LUCI FREDDE

 

PARTE: 13/24

 

AUTORE: Dhely

 

SERIE: X-Men

 

RATING: Angst

 

NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto le due parti precedenti.. comunque se vi interessa, le trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.

___

 

Il fiato era ritornato, lentamente, a riempire i polmoni. L’affanno non era sparito, s’era tramutato in qualcosa di pesante che gli grava dentro, cancellando ogni brandello di speranza che poteva aver nutrito fino a quel momento. Ma era vivo, e sapeva che la vita non si lasciava sopraffare dalla morte senza combattere.

 

Era già sopravvissuto. Sarebbe sopravvissuto ancora, e ancora.

 

Non importava Logan o chissà chi altro: se c’era stato tradimento –ed era chiaro di sì- bhe, ora non aveva tempo di sentirsi ingannato, venduto, abbandonato. C’erano cose più urgenti e pressanti di cui preoccuparsi.

 

Sembrava una sciocchezza, ma la cosa più dolosa e difficile da gestire era l’umiliazione. Il sentirsi, e sapersi, in gabbia, senza poteri, spogliati da qualunque possibilità di riscatto: era questo che ghermiva l’anima e la faceva sanguinare, e la lasciava tremante, imbelle, in un angolo. E senza anima non c’era volontà. Senza volontà non c’era speranza. Senza convinzione non si poteva arrivare da nessuna parte, Jean Paul lo sapeva bene, benissimo. Senza, semplicemente, non si poteva vivere.

 

E lui doveva vivere. Per uscire da lì. Per vendicarsi. Socchiuse appena gli occhi: vide Scott appoggiato alla parete invisibile della cella ad osservare giù, il tavolo intorno al quale tenevano delle riunioni. Di fronte a loro.

 

Erano talmente sicuri che nulla sarebbe potuto andare male che non si facevano problemi a parlare lì, anzi, probabilmente si divertivano pure.

 

Scott distolse lo sguardo, intrecciandolo al suo.

 

Non era lui l’unico professionista del gruppo, in fondo lo sapeva. Quella era un’ottima occasione per esserne felicemente sorpreso.

 

Jean Paul accennò un gesto quasi impercettibile col capo, e chiuse di nuovo gli occhi, fingendo di dormire, focalizzato su quello che stavano dicendo.

 

Il silenzio intorno a lui era assoluto: poteva sentire e riconoscere il fiato di ognuno, e quasi riusciva ad immaginare i loro pensieri e la concentrazione, l’impegno, la forza, la sicurezza e l’orgoglio di essere quello che erano, di sapere quanto valevano.

 

Jean Paul quasi sorrise.

 

Victor non c’era, c’era solo Sinistro, e un dottore in camice bianco, un tizio che aveva sentito nominare qualche volta nelle trasmissione scientifiche e che non si sarebbe mai immaginato di trovare lì. Era un esperto in mutazioni, clonazione e manipolazioni genetiche, i giornali avevano riportato che era stato rapito mesi prima, ma non sembrava proprio uno che facesse il suo lavoro perché obbligato in qualche modo.

 

Avevano già il loro DNA, però dovevano tenerli in vita per.. per ‘avere una riserva praticamente infinita di tessuti sani da cui far derivare ciò che vorremmo’. Cavie da esperimento, appunto: lasciarli vivere, in salute, perché potessero servire a chissà che aberrazione di pseudo miglioramento di..

 

Che schifo.

 

C’erano anche alcuni soldati, probabilmente. Cloni pure loro? O robot? O vai a sapere cosa. Comunque erano adibiti al controllo dei prigionieri e ad altre mansioni fuori da quella stanza, che Jean Paul poteva immaginare simili a quelle svolte in qualsiasi altra base di stampo militare. Il fatto che Sinistro li volesse in vita gli faceva sperare che non li avrebbero trattati troppo brutalmente: così, forse, sarebbe bastato tenere bloccati i loro poteri, obbligarli in gabbie. La vera crudeltà era e rimaneva il fatto che stessero bene, che, come scusa, non potessero portare una qualche ferita. Le mutilazioni di guerra, in fondo, non servivano ad altro.

 

Strinse le labbra, nervoso. I veri rischi? L’inattività prolungata, il fatto che avevano tutto il tempo del mondo e che non fossero in pericolo di vita potevano uccidere la determinazione di chiunque. L’unica cosa da fare era cercare di mettere da parte una approfondita analisi delle possibilità nel scegliere quella più ragionevole per puntare a una risoluzione rapida. Ma era certo che Scott ne fosse consapevole esattamente come lo era lui.

 

E se.. un tonfo secco lo fece scattare a sedere. Una dona che urlava, e tre guardie a tenerla ferma.

 

Robert gli si avvicinò, curioso.

 

Che succede?”

 

“Non capisco.”

 

Robert aggrottò la fronte, poi sibilò una maledizione.

 

“E’ Crystal!”

 

“Chi?!”

 

“La moglie di Pietro! – lo guardò spaventato – Perché ti ricordi di Pietro, no?”

 

Jean Paul fu, per un attimo, combattuto se mettersi a ridere o picchiarlo, poi non fece nulla del genere.

 

La moglie di Pietro.

 

Dio, grazie che era sola!

 

Pietro lì, senza poteri, rinchiuso in uno spazio così piccolo: sarebbe morto.

 

Osservò la donna essere rinchiusa nella gabbia al fianco della propria, mentre ancora, furiosa oltre ogni limite, si dibatteva come un qualche animale selvatico obbligato al guinzaglio.

 

“Cosa ne avete fatto di mia figlia?! Vigliacchi! Lasciate solo che vi metta le mani addosso..

 

Sinistro si voltò verso quelli che l’avevano portata lì.

 

“C’è solo lei?”

 

“Sissignore.”

 

“Siete certi?”

 

“Certo. Come secondo gli ordini: non è stato ucciso alcun mutante. I cadaveri lasciati sul terreno erano solo quelli di creature inutili, li abbiamo controllati.

 

Un gesto lento, ampio, con la mano e un sorriso insopportabile.

 

“Hai visto, mia bella signora? O tua figlia ti è venuta male, oppure non è stata toccata. Dovresti esserci riconoscente. E ora se la smettessi di fare rumore, qui c’è qualcuno che sta cercando di lavorare.”

 

Lei ringhiò, mettendosi seduta, ancora furiosa, ma troppo nervosa, troppo preoccupata per aggiungere altro.

 

Jean Paul non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era con Luna, prima? E Luna lì non c’era: ovvio che non c’era. Luna non era una mutante, e lui ne era assicuramene sicuro visto che gliel’aveva detto Pietro.

 

Per loro non era una bambina, era solo.. una ‘creatura inutile’, come avevano detto. Per dio!, aveva sì e no dieci anni!

 

Robert le si inginocchiò il più accanto possibile, visto che a dividerli c’era un muro di energia invalicabile.

 

“Crystal? Ti hanno fatto male? Stai bene?”

 

Lei sollevò lo sguardo opaco,  e parve faticare un attimo a mettere a fuoco ciò che le stava intorno.

 

“Drake. – un segno di riconoscimento, poi annuì lentamente – Se hanno fatto del male a Luna io..

 

“Stai tranquilla, non dire così! Vedrai che sta bene. Ma cosa è successo?”

 

Le eleganti, bellissime mani si sollevarono a nascondere il viso, quasi trafitto da un dolore insostenibile. Un attimo, due lunghi respiri, poi si tese sulla schiena, serissima, arrabbiata ma con gli occhi lucidi e duri, decisa e determinata.

 

“Ero.. eravamo a casa. Ci hanno attaccato ed erano in troppi.. non ho potuto.. – si morse un labbro, poi scosse il capo, quasi indecisa. -  C’era anche Pietro.”

 

“Con te?”

 

“Certo. Era venuto a parlare di.. qualcosa, riguardo Luna. Solo che non abbiamo fatto in tempo.”

 

Jean Paul era certo di avere un’espressione ridicola. Gli capitava sempre quando centrava Pietro.

 

Robert sorrise, e lui sembrava davvero felice.

 

“Allora, vedi, non devi affatto preoccuparti! Se Pietro era lì non ha di certo lasciato che facessero male a Luna. Lo sai com’è!”

 

Pietro era, forse, una persona pessima, ma Luna era intoccabile, se c’era lui nei paraggi. Si sarebbe davvero fatto uccidere prima che qualcuno potesse metterle una mano addosso: Robert ne era assolutamente certo. Chiunque lo era.

 

E Jean Paul avrebbe voluto davvero avere abbastanza fiato, e forza, per ridere.

 

Pietro era vivo. Era libero.

 

Avevano cercato di portargli via Luna: di certo la prima cosa che aveva fatto era stata quella di portarla al sicuro. E altrettanto certamente, ora era da qualche parte, sul piede di guerra, pronto a radunare un esercito per vendicarsi di un simile affronto. Era il figlio di Magneto non per niente.

 

Crystal annuì in silenzio, poi sollevò il capo, incrociando il suo sguardo. Ci fu un attimo di pausa, di immobile silenzio poi le sue labbra si dischiusero appena, stupore senza parole.

 

“Sei.. sei tu?!”

 

Un fiato, una specie di sospiro, un mezzo sorriso che, forse, poteva essere colto. Forse.

 

“Sì, sono io. E tu sei..

 

“Sua moglie.”

 

“Già, sua moglie.”

 

L’amarezza fu una sfumatura impossibile da non notare, e pesante, dolorosa. Lei si passò una mano tra i capelli, sospirando.

 

“No. Sono.. la sua ex moglie. - chiuse gli occhi, abbassando il capo, ma c’era un pallido sorriso sulle sue labbra – Ma ha ragione Drake: non devo dubitare di Pietro. Con lui lì, nessuno può aver fatto male a Luna. Non l’avrebbe mai permesso.”

___

 

Il silenzio ovattato era l’unica cosa che lo circondasse. Si chinò piano a sfiorarle i capelli e si sarebbe concesso di sorridere, se avesse potuto.

 

Dormiva, tranquilla, esausta. Si era spaventata, ed era comprensibile, ma anche se aveva tremato per tutto il tempo, Pietro sapeva bene che non aveva mai dubitato di lui, neppure per un istante. A volte gli pareva che ci fosse solo quell’assurdità che si chiamava amore a obbligarlo a continuare.

 

Esisteva qualcosa che poteva essere considerato più prezioso?

 

Si avvicinò all’ampia finestra e tirò silenziosamente le tende scure sperando che non si svegliasse presto, sperando che continuasse a riposare finché non fosse stato tutto finito, finché sua madre fosse tornata e avesse potuto portarla di nuovo a casa. Perché, nonostante il modo in cui era finita tra lui e Crystal, Pietro era sempre stato consapevole che un figlio abbisognasse di entrambi i genitori, e di certo sapeva di non essere la persona più stabile con la quale far crescere qualcuno. Sua moglie era molto più portata per quello. Almeno aveva una famiglia degna di questo nome e non .. non quello che aveva lui.

 

La guardò e, come sempre, si sentì sereno. Bastava lei. Bastava pensare che tutto, la sua vita, la sua fatica, il suo dolore servivano a quello, a lei, ed ogni avvenimento diveniva leggero, si trasformava in un peso gentile da portare. Luna era un miracolo, il suo miracolo. La sua forza. La sua convinzione. Tutto il resto non possedeva alcun valore, solo amarla ed esserne riamato bastava per riempire l’universo; solamente proteggerla, lottare per costruire un mondo in cui lei avesse potuto sentirsi sicura, se non si poteva essere compiutamente felici, bastava per dare un senso ad ogni istante della sua inutile vita. Quando tutto il resto era nulla, si accorgeva di avere tutto lì, fra le sue braccia, e allora anche la peggiore delle sconfitte diventava inconsistente.

 

Socchiuse gli occhi. Il presente si sovrapponeva al passato, a quello che, giorno dopo giorno, si chiudeva dentro e che rimaneva lì, come un rovo avvolto intorno al suo animo, stozzandolo, privandolo di luce e aria.

 

Come sempre.

 

Spezzare e spezzarsi: insieme, entrambe le cose, non le aveva mai credute possibili. Non per lui. Invece..

 

Invece.

 

Aveva fretta, molte cose da portare a termine, come sempre. Ma si concesse un altro attimo di immobile attesa, di nulla e pacata calma: si sedette delicatamente sul bordo del letto di sua figlia e si concesse un sospiro. Uno solo.

 

E ricordi, pensieri. Il passato.

 

Suo padre: l’aveva amato – nella sua peculiare maniera, ovviamente-, l’aveva amato al punto da convincersi che il suo comportamento fosse specchio deformato e deformante di quello che si portava dentro. Perché Pietro era stato certo che un po’ d’affetto, per lui, doveva averlo provato, fosse pure in quella solita maniera malata e deviata e distorta dalle lenti del disprezzo e del dolore che si portava indosso da sempre.

 

Aveva voluto, per anni, essere solamente il figlio di cui avrebbe potuto essere orgoglioso, aveva voluto che i suoi occhi s’illuminassero nel vederlo, nel parlare di lui. E più lo disprezzava, più Pietro s’era sforzato di aderire ai suoi sogni, e quando la disperazione era stata troppa e il cuore sul punto di infrangersi, lo aveva guardato, e in lui aveva trovato la forza per continuare. Perché aveva voluto essere migliore di ciò che era non per se stesso, ma per lui.

 

Solo per lui.

 

Avrebbe fatto di tutto, allora, per lui.

 

Aveva fatto di tutto, per lui, perché, da sempre, per Pietro, dedicare se stesso a qualcosa che fosse fuori da sé, risultava infinitamente più semplice  che tentare di comprendere i propri futili desideri.

 

E lui, suo padre, lo aveva sempre saputo: aveva compiuto ogni azione, anche contro se stesso, contro tutto quello che aveva sempre percepito e ritenuto importante. Ebbene, lui aveva avuto più valore di ogni cosa, più di ogni ritegno; la sua volontà, il suo più minimo desiderio era ben più che legge, era comandamento divino. C’era stato un periodo in cui Pietro non esisteva, ma era solo una creatura senza nome, priva, dimentica della propria essenza, tesa verso il costruire l’immagine perfetta che suo padre voleva avere di fronte agli occhi.

 

Non era nulla, niente, se non in rapporto a lui: suo figlio, suo seguace, suo sostenitore, e il resto non aveva avuto la minima importanza, quello che pensava, quello che provava, quello che desiderava, quello di cui sentiva d’aver bisogno. Era a questo a cui suo padre era abituato, in fondo da sempre aveva preteso che ognuno vivesse in sua funzione, ma Pietro era differente da chiunque altro. Era diverso: era sempre stata più che devozione, la sua, era differente dal solito, vuoto prostrarsi senza fiato. Era sempre stato difforme, Pietro, da tutti quegli stupidi che lo circondavano, lo aveva sempre saputo.

 

Era.. lo aveva sentito? Lo aveva veduto? Come avrebbe mai potuto non farlo! Era suo figlio!

 

Suo figlio: disconosciuto, rifiutato, scoperto con stupore e incredulità, tratto a sé nonostante tutto quello che era stato eretto perché stessero lontani.

 

Eppure: era suo figlio.

 

Era una parte di lui in una carne più giovane, con del sangue più caldo del suo, ma sempre suo.

 

Pietro lo aveva amato alla follia per anni, per una vita intera. Lo aveva amato rifiutando se stesso per lui, annientando i propri sogni per i suoi, rendendo assoluta la sua voce nell’annullare la propria. Senza cuore, ecco cosa era diventato.

 

Senza cuore né anima.

 

Senza nulla, dentro, se non, impressa a fuoco, l’immagine di colui che, suo padre, voleva che fosse.

 

Lo aveva sempre amato, sempre, in maniera sbagliata, probabilmente, e assolutamente inutile.

 

Allora aveva voluto solamente amarlo, aveva voluto solo essere amato, riconosciuto, accettato.

 

Pietro, ora, ne era consapevole: se fosse mai arrivato a rendere suo padre davvero orgoglioso di lui, allora sarebbe davvero crollato nella pazzia più assoluta e non gli sarebbe importato se gli avesse domandato, in cambio, di compiere i peggiori delitti di fronte a dio e agli uomini.

 

Invece suo padre non l’aveva mai amato, non come Pietro sentiva di averne bisogno. Lo aveva scoperto tardi, quasi troppo tardi, nella maniera più dolorosa che avesse mai potuto supporre, insieme al riconoscimento che l’errore era stato il proprio, perché era stato lui a leggergli dentro cose che, probabilmente, non erano mai state reali.

 

Non importava: lo stupore era sapere, accorgersi che, ora, non era un fatto davvero importante. Non più.

 

Se suo padre gli avesse lasciato un cuore avrebbe, finalmente, potuto morirne. Ma non poteva.

 

Padre.

 

Avrebbe voluto aver potuto chiamarlo ‘padre’ senza la certezza di dover leggere, in risposta, il rifiuto dipinto sul suo viso. Senza aver dovuto sapere, già allora, che essere figlio non era un fatto solo ed esclusivamente di carne e sangue, di muscoli o colori, ma era orgoglio e fiducia, vicinanza e comprensione.

 

Lui non aveva mai avuto figli: lo aveva detto spesso. Glielo aveva detto ogni volta in cui aveva sollevato lo sguardo su di lui.

 

Se Pietro avesse avuto un cuore, era vero, sarebbe morto. Ma non lo possedeva più da tanto tempo ed era per quello che era rimasto vivo, lui e il suo dolore, lui e quella sua infinita tortura.

 

Il passato. Suo padre. La sofferenza. L’amore sprecato. Un cuore che non sentiva più di possedere.. allungò una mano, di nuovo. I capelli di sua figlia sotto le dita, una carezza morbida, leggerissima, e un’ombra, appena, di sorriso sulle labbra. Pietro non sapeva se, per lui, ci fosse ancora la possibilità di essere perdonato, redento, ma da tanto tempo non faceva più nulla solamente per se stesso.

 

Era se stesso solo di fronte a Luna, lì, senza passato, con, solo, un presente da vivere e un futuro da costruire per lei.

 

Per lei.

 

No, per lui non vedeva più alcuna speranza, ma non importava. Non aveva bisogno di speranza, Pietro, se aveva Luna per la quale vivere.

 

“.. papà..”

 

Stai tranquilla, tesoro, riposa. Andrà tutto bene.”

 

Uno sguardo tremolante, assonnato, che scivolò appena fuori dalle ciglia scure che le ornavano gli occhi chiari.

 

“Stai con me, adesso? Domani mattina sarai qui, tu e la mamma?”

 

Un sorriso che si sforzò di modulare sincero. E una menzogna, l’ennesima. Perché dare corpo ad una bugia era semplice e poteva farlo perché era solo modulare la voce secondo i propri bisogni, perché era solo fiato, e suono.

 

“Certo Luna. Ora dormi.”

 

Un sussurro, qualcosa che suonava tipo ‘ti voglio bene’, poi uno sbadiglio e la bambina crollò di nuovo nel sonno.

 

Pietro le sistemò le coperte intorno al corpo e si alzò, uscendo in silenzio da quella stanza, leggero come un’ombra.

 

Prese un respiro profondo prima di mettersi a percorrere i corridoi conosciuti che gli si stendevano di fronte e, arrivato alla meta, si guardò rapidamente intorno.

 

Non c’era?

 

Scosse il capo. Non c’era motivo di stupirsi, dopo tutto, bastava che facesse quello che aveva promesso.

 

Per una volta, per la prima volta, Pietro sentì che non poteva non fidarsi. Non in quel frangente. Non riguardo Luna.

 

“Vai?”

 

Ed era strano, perché era come se fosse stato ancora un ragazzino, e lui, sempre, quell’uomo alto, potente ed imponente che gli aveva sconvolto la vita, che l’aveva fatto divenire quello che era, per la qual cosa, se ora era in grado di proteggere Luna, doveva solamente essergli grato.

 

Anche se era stato un pessimo padre.

 

Anche se non era stato affatto un padre.

 

Ora non importava più.

 

“Sì. – si voltò verso di lui, e si accorse di avere forza bastante per guardarlo negli occhi – Sei certo di poter tenere Luna al sicuro?”

 

“Certo. Se tu fallirai noi combatteremo. Se la sconfitta sarà inevitabile, saremo comunque gli ultimi a cadere e farò tutto quello che è in mio potere per mia nipote.”

 

‘Gli ultimi a cadere’: tipica frase di quel megalomane di suo.. di Magneto. Pietro sollevò appena una mano, elegante: non sarebbe caduto proprio nessuno che lui non volesse. Chissà la sua reazione quando avesse saputo la verità.

 

“Mi fido, visto che non posso far altro. – questa volta lo vide, il riflesso del suo stesso sguardo negli occhi di quell’uomo inavvicinabile che aveva di fronte. Durò non più di una frazione di secondo, ma c’era stato. Riconobbe l’essere riconosciuto, lì. Dopo trent’anni di vita. Dopo venti di nulla. Quando lui non sentiva di possedere più niente da donare, ancora, quando si era reso conto di essere morto, dentro, di non essere più in grado di udire il suo stesso cuore battere, eccolo. Lui: quell’uomo terribile, ora gli apparve esattamente com’era se stesso. Duro, freddo, senza speranza, senza cuore. Forse, ora, era davvero divenuto quello che lui voleva che fosse, ora che non aveva più importanza. Distolse lo sguardo, scrollando leggermente le spalle. – Padre.”

 

Un marchio, un suggello, un ricordo, un riportare alla luce tutto ciò che non era mai stato detto, fra di loro, e che non avrebbero mai potuto dire, nessuno dei due. Un segno. Una firma.

 

Un.. un addio, in un certo modo.

 

E un contorto simbolo di appartenenza.

 

Non ci fu risposta, perché non poteva essercene una, e anche perché non lasciò il tempo ad essa, di formularsi. Pietro non ne aveva bisogno.

 

Non ne aveva più bisogno.

 

___ CONTINUA..