Nota: Prima fic che posto… Mi
rendo conto che è un po’ atipica e un po’ stramba, ma spero che vi piaccia.
E' una specie di "stralcio", idee che mi appaiono in testa e a cui cerco di
dare forma.
I personaggi storici presenti sono passati sotto la mia interpretazione
personale.
Mahogany
di
Snatch
-Folle! Tu sei più folle di un cane rabbioso!-
Sento la sua voce rincorrermi mentre a passo frettoloso percorro le stanze
del palazzo, sbattendo le porte alle mia spalle.
E’ inutile, il porco mi insegue e se le fa sbattere in faccia.
-Adrien! Fermati, dannato! O vuoi farti rincorrere fino all’Inferno?-
La sua voce gorgoglia come la gola di un rospo. Ogni tanto sputa, come
dovrebbe sputare un rospo. La sua bocca bavosa di vecchiaccio si riempie di
saliva e lui riempie la sputacchiera marcescente.
-Baldracca come tua madre! Fermati, ti ho detto!-
Mi fermo d’un tratto e mi volto, sperando di vederlo incespicare davanti a
me colto dalla sorpresa.
Ansimante dalla rabbia, e dalla corsa, ma questo non lo ammetterà mai, come
mai ammetterà che ormai è un vecchiaccio, barcolla per un paio di passi e si
ferma.
Mi guarda, portandosi le mani gonfie di gotta ai fianchi larghi.
Oh mio ardente amante, cominciamo ad
assomigliare terribilmente all’opulenza, non trovate?
Ha le gote più rosse di quanto il trucco avrebbe dovuto dipingergliele, e
cerca di prendere dimestichezza con lo sguardo irato che mi rivolge.
-E ora, François, vuoi battermi? Mio caro padre, non sono certo io ad aver
sperso il mio seme una volta di troppo.-
Le sue sopracciglia si arcuano per il tono insolente delle mia voce. Povero
vecchio padre, incastrato nelle proprie stantie abitudini come un ragno
nella propria bavosa tela.
-Se mai il mio seme ha commesso un errore è stato quella disgraziata volta,
irriconoscente! Guardati le mani, sangue contorto!-
-Queste, padre?-
Gli mostro i palmi che ho avuto cura di sporcarmi del sangue dell’altro
porco suo amico, che adesso giace riverso al posto d’onore della sala da
pranzo.
-Vi vedete forse i miei peccati, padre? Ma non dicevate forse che il peccato
sta nell’occhio del peccatore?-
Le sue mani, quelle che a dispetto di ogni sua simbolistica visione del
mondo, del creato, degli dei e di qualsiasi altra cosa possa essere scritta
dal suo pennino, sono pulite, si stringono sui fianchi. Mi ha insegnato a
contare, volgare cultore della cabala, e a comprendere l’importanza di ogni
singolo numero.
E così, uno, e poi il due, e poi il tre…
-Folle! Folle e idiota come un bambino! Non sei neanche in grado di render
conto delle tue azioni!-
Smuovo indice e pollice uno contro l’altro, il sangue vischioso appiccica
come il peggior seme, e dà colore alla mia pelle diafana.
-Certamente, mio sopraffino
pensatore. Non sono che un pubescente irrispettoso… Macchiare così la casa
dei vostri ospiti! Come ho potuto? Come, dico io, mai ho potuto sgozzare
quell’uomo come un porco, dato che un porco è? Avrei dovuto acconsentire al
suo putridume, immagino, e lavarlo dovizioso con la mia stessa lingua!-
Sorrido.
Ognuno ha le sue vanità su Madre Natura. La mia è il peccato d’ira, e di un
orgoglio ancora intonso.
Non posso certo dire lo stesso del
nobiluomo che si sta infiammando come un suino alla brace davanti a
me…
-Non potrai mai capire il vero significato dell’amore,
stupido come sei. Stupido e vanesio. Non hai alcuna misura, alcuna
proporzione, alcuna armonia! Solo i capricci di un bambino appena svezzato,
e invece stai per compiere diciassette anni! Come posso liberare questa
bestia nella società, neanche degna del peggiore postribolo, dico, quando
neanche si rende conto dei gesti appena commessi? Avrei dovuto spedirti in
una cella anziché ospitarti con me!-
Roteo gli occhi esasperato ed esasperante, imitandolo nel poggiare le mani
sui fianchi. Oh, i deliziosi intarsi di fili celesti macchiati
inesorabilmente… Guarda la stoffa pregiata della mia camicia impregnarsi e
scuote la testa impotente.
Impotente, mio ardente amante? Suvvia,
arrendersi ai primi acciacchi che il tempo vi ha messo sulle spalle…
-Si dà il caso, mio onoratissimo Conte Donatien Alphonse François, mio
illuminato Marchese de Sade, mio
divino libertino sommo tra tutti i
libertini, che io non sia ancora diventato la tua baldracca, a cui rifilare
gli ospiti come succulente costine guastate! Và adesso, và a leccare il suo
inguine marcio! Magari, un po’ frollata, la sua carne sarà di tuo gusto…-
Detto questo, espletato il mio dovere di dargli una risposta, giro i tacchi
e cammino verso le porte.
-Serpe!- mi urla stridulo, strozzato dalla gotta. –Serpe in grembo…!-
Se mio padre fosse un normale padre, che anziché fustigarmi con il suo
membro usasse un’asticella in legno o qualsivoglia altro strumento atto al
punire, non mi troverei faccia a faccia con emeriti sconosciuti ogni
qualvolta qualcuno bussa speranzoso alla sua libertina porta.
Il giovane che ho davanti, perché è, mia fortuna, giovane, mi si è mostrato
quando, lavate le mani e accantonati i vestiti sporchi, ho aperto le porte
delle mie stanze.
Mi guarda contraddetto, confuso, spaurito, imbarazzato, e una lunga sequela
che esemplifica perfettamente i sentimenti confusi che si agitano dentro di
lui.
Dovrei essere scortese, penso.
Scortese perché, dannazione, non sono altro che un ragazzo in procinto di
compiere un altro, acerbo, anno di vita, e non la baldracca vissuta di una
nota casa di piacere.
Ma, disdetta del mio orgoglio, la mia carne è debole, il sangue forse rivela
quanto sono peccaminoso… Ma, insomma, il mio cuore manca qualche battito
quando il giovane, elegantemente in piedi con le mani dietro alla schiena,
balbetta silenzio aspettando che io dica qualcosa.
Ti conosco bene, mio virgulto. Ti ha
chiamato così, vero, il rinomato Marchese De Sade? Oh, lo immagino
perfettamente… Mio virgulto, attendi in
queste camere, ho una sorpresa per te.
Domani è il giorno del mio compleanno.
E’ un regalo, mio caro Marchese? Che gradito regalo, dovrebbe essere… Questo
virgulto, poco più alto e poco più
anziano di me, i capelli legati dietro alla nuca, corvini, sono lucenti e
vigorosi. Avrai adorato la sua pelle, candida e intonsa quasi quanto la mia.
Come mi definisci, quando lasci che il tempo scorra mentre degusti vino con
quelle scrofe dei tuoi amici intellettuali…?
Adrien è l’angelo del Bernini, che scese
dal cielo e diede l’estasi a Santa Teresa. E che estasi! Non so se avete mai
avuto l’onore di rimirare di persona quest’opera divina, e di notare quanto
il ghigno beato della Santa trasmuti quasi in un ghigno di piacere carnale…
E come, altrimenti, trovandosi dinnanzi a un Angelo di tale ingenuità e
crudeltà? Quel grazioso putto mostra a tutti noi che forse Dio non intendeva
diversamente da me quale fosse la via per la finale assoluzione dei sensi…
Si, mio mentore, la tua filosofia del “esasperate la carne affinché nulla
possa più corromperla e governarla” si soffonde nelle mie vene, mentre
guardo gli occhi di questo virgulto,
chiari e caldi come un’alba sa essere, saettare su di me confusi e persi,
imploranti una qualche sorta di spiegazione.
Che dovrà fare, si chiede costui. Il corpo longilineo si sporge in avanti,
timido… Timido, mio caro amico? La tua è l’accortezza della mantide che usa
il silenzio per non spaventare il nemico.
-Suppongo siate ospite del Marchese…- gli intimo, chiudendomi le porte alle
spalle con una certa fretta.
Lui esita, soppesa, tentenna, e annuisce.
Suppongo che il Marchese, entrando nella sala da pranzo, non si aspettasse
di trovare il cadavere riverso di un uomo. Suppongo si aspettasse di trovare
me, lieto, lietamente compiacente, e di riferirmi, lietamente compiacente,
che un ospite attendeva nelle mie stanze.
-E dovrò chiamarvi “ospite del Marchese” per il restante tempo o avrò modo
di sapere il vostro nome?-
Scuote la testa, denigrando la propria scortesia, e mi porge la mano.
-Dominic De Beausset.-
Dominic mi sorride cordiale.
Che ti sarai mai aspettato, Dominic? Mi domando come puoi essere finito alla
porta del Marchese… Curiosità di giovane studente? O magari pranzi e ceni
con perversioni e questa non è altro che una visita dovuta, come se la casa
del Marchese fosse un santuario a cui tutti i libertini devono far visita?
Il sorriso di Dominic sbiadisce come neve sciolta, lasciando spazio
all’imbarazzo.
E quanto saresti imbarazzato, mio caro amico, se tu sapessi che il caro
Marchese ti ha lasciato in questa stanza per poterti spiare sperando che il
suo giovane virgulto, io, saggiassi
le tue carni sopra alle lenzuola, in bella vista i nostri corpi giovani per
i suoi occhi acerbi.
E’ un gioco di verità nascoste.
Lui non sa che io so.
Che tra gli intarsi di quella specchiera, quegli stupendi intarsi che paiono
seta aggrovigliata di scuro mogano, una delle profonde spirali arricciate è
più profonda delle altre, giunge fino alla parete, la trapassa, giunge a
un’altra specchiera, un’altra stanza, sfocia nel boccolo di un putto tenero
come il burro.
Da lì, il Marchese mi spia credendo che io non lo sappia.
Chissà se la lussuria l’ha spinto lì anche ora, soverchiando la rabbia e il
timore di un cadavere che marcisce nella sala da pranzo?
Dominic attende sempre più nervoso che io smetta di guardarmi attorno come
se lui non ci fosse, e muova le labbra a formare il mio nome.
Attendi pure, Dominic.
Mi avvicino a lui e pongo i palmi lindi sul suo petto, e lo spingo.
Retrocede, senza voltarsi, retrocede fino alla sponda del letto e vi cade,
le vesti eleganti da giorno strisciano sulle mie lenzuola.
-Tu sei qui, Dominic, perché quella vecchia scrofa del Marchese ti ha fatto
annusare la lussuria.- gli dico, gli ordino, e lui annuisce, inerte, le mani
sollevate come se non gli lanciassi parole ma colpi.
-A a te è piaciuto, quel profumo, quel distillato che ti ha posto sotto al
naso quando, chissà come, vi siete conosciuti. Avrai sicuramente pensato che
quell’uomo privo di ogni attrattiva avevo però un certo fascino…-
Annuisce, meccanico come una sagoma al teatro delle ombre, e delle sottili
ciocche nere scivolano, dalla sua fronte al letto. Le sposto, le sistemo,
miglioro la statua e lui, atterrito, mi fa fare.
-Ti piace il mogano, Dominic?-
Sbarra gli occhi, chiari, socchiude le labbra e le serra, privandomi di un
attimo di sgomento che ha attraversato la sua vita.
-Il mogano…- gli ripeto, e indico la specchiera. Mentre volta il viso, mi
offre la sua mascella disegnata con un sottile pennello intinto di tempera,
colori tenui mai sporcati con il grigio della fuliggine, il suo collo ruba
luce alla stanza e la luce rapisce me, costringendomi a contemplare quelle
fattezze di abbozzata virilità.
-Si, mi piace…- sussurra, la voce attutita, e torna a guardare me. –Mi
piace…- ripete, e passa due dita tra i miei capelli color del mogano.
-Me l’ha regalata mio padre, quella specchiera…- gli dico, intonando la voce
a mo’ di racconto, e comincio a sbottonare la sua camicia lieve, di certo
mai macchiata di sangue. –Come il colore dei miei capelli… E’ il colore del
legno gravido, gravido e madido, che suppurando il proprio feto lo scaccia,
disconosce, rifiuta, lo rigetta come sudore, macchiandosi di sangue… Questo
me l’ha spiegato mio padre, e poi ha fatto si che anche il mio sacro
orifizio facesse come il mogano, sfregandone le pareti affinché il succo ne
venisse stillato.-
Dominic, mio candido amante, increspa le sopracciglia, fini tratti di
inchiostro, mi offre la sua costernazione in uno sguardo. Le dita si fermano
tra i boccoli, come se temesse, scostandole, di vederle macchiate di grumoso
sangue.
-Non tutto appare più così fascinoso e invitante, vero, mio Dominic…? Né
intriso dal dolceamaro sapore del peccato… Tutto è crudo come la verità che
ti spinge contro il muro e ti costringe a fissarla. Guardami…- gli dico, e
sento la strana sensazione di calore che fuoriesce da me, dai miei occhi,
caldi e bagnati come un temporale estivo, che tutta la polvere lavata via…
Il Marchese non deve vedere queste lacrime, no; il Marchese deve vedere solo
la bile che ottura la mia gola.
Affondo, la testa sul ventre di Dominic, affondo i miei peccati nel peccato,
perché appaiano meno turpi e risale, acre, l’odore del suo seme. Asciugo la
mia tristezza, strofinandola sul suo ventre, rialzo il viso terso da ogni
malinconia come terse sono le mie mani dal sangue.
-Ti ha mandato qui da me perché non è più suo, il tempo, di depositare amore
in forma di baci… Il Marchese sta diventando un castrato, un eunuco, un
corpo senza più facoltà di procreare, molle in corpo e nell’anima…- sussurro
a Dominic, per non far tentennare la mia voce mentre, lo so bene perché
conosco mio padre meglio di chiunque altro abbia mescolato il proprio sangue
al suo, il Marchese ci spia. Parlo per te, padre, uno spettacolo in tuo
onore. –Sta diventando inutile, incapace di tramutare in fatti le mille
parole che elargisce come perle di saggezza… E io non lo amo più, così
vecchio e incapace, quella scrofa non può altro che farmi pietà... Che pena
e compassione, mettere da parte il mio disprezzo per non umiliarlo più di
quanto la natura già lo stia umiliando.-
Chiudo gli occhi, portandomi una mano di Dominic alle labbra. Mentre
accarezza la mia lingua, esercito il sacro potere dei numeri, e conto…
Uno, e due, e tre…
E dalla stanza di fianco proviene secco il rumore di un vetro infranto, la
specchiera colpita chissà se con un pugno o con la fronte, spezzata da un
uomo che non tollera di sapersi disprezzato e vedersi decaduto.
Per una volta, le mie parole gli risultano vere, le mie false parole lo
colpiscono più a fondo di qualsiasi passione e, se avessi il coraggio di
ascoltare con attenzione anziché abbandonarmi alle carezze di Dominic,
potrei sentire il Marchese singhiozzare…
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