aver "mangiato". Fino all'ultima goccia ovviamente. E che sia capace di qualunque cosa. La sua leggenda è infinita e riecheggia terrorizzante nelle orecchie di quelli come Astor. Ma nelle mie è musica, è droga, è racconto di amore.
- Molto presto quindi. Non te l'ho detto: sono un tipo che non sa aspettare. E ti ho aspettato pure troppo. Preparati-
Frederick si sta avvicinando, devo andare a prenderlo e sapere.
- Ora me ne vado. Grazie per "l'ospitalità". Ah, vuoi un consiglio?- mi avvio di filato alla porta, fermandomi a tre passi per guardarlo ancora.
- No- risponde serio. I suoi occhi palesano la sua rabbia. Se avessi uno specchio ti presenterei un represso: tu in questo momento.
Sorrido.
- Dà una pulita a questa topaia- sono il primo che esce vivo dalla tua casa. Guarda la mia schiena allontanarsi e rosica. Che farai dopo? Spaccherai mobili o sbudellerai umani? Come ti sfogherai? Dimmelo. Voglio immaginare. Darti alla distruzione con me fisso in testa. Mentre sono lontano, al lavoro per averti.

È buio. Dannatamente buio in questo dannato bosco. Non riesco a vedere nulla da qui, dalla strada nel fitto degli alberi. Frederick è qui però. Lo sento. Eppure ha il terrore delle tenebre…
- Frederick, sono io, Alexiei- faccio appena in tempo a finire la frase che corre fuori e mi si aggrappa alle gambe. La sua testa mi arriva all'ombelico, ce l'ha volta verso di me, verso l'alto. Mi guarda. Ha le guance rigate di rosso. Qualche chiazza qua e là. Lo sguardo assente di sempre. Trema. Trema attaccato a me.
Bisogna trattarlo con dolcezza. Anche se non ne sento più. Per nessuno.
Gli sorrido e gli accarezzo i capelli corti e attaccati alla fronte dal sangue, deve essersi pasticciato con le lacrime.
- Che vuoi fare?- gli chiedo mormorando. Lo so bene. Ma mi viene sempre da trattarlo "normalmente". Se ci sia poi qualcosa di normale in lui…
- Casa- dice la sua vocina con fatica. Ogni volta che parla fatica infinitamente. È decisamente imperfetta questa sua forma. Ed è decisamente imperfetto lui. Non capisco come nostra madre possa avergli dato questa sorte.
Sento le sue mani strette nei jeans, è impaziente. Ma almeno non trema più. Me lo carico sulle spalle notando le macchie che ha pianto sui miei jeans.
- È per Iago?-
Fa sì con la testa attaccata alla mia schiena e ritorna a piangere.

È decisamente utile, il mio fratellino. Me lo guardo mentre disegna la donna che renderà possibile la mia gioia. È concentrato. Nel pugno tiene la matita, come se fosse un pugnale, a ogni ferita esce un tratto perfetto.
Anche quando disegna, esprime la sua intelligenza, ha quello sguardo vacuo. C'ho fatto l'abitudine, eppure è fastidioso. Preferisco averlo dentro di me che davanti agli occhi.
Si fa cadere la matita dalle mani e comincia a dondolarsi sulla sedia, la testa bassa.
- Clara. Clara. Clara- mormora come una cantilena, con gli occhi stretti e le mani sulle orecchie.
Prendo il foglio, lo guardo attentamente: perfetto come una foto. E così questa è Clara, bene…la troverò presto. E quando la troverò, sarò a un passo dalla vittoria…
- Frederick, cosa ha detto l'uomo gallo al re?- gli chiedo con voce ferma. Lui smette un attimo di dondolarsi, allontana un po' le dita dalle orecchie e piega la testa per capire la domanda.
- L'uomo gallo…voglio sposarla, sposarla, voglio…ma lei non sa, no, non sa…posso? Posso posso?- ripete come un pappagallo. Gli occhi chiusi a metà.
- E il re? Cos'ha detto?- anche se la parte dell'uomo gallo, Enrique, potrebbe bastarmi meglio andare sul sicuro.
- Il re sta sul trono…lui dice che l'uomo gallo può, sì, può. Ma il re deve vedere Clara- meglio di così non poteva davvero andare!
- Bene, ho capito- mi alzo e lui mi segue con quella sua aria assonnata - tu rimani qui, non uscire, torno presto- fa "sì" e prende altri fogli a cui infliggere ferite e da cui far uscire visi.
Sono ancora sporco del suo sangue, meglio cambiarsi. Butto la roba sporca sul letto di questa piccola stanza cadente e senza finestre e me ne infilo di pulita. Ritorno nell'altra dove c'è Frederick e bevo un sorso di sangue dalla bottiglia che abbiamo in frigo, si è un po' coagulato sull'orlo.
- Alexiei- mi ferma proprio sulla porta. Non mi volto.
- Dimmi-
-…non farle troppo male-
- Va bene- mento. Senza neanche accorgermene.

È un'ora che giro senza successo. Porca puttana. Dove si sarà cacciata? Dannata donna!
Corro tra le vie lucide, viscide alla luce nitida dei lampioni. Non sono propriamente nervoso, è più un cumulo fatto di sentimenti anonimi che scalpitano eccitati dalla notte. Decido che è inutile, completamente, continuare ad aggirassi alla cieca soprattutto quando si hanno mezzi potenti, molto potenti, al di fuori del comprensibile, lontani dalla ragione. Salgo su un tetto e appoggio il disegno di Frederick sulle tegole, ci cammino intorno formando un cerchio che si illumina sotto i miei piedi appena compiuto, con le mani faccio movimenti veloci e precisi, dalle labbra mi esce una sorta di filastrocca che non ha nulla a che vedere con l'infanzia; narra di caccia, di sangue, della preda da trovare, della sua morte. Il foglio si piega a metà, si riapre e comincia a fluttuare, piano, salendo gradualmente, dieci, venti, trenta centimetri, fino all'altezza dei miei occhi, parte in avanti e lo rincorro sentendo che la mia vittima non ha più scampo.
Percorro circa cento metri inseguendo il ritratto di Clara nel vento che suona tra i palazzi come fiacco fiato in un flauto, l'amore in immagine di mio fratello che vola, nella notte, inseguito da me che mi tengo egregiamente nella sua scia. Lo vedo scendere di colpo al lato di un palazzaccio malandato, salto giù incurante del freddo, delle vertigini che, invece, dovrei soffrire e lo vedo appiccicarsi e restare lì, sulla porta di un locale notturno. Ha un nome impronunciabile, me ne frego, appoggio la mano destra sul foglio che torna semplice carta morta e lo appallottolo per poi infilarlo in tasta. Lei è qui e io ho tutte le mie risposte.
Apro la porta di scatto e la luce artificiale, baluardo nelle tenebre, illumina parzialmente le scale che portano nelle viscere del locale. Sembra un labirinto. La rampa stretta, le pareti nere e le luci soffuse, la musica altra e la gente, tanta, tanti corpi caldi e sudati e allegri e immobili ad ascoltare una voce e una chitarra. Come paralizzati nel tempo. Ci sono solo loro. La voce e la chitarra. La chitarra e la voce ad annullare l'esistenza. La chitarra e la voce ad annullare la presenza di tutto. I corpi caldi e le pareti e le luci, i corpi caldi e le pareti e le luci si smaterializzano mentre mi avvicino sempre più alla fonte. E la fonte è lei. E quella voce la sua. E quelle note escono del contatto delle sue dita con le corde. Mai stato così felice di avere Frederick fuori dal mio corpo…
Canta nel silenzio. Nel silenzio statico canta in un inglese perfetto. In mezzo a questa folla canta ed è come luce, è un calore sensuale che seda le più turpi fantasie. Le palpebre arrossate da un velo di ombretto, il viso liscio di cipria, i capelli neri e mossi e quelle labbra a cuore da cui le parole escono come cosparse di una dolcezza infinita che scivola e gorgoglia in tutti.
Tranne che in me.
Perché sono lucido, perché so che non può succedere. Ma lei potrebbe portarmi a crederlo, a credere qualunque cosa…la guardo con uno sguardo duro, da profano covato dalle tenebre a dea immensa e potente su un piedistallo insormontabile fatto di puro splendore: da dove prende questo ascendente? È come se mi sbattesse in faccia che essere un vampiro non è abbastanza, non basto per contenere il potere che voglio. Anche se palesi i miei ridicoli limiti, non mi interessa. Per quanto bella tu sia, sei solo un corpo che aspetta di degenerarsi nel tempo. Mentre io mi bevo i giorni, le ore, i minuti che ti spingono in bocca alla morte e guardo, guardo te che ti accanisci a vivere intensamente, a lasciare qualcosa. E mi viene da ridere al pensiero che quando sarai solo quattr'ossa con quel bustino troppo grande, sprecato, che ti terrà scompostamente insieme in una cassa, attorniata da insetti e larve entrati da una falla, io sarò ancora qui e verrò a portarti un fiore e a sputare sulla tua lapide. Aspettami.
La sua voce si estingue e tutto ripiomba nel caos di un applauso generale, riapre gli occhi. Ho uno svarione. Un paio di pupille indescrivibili si guardano intorno, di una sfumatura di viola esistente solo lì, nel suo DNA, in quei vetri che le fanno percepire il mondo in chissà quale modo. Ringrazia senza parole e esce dal palco, appena sparisce tutto torna stressante, stressato, esattamente come prima, quella canzone come una parentesi visibile per un momento, nient'altro, infondo. Mi faccio vicino al palco e ci salto su, nessuno mi nota…nonostante la mia bellezza?! A volte succede anche questo...in che mondo incurante al fascino viviamo…mi traccio velocemente il sigillo dell'aria sul dorso destro, si apre come una cicatrice, però è azzurra, sulla mia pelle e mi paro le mani di fronte al viso, ora posso muovermi liberamente: sono invisibile.
Questa è una delle cose più banali che sappia fare. Ma ha sempre una sua utilità quando devi rapportarti con gli umani. Loro si difendono solo da quello che vedono. Basta pensare come soffrono per i mostri bianchi e neri che hanno dentro, nascosti in loro. Li chiamano sentimenti. Non li vedono, non possono farci nulla.
Mi concentro su di lei, questo posto è anche piccolo, la troverei comunque presto ma sento una strana eccitazione che mi muove. Mi trovo ad aggirarmi famelico, mi guardo in torno, è come se tutto girasse, finché non la vedo. Qui, poco distante, che sorride, con un tizio panciuto. Ho la tentazione di afferrarlo da dietro e scaraventarlo addosso al muro per averla solo per me. Solo mia, per un attimo. Solo mio lo spettacolo della sua agonia. Il panciuto si spiccia presto, ha una voce da nervi. Penso che Iago lo ucciderebbe anche solo per questo. Per questo lo adoro. Ma torno presto a lei, da lei dipende tutto.
Sento la mia faccia deformarsi in un ghigno enorme: contagio da pazzo maniaco omicida, suppongo. Mi avvicino ancora di più, se ne sta ferma leggendo il menù del distributore automatico. Di quelli che fanno solo caffè. Caffè che fa svomare.
Le giro un po' intorno cercandole un difetto, un'ombra nella luce che la sua pelle irradia, un granello di imperfezione che frani la sua bellezza e non c'è. E la voglia di distruggere è immensa. Come la calma di Frederick che bussa alla mia mente, all'improvviso, e che io lascio lì, chiusa fuori. Non voglio nulla che mi impedisca di andare fino in fondo, non mi fermerai.
Estrofletto i canini e fa male, sarà sì e no la terza volta …Iago me li strapperebbe volentieri se lo sapesse. Ne sono più che sicuro.
Sento la mia faccia tirarsi in un sorriso pensando a lui, pensando che presto saprò cosa prova. Mi sento bene, potente. È questo quello che deve sentire costantemente un malvagio artefice del destino altrui. Almeno credo. Almeno per me è così. A un passo dalla mia iniziazione.
Lei sta bevendo qualcosa, sembrerebbe latte caldo, da un bicchiere di plastica, sotto un neon, con un espressione così…comune. Tutta la sua aura dispersa in quest'attimo banale. Niente più dea. E la mia vena distruttiva si sbriciola, si accartoccia su se stessa. Volevo distruggere la cosa più celeste trovata fin ora. Volevo distruggere il suo ascendente. Volevo distruggere la manifestazione della perfezione in cui casualmente il caso mi ha fatto incespicare. Ma ora è solo una tra mille. E questo mi da solo rabbia. Non è speciale e si è fatta idealizzare. Ho solo rabbia.
Anche la voce di Frederick si è estinta. Sei sconfitto, fratello? Non mi fermi più? Non mi tenti alla sua salvezza? No. Perché non è più un fiore unico da salvare. È solo l'ennesima rosa che il vento può portare via…
Le poggio l'indice e il medio della mano sinistra sulla carotide, freme e si blocca, stringo gli occhi. Da qui mi infiltro nella tua mente e ci creo l'immagine del tuo assassino, eccolo, è lui, lo vedi? Ora è in te. Nella tua mente.
Mi infilo la mano in tasca, ne cavo un anello, è orribile, non mi è mai piaciuto, ed è legato a lui. Me ne ricordo il rumore quando lo batteva sul tavolo con regolarità, nel silenzio. Me lo infilo all'anulare sinistro, è largo, e stringo la mano intorno al suo collo. È sottile. Il bicchiere le cade muto come in un film. Comincia a boccheggiare, quegli occhi incredibili le si girano, con le dita cerca di allontanare le mie che non vede, che sente solo toglierle l'aria. Unisco l'altra mano allo sforzo, sento la sua forza sparire quasi di colpo e non ha più il fiato necessario per fare nulla. Non ne ha neanche più bisogno…mi allontano, si affloscia, scomposta. Sento Frederick piangere lontano. I suoi singhiozzi e i miei brividi nello stesso corpo. Nello stesso attimo.
Le do un ultimo sguardo, le palpebre calate a metà, le labbra chiuse, i capelli sul pavimento: il tempo non ti avrà, almeno di questo ringraziami…dalla tua tomba ringraziami di questo…
Iago è così che ti senti? Così ti senti ogni giorno?
E sono fuori, nella notte, a correre sui tetti. Mentre le lacrime di Frederick non si calmano e scavano a fondo e io non posso che urlare. Urlare la mia iniziazione. Alla notte.