Ma abbiamo qualcosa in comune?!
Parte I
di Agata
Introduzione
Alex e D. lavorano per lo steso ‘capo’ ma non lo sanno. Vivono nella stessa città ma in quartieri diversi. Vestono entrambi in scuro ma, per diversi motivi . Non prendono mai i mezzi pubblici. Entrambi non sono quasi mai in casa. Nel loro lavoro sono i migliori.
Alex ha molti amici, forse troppi. D. ne ha uno e poco più, forse troppo pochi. Alex è un salutista e non salta mai la sua ora di corsa. D. odia lo sport ma corre tutto il giorno. Alex esce tutti i sabati sera per andare in discoteca. D. esce tutte le sere ma non per divertirsi. Alex ha una famiglia numerosa. D. una famiglia avrebbe voluto non avercela proprio.
Alex e D. non si sono mai incontrati…………….fino ad ora.
Chapter .1
New York in Gennaio, ricoperta di neve per i turisti può assumere un’affascinate atmosfera. Per i turisti appunto ma, per i normali cittadini di una grande metropoli la neve o la pioggia o qualunque altro fenomeno atmosferico esule dal sereno/variabile indica solo una cosa: caos. Il traffico di per se a New York è abominevole ma si ci mettiamo anche la neve otteniamo solo una cosa: che tutti newyorkesi si muniscano delle loro enormi macchine, altrimenti parcheggiate nei garage, o si buttino a pesce sul primo taxi disponibile. Il risultato sono litigi senza fine tra più clienti per lo stesso mezzo , traffico in tilt, incidenti stradali a non finire. Dalla sua seppur comoda sistemazione sul marciapiede D. osservava tutto questo con il suo sguardo anonimo e pieno di disinteresse. Il tutto è solo apparenza in quanto dentro stava a dir poco schiumando di rabbia. La sua adorata motocicletta era dal carrozziere, maledetto ghiaccio, l’escoriazione provocatagli dallo scivolamento sull’ asfalto faceva ancora male sulla gamba ma ormai il dolore si era tramutato in bruciore fastidioso. La sua moto però aveva l’intera fiancata rovinata. La neve scelse proprio quel momento per ricominciare a cadere dopo una giornata di tregua. Bianchi delicati fiocchi che si appoggiavano al suo cappotto scuro e sul suo basco bagnandoli leggermente. Era un’ora che attendeva l’autobus ormai, era uscito di casa con molto anticipo anzi praticamente non aveva neanche dormito, meglio sarebbe stato rimanere in ufficio almeno adesso sarebbe stato al relativo tepore tra quattro pareti e non li a gelare. D. odiava il freddo dell’ Inverno ; a dire il vero odiava anche l’afa estiva e le piogge autunnali, ecco lui stava bene in Primavera e non perché adorasse i fiori o il risveglio della natura e altre stronzate bucoliche ma perché la temperatura era per lui ideale (pollini a parte). Il suo temperamento da bastardo indefesso peggiorava a causa delle continue febbri, raffreddori e affini che in quei periodi gli si appiccicavano addosso peggio della jella. Il che rendeva la vita dei suoi colleghi un vero e proprio inferno. D. infatti ha il peggior carattere di tutta la polizia non solo del suo distretto ma dell’intero apparato delle forze dell’ordine statunitense. Al culmine della rabbia dopo che un ennesimo autobus passò d’avanti alla fermata carico come un carro bestiame D. sbatte un piede con forza sul marciapiede e ringhiò: - Merda ! -. Avrebbe dovuto prendere la metro e questo significava pagare il biglietto strizzarsi all’ interno di una vagone, per giunta sottoterra, e soffocarcisi dentro. D. odia le metropolitane, le trova soffocanti e innaturali, in fondo se Dio avesse voluto far vivere l’uomo sottoterra lo avrebbe creato munito di appendici apposite no? In realtà tutto questo serve solo a mascherare il fatto che lui soffre di claustrofobia…………in maniera preoccupante. Non prende nemmeno mai l’ascensore anche se abita all’ottavo piano. Non ha nemmeno la macchina e se ci entra deve guidare lui. D è una personcina da trattare con i guanti. Ormai rassegnatosi all’inevitabile si decise a dirigersi verso la fermata della metropolitana più vicina………………………..tre isolati più in là. “Se il buongiorno si vede dal mattino questa sarà una giornata di merda”. Con questi bei pensierini in testa si diresse verso le strisce pedonali al semaforo, doveva attraversare la strada e dirigersi sul marciapiede opposto . Arrivato dall’altra parte si alzò il bavero del cappotto e si calcò il cappello in testa per il freddo assumendo in tutto e per tutto l’aspetto di un poco di buono. Abbassò lo sguardo e incurante della gente attorno si mosse a passo di carica verso la strada principale fregandosene delle spallate che inevitabilmente dava a destra e a manca in quella calca immane . Dopo circa quindici minuti di sbattimento metaforico e letterale avvistò l’insegna della metropolitana e tentò di avvicinarcisi, ma la calca non diminuì in prossimità del sottopassaggio semmai aumentò , come l’ingorgo al casello. D era giunto a quello stato d’animo in cui la rabbia e la frustrazione si innalzano a tali apici che ad un certo punto si annullano in una calma surreale, uno schiacciasassi avrebbe potuto spalmarlo sul selciato e non si sarebbe arrabbiato neanche un po’. Passetto passetto come tanti bambini la folla riuscì a scendere le scale , sporche di neve marrone semi-liquida e fango ed entrare in stazione. Come se qualcuno avesse azionato un termostato interno la temperatura la sotto diventò di un umidità pazzesca causata dall’ammasso di corpi. Le macchinette dei biglietti erano prese d’assalto e la gente sembrava rassegnata ad una paziente coda. D guardò la scena e senza neanche pensare si diresse ai tornelli automatici, quando fu il suo turno semplicemente si issò su di essi e li scavalcò, dalla guardiola emerse un responsabile visibilmente nervoso che gli urlò dietro qualcosa, D lo mando a cagare e scese le scale per prendere il treno. Magari ! sulle banchine era quasi come sopra solo che qui il caldo si era fatto insopportabile, il maglione a collo alto lo stava facendo sudare, sarebbe arrivato al lavoro con le ghore sotto le ascelle, e l’aria sembrava pesante. Non sapeva dire se per colpa dell’umidità, del caldo o della claustrofobia che iniziava a farsi sentire. Dopo circa venti minuti, quattro treni andati a vuoto iniziò a pensare di tornare a casa e avvertire in commissariato che non sarebbe venuto. Poi si ricordo che Camille doveva offrirgli il pranzo e cambiò idea. “Pensa, pensa, pensa a qualcosa “ si disse come un mantra non appena si accorse di iniziare a iperventilare. No non andava affatto bene, la gente ormai era diventata una folla che lo comprimeva e lui non era una cima in altezza per essere un uomo. Il sudore iniziò a farsi freddo anzi ghiacciato primo sintomo per lui di una crisi di ansia, doveva pensare ad altro assolutamente. Chiudi gli occhi e pensa all’ Inghilterra – così gli ripeteva sempre Camille e lui come sempre ribatteva: - Come faccio a pensare all’ Inghilterra se non ci sono mai stato ? - . Immerso nelle sue considerazioni sul perché, pensando a quel paese la gente si rilassava , notò che il suo respiro era tornato regolare……….troppo tardi, la metro finalmente fece il suo ingresso in stazione e stavolta non era stracolma. D si girò per guardarsi intorno e le sue pupille si dilatarono nel vedere la folla intorno a lui. Era troppa e al solo pensiero di entrare in un luogo così piccolo come il vagone della metro con tutte quelle persone si sentì mancare. Si decisamente avrebbe chiamato in commissariato e si sarebbe dato malato, i suoi colleghi ne sarebbero stati entusiasti ,certo avrebbe perso una buona occasione di farsi offrire il pranzo da quella scroccona della sua collega ma la sanità mentale valeva bene qualche sacrificio. Non appena la metro si fermò lui fece dietrofront ma si trovò d’avanti ad un muro impenetrabile di persone, il suo cuore accelerò ed iniziò a sudare nuovamente provò a fare qualche passo e riuscì ad inserirsi fra la marea di corpi ma non bastò, non appena le porte si aprirono la folla si mosse e lui tornò ai blocchi di partenza. Rischiò di essere travolto dai due flussi contrastanti in entrata e uscita e alla fine venne spinto dentro. Si aggrappò ad un dei pali in mezzo al corridoio e quando le porte si aprirono si senti perduto. La gente era troppa, troppo alta, troppo profumata troppo tutto. Si concentrò sull’ammirazione del pavimento sporco e così riuscì minimamente a regolarizzare il respiro, dopotutto sarebbe potuto scendere a qualunque fermata no? Con questo pensiero si rasserenò e riuscì a sollevare lo sguardo e a guardarsi intorno. Il panorama era rappresentato in buona parte da impiegati e negozianti di vario genere a giudicare dai vestiti, niente studenti vista l’ora troppa tarda, professionisti neanche a parlarne quelli viaggiavano in macchina o in taxi mica con i comuni mortali come lui. Tutti tranne uno. Passando in rassegna la foresta di teste lo annusò al primo colpo. Si ergeva a tre persone di distanza da lui, avvolto in un cappotto a bavero alzato, probabilmente di sartoria ma non riusciva a vederlo, i capelli messi in piega di prima mattina , cravatta di classe e guanti in pelle. Tutto di lui puzzava soldi lontano chilometri. Si guardava intorno ogni tanto quasi con disgusto per poi rimanere con lo sguardo fisso di chi pensa ad altro a occhi aperti, quasi come ad astrarsi dalla situazione sgradevole o noiosa in cui si è invischiati. A D persone del genere facevano schifo. Letteralmente. Quanti di loro ne aveva arrestati, ne aveva perso il conto. Collusi, corrotti, truffatori, evasori , ladri per non dire di peggio. Dalla vita avevano avuto la possibilità di avere tutto e tutto avevano mandato a puttane. Che spreco. La metrò si fermò e poi ripartì e nel movimento discesa/salita si ritrovò sbalzato in fondo al vagone, schiacciato con le spalle alle porte scorrevoli e l’odiato riccastro d’avanti. Di sfuggita iniziò a guardarlo meglio, non aveva un taglio alla moda, cosa strana, corti capelli dietro e leggermente lunghi sulla fronte a velargli gli occhi. I suoi occhi, bellissimi dovette ammettere, da togliere il fiato , dello stesso colore degli zaffiri. Per il resto non si era sbagliato il tizio non andava a comprarsi i vestiti nei negozi, no no , sartoria sicuramente. La borsa stile ventiquattrore lo qualificava come il peggior esponente della sua specie. Dicesi : AVVOCATO.
Perso nelle sue elucubrazioni non si accorse che il movimento ondulatori della metro si era arrestato, probabilmente erano ad una fermata e lui non si era accorto della cosa a causa della folla che aveva d’avanti. Girò la testa di lato per guardare con la coda dell’occhio alle sue spalle tramite la porta a vetri ma vi era solo l‘oscurità del tunnel. “ Cosa sta succedendo ? “ pensò. Si guardò attorno tentando di muoversi ma ottenne l’effetto di strusciarsi contro il suo dirimpettaio attirandone l’attenzione. Mi dispiace ma non posso muovermi – si giustificò gentilmente lui pensando che volesse spostarsi. Volevo solo vedere a che fermata siamo – mugugnò D. A nessuna – disse l’altro. Come nessuna ! – ma lo stava prendendo in girò ? Nel senso che siamo fermi – precisò il forse avvocato vedendo l’ espressione accigliata di D. Fermi ?! – domandò D sperando di sbagliarsi, non poteva capitargli anche questo quella mattina, era troppo neanche nei film………. Si fermi , e nel bel mezzo del tunnel aggiungerei , è un vero scandalo a parer mio , un tale disservizio, meno male che io la metropolitana non la prendo mai non so proprio come la gente possa……….- Ma D oramai non lo seguiva più stava iniziando a ventilare come un mantice. “ Calmati puoi farcela , ne hai superate di peggiori. Ricordati di quando Simus ti ha rinchiuso per una notte sotto il lavello, se sei sopravvissuto lì non ti ammazza più niente. “ Ma al pensiero dell’episodio che probabilmente aveva scatenato la sua sindrome la situazione peggiorò ulteriormente.
Dopo quindici minuti D era in un bagno di sudore freddo, le gambe gli tremavano in maniera pericolosa e la testa era piena d’aria. E il treno assurdamente era ancora fermo. Si sente bene ? – chiese una voce al di sopra della sua testa. D fissava il suo cappotto, la nausea lo costrinse ad inghiottire un paio di volte prima di rispondere. Almeno credeva di aver risposto perché il tizio gli strinse leggermente il braccio destro come ad attirare la sua attenzione. D alzo la testa, bianco come un panno lavato gli occhi vitrei. Iniziava a vedere dei puntini bianchi o neri non capiva, vedeva solo quei bellissimi occhi blu che lo fissavano preoccupati, poi il nulla. D fu accolto da una coltre nera che lo inghiottì, la sua testa si accasciò sul petto dell’altro e poi lentamente iniziò a scendere. Il giovane lo sorresse al volo per le braccia e lo strinse leggermente a se per aiutarsi a sostenerlo.
Perfetta, una giornata praticamente perfetta.
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