LUCI FREDDE

 

PARTE: 11/24

 

AUTORE: Dhely

 

SERIE: X-Men

  

NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto le due parti precedenti.. comunque se vi interessa, le trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.

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La ghiaia che strideva piano sotto le scarpe, al ritmo di quel passo.

 

Se Logan non avesse riconosciuto il suo odore, non avrebbe comunque potuto confonderlo con qualcun altro semplicemente tramite la cadenza del suo muoversi.

 

Aveva lavorato con lui per parecchio tempo, anche se definire quello unlavoro’ forse era un po’ eccessivo. Di certo c’erano state, nel suo passato, cose di cui non si poteva che vergognarsi, però la sua presenza gli faceva credere che non avesse buttato via del tutto la sua vita. In lui: la sua espressione, il suo sguardo, il suo odore, il suo corpo.

 

E non si erano mai toccati. Forse prima, forse. Ma fino a dove poteva ricordare, Logan sapeva che non l’aveva mai toccato.

 

Di solito non si guardavano neppure.

 

Era molto meglio quando facevano finta di non vedersi, di non sapere l’esistenza l’uno dell’altro.

 

Però lui c’era stato per mesi, per .. anni? Anni: sì, un paio, nei quali arrivavano e partivano, entrambi, con una frequenza impossibile, senza sapere neppure se il respiro successivo sarebbe arrivato oppure sarebbero stati uccisi dopo un istante dall’ultimo sguardo, senza poter neppure ricordare cosa ci fosse stato prima, o se davvero fosse esistito qualcosa di differente da quella vita che forse avevano scelto, o che forse era una specie di contorta punizione che qualcuno aveva deciso per loro. O che loro avevano scelto per loro stessi. Ma a quel tempo la memoria era stata un lusso che nessun dei due poteva permettersi, esisteva solo il presente, null’altro. Anche i sogni non c’erano più, il desiderio era qualcosa di alto e violento che lo bruciava, lo sconvolgeva, qualcosa che imponeva alla prima persona che gli capitasse a tiro.

 

E se era lui quello che, forse, aveva desiderato, non lo sapeva. Aveva sempre cercato con accuratezza di evitare certi pensieri, di eliminare certi dubbi: non importava chi desiderava, perché l’unica cosa fondamentale era soddisfare un desiderio. E il desiderio si quietava con un corpo qualsiasi. Tanto nessuno gli diceva nulla, perché Logan era sempre stato il migliore in quello che faceva e il loro capo lo considerava talmente in alto da permettergli questo ed altro. Molto altro.

 

Ma lui non l’aveva mai toccato. Non riusciva neppure ad immaginare di mettergli una mano addosso.

 

Ora era lì, come pochissime altre volte era stato, di fronte a lui, e occhi negli occhi. Era ringiovanire. Era sentire quel male, dentro, quell’impossibilità di dire, di dirsi ciò che sentiva, perché non c’era nulla da provare, perché il desiderio, per lui, doveva essere nulla, non poteva esistere, perché era un qualcosa di contorto e impossibile. Il suo istinto era quello che gli diceva: non c’era nulla in lui che non facesse nascere una specie di disagio, supponenza e astio.

 

Ora addirittura, che poteva guardare a quel tempo con uno sguardo più pacato e lucido, poteva ben dire che avrebbe potuto provare una assoluta insofferenza. Forse avrebbe dovuto farlo.

 

Non bussò alla porta. Quello di essere educato non era nel suo carattere. Meglio: di fronte a Logan non aveva mai provato la necessità di mostrarsi amichevole o conciliante, di fronte a lui non aveva mai indossato maschere, per essere quello che non era.

 

Era un assassino, come lo era Logan. Aveva le mani sporche di sangue, come Logan. Poteva essere intossicante, fascinoso, pericoloso, proprio come Logan.

 

Troppi punti in comune. A volte sembrava, assurdamente, che fossero nati per passare la vita a contendere all’altro ogni cosa, ogni respiro, ogni pensiero. Pareva che fossero nati per essere nemici, anche se c’era così tanto a tenerli lontani, a crearli diversi.

 

Il suo passo lento, e leggero, era come se scandisse, metronomo immaginario, un tempo che aveva avuto inizio tanto lontano da lì da non sembrare neppure vero.

 

Aveva lavorato con lui, per inseguire scopi che non erano i suoi, per una gratificazione che ora riconosceva come vuota. Era una delle parti della sua vita di cui sentiva di dover provare più vergogna, eppure a lui non ci pensava mai.

 

Ma avercelo di fronte, ora come allora, era..

 

Lo vide, lo guardò. Una strana espressione a piegargli il viso. Poi sospirò, incrociando le braccia sul petto.

 

“Stai pronto. Sta iniziando.”

 

Ce l’hanno?”

 

“Il professor X è stato così stolto da averlo, addirittura, cercato. Ora è alla Scuola. Tieni sempre a mente cosa ci si aspetta da te.

 

Non avrebbe dimenticato, ovviamente. Aveva accettato quell’incarico, con convinzione e sicurezza, sapendo che quello era ciò che voleva fare.

 

Per la prima volta dopo anni, avrebbe cambiato squadra.

 

In fondo era sempre il migliore in tutto quello che faceva.

 

Anche di fronte a lui.

___

 

“Cos’è?!”

 

Charles sospirò, sollevando uno sguardo contrito su Hank che, essendo il genio della Scuola, aveva un’assoluta capacità nel guardare un oggetto tecnologico e comprenderne il funzionamento alla prima occhiata. E l’espressione che aveva indossato non era per nulla rassicurante.

 

“Scott, raduna la squadra. Warren, vai a chiamare Logan, digli di smettere di fare quello che sta facendo, e non voglio storie. Lorna, vedi di recuperare un po’ di calma. Hank, quanto tempo ti ci vuole?”

 

Aggrottò la fronte poi sbuffò.

 

“Lasciami almeno mezz’ora.”

 

“Bene. – Charles voltò lo sguardo su quelli che gli erano lì attorno. - Andate. Fra sessanta minuti esatti vi voglio nella War Room, pronti a partire. Jean Paul? Purtroppo il nostro discorso lo finiremo dopo, ora c’è qualcosa di più grave.

 

Doloroso e deludente, ma vero.

 

Il canadese distolse lo sguardo, e ringraziò il cielo che avrebbe dovuto penare solo per far passare un’ora, perché se l’allarme era così alto, se la situazione era così grave, sarebbe stato troppo assorbito nei problemi che avrebbero affrontato per pensare ad altro.

 

A Pietro, tanto per essere schietti.

 

A quel nulla che era Pietro, per essere ancor più precisi.

 

Jean Paul non sapeva con esattezza cosa fosse successo. Aveva rischiato di andare a letto con un altro, era vero, ma come poteva, Pietro, saperlo? Non stava neppure alla Scuola! Anche se ci fosse stato, in effetti, non sarebbe stato semplice che lo venisse a sapere visto l’inesistente numero di amici che poteva contare tra quelle mura. Era pur vero che gente che si divertiva a spettegolare era sempre tra i piedi, ma non lo credeva possibile.

 

Lui era un esperto in certe cose!

 

Quanto amanti aveva tradito, anche con molta meno classe e discrezione? E non era mai successo che qualcuno lo lasciasse solo per una cosa simile. Inoltre a Pietro non aveva giurato fedeltà eterna, per cui non capiva perché si fosse offeso..

 

In effetti a pensarci, lo sapeva il motivo per cui lo fosse. O per cui avrebbe dovuto esserlo.

 

Rimaneva il fatto che non riusciva ad intuire come avesse potuto saperlo.

 

Comunque fosse, aveva visto benissimo il suo sguardo, che non era stato per lui. Aveva udito la sua voce. E aveva capito benissimo che non c’era nulla, lì, di quel Pietro che aveva imparato a conoscere. La morbidezza nascosta in un gesto appena tratteggiato. Il scendere, della sua voce, di un mezzo tono e divenire suadente, segretamente carica di promesse anche nel dire freddissimi dati scarni. Quegli occhi riempirsi di luce.. erano sempre pieni di luce.

 

Lui era luminoso.

 

Logan gli aveva detto che era matto, ma lui certe cose non le aveva mai capite, né vedute.

 

Il suo simbolo, quello che aveva cucito sulla divisa, era un lampo, e nulla più di esso poteva rappresentare quella meraviglia che era: un’esplosione rapidissima di luce ed energia, un chiarore improvviso e candido, freddissimo. Non c’era nulla, in lui, di un tiepido calore, di un chiarore morbido come quello di un ciocco di legna che bruciasse, né di un tramonto infuocato. Niente.

 

Freddo. Bianco. Energia. Velocità.

 

Nient’altro che un lampo. Un fulmine d’argento che, primo, solcasse l’infinita distesa d’un cielo nerissimo e pesante, segno degli dei, una potenza esplosiva e incontrollabile ma bellissima, e affascinante come poco altro al mondo. Energia gelida, luce e ghiaccio fusi insieme in un’arma che viaggiava ad una velocità impossibile.

 

Già: cosa meglio poteva descrivere Pietro?

 

Al di là delle spiegazioni, di ciò che era possibile, o probabile, c’era quel buco in fondo all’anima, quella voragine che era dove stava il suo cuore. E l’essere consapevole di essere l’unico colpevole non rendeva il tutto meno doloroso, meno insopportabile, anzi.

 

Pietro aveva ragione: ma questo non era d’aiuto.

 

E il dolore bruciava, ma era fresco. Domani esso l’avrebbe fatto soffocare, sarebbe morto per quel rifiuto, per quella lontananza. Per quello sguardo che non era stato per lui, per quel silenzio che si meritava, e per quel nulla che si sentiva aprirsi dentro.

 

Gli occhi erano asciutti. Facevano male.

 

Ma tutto faceva male: il cuore in petto, i polmoni contratti, lo spirito affranto, e..

 

Scosse il capo.

 

Una mano gentile gli sfiorò la schiena.

 

“JP?”

 

Robert gentile, vicino, un’espressione scura e preoccupata.

 

Hey.”

 

Non aggiunse altro: non aveva voglia, né la forza per dire qualcosa di differente. Di più. Perché non sentiva di avere parole adeguate per dire.. qualcosa.

 

Già: qualcosa sarebbe bastato, perché Robert non pretendeva chissà cosa, perché Robert era solo preoccupato.  Robert era sempre il solito, dolce e gentile.

 

Robert era l’ultimo che volesse intorno, in quel frangente.

 

Ma sapeva, altrettanto bene, che Robert non si sarebbe lasciato scoraggiare per così poco, che non se ne sarebbe mai andato.

 

“JP? Cos’hai? Cosa è successo?”

 

Scosse il capo. Vide benissimo lo sguardo che Remy gli fece scivolare addosso, la mano a tendersi per toccare quello del suo compagno, e la strana espressione che gli piegò il viso come se davvero di fronte a quegli occhi rossi come la brace non si potesse nascondere nulla, come se non potesse fare altro che spogliarti l’anima di tutti i suoi veli per guardarti dritto fin nel cuore senza vergogna, né timori. E come se non si sentisse minimamente in imbarazzo a possedere una sensibilità simile.

 

Possibile, si chiese, che non poteva avere un minimo di pace? Perché in quella diavolo di scuola non poteva avere un solo angolo di solitudine, in cui i suoi amici non volessero a tutti i cosi infilarsi per impicciarsi degli affari che non li riguardavano?

 

“Niente.”

 

Silenzio, uno sguardo, di nuovo. Senza demordere.

 

Perché Pietro è..”

 

Non continuò.

 

Jean Paul sembrava sconvolto. Quasi. Di sicuro era arrabbiato.

 

“Non so un accidente di Pietro! Ero qui con te, alla Scuola, e no! Non so perché Pietro ha fatto quello che ha fatto, o ha detto! Adesso lasciami in pace!”

 

Si scrollò, nervoso e irritato, una espressione stranissima sul viso e Robert mosse un passo indietro. Cinse con una mano il braccio di Remy e ad esso si aggrappò, come se, senza quell’appiglio, avrebbe corso il rischio di cadere, precipitando in un qualche baratro chiaro solo ai suoi occhi.

 

In effetti una reazione simile, incontrollata e scomposta, da parte di Jean Paul, nessuno avrebbe potuto aspettarsela. Se era vero, verissimo, che probabilmente si arrabbiava e se la prendeva molto più spesso di tanti altri, era anche appurato che di solito non si metteva a sbraitare, al massimo diceva cattiverie caustiche a mezza voce.

 

Di solito.

 

Ovviamente nel giro di mezzo minuto da quell’uscita, tutti si accorsero che c’era qualcosa che non andava, anche coloro che non sospettavano neppure della sua relazione con Pietro. Il problema era che non tutti avevano lo stesso tempo di reazione.

 

Jean Paul sentì, fortissimo, il desiderio di prendere il muro a testate.. ma Scott era il capo anche perché possedeva una innata tempestività.

 

“Robert! – ruggì. Il loro giovane amico si spaventò talmente da quella intromissione che sobbalzò – Piantala di fomentare guai! Non ti basta quello che hai già combinato?!”

 

“Ma non..”

 

“Hai saltato gli allenamenti! Non ti ci posso mandare adesso, se no arriveresti di sicuro in ritardo alla riunione, ma vedi almeno di comportarti bene, altrimenti ti affibbio una punizione tale che te la ricorderai a vita!”

 

“Ma, Scott..

 

“Niente ‘Scott’!”

 

L’interpellato si guardò intorno sbigottito, poi piegò le labbra in un’espressione impossibile.

 

“Io non riesco davvero a capire perché ce l’hanno tutti con me! Ma che ho fatto?!”

 

Jean Paul sospirò un singhiozzo.

 

Remy ingoiò un sorriso.

 

Scott, presa Lorna per un braccio, si diresse a compiere i suoi doveri.

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.. questo è quanto.”

 

Silenzio.

 

Robert si guardò intorno con fare circospetto, poi scosse il capo.

 

“Non è possibile.”

 

Non continuò, non disse altro perché solo un idiota avrebbe avuto bisogno di sentire la sua voce per comprendere quello che voleva dire. Quello che tutti stavano pensando in quel momento.

 

Loro erano gli X-Men, e quello era uno dei soliti problemi che capitavano loro tra capo e collo almeno una volta al mese, ma di certo non si sarebbero fatti abbattere per così poco.

 

Sapere che l’ennesimo cattivo psicopatico aveva tirato in piedi chissà che super progetto per conquistare l’universo – lo scopo era sempre lo stesso, che noia!- non era certo una novità. Sapere che effettivamente qualcosa di concreto si stava muovendo in quella direzione poteva metterli all’erta, di certo non li poteva far crollare nella disperazione.

 

Erano un gruppo, erano forti e uniti. In tanti anni non avevano mai perduto al fiducia, non avevano mai cessato di essere quello che erano.

 

Un gruppo, appunto.

 

Amici.

 

“Dunque – puntualizzò Scott – chi avrebbero rapito? E da chi abbiamo questa informazioni? Siamo certi che siano attendibili?”

 

Charles annuì grave.

 

“Dal governo. Questi sono messaggi ufficiali che siamo riusciti ad ottenere tramite un nostro informatore che lavora all’interno dello staff della Casa Bianca. – sollevò lo sguardo su quello di Hank e si rabbuiò. – Ma non è questo il vero problema.”

 

Hank si fece avanti.

 

“Avevamo questo dubbio da un po’. Da mesi, a dire il vero. Queste informazioni sono preziose proprio perché confermano senza, quasi, ombra di dubbio che i nostri timori erano fondati. Questa gente sta facendo sparire mutanti per non sappiamo che scopo. Però sappiamo che, per farlo, devono riuscire ad annullare, in qualche modo, i poteri di ognuno di loro. Dopo aver studiato gli armamenti top secret, i programmi e i macchinari rubati ultimamente dai laboratori della Difesa, e cercando di scoprire a cosa sarebbero potuti servire, sono arrivato a supporre che, sì, chiunque siano hanno nel loro effettivo almeno un esperto ad altissimo livello che .. – sollevò una mano, lo schermo alle sue spalle era stracolmo di immagine e schemi, che avrebbero dovuto essere esplicativi. Avrebbero dovuto. Sospirò – Credo che sia inutile soffermarsi sui dettagli tecnici.

 

“Qual è ilvero problema’?”

 

“Per fare tutto quello che hanno detto, se non ho sbagliato clamorosamente, devono possedere la sequenza di DNA dei soggetti che vogliono controllare.

 

Silenzio.

 

Robert, istintivamente, allungò una mano, e la strinse intorno alle dita di Remy. L’altro gli sorrise, teso, nervoso, tirandoselo accanto, placandosi appena nel percepire il suo tepore che si mischiava al proprio.

 

Quello era davvero terribile.

 

Ma era impossibile.

 

Impossibile: Robert ne era sicuro, certissimo.

 

“C’è un traditore.”

 

Impossibile, appunto! Nessuno di loro avrebbe mai potuto ‘vendere’ informazioni simili a chiunque-fossero-quegli-altri! Nessuno di loro avrebbe mai venduto i suoi compagni per..

 

Uno di loro?

 

“Avrebbe potuto essere chiunque. Insisto: siamo certi che le informazioni che abbiamo ricevuto sono assolutamente attendibili?”

 

Charles annuì.

 

“Sicurissimo. Il nostro informatore dentro la Casa Bianca è di assoluta fiducia. E a recapitarci il tutto, come hanno visto molto di voi, è stato uno ancora più al di sopra di ogni sospetto. Un mutante che lavora per il governo, presso i Vendicatori. Nessuno dei due è passibile di volerci ingannare, né di non essere abbastanza preparato per accorgersi che qualcosa non vada. No: le informazioni non possono che essere esatte, anche se lacunose, e da esse non posso, in coscienza, che giungere alla certezza che davvero qualcuno ha offerto informazioni sul DNA di altri mutanti per chissà quale scopo.”

 

“Sappiamo chi potrebbe essere?”

 

“Ancora no. Ma abbiamo avuto una soffiata notevole: probabilmente è stata scoperta l’ubicazione del laboratorio dove la mente del piano si sta nascondendo.

 

Scott aveva iniziato ad elaborare piani d’attacco dentro di sé non appena aveva intuito, quella stessa mattina, che stava per concretizzarsi qualcosa di grosso. Probabilmente lui, con Hank, erano i due con cui il professore s’era confidato.

 

Jean Paul sospirò, con sufficienza. Warren spiegò appena, lentamente, le ali, come a prepararsi. Robert sorrise.

 

Bhè? Allora andiamo!”

 

Le informazioni che avevano erano molte di più di quelle con cui di solito si muovevano, potevano ritenersi fortunati.

 

Logan, poco discosto, scosse il capo.

 

“Voi siete matti.”

 

In quella stanza si erano riuniti, secondo gli ordini, i membri effettivi, dunque quelli che avrebbero potuto partire per qualunque missione nel giro di due minuti. Per cui erano tutti lì. Tutti.

 

E, appunto, gli occhi di tutti si piantarono su di lui.

 

Wolverine non era famoso per essere particolarmente cortese, questo no. Però c’era stato qualcosa di strano nel modo in cui aveva accentato quello che aveva detto. Molto, molto strano.

 

Che intendi?!”

 

Logan sbuffò, accendendosi il suo solito sigaro.

 

“Che siete fuori di testa, come al solito. State organizzando una spedizione contro qualcuno che non conoscete, e che è così furbo da aver fregato conoscenze ed armamenti alle sezioni speciali del Ministero della Difesa? Idioti.”

 

“Wolverine!”

 

Mosse una mano, seccata, nell’aria.

 

“Fate un po’ quel cazzo che volete, visto che vi divertite così tanto. Io non mi muoverò da qui, ho di meglio da fare.

 

L’eco dei suoi passi si affievolì prima che qualcuno trovasse la forza per rompere quel silenzio impossibile.

 

Assurdo.

 

Logan che si rifiutava di partire per una missione? E da quando?! Logan era quello che, sì, magari dava loro degli idioti, quello a cui non andava mai bene nulla, quello a cui piaceva far notare che lui, al contrario di loro, sapeva come bisognasse organizzare qualunque cosa, e che, come sempre, loro facevano ogni volta qualcosa che non andava. Ma mai, mai aveva detto di no. Mai si era tirato indietro. Mai..

 

Logan che, di sua spontanea volontà non partecipava una missione: sarebbe parso una specie di miracolo, se non fosse stato il suo perfetto opposto.

 

Robert era senza parole, anche questa era una notizia da segnare sul calendario per farne festa nazionale.

 

Scott si scosse.

 

“Siamo pronti, signore. Quando partiamo?”

 

___ CONTINUA..