AUTORE: Gojyina-chan
SERIE: Original
PARTE: 1/1
RATING: Nc -17
DEDICHE: Agli amori della mia vita, vi ho perso uno ad uno, senza avere il coraggio di guardavi un'ultima volta.
RINGRAZIAMENTI: Alle mie tre beta di fiducia, Hinao, Neikos(Buon Compleanno!!!) e Shiro.
Bacioni alla mia Kohi-Ammorra che è stata capace di commuoversi leggendo questo racconto assurdo. O____O'
Un ringraziamento particolare a Kuso Baba che ha trovato il tempo di rileggerla, nonostante tutti i suoi impegni. Grazie mille!^^

 


Luna piovana e riflessi di sole

di Gojyina-chan

*fic scritta per il progetto letterario "Morceaux"

 

”Mamma? Cos'è la pioggia?”
“La pioggia è il pianto degli angeli, piccolo!”


***

Il cielo vomitava da giorni.
Detestava la pioggia. Sputava irriverente sulle sue tele, gravide di colori.
Il tragitto fino all'Accademia fu soffocante.
Vecchi infreddoliti nei cappotti pesanti, signore imprigionate in pellicce ed ingombranti ombrelli, qualche ritardatario studente liceale, che ciondolava la testa, guardando il mondo in cagnesco.
I mendicanti sulla metro e per le strade erano intollerabili, così sporchi e gretti.
Fastidiosi, tanto quanto la pioggia che gli scendeva sul viso. Troppo simile alle lacrime che non aveva mai pianto.

Il suo malumore evaporò nell'aria, appena mise piede nel cortile.
Inspirò profondamente l'odore di casa, finalmente in pace con se stesso.
La statua di Napoleone, che svettava fieramente al centro dello spiazzo, lo salutò con un cenno del capo.

Tutt'intorno, ragazzi variopinti come pappagalli tropicali, vociavano sommessamente.
Varcata la soglia del grande portone, fu accolto dal chiaro scuro dei corridoi poco illuminati e dalle statue di Athena e Zeus, posti l'uno accanto all'altra.

Immensi e perfetti.

Le uniche creature reali, in mezzo a quei corpi in perenne movimento.
Notò con un certo disappunto, che il marmo candido era coperto da una sottile patina grigiastra.
Italiani!
Sarebbero stati capaci di pisciare persino sull'oro!
Per fortuna, pensò - non senza un moto d'orgoglio -, che almeno erano riusciti a strappare la Monna Lisa a quel popolo così rozzo e rumoroso.

Incamminandosi verso l'aula, udì i propri passi riecheggiare tra le mura antiche dell'ex convento.
L'Accademia di Brera, famosa in tutto il mondo, era stata l'unica a riuscire nell'impresa di sradicarlo dalla sua amata Parigi.
A distanza di quasi sei anni, ancora non si era pentito per quella scelta.

"Oh, Luc! Finalmente!" lo accolse la Professoressa Marianna Altomare, docente di Arti Figurative, nonché organizzatrice della mostra a cui partecipava.

"...'Giorno" mugugnò lui, con fare annoiato.

"Ragazzo mio, come sei conciato! - sbottò la donna, osservandolo da vicino - Ti sei preoccupato di coprire per bene le tele, senza pensare a te stesso!" rise, scuotendo il capo rassegnata. Conosceva il carattere anomalo del suo allievo prediletto.

"L'ombrello ingombra" rispose distrattamente Luc, adagiando il proprio fardello su uno dei banchi, messi in fila come ordinati tasselli del domino.

“Va bene, organizziamoci. Faccio portare i tuoi quadri nell'aula magna. E' lì che si terrà la mostra. – lo avvertì lei – Hai appena il tempo di darti una sistemata, perché tra poco arriverà il modello per la lezione di Figura dal vero. Forza e coraggio, risorgi!” rise poi, notando il suo stato semi-comatoso. Alla mattina non riusciva assolutamente a dare il meglio di sé.

Il meglio... Concetto tanto affascinante, quanto labile e soggettivo. Cosa significasse, ancora non lo aveva capito bene.
Se apprezzi qualcosa, non è detto che altri siano del tuo stesso parere. Era per quel motivo che rifulgeva da competizioni o concorsi più o meno seri. Non amava dare le sue creature in pasto alla singola percezione di un'eterogenea giuria, munita di bocche rugose ricolme di paroloni assurdi e ridondanti e aggettivi ben forbiti, pronti al deleterio paragone con i grandi artisti del passato.

Le mostre no. Quelle le amava alla follia. Mettersi in disparte e vedere gli sguardi estasiati degli studenti alla vista dei suoi quadri, era esaltante. In Accademia era apprezzato e stimato da tutti. Dal Preside fino ai bidelli, accorrevano in massa per ammirare le sue nuove creazioni.

L'Accademia di Brera era un regno che lui dominava incontrastato e tutta quella adorazione, lo faceva sentire vivo e appagato come nient'altro al mondo.

Con quei pensieri in testa, posizionò il cavalletto al solito posto, accanto alla grande vetrata a scacchi. Lavorava a quel dipinto da quasi due settimane e desiderava terminarlo al più presto. Iniziava a sentirsi fortemente a disagio ed era una sensazione che non sopportava.

Il modello, un giovane uomo con una bella muscolatura ambrata, giaceva nudo, per terra, su di un drappo bordeaux che andava a coprirgli le parti intime con malcelata irriverenza, giacché alcuni impudenti peli pubici, facevano capolino dalla rientranza tra la gamba pigramente piegata e quella mollemente distesa.

Indossava una maschera veneziana, nera con delle lunghe piume corvine che celava il suo viso dal naso alla fronte, nascondendo anche il colore dei suoi capelli.

Ma a turbare davvero Luc, erano i suoi occhi. Aveva la sensazione che quello sguardo misterioso, fosse perennemente puntato su di lui. Se lo sentiva addosso, fastidioso e pungente come ciocche di capelli umide. Sembrava che lo volesse valutare, sfidandolo a carpire la sua vera essenza per poterla imprigionare dentro una tela.

Il modello entrò in aula, avvolto in un accappatoio bianco e la maschera sul viso. In silenzio si mise in posa, dando inizio, ancora una volta, alla loro tacita sfida. Luc intinse il pennello nell'acrilico rosso, accarezzando poi la tela con morbidi e sapienti tocchi. Con somma irritazione, notò che la sua mano tremava impercettibilmente e il labbro superiore era imperlato di sudore. Non andava per niente bene. Ogni linea doveva essere perfetta e decisa. Dannati occhi! Lo stavano distraendo. Quel modello iniziava ad essere più affascinante del quadro stesso e questo non poteva sopportarlo.

“Luc? La lezione è finita... - mormorò Marianna, posando una mano sul suo braccio, ancora a mezz'aria – Dobbiamo andare nell'aula magna...” gli ricordò, sorridendogli appena.
Riemergendo dal suo stato di trance, il giovane allievo si rese conto dell'aula sgombra e dell'assenza del modello. Distrattamente notò i cavalletti abbandonati intorno a lui. Strano. Non li ricordava così vicini al suo. Dovevano essersi mossi da soli o, più probabilmente, i suoi compagni di corso erano arrivati e andati tutti via, senza che se ne accorgesse.

Osservando la tela, si accorse dell'inquietante timore che suscitava. Quello sguardo intrigante, la posa ambigua. Assolutamente non voluto, certo, ma guardando quell'uomo misterioso steso su di un mare di stoffa, non si riusciva a stabilire se ti stesse aspettando...o fosse pronto a ghermirti. Luc non apprezzò quell'incertezza, maledisse il soggetto e ripose i suoi colori con scatti rapidi e nervosi.

“Andiamo! Voglio farti conoscere Giorgio Grechi. Ricordi? Il gallerista di New York, te ne parlo da mesi. I suoi sono napoletani, li conosco dai tempi del liceo! - trillò la bionda professoressa, incamminandosi lungo gli oscuri corridoi dell'Accademia – Come collaboratore, dovrai lavorare con lui. Sono sicura che andrete d'accordo!” sentenziò soddisfatta, guardandolo in tralice.

“Mmm...” si limitò a mugugnare il francese, la cui momentanea preoccupazione era quella di tenere il passo da maratoneta della donna.

Nell'Aula Magna, vi erano ancora gli addetti alle luci e ben pochi quadri già posizionati, che donavano un minimo di colore a quelle pareti candide.
Luc si soffermò ad accarezzare il gelido marmo delle colonne perimetrali, grondanti di speranze e talenti perduti. In molti erano stati oggetto del loro tacito sguardo, ma quelli che avevano realmente raggiunto il successo si potevano contare sulle dita di una mano.

Scuotendo il capo, si avvicinò alla parete su cui era stato collocato il suo quadro. Un impeto di puro orgoglio lo scosse dal profondo.
Il tema della mostra, desiderata e ottenuta dalla sua docente, era 'La paura'.
Argomento talmente vasto che inizialmente gli aveva provocato non pochi problemi. Dopo settimane di buio totale, all'improvviso, la scintilla.

Il mare d'inverno, in tempesta. Colori cupi che spaziavano dal violetto all'indaco, passando per il blu cobalto e il verde Paolo Veronese. Sulla destra, come elemento di disturbo, vi era un gigantesco piede, affondato tra le spume marine.
Il sublime, che terrorizza la piccola umanità, impotente di fronte alla furia incontrollabile degli elementi.
Faceva molto 'Goya', con quelle pennellate decise e nervose. Ne era assolutamente e completamente fiero.
Sensazione amplificata dagli sguardi ammirati dei pochi curiosi studenti, che erano accorsi a quattro settimane dall'apertura. Sguardi ammirati, sguardi adoranti, sguardi stupiti. Per lui, per la sua creatura.

Alle sue spalle, sentì distrattamente la voce di Marianna, che chiedeva a qualcuno un parere tecnico sull'opera del suo allievo più promettente. Con un accenno di sorriso, Luc attese. Raramente si sentiva soddisfatto di una sua creazione e voleva godere appieno di quella nuova, esaltante sensazione.

“Mmm...Bello...” sbottò una voce bassa, carica di annoiata sufficienza.

Luc si voltò lentamente, desideroso di visualizzare un volto che, certamente, avrebbe odiato per il resto dei suoi giorni.
Aveva sputato quel 'bello', come se fosse stato il peggiore degli insulti. Da quando la bellezza era diventata un difetto?

E all'improvviso... lo vide. Alto, biondo, gli occhi di un intenso azzurro chiaro. Accanto all'esile Altomare, la sua figura risultava ancora più dominante. Ma Luc non si lasciò intimorire.

“Giorgio, ti presento Luc Chauvin. Luc, lui è Giorgio Grechi. Finalmente vi conoscete! - sorrise la docente, prendendo mentalmente nota, dell'espressione a dir poco iraconda del suo giovane allievo. Attese la consueta stretta di mano per proseguire il discorso lasciato in sospeso – Mi stavi dicendo, Giò-Giò?” chiese all'amico, usando con disinvoltura l'infantile nomignolo, da lei coniato un paio di decenni prima.

“E' un quadro talmente realistico, da sembrare una fotografia” sospirò l'interpellato.

'In bocca a quest'uomo, persino l'Inno Nazionale risulterebbe offensivo!' Si ritrovò a pensare Luc, detestando ogni minuto di più il nuovo arrivato.

“E che cosa ci sarebbe di male, in questo?” gli chiese, cercando di celare il proprio astio, dietro una parvenza di casualità.

“Nulla! - sorrise Giorgio, guardandolo finalmente negli occhi – Mi chiedo solo perché tu abbia dipinto un quadro, quando potevi scattare una fotografia. Bastava aggiungere col Photoshop il 'piedone' e avresti ottenuto il medesimo risultato!”

“Forse perché sono un pittore e non un fotografo?” rispose ironicamente, ormai apertamente ostile.

“Ma ti sei comportato come tale. - constatò l'altro, osservando il quadro da vicino – La fotografia deve ritrarre al meglio un'immagine che già esiste. Il pittore, invece, la ricrea, plasmandola e modellandola a seconda del suo gusto personale. Una buona foto, emoziona. Un buon quadro, invece, toglie il respiro. La tua opera, per quanto bella, non suscita nulla di particolare nello spettatore. E' un quadro narcisista. Volevi ricevere dei complimenti e basta. Ma la vera grandezza di un pittore sta nel suo desiderio di rendere immortale la sua creatura, mettendosi volontariamente in disparte, senza desiderare di essere illuminato di luce riflessa... Non so se mi spiego...” concluse, tornando a guardarlo in viso.

“Bene! - s'intromise Marianna – Vedo che avete già fatto amicizia! - annuì soddisfatta, ignara di essere oggetto dei pesanti improperi del giovane francese – Ragazzi, devo proprio scappare a lezione! Luc, ci pensi tu a far compagnia a Giò-Giò, vero? Gli ho dato le chiavi dell'appartamento di fronte al tuo. Stando vicini, lavorerete meglio!” sorrise, salutandoli velocemente, mentre i silenziosi insulti mentali si triplicavano ad ogni suo passo.

“Caffè?” si sentì chiedere Luc, riportato improvvisamente alla realtà.
Senza dire una parola, s'incamminò verso il cortile seguito da Giorgio. Non solo era stato pesantemente insultato, ma doveva anche fare da balia a quel villano! Che giornata di merda!

Entrò distrattamente nel Bar Brera, sedendosi al suo solito tavolo. Normalmente, avrebbe goduto della vista che le ampie vetrate concedevano, perdendo il milionesimo sospiro all'idea che grandi pittori del passato avessero discorso proprio lì, di arte e filosofia. Ma in quel momento, tutta la sua attenzione era catalizzata su un paio di occhi azzurri ed un sorriso sereno, che stavano istigando i suoi istinti più bassi ad un inaudito scoppio di violenza.

“Mi auguro di non averti offeso, prima...” esordì l'italo-americano, voltandosi verso di lui, mentre la cameriera si allontanava con le loro ordinazioni.

“Non sono così sensibile!” sbottò Luc, con un mezzo sorriso.

“Meglio. Sai, a volte la mia eccessiva sincerità ha involontariamente ferito le anime più delicate...” sospirò appoggiando un gomito sul tavolo. Un'irritante luce divertita negli occhi.

“Con me non corri questo tipo di rischio!” sibilò piccato, piegando le labbra in un sorriso ironico, scorgendo la cameriera andargli vicino con i loro caffè.

Oltre alle due tazzine, portò una zuccheriera in argento, un piccolo cestino con le bustine zuccherate, disposte a formare una colorata spirale ed infine, una scatolina in ceramica colma di zollette.

Senza esitare, Luc afferrò un paio di cubetti, buttandoli in maniera poco garbata dentro il liquido scuro.

“Scelta interessante! - mormorò Giorgio, divertito dallo sguardo alquanto perplesso del suo accompagnatore - Lo zucchero, dico. Sai, impari a conoscere le persone dai loro piccoli gesti quotidiani, non dalle parole o dagli atteggiamenti, che il più delle volte sono falsi o artificiosi.” si affrettò a spiegargli, mentre immergeva il cucchiaino nella zuccheriera.

“Esiste un modo... 'noioso' di zuccherare il caffè e uno più 'divertente'?” chiese il giovane francese sarcasticamente.

“Esistono persone noiose e persone divertenti... che zuccherano il cafféè in modi diversi!” sorrise l'altro, divertito.

“Ho l'assoluta certezza che colmerai questa mia incresciosa lacuna, delucidandomi a breve...” sbottò Luc in attesa, stizzito dalla propria, seppur magistralmente celata, curiosità.

“Solitamente, chi sceglie lo zucchero in polvere e sempre lo stesso numero preciso di cucchiaini, è una persona per certi versi 'abitudinaria', che detesta perdere tempo in sciocchezze e ama tenere in mano le redini della propria vita. E' uno avvezzo a prendere decisioni veloci e a mantenere il controllo di se stesso. Con una spiccata attitudine al comando, direi... - borbottò il biondo, meditabondo – Chi usa le bustine, invece, è di indole piuttosto pigra, odia strafare e necessita di tutte quelle piccole certezze quotidiane che lo aiutano a sopravvivere. E' la classica persona che fa attenzione a non colorare fuori dal bordo, terrorizzato dalle conseguenze di un suo eventuale errore. Potrebbe essere un impiegato, con un lavoro ripetitivo e di scarsa responsabilità. - continuò, osservando i riflessi mogano e oro del proprio cafféè – Ed infine, quelli della zolletta. Senza dubbio i più particolari... Loro prendono uno o due cubetti, per evitare lo sforzo di girare il cucchiaino...Si limitano ad aspettare pochi istanti, per permettere al troppo zucchero di sciogliersi appena... e poi, bevono. E' gente con grandi aspirazioni, ma ben poca voglia di sbattersi troppo per ottenere ciò che desiderano... Credono che riusciranno a raggiungere il loro traguardo con facilità, perché valgono... Sostanzialmente sono un po' boriosi e tremendamente fragili. Mascherano la propria sensibilità dietro un'apparente, granitica sicurezza.” concluse Giorgio, bevendo l'ultimo goccio di caffè.

“E tu... hai capito tutto questo...osservando la gente al bar...? - mormorò Luc lentamente, scrutandolo tra lo scettico e il faceto. Irritato dalla descrizione che quello sconosciuto aveva dato di lui, tacque, perché il bastardo c'era andato dannatamente vicino – Toh, guarda! Laggiù c'è la cannella, hai voglia di spiegarmi anche le attitudini sessuali della popolazione mondiale?” sbottò ironicamente, provocando l'ilarità dell'italo-americano.

“Un'altra volta, magari - promise lui, scherzosamente – Ora vorrei fare una doccia e andare a letto. Inizio a risentire del fuso orario” sbadigliò, alzandosi in piedi, con un movimento fluido .

Stiracchiò adagio le lunghe membra, lasciandosi sfuggire un gemito soddisfatto che provocò un insolito formicolio al basso ventre di Luc, il quale si affrettò a pagare il conto per poi uscire in fretta dal bar.
“Ehi! - si sentì chiamare – Volevo pagare io!” si lamentò lo strano personaggio conosciuto pochi minuti prima, corrucciato e infastidito.
“La prossima volta!” sbuffò Luc, imboccando Via Fiori Scuri.


Il primo squillo, ferì le sue orecchie intorpidite. Il secondo, invece, lo costrinse ad una lenta discesa negli Inferi.
Stomaco in subbuglio, incessante martellio nella testa, apparato uditivo a puttane e occhi arrossati e gonfi...
E quel cazzo di telefono che continuava a squillare.

Con pigra lentezza, allungò il braccio quel tanto che bastava a sopprimere la momentanea causa delle sue disgrazie.

“Mmm...” mugugnò, combattendo contro i postumi di una sbronza colossale.

“Ciao, sono papà. Come stai? Sempre ad imbrattare tele? La nonna vuole che torni per Natale, verranno anche gli zii. Per settembre, vedi di trovarti un lavoro, almeno mi risparmierai l'imbarazzo di fronte a mio fratello! Ma lo sai che suo figlio adesso lavora in banca? Si è anche sposato e ha una casa magnifica!Quand'è che metterai giudizio, benedetto ragazzo? Già! Io non devo interferire nelle tue scelte, eh? Tanto i soldi che hai te li ha lasciati la mamma. I consigli dei genitori sono sempre gli ultimi che i figli ascoltano! La nonna a Natale cucinerà la...CLICK.”

E finalmente, fu silenzio.
Caldo, complice, protettivo.
Quiete e...
Qualcuno che bussava incessantemente alla porta.
Quella appena cominciata, si prospettava proprio una giornata di merda di immani proporzioni.

“Ciao, bello! - esordì la causa principale delle sue sventure, sfoggiando un irritante sorriso – Ti ho portato un paio di brioche. Oggi avremo una giornata pesante. Dobbiamo visionare quasi duecento quadri e scartarne più della metà! Ma stavi ancora dormendo? Forza, vai a lavarti!Abbiamo appuntamento tra meno di mezz'ora con Marianna!” lo avvertì Giorgio, sospingendolo verso il bagno.
Lo avrebbe ucciso, gettando il cadavere nel Naviglio Grande. Il problema era portarcelo, dato che Luc era sprovvisto di macchina...
“Sbrigati! Mancano venticinque minuti!” urlò l'italo-americano, bussando con insistenza.
Non aveva importanza. Ne avrebbe affittata una.
Aprì la manopola dell'acqua calda, avvolgendosi nel suo rilassante scroscio...Come se fosse pioggia.

”Mamma? Cos'è la pioggia?”
“La pioggia... - mormorò il francese chiudendo gli occhi - ...è lo sputo di Dio.”

Uscito dalla doccia, trasse un profondo respiro, accantonando momentaneamente i piani bellici architettati negli ultimi minuti.
Detestava profondamente quel saccente rompicoglioni, che scartava ogni sua idea. Non aveva bisogno di lui per organizzare la mostra. I quadri che a Luc piacevano, Giorgio li scartava, considerandoli banali.

Entrando nel soggiorno, lo vide seduto al suo piccolo tavolo circolare.
“Mary mi ha detto che hai pronta la tesi... - sorrise il suo ospite, guardandosi attorno – Che argomento hai scelto?”

'L'androginia femminile nel teatro Wagneriano' - sbuffò Luc, preparando il caffè – E' nel cassetto centrale del mobile... Se vuoi darle un'occhiata...” aggiunse notando lo sguardo ammirato dell'italo-americano.

Pochi istanti dopo, udì la voce perplessa del suo ospite.

“E questa?” domandò Giorgio, mostrandogli la pistola che teneva accanto al libro.

L'aveva completamente dimenticata. Comprata su Internet due anni prima, la sua 44 Magnum era la coinquilina ideale. Non sporcava, non invitava gente a casa ed era sempre a portata di mano.

Era stata la possibilità di scegliere liberamente quando morire, a permettergli di sopravvivere sino a quel momento. Ma di certo non avrebbe sprecato del tempo per spiegarlo a quello scocciatore.

“Capisco - sorrise Giorgio, riponendo la rivoltella nel cassetto – Per me è lo stesso con le sigarette. Se il sabato sera mi accorgo di non averne quasi più, ho l'impulso di fumare il doppio del solito. Ma se ne ho una piccola scorta, non mi importa se il giorno dopo il tabaccaio è chiuso e, paradossalmente, sono capace di non toccare una sigaretta fino al lunedì successivo. Deve dipendere dall'idea di 'poterlo fare, qualora lo volessi'. Non mi piacciono le pistole” sbottò all'improvviso, guardandolo severamente.

“E a me non piacciono le sigarette! - sibilò Luc, incrociando le braccia al petto – Cazzo! Ma tu non ti stupisci mai di nulla?!” sputò stizzito.

“No. - fu la candida risposta di Giorgio, che continuò imperterrito a sfogliare il libro che aveva tra le mani - La tua tesi è affascinante... Come mai continui a rimandarla?”

“Non... Devo... La devo correggere...” balbettò, in chiara difficoltà.

“Ti caghi sotto all'idea di affrontare il mondo reale, eh? Capita a molti. Ok, io ti precedo in Accademia, ci vediamo lì!” sorrise il biondo, guadagnando l'uscita.

“Io...Che cosa?!”tuonò Luc, rincorrendolo furibondo.

“Ti caghi sotto all'idea di affrontare il mondo reale. - ripeté il suo ospite, con serafica tranquillità – Non offendere la mia intelligenza! Stai rimandando la tesi da due anni con scuse assurde e passi il tuo tempo frequentando una valanga di corsi aggiuntivi inutili. Sei terrorizzato all'idea di lasciare l'Accademia. Qui sei il numero uno, ma nel mondo reale non ti conosce nessuno e hai paura di non essere all'altezza della fama che hai ottenuto qui. ”

“E' stata la Professoressa a dirtelo, vero? Ti ha chiamato lei per... Che cosa?” chiese il francese, sdegnato oltre ogni dire.

“Era preoccupata per te. Cazzo, hai così tanto talento da non sapere che farne, ma ti ostini a vivere in un contorto Limbo nel quale ti sei volutamente rinchiuso. I tuoi quadri diventano sempre più belli e privi di anima...Sei quasi pornografico!” sbottò Giorgio, uscendo dall'appartamento.

“Porno...porno... Mai nella mia vita sono stato insultato in questo modo!” ringhiò Luc, inseguendolo sul pianerottolo.

“Ti sto solo dicendo ciò che sai benissimo, ma che non accetti di affrontare! Sei talmente saccente, irritante, permaloso e pieni di boria che...”

“Irritante e saccente, io?! - lo interruppe Luc, con gli occhi sgranati – Sei entrato nella mia vita, con quel cazzo di nome pieno di erre che non riesco nemmeno a dire, sputando cazzate su zucchero e zollette e vomitando sui miei quadri! A causa tua, da settimane bevo il caffè amaro e poi sarei io il borioso?”

“Allora mi ascolti quando parlo!” sorrise Giorgio, compiaciuto.

“Mai, pezzo di imbecille!”

“Francesino del cazzo!”

“Bastardo!”

Malafemmena!” tuonò furibondo l'italo-americano, scendendo le scale di corsa.

“Ehi, tu! Come mi hai chiamato?!” sbottò Luc, infilandosi in fretta le scarpe, per poterlo così inseguire.


Intinse il pennello nell'acrilico blu, borbottando epiteti irripetibili all'indirizzo del suo mortale nemico.

Arrivato in Accademia, Luc aveva deciso di non dare ulteriori soddisfazioni a quel saccente del cazzo. Scelti i quadri migliori con la supervisione della Professoressa Altomare, si era imposto un comportamento sobrio e naturale. Ancora non riusciva a capacitarsi dell'assurdo sfogo di poche ore prima. Lui, che dava spettacolo urlando su un pianerottolo. Tutta colpa di Giorgio Grechi, del suo modo di fare, delle cazzate che diceva e del suo dannato nome pieno di 'erre'.

Lo detestava, soprattuto perché... aveva maledettamente ragione.

Si era rinchiuso in una teca di tele e colori, schiacciato dalla folle paura di un mondo sempre più lontano, terrorizzato all'idea di doverlo affrontare da solo. Persa sua madre, unico sostegno e protezione, Luc si era sentito vulnerabile ed impreparato a combattere le insidie della vita reale. Ma fin da subito, l'Accademia lo aveva protetto, accudendolo con lo stesso tepore dell'abbraccio materno perduto. Aveva così deciso di avvolgersi nella frivola bellezza dei suoi quadri, cercando di attirare la 'sua' attenzione, con la stessa feroce determinazione di un bambino viziato.

Voleva l'amore di Brera e lo aveva ottenuto... E adesso non riusciva a dire nuovamente addio a quella sua 'seconda madre'. Credeva che la sua vita fosse perfetta, ma si era scioccamente illuso.
Il suo arido universo interiore si era manifestato in tutta la sua grettezza, proprio nelle sue opere.

Borioso, vero. Convinto del suo talento, non aveva mai mosso un dito per difenderlo, proteggendolo da se stesso. Aveva trattato le proprie creature come zollette di zucchero ammassate in una scatola anonima. Invece di donare loro la massima attenzione, le aveva sfruttate per ricevere onori e gloria tutti per sé.

Ma un vero artista ama i propri lavori più di se stesso... e lui lo aveva capito solo grazie ad un saccente italo-americano dai capelli color del sole, che era riuscito in un lasso di tempo veramente esiguo, a diradare le sue nebbie interiori, attraversandole.

Un faro con il quale orientarsi.

Uno specchio, dalla sincerità brutale e irritante.


Marianna attese pazientemente la fine delle lezioni. Posò lo sguardo sul suo tormentato allievo, soffermandosi poi sul dipinto quasi terminato. Indubbiamente la sua opera migliore. Oscuro e pericolosamente affascinante, lo sguardo celato dalla maschera sembrava in grado di leggerti nell'anima... e ne fu terrorizzata.

Con un gran sorriso, decise che quello sarebbe stato il quadro che Luc avrebbe esposto alla mostra. Ora doveva solo attendere che Luna e Sole si incontrassero a metà strada.

Lanciando un'ultima occhiata all'aula quasi deserta, si richiuse la porta alle spalle, facendo poi scattare la serratura. Le erano state chieste due ore e lei aveva acconsentito.

Sospirò elettrizzata. Negli anni a venire, avrebbe spacciato anche quello come parte del suo piano perfetto.

Che male c'era se una donna sognava una piccola eclissi fuori stagione? In fondo, aveva sempre amato i lieto fine.


Un ultimo velo di ombreggiatura e il dipinto sarebbe terminato. Luc osservò meravigliato la sua nuova creazione.
Era...intensa. Un pugno diretto allo stomaco. Pennellate veloci, luci e ombre sapientemente equilibrate ed un qualcosa di indefinibile che rendeva il tutto... vivo.

“Ci hai messo l'anima, eh?” soffiò una voce roca alle sue spalle.

Sobbalzando si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia col suo modello. Fu strappato al suo stato di trance tornando violentemente alla realtà, accolto dal silenzio della loro solitudine.
Nell'aula dalle ampie vetrate, erano rimasti soltanto loro.

In quel momento di grande vulnerabilità, Luc si sentì profondamente a disagio. Il modello dal corpo caldo e completamente nudo, si era appoggiato alla sua schiena, per poter guardare meglio il dipinto. La maschera che indossava ancora gli solleticava una guancia, ma il francese non si scostò.
Non si mosse nemmeno quando le ampie mani dello sconosciuto si nascosero all'interno dei suoi abiti, sul petto e all'interno dei boxer.

“Ma... che stai...?” mormorò confuso, voltando appena il viso verso l'uomo che gli coprì la bocca con la propria.

Continuando a baciarlo adagio, il modello slacciò i suo jeans scoloriti, mettendogli a nudo il membro, arrossito dalle sue audaci carezze.

“Cos'è che ti blocca?” chiese lo sconosciuto, mordendogli piano il lobo dell'orecchio.

Completamente privo di difese, Luc tentò di metterlo a fuoco nonostante la vista appannata. Non voleva denudare la propria anima, più di quanto non stesse già facendo, però... Parlare con un estraneo, che non lo conosceva e non poteva giudicarlo, gli sembrò assurdamente facile.

“Mia madre dipingeva...come me... Quando è morta, mi sono sentito perso... Brera è... la mia casa... la mia famiglia. Se la lascio, la perderò di nuovo. Da solo, non riuscirò mai ad affrontare il mondo là fuori. Qui invece, mi sento al sicuro ” ammise il francese tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi.

“Si deve lasciare il nido, prima o poi. L'Accademia è solo un posto, tua madre è parte di te. Non ti potrà mai abbandonare realmente. Il mondo fa paura a tutti, non sei mica l'unico che lo teme! Uno ci prova. Si fa il giro e vede che succede. Con coraggio, forza e una buona dose di follia. E poi tu non sei solo! Hai una docente che darebbe la vita per te, con l'ardore del più puro amore materno. E hai... altre persone accanto, anche se riesci a vederle...” mormorò il modello, sorridendo appena.

Le mani sul sesso, la lingua che giocava con la sua, l'uomo lo masturbò con decisione.
Tenendo l'asta saldamente in mano, aumentò il ritmo.
Su e giù, su e giù.
Con una foga tale da risultare quasi dolorosa.

Luc cercò di opporre una dignitosa resistenza. Si vergognava dei propri gemiti incoerenti, che riecheggiavano liberamente nell'aula deserta. Lamenti di puro godimento, che alle sue orecchie ricordavano i latrati di un animale in calore.

Ma non gli fu concessa alcuna scelta.

L'uomo che lo teneva prigioniero, aveva deciso di fargli perdere completamente la ragione e ci riuscì.

Di lì a poco, lo costrinse a venire spruzzando il suo sperma sul quadro ancora umido.

Appoggiato sul suo petto nudo, Luc si rese vagamente conto di impugnare ancora nella mano destra il suo pennello imbrattato di blu scuro.

Il modello coprì quella mano con la propria e insieme ombreggiarono il dipinto usando il seme di Luc come lubrificante.

“Ecco il tocco finale. Ora è veramente una tua creatura!” sorrise lo sconosciuto con una punta di sensuale ironia.

Quella voce...

Spossato all'inverosimile, Luc trovò la forza di sollevare il braccio libero, riuscendo a togliergli la maschera dal viso.

“Casa mia o casa tua?” chiese Giorgio, ammiccando.

“Bastardo!” sospirò appena il giovane artista, chiudendo gli occhi.

“Mi piaci anche tu” sorrise ancora il suo modello, schioccandogli un sonoro bacio sulla fronte.


Svegliato da un tuono, Luc socchiuse adagio gli occhi, osservando le gocce che cadevano scompostamente sulla città.

”Mamma? Cos'è la pioggia?”
“E' solo acqua...” sospirò il ragazzo, voltandosi dall'altra parte.

Ci sarebbe riuscito. Avrebbe trovato la forza di cui aveva bisogno per uscire e lottare. Lo stesso coraggio che aveva sempre dimostrato affrontando una tela bianca.

Perché arte vuole anche dire coraggio.

Luc promise a se stesso di disfarsi della sua pistola, non gli serviva più. Morire è dannatamente semplice, ma decidere di vivere fino in fondo è la scelta più difficile in assoluto ma proprio per questo risulta quella maggiormente esaltante...

I veri artisti vivono di sfide, no?

Si corrucciò contrariato, sentendo russare piano il suo cuscino. Sollevando il viso, si ritrovò a pochi centimetri dalla bocca piena di Giorgio, profondamente addormentato.

Quella notte lo aveva ripetutamente imbottito di sperma. Luc riusciva ancora a sentirne l'umido calore e il profumo pungente.
Era stato come bere dalla bocca sbagliata. Inondato di piacere e saliva, aveva immaginato il proprio corpo come una pianta, alla quale era stata data una provvidenziale annaffiatura dopo anni di siccità.

“Mmm... Ciao, piccolo croissant!” mormorò una voce conosciuta, arrochita dal sonno.

“Chiamami ancora così e ti eviro!” sibilò imbronciato il pittore.

“Non credo che ti convenga, sai? - gli fece notare Giorgio, stiracchiandosi tranquillamente – Cafféè?” gli chiese poi, mettendosi a sedere in un groviglio di lenzuola e gambe.

“Faccio io! Dai ad un americano una caffettiera in mano e ne uscirà solo acqua sporca” borbottò Luc, alzandosi in piedi, gloriosamente nudo.

Pochi istanti dopo, mentre accendeva il fornello sotto la caffettiera, si sentì circondare la vita sottile da due braccia abbronzate.

“Vuoi le zollette?” domandò l'italo-americano, aprendo l'anta sopra al piccolo frigorifero.

“No... Prendi lo zucchero in polvere.” rispose Luc, fingendo di pulire il lavello.

“Ti sei deciso, finalmente!” rise Grechi, scompigliandogli i capelli, soddisfatto.

“Non montarti troppo la testa! Non l'ho certo fatto per te, brutto scemo!” sibilò l'artista, deciso a non dargliela vinta.

“Solo 'brutto scemo'?! - scherzò Giorgio, fingendosi scioccato – Ma allora non ti sono così antipatico, dopotutto!”

Luc attese qualche istante e poi si voltò ad incontrare il suo sguardo azzurro.

“No. Oggi no.”