LUCI FREDDE
PARTE: 15/24
AUTORE: Dhely
SERIE: X-Men
RATING: Angst
NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto le due parti precedenti.. comunque se vi interessa, le trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.
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Pietro.
Elegante, immobile.
Bellissimo.
Pietro.
Jean Paul non l’aveva mai visto vestito così: di nero, come a voler oscurare la sua stessa luce, chiara, bianca, candida, intima. Maglietta, pantaloni, anfibi, e, comunque, un passo leggerissimo che non faceva assolutamente alcun rumore sul pavimento lucido.
Non aveva mai veduto una espressione simile scolpita sul suo viso: vuoto, assolutamente, incredibilmente vuoto. Luminoso e bello.
E vuoto.
Niente, se non l’assoluta perfezione di una statua gelida, e priva d’anima. Lo sguardo così ghiacciato, completamente trasparente, da aver quasi perduto ogni colore, di certo ogni pur minima traccia di calore.
No: su quel viso non ci poteva abitare nessuna tenerezza, nessun’ombra di un sorriso. In quegli occhi non era lasciato spazio neppure per il sogno d’una speranza. Non era Pietro, quello.
Non era il Pietro che aveva conosciuto lui.
Jean Paul aveva imparato il suo fuoco incredibile, la sua morbida gentilezza pacata, la sua schiva timidezza. E quei silenzi che dicevano più di mille parole. Le sue parole, quando nascevano appena da un sospiro lievemente trattenuto, dotate di una consistenza quasi tattile, quando scivolavano fuori da quelle labbra morbide e dolci, che lo facevano tremare, e sciogliere. E i suoi gesti, sempre alieni dall’immobile perfezione che aveva ora, forse meno eleganti, forse meno esteticamente misurati, ma umani. Teneramente umani.
Pietro: era quello il suo Pietro?
Forse era un suo simulacro. O forse un clone? Un’invenzione sadica di un mostro senza coscienza che si divertiva a manipolare e strappare la santità insita in ogni cosa. Forse un’immagine olografica di chi voleva trattenere vicino a sé la copia di una perfezione che, probabilmente, non era adatta per questo mondo. Forse chissà che altro.
Ma non era Pietro.
Lui lo sapeva.
Ora: lo guardava e non lo vedeva, non lo riconosceva.
Libero.
Fuori dalle loro prigioni.
Con loro, i nemici.
Pietro?
Pietro.
Era assurdo.
La cosa più urtante era la sua espressione: quel nulla che indossava sembrava semplicemente naturale, spontaneo. Se aveva sempre mostrato difficoltà nel rendere trasparenti i suoi sentimenti, le sue sensazioni, ora nulla di quella faticosa rivelazione di sé sussisteva. Non ce n’era traccia nei suoi gesti, nei suoi sguardi. Tutto, sembrava, perfettamente come doveva essere. Come Pietro, forse, amava essere?
Jean Paul sbatté le palpebre per l’ennesima volta.
Sentiva Logan furioso, inveire contro di lui.
Avrebbe potuto intuire, alle sue spalle, il respiro strozzato di Crystal, un qualcosa che sapeva di lacrime.
Avrebbe potuto fare e pensare mille cose, e invece, semplicemente, non riusciva a strappargli gli occhi di dosso.
Il suo sguardo che era stato solo, per un lungo istante, per Logan, ma per nessun altro di loro. La sua regale indifferenza. Il suo rivolgersi a Sinistro come se ci fosse una lunga frequentazione alle loro spalle. Il dedicarsi, nobilmente seccato, pure a Victor, come uno di quegli oneri sgradevoli che a volte toccano agli imperatori.
Nient’altro che tre, contate, frasi rivolte con sufficienza ai suoi colleghi, e, oltre a quello, solo gli occhi a parlare al posto delle sue labbra.
Ed era bello. Jean Paul riusciva solamente a pensare, a vedere la più assoluta banalità che anche un cieco avrebbe potuto sapere su di lui.
Non era vivo. Non importava se respirava, o se il suo cuore batteva: quello non era il viso, il corpo di un uomo fatto di carne e sangue, di passione e desideri e sogni e pensieri. Era un’immagine, e basta. Come un disegno sulla carta, colori che si mischiano sulla candida superficie sottostante, linee dalla consistenza liscia, patinata, e non la minima imperfezione.
Era una perfezione crudele, la sua.
Senza cuore. Spietata.
Si poteva consumare una intera vita a fissarlo, stando lì, in un angolo, con gli occhi su di lui, e neppure la forza di modulare la più inconsistente delle parole. Sentirlo, toccarlo solamente tramite gli occhi sembrava una specie di indicibile fortuna.
Ma: come si poteva amare una persona come lui? Si poteva affogare, morire in mille, infiniti, splendidi particolari. Si poteva scivolare senza sensi nell’armonia che era ogni suo singolo movimento.
Ma non lo si poteva amare.
Perché Jean Paul aveva imparato che si poteva provare amore solo per chi si sentiva, in un qualche modo, vicino, qualcuno con cui condividere idee, sensazioni, qualcuno che stava al proprio fianco.
Ora guardava Pietro e, anche se non poteva dire se sopra o sotto, sapeva che esisteva a un piano differente dal suo. Non era lì, non avrebbe mai più potuto allungare una mano e sfiorarlo, sentirlo vicino, saperlo raggiungibile.
Non avrebbe mai più potuto essere suo.
Forse, a quel punto, non lo era mai stato.
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La vita era armonia. Il segreto per viverla davvero era muoversi, respirare, pensare a ritmo con essa.
Questo era l’insegnamento non espresso più prezioso che Yeno, colui che aveva creduto fosse suo padre, colui che si era comportato meglio di quanto il suo vero padre avesse mai potuto pensare di fare, gli avesse trasmesso. Al violino, o quando gli spiegava le stelle. Quando rideva con lui facendolo giocare o quando spalancava il mondo di fronte ai suoi occhi curiosi con un semplice sorriso. Quando anche, scioccamente e semplicemente, gli parlava di dio e morale, di bene o male, di dolore e gioia. E amore, il suo amore, che tramite le parole tentava di trasmettergli, di fargli comprendere, spalancando le grandi mani di fronte a lui, domandandogli la silente fiducia di abbandonarsi, leggero, perché aveva un cuore grande, Yeno, e lì dentro avrebbe potuto proteggere, cullare, nutrire il mondo intero. E redimerlo: solo con quella fatua forza che si portava in petto.
Ma non era bastato a salvare colui che considerava un figlio.
La vita era movimento, e per piegarla ai propri desideri bisognava imparare a scivolare in essa, e sopra di essa, con i passi leggeri di un danzatore che sappia ammantarsi di ombre e mistero, o brillare tra i raggi del sole, nudo, nel più splendido pomeriggio estivo mai esistito. Far battere non solo i propri passi, ma pure il proprio cuore, i propri respiri e pensieri a ritmo con tutto ciò che fluiva intorno.
Questo era ciò che il suo primo, e unico, maestro gli aveva insegnato, con la rude abilità di un uomo che abbia passato la sua vita a combattere e che ora trovasse lievemente degradante avere, come unico e fondamentale incarico, quello di addestrare un ragazzino.
Anche se quel ragazzino era lui.
Era stato Pietro.
Pietro aveva sempre posseduto, dentro, il senso del ritmo. Era sempre stato padrone di una sensibilità aperta a percepire ogni minima vibrazione, una attenzione alle più minime variazioni di pressione e movimento.
Pietro sapeva essere più leggero del vento che si precipitava a perdifiato lungo le enormi pianure del Centro Europa e più denso e grave del cuore stesso dell’oceano. Lui ascoltava e, semplicemente, udiva. Udiva ogni cosa taciuta dietro il velo di un suono, e imparava con leggera incoscienza i segreti in esso celati. Erano, questi, segreti profondi e indicibili, che parlavano del cuore del mondo, dell’anima degli uomini, del respiro di dio.
Anche ora, Pietro, ricordava, e udiva, di nuovo, ancora e ancora, il sussurro dell’acqua sulle pietre, lo stormire di rami al primo vento d’autunno, lo sbattere delle ali di una farfalla, la risata di sua sorella. Anche ora, Pietro, poteva riconoscere un uomo incontrato una volta sola semplicemente dal suono della sua voce, e non si sarebbe sbagliato.
Pietro osservava, e non guardava. Pietro non aveva bisogno degli occhi. Non aveva bisogno della voce. Non aveva bisogno di parole. Bastava udire e muoversi.
Tutto il resto non serviva a nulla.
Nessuno vedeva, e comprendeva: stolti inetti che non erano in grado di spogliare il senso profondo delle essenze materiali ad esse connesse! Tutto era movimento e suono, ogni cosa era, solamente, armonia. La differenza tra vittoria e sconfitta era soltanto percepire la melodia e riuscire ad accordarsi ad essa, o andare fuori tempo.
La volontà, la bravura, la tenacia: non valevano niente, se non c’era assonanza. Gliel’aveva mostrata Yeno, questa verità. Gliel’aveva spiegata il suo antico maestro, questa che era la base di ogni cosa.
E l’aveva fatta sua.
Nell’immobilità tranquilla e placida di quello spazio quasi senza tempo, con misteri e problemi a pressarlo da ogni parte, con scadenze da rispettare e obiettivi da raggiungere, gli bastava placare appena il battito del proprio cuore, e mettersi in ascolto.
Tutto era già presente, all’interno delle voci e delle parole, nascoste nelle pieghe del non detto, attendendo solo di venire alla luce, di dispiegarsi alla presenza, alla vita.
Si guardava intorno, e quegli esseri che stavano al suo fianco li trovava, come sempre, come tutti, stupidi e piccoli. Lontani da lui, impossibili da considerare degni del suo interessamento, sgraziati, rozzi, miseri. Troppo pieni di parole tronfie, che poi non erano altro che aria e suoni vibranti senza un minimo contenuto sensato.
Esistevano degli standard nella vita? Nella sua sì.
Vivere, e questo era ciò che lui, da sé solo, aveva imparato, era semplicemente avere di fronte un obiettivo, e lottare per raggiungerlo. Correre, muoversi, agire solo in vista di esso. Una meta alta, più grande di chiunque, di qualunque altro inutile oggetto: divenire ciò che, solo, si considerava degno di ammirazione, di grandezza e bellezza. E ottenere ciò che si desiderava.
La fatica? Era solamente fiato. Il dolore aveva lo stesso sapore del sudore. Il cuore: semplicemente un capriccioso metronomo interno che si poteva calibrare, che si doveva imparare a dominare.
Un metronomo era uno strumento, semplicemente un oggetto: non poteva divenire colui che davvero dava il tempo a tutto il mondo. L’armonia si cercava altrove, il senso dell’assonanza era ad un altro piano. Solo gli stupidi che non comprendevano davano ad esso tutta la folle importanza che, per secoli, i poeti avevano cantato.
Il cuore era solo battito.
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L’eleganza di un movimento: quello era Pietro. Sommato a controllo, a freddezza e ad insensibilità.
Crystal lo conosceva bene, dopo tutto erano stati sposati e quello doveva pur valere qualcosa, no? Oltre al piccolo, insignificante particolare che, fino a pochi mesi prima, non s’era mai accorta che a suo marito piacessero gli uomini. E che fosse proprio lo schifoso bastardo che tanti dicevano che fosse. E che si era scoperto essere un traditore, lui che sembrava sempre così perfettamente equilibrato, e controllato, e lontanissimo da tutto il marciume in cui i normali esseri umani si dibattevano.
Alla fine s’era svelato essere ciò, che probabilmente era davvero: il peggiore del più stupido di loro.
Come poteva esser caduto così in basso? E Luna?!
Il fiato le si mozzò in gola, terrorizzata. Poteva non amarlo più da molto tempo, poteva essere davvero essere la persona più spregevole di tutto l’universo, ma di una cosa era sempre stata più che certa: Luna, per lui, veniva sempre prima di tutto.
Sempre.
Ma ora si domandava se la persona che aveva creduto di conoscere non fosse altro che una bella maschera che serviva a nascondere in nulla che vi giaceva dietro.
Non aveva mia visto, mai neppure immaginato quell’espressione sul viso, quello sguardo, quella gelida indifferenza.
Un traditore! Pietro! Quello che aveva, per tutta la vita, tentato di esasperare chiunque col suo orribile carattere, con la convinzione di non essere se stesso se non provava a trasformare, quotidianamente, l’arroganza in una forma d’arte! Quello che ti sbatteva in faccia il fatto che era solo il suo orgoglio ciò gli impediva di scendere dal suo personalissimo piedistallo! Quello che diceva, sempre, di sapere benissimo quale fosse il suo ruolo, nel mondo; il ruolo, ovviamente, superiore di chi si trovi a suo agio solamente nel guardare il resto delle creature viventi dall’alto in basso, lievemente schifato!
Non aveva mai osato, in tanti anni, chiedergli perché, allora, con quei presupposti, avesse accettato di lavorare per un gruppo governativo, perché rischiare al sua vita per persone che lui considerava sempre indegne. E lottava, Pietro, l’aveva sempre fatto: aveva sempre risposto alle chiamate, aveva pure, a modo suo, spesso, obbedito agli ordini. Era partito innumerevoli volte, per missioni più o meno assurde, ma in Pietro non esisteva nulla che potesse accomunarlo a un qualsiasi altro ‘supereroe’: lui salvava il mondo con la fredda partecipazione di uno che lavori in catena di montaggio. Faceva quello che faceva perché era il suo dovere, il suo compito, essendo ‘superiore’. E i più grandi dovevano proteggere i piccoli.
Crystal aveva creduto che quello, quel nocciolo purissimo e incredibile, bastasse per cancellare il resto, e metterlo in ombra.
Ora sapeva di essersi sbagliata.
Ora che non poteva più ritrattare, ora che non era più una faccenda personale tra due persone che avevano creduto di essere destinate a vivere insieme per tutta la vita, ora che era.. quello.
Lo guardava, e non capiva cosa stava vedendo. Aveva pure cercato di convincersi che fosse un qualche specie di incubo, o un’illusione. Ma aveva imparato a conoscere Pietro. E sapeva che, quello laggiù, era Pietro.
Senza speranza, cinico, duro. E senza cuore.
Aveva paura.
Strinse i pugni, scattando in piedi: era una principessa, dopo tutto. Era forte, doveva esserlo, era stata addestrata ad esserlo.
“Cosa hai fatto a Luna, maledetto schifoso!”
Pietro odiava quando la gente urlava. Era qualcosa più forte di lui e, anche se si seccava per molti particolari insignificanti, quello era una cosa che non era mai riuscito a controllare, né, tantomeno, a tollerare. In effetti, non è che Pietro sapesse tollerare molte cose: certamente non le persone.
No, quelle mai.
Arrogante, stupido crudele umano senza..
“Vieni qui, vigliacco! Guardami in faccia e abbi il coraggio di dirmi che animale che sei! Fallo vedere al mondo, da che razza provieni! Tuo padre, a paragone tuo, mi sembra un santo!! Che c’è? Hai paura, adesso? Hai paura di dire cos’hai fatto a Luna?!”
Luna, sua figlia.. loro figlia! Si era sbagliata?! Ma come aveva mai potuto? Eppure.. eppure c’era amore nello sguardo di Pietro quando era con lei, sempre e solo amore. Aveva pensato, a volte.. forse troppo spesso .. che Pietro, nonostante tutto –ma proprio tutto- fosse davvero un ottimo padre. Severo ma non rigido, affettuoso ma non permissivo, un equilibrio invidiabile e perfetto. E ora? Ora?!?
“La vuoi far stare zitta, quella donna fastidiosa, Pietro?! – ringhiò Victor – Perché credo proprio che ce l’abbia con te.”
Se poteva esprimersi semplicemente, puramente, grazia nel muovere appena il collo, ecco, quello fu il movimento di Pietro. Piccolo, insignificante.
Perfetto.
Crystal sentì le lacrime soffocarla.
Non era una donna solita all’odio: lo credeva un sentimento stupido, autolesionistico e assolutamente controproducente, ma ora non le restava altro da provare. Non aveva altro, dentro, non aveva neppure la forza per pensare a vendicarsi..
“Non ho nulla da dirle. Uccidila, se ti infastidisce tanto.”
Il silenzio che fiorì dopo quell’espressione priva di qualsiasi sentimento fu impagabile. Ci furono solo sguardi, e respiri. E il singhiozzare penoso di una donna che, credeva, il cuore le si sarebbe presto spaccato in petto.
“E’ fuori discussione! – s’intromise Sinistro – A nessuna delle mie cavie sarà torto un solo capello!”
Victor sbuffò, irritato.
“Allora fatele chiudere il becco, se no la scuoio io!”
Logan ringhiò una sfida, furibonda, Sinistro si mostrò seccato oltre ogni dire. Pietro non mutò espressione, non si mosse neppure.
Entrarono delle guardie, allarmate. Il tono della discussione, delle parole, degli insulti, si fece alto, insopportabilmente alto, per Pietro, che si limitò ad aggrottare un poco la fronte, sollevando una mano.
A quel gesto le guardie abbassarono le armi e Victor si voltò un poco, a vedere cosa sarebbe successo.
“Credi che davvero tu meriti una risposta? Riguardo a ciò che è stato solo un errore, poi.”
Crystal scoprì, dentro, cosa fosse la forza dell’odio. Quando, forse, l’unica possibilità che le rimaneva era quella di lasciarsi andare alla disperazione più nera, si accorse che sopravvivere per vendicarsi poteva essere assolutamente allettante, trovare la forza di continuare a respirare nel meditare il modo più doloroso che avrebbe potuto scovare per ucciderlo, e torturarlo, e..
“Un errore?! Tu, TU sei l’unico errore! Come puoi avere ancora il coraggio di guardarti in uno specchio? Io .. – prese fiato – tu, sei tra i tuoi simili, ora! Guardali: sei come loro! Siine orgoglioso, perché non potrai mai arrivare a livelli più alti di quello! Sei esattamente come la feccia a cui ti accompagni.”
Un gesto indifferente.
“Hai terminato?”
“No! E non terminerò mai! Dimmi cosa te ne farai del tuo potere idiota quando non avrai più gambe per correre via?! Ti giuro che.. – spalancò appena gli occhi, poi sorrise - .. e il tuo stupido potere, perché non ce l’hai, perché non lo usi? Sei sempre stato così scioccamente orgoglioso di..”
Nessuno si era aspettato la reazione che venne.
Non da Pietro, no. Lui era rimasto lì, perfettamente immobile, splendidamente – ancora, e sempre- inespressivo, come se davvero non gli importasse nulla di quello che stava capitando, come se lui non centrasse per nulla.
Ma Sinistro rise, ed era un suono così terribilmente sgradevole che non poteva essere ignorato.
Di certo non poté essere ignorato quello che accadde dopo.
Sinistro mosse un passo, e fu dietro a Pietro. Più alto di lui: sorrise, e gli posò una mano sul collo.
E Pietro, che non sopportava neppure di farsi vedere, con sua moglie, mano nella mano perché odiava ‘mostrare pubblica affezione’, non solo non si scosse, non solo non si ritrasse seccato. Sorrise, appena, una lievissima increspatura sulle labbra.
Quando le dita si mossero sulla pelle, sollevò leggermente il collo, malizioso, esposto, con un unico movimento, lento e fluido. Assolutamente..
Sinistro si chinò un poco verso di lui, e: “chi mai si fiderebbe di un traditore?”
Un sussurro, Pietro tremò. Visibilmente. Ma non dal fastidio o dallo sdegno, non dalla rabbia o dall’indignazione. No, semplicemente, e scopertamente, dal piacere.
Socchiuse lentamente gli occhi, e le labbra, pure.
“Mi era parso che, magari non ti fidavi, ma di certo eri pazzo di me.”
A Jean Paul parve, improvvisamente, di non possedere la forza neppure più per respirare.
___ CONTINUA..