LUCI FREDDE
PARTE: 10/24
AUTORE: Dhely
RATING: Angst.
SERIE: X-Men
NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto le due parti precedenti.. comunque se vi interessa, le trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.
#bla# : discorsi ‘telepatici’
‘bla’ : discorsi ricordati
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Pietro non era una persona semplice da frequentare, e Charles lo sapeva meglio di tanti altri. Forse non meglio di Jean Paul, però, al contrario del ragazzo, in quel frangente poteva mostrare più freddezza, cercando di essere più obiettivo: ciò significava che sapeva benissimo come fosse Pietro e che aveva sorriso con dolcezza allo sbocciare di quel legame ma, davvero, un po’ di titubanza l’aveva sempre avuta.
Perché?
Perché Pietro era Pietro. Perché era snob, e terribilmente indisponente. Perché non era nato per lavorare in squadra, e neppure per trovare piacevole starci, in una squadra, in un gruppo, in un qualsiasi cosa che avesse anche il minimo sapore di comunitario. Perché lui, per quanto fosse una creatura fatta di pura passione, per una vita non aveva fatto altro che ritrarsi disgustato dalla compagnia, dalla presenza di chiunque altro, chiudendo fuori tutti quelli che non riteneva degni del suo interessamento e rimanendo dunque solo, arroccato nel suo atteggiamento egocentrico che non riusciva a conquistare nulla oltre il fastidio, e il disprezzo ricambiato, negandosi dunque di provare qualsiasi sentimento che non fosse freddo e tagliente.
Perché Pietro era difficile, davvero. Difficile vivere con lui, lavorare con lui, stare con lui. Guardarlo, vederlo, sentirlo, se si aveva la sorte di udire la sua voce. Guardarlo guardarsi nei propri occhi che lo guardavano, vedere la sua solita espressione di sofisticato fastidio, leggera noia perenne che torceva in maniera impercettibile le sue labbra che dovevano essere morbide.. a Charles per un istante mancò il fiato nei polmoni: non voleva pensare una cosa simile! Non ci aveva mai neppure pensato, davvero, era stato solo..
Socchiuse gli occhi, sospirando.
In più, Pietro faceva questo effetto, anche se era sicurissimo che fosse, per una volta, assolutamente involontario: bastava guardare Jean Paul, e non serviva un telepate, per sapere che lui non era l’unico che subiva quella strana fascinazione.
Jean Paul non era proprio il tipo d’uomo che si sarebbe creduto cadere facilmente nelle trappole dell’ansia, soprattutto in un campo come quello amoroso, che pareva aver esplorato con lunghezza e dovizia di esperimenti vari, eppure Charles non poteva non sentire quello che vedeva. Non gli tremava la voce solo perché non parlava, e non parlava non perché non avesse nulla da dire, solo perché non sapeva come dirlo. Perché la confusione, la paura diventavano quasi più difficili da sopportare se venivano messe in parole, se venivano espresse in una maniera davvero comunicabile: era come semplificarle, banalizzarle. Renderle inutili.
Charles capiva l’uomo che aveva di fronte, poteva intuire chiaramente i suoi dubbi, la paura inconsistente che l’aveva portato lì, a domandargli un colloquio, delle parole, delle risposte fossero state anche menzognere, purché servissero in qualche modo, a comprendere. Charles sapeva da dove derivasse quel dolore, quella fatica che sentiva dentro, e osservava con ammirazione e rispetto l’indefinibile senso di orgoglio che si portava addosso che lo rendeva così umano, così raggiungibile. Conosceva bene ognuna delle cose che gli vedeva addosso, e dentro, e non faceva affatto fatica ad intuire da che sguardo, da che tono fossero nate.
Aveva imparato su se stesso chi e cosa fosse Pietro. La consistenza delle sue frasi velenose. La tagliente asprezza indifferente del suo tono. La profondità che poteva raggiungere quel timbro di voce, abilissima nel prenderti direttamente al centro del cuore come neppure il migliore dei cecchini del mondo avrebbe potuto fare.
E la sua passione, la sua fiamma intossicante, il calore insopportabile che poteva provenire da lui. Che poteva annientarti, renderti polvere esattamente come sapeva fare il suo gelo.
Pietro, a volte, sapeva fare effettivamente paura. Forse non era sbagliato pensare che quello fosse uno dei lati più affascinanti del suo carattere, perché era vero; però uno che davvero sapeva ucciderti con una parola non era certo il tipo più raccomandabile per uno dei suoi .. ‘ragazzi’. Perché, in fondo, e nonostante quello che pensasse lui stesso, Jean Paul era un X-Men e dunque, un suo ragazzo, uno di cui sentirsi responsabile, anche se era ampiamente maggiorenne e già innumerevoli volte aveva dimostrato che fosse una persona matura che non abbisognava di nessuno fra i piedi. Era nel gruppo, era uno di loro, lui.
Pietro no.
Già.
Però Pietro era Pietro.
Charles sapeva, dentro di sé che, in tutta sincerità, si fosse trattato di un altro, di chiunque altro, in quel preciso frangente ora si sarebbe dovuto convincere che non era necessario armare una spedizione per ucciderlo per star facendo patire le pene dell’inferno a uno dei suoi. Alla fine non avrebbe armato proprio niente, ma l’intenzione ci sarebbe stata, eccome!, e pure quella di farlo a brandelli.
Uno dei suoi ragazzi!
Però Pietro era Pietro, appunto.
Esattamente come sue padre: quante volte avrebbe dovuto sentire il desiderio di radunare la squadra, ficcarla tutta dentro al jet e precipitarsi in una a caso delle basi segrete di Magneto, sicuro di trovarlo là comunque, per staccargli quella sua stupida testa da quel suo.. bellissimo.. già, bellissimo corpo e far terminare così tutte le stupidaggini che poteva già aver architettato, e impedire di nascere a quei pensieri che non portavano mai a niente di buono? Charles lo sapeva: lo conosceva da una vita, ormai, eppure una volta sola ci aveva pensato seriamente e dopo aver messo in atto quello che si era prefissato, si era sentito distrutto, a pezzi, ma dentro, nell’anima, dove ricostruirsi pare sempre impossibile, dove le ferite non si rimarginano mai, dove i ricordi non si possono perdere, solo fingere di averli dimenticati, dove le motivazioni esistono, e sono nude di fronte allo sguardo, legate a doppio filo con ciò che siamo, e ciò che siamo stati, e la meschinità non ha maschere, e ci ride in faccia, e..
Charles si passò una mano sugli occhi.
Aveva sempre creduto con forza che non si potesse amare un fallimento, che farlo era sintomo di una qualche sofferenza psichica, che la cosa mostrava debolezza e follia e che no, lui no, a lui non sarebbe mai capitato, lui non l’avrebbe mai fatto. Mai. Eppure Erich era un fallimento, l’incarnazione del suo fallimento: dei suoi metodi, dei suoi scopi. Il suo fallimento era non essere mai riuscito a fare quello che credeva, e sapeva, giusto quando si trovava di fronte a lui. Erich cercava un avversario con cui confrontarsi, uno che ritenesse, in qualche modo contorto, alla sua altezza e lui? Charles aveva fallito ogni singola volta, se ne rendeva conto ora: lui che predicava armonia e pace aveva istituito una forza militare per combattere contro Magneto, lui che non credeva nella violenza aveva preso dei ragazzini e aveva insegnato loro come annientare un nemico, e continuava a farlo.
In fondo era un idealista pragmatico, non come uno di quelli che passavano la loro vita vestiti da figli dei fiori a fumare erba su un qualche prato della campagna americana! D’accordo essere sognatori incalliti, ma se i sogni non si calano nella realtà la cosa non aveva senso.. Charles sospirò, abbattuto. Quello era un discorso da Erich e non da lui, era vero.
Per quello considerava Erich il suo errore, il suo sbaglio più ingombrante e
pesante. Erich era tutto ciò che lui non sarebbe mai stato, e che
fortunatamente non avrebbe mai potuto diventare, e che faceva da fulcro verso
cui tendere con tutto se stesso. In fondo era normale desiderare ciò che è agli
antipodi di noi, no?
Guardò Jean Paul. No. Non c’era mai stato nulla di normale in nessun desiderio. Mai.
Soprattutto se il sentimento diveniva un qualcosa di pesante e freddo che premeva dentro, non solo nel cuore ma che scavava pure grandi tunnel nello spirito, impedendoti di respirare senza essere cosciente di quello che ti stava uccidendo. Soprattutto se la passione era come un fuoco che ti annebbiava i pensieri, e divorava qualunque altra meta, qualunque altro desiderio. Soprattutto se il sentimento che si aveva dentro si correva il rischio di chiamarlo amore perché ci si poteva sbagliare sull’argomento e, se fosse stato così, ci si sarebbe sentiti addolorati e traditi da noi stessi. Ma se fosse stato vero, se fosse stato davvero amore, quello, allora non c’era alcuna possibilità di salvarsi.
Jean Paul prese un sospiro seccato, che fece sibilare appena fra i denti serrati, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona, mentre i suoi occhi mettevano a fuoco chissà cosa, nell’aria che stava tra di loro. Con una mano si scostò un ciuffo di capelli che gli sfioravano la fronte aggrottata dai troppi pensieri.
Pensieri lontani, ricordi.
Eco di voci che si perdevano nel passato, che forse non era poi così lontano, ma di cui non importava la collocazione temporale per renderle, ora, gelide e pesanti, dentro.
‘Io sono veloce’
‘E allora? Io so volare.’
‘Sono decisamente più veloce di te.’
‘Ti ripeto: e io so volare.’
‘Saprai volare, ma sei come tutti gli altri, tu. Il tuo potere è solamente un accessorio, qualcosa che ti è stato aggiunto, un qualcosa che è in eccesso, quasi di inutile. Il tuo potere non definisce la tua essenza, non plasma il tuo essere. Tu non sei il tuo potere, io sì.’
‘Egocentrico! Come se davvero possedessi un potere così.. potente da importi in qualche modo sul mondo!’
‘Che m’importa del mondo se non riesce mai a starmi al fianco? Al pari con me? Cosa sarebbe successo se tu, in tutta la tua vita, non avessi mai trovato qualcuno che fosse degno di parlarti guardandoti negli occhi? So che non puoi aver corso un rischio simile, perché il tuo stupido potere è proprio, e solo, uno stupido ed inutile potere. Non ti entra dentro. Non ti ha fatto essere quello che sei. Non ti fa essere davvero superiore agli umani. Tu sei come tutti gli altri.’
Tu sei come tutti gli altri.
Non io.
No: io no. Io sono differente, superiore.
Quanto assomigliava a suo padre! E, al contempo, quanto gli era radicalmente differente.. Lo sguardo era lo stesso: terribile, aspro, tagliente e freddissimo, ma Erich possedeva una forza differente, un’abilità di persuasione che risiedeva nella sua capacità di dire determinate cose con un calore inenarrabile, avvolgendoti e prosciugandoti con la sua stessa esistenza. In Pietro, invece, era presente una superbia che distanziava, non coinvolgeva, che raggelava e non faceva sentire parte di nulla. In Pietro c’era qualcosa che lo faceva sentire come alieno.
Inavvicinabile.
Superiore.
Il suo atteggiamento era come se fosse frutto di qualcosa di differente che il suo solo brutto carattere: il suo potere, forse? E se avesse avuto ragione? Se davvero la differenza fra lui e tutti gli altri fosse risieduta in quello? In un potere che non si poteva arginare, che non si poteva piegare, ma che era esso che aveva modellato una vita, un carattere, uno spirito, di fronte a una presenza che non si poteva negare, né rifiutare?
Tutto, in lui, era plasmato, annientato, appiattito sul suo potere. Tutta la sua vita era stata piegata alle esigenze assurde di quello. Tutto ciò che era esistito prima della sua manifestazione era come se non fosse mai esistito. Era come se davvero, con il suo manifestarsi, fosse morto il vecchio Pietro, per rinascere un essere lontano e impossibile da sopportare, da tenere accanto, da..
Una specie di strattone, un richiamo.
Charles si scosse, allarmato. Per un attimo osservò Jean Paul tendersi, in maniera infinitesimale, per una tensione di cui non conosceva l’origine, poi si scosse, e gli bastò concentrarsi appena per capire cosa fosse accaduto.
#Prof?! Abbiamo un problema..#
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Un problema: già. Da quando gli X-Men potevano vivere un momento di tranquillità senza crearsi da soli la loro particolare crisi interna? Come se non potessero vivere, non potessero esistere se non in guerra, se non all’interno di qualche tensione, di..
Scott strinse i denti, e fece ciò che sapeva fare, e che doveva.
E che sì, anche, voleva.
Non era mai stato un ottimo allievo, non aveva mai avuto voti eccellenti, non era mai stato speciale, in quelle cose placidamente normali. Però, da sempre, aveva posseduto una dote rara, un carisma ineguagliabile, grazie al quale si ritrovava a lanciare ordini e ad essere ubbidito senza la minima fatica, quasi. E, infatti, da sempre lui era il capo della squadra. Degli X-Men. Il pupillo di Xavier. Chissà quanto altro.
Ora, di nuovo, come sempre, era lì, dove sapeva, e doveva, e voleva essere.
Tra i suoi compagni, i suoi amici, a risolvere il problema, a cercare di ficcare un po’ di buon senso nelle loro teste dure e, se proprio non ci riusciva, ad obbligarli a fare quello che diceva lui, perché sicuramente era più intelligente di quello che stavano facendo loro.
Qualunque cosa fosse.
Charles si lasciò sfuggire un sospiro guardando il disastro che, di nuovo, era la loro sala comune. Fortuna che c’era Scott! Lui aveva la netta sensazione che, se avesse dovuto metter mano in tutti i loro disastri, prima o poi si sarebbe fatto venire l’esaurimento. Non aveva la sua pazienza. Forse, in fondo, semplicemente era un ragazzo come lo erano tutti loro, e li capiva meglio di quanto potesse fare un vecchio professore che, per quanto fosse dotato di sensibilità ed esperienza, non avrebbe mai potuto sentire come loro, né vedere come loro perché i loro mondi erano – li percepiva- distanti.
Sotto il tocco della sua voce scarsamente gentile, seccata e aspra, Lorna si era calmata. Remy si era avvicinato al fianco di Robert senza aggiungere altro, in un silenzio eloquente ma, insieme, che riconosceva l’autorità. Hank aveva tirato un udibilissimo sospiro di sollievo. E Robert.. ah! Robert: Charles lo sentiva lì, pronto ad arrivare, a materializzarglisi davanti, quel timore. Deciso a prendere forma in una decisione che già era stata presa.
Il fatto di conoscere non sempre portava automaticamente la possibilità di fare qualcosa a riguardo anche se a volte poteva essere un aiuto.
Neppure Scott avrebbe potuto tenere buona Lorna se Robert avesse continuato a dirle quello che voleva.
Ma perché poi quei due si erano lasciati? E perché poi, se Robert si era innamorato di qualcun altro, stava ancora lì a preoccuparsi di lei? Le solite domande irrisolte che a uno psichiatra venivano sempre poste! E alle quali, ovviamente, nessuno sapeva rispondere davvero, perché i sentimenti erano fragili, creature sottili e impalpabili, che era già difficile accettare dentro di sé e che era impossibile davvero comprenderli da fuori.
Charles diede un’ultima occhiata alla situazione che aveva di fronte, disaminò rapidamente le differenti opzioni che gli si paravano di fronte, decise quella più consona e scelse.
Non è che, davvero, potesse fare molte cose, oltre a quello.
E dischiuse le labbra.
In quel preciso istante si accorse di Jean Paul, al suo fianco che, nuovamente s’era teso. Questa volta percepì, chiaramente, panico e confusione. Uno sguardo lievemente disperato puntato su di lui, una muta richiesta di aiuto.
Un aiuto che non poteva dargli.
Perché non c’era possibilità alcuna di nessunissimo aiuto.
Perché di fronte a quello lui, il più grande e potente telepate del pianeta, era indifeso e vulnerabile come tutti loro.
No, non ‘quello’, ma: di fronte a lui.
Lui.
Non aveva visto la porta aprirsi, se poi davvero era entrato dalla porta. Non aveva udito nulla, e non aveva neppure percepito lo spostamento d’aria. Aveva avvertito al sua presenza tramite i suoi poteri, la presenza della sua mente, lì, dove prima non c’era. In fondo, Charles pensò, era solo un telepate, non un mago: non poteva percepire una persona se non la stava cercando e se non sapeva dove cercarla.
Ma ora Pietro era lì, davanti a loro.
Di fronte a Scott. Tra Lorna e Bobby.
E guardava lui.
Non Jean Paul, non nessun altro.
Ma: lui.
Un’espressione terribile, assolutamente vuota. Non un cenno, un gesto, un atteggiamento particolare. Niente.
Charles quasi giurò di aver udito il cuore del canadese essere andato in frantumi, ma non si voltò verso di lui, perché non poteva distogliere gli occhi, ora, perché tutto era troppo grande e troppo doloroso, i pensieri e le sensazioni gli facevano mancare il fiato nei polmoni e l’attesa che quei secondi ticchettassero via in punta di piedi, lontano da lì, lo ferì. Quasi fisicamente.
Pietro?
Pietro niente.
Fuori.
Dentro era un’altra cosa.
Ma Pietro, dentro, era sempre stato un’altra cosa. Da sempre.
Per sempre?
Non disse nulla, Charles. Immobile attendeva, anche lui, come gli altri, una risposta, una parola, forse, un.. rimase in silenzio, ad ascoltare quello che il suo potere gli faceva udire.
Rabbia.
Sdegno.
Freddissima ira.
Sentirsi tradito, venduto.
#Come puoi farmi questo?#
Trattenne il fiato. Stava consapevolmente parlando in silenzio solo con lui?
Sì. Pietro lo sapeva fare. O avrebbe potuto imparare a farlo in qualsiasi istante se avesse creduto che gli sarebbe servito.
O forse era solo la rabbia, era solo..
#Pietro..#
Strinse gli occhi, e sì in quell’istante cambiò espressione: sempre freddo, freddissimo, ma una specie di sorriso gli tirò le labbra, un ghigno leggero e niente oltre una nuova lunga occhiata. Estenuante e terribile.
Jean Paul quasi singhiozzò.
Faceva male quella vista, dentro. Faceva male, sì, e sentiva male pure Charles, cosa potesse essere per il canadese non lo sapeva e non voleva saperlo.
Pietro, da sempre, era stato uno di quelli che non giocava con le parole e pure quando non le usava sapeva esprimersi benissimo.
E ora non c’era niente, neppure più una speranza, più niente, appunto.
Perché?
Ora, forse, non importava.
Pietro.
Pietro era quello che non dava mai una seconda opportunità a nessuno. Pietro era quello che passava la sua vita a cercare una perfezione che non avrebbe potuto mai essere sua, che non avrebbe mai potuto essere di nessuno. Pietro era quello che aveva standard così elevati che neppure un miracolo avrebbe potuto esaudirlo appieno, con se stesso, non solo con gli altri. Anzi: Pietro era anche quello a cui, di solito, degli altri non importava nulla. O dava quest’impressione. O gli importava degli altri in quanto li poteva disprezzare. O..
Pietro mosse una mano, leggera, elegante.
Qualcosa gli brillò sul palmo prima di lasciarla cadere a terra. L’oggetto di metallo tintinnò sul pavimento per qualche istante e il silenzio avrebbe continuato a regnare sovrano se Scott non avesse mosso un passo in avanti per fronteggiarlo e per dirgli.. qualcosa. Almeno, solo, qualcosa.
Pietro non accettò la sfida, se così si poteva chiamare, non distolse lo sguardo, si limitò a sorridere solo un po’ di più.
A Charles.
Solo a lui.
“Ti ho fatto un favore ma ricorda che non sono il tuo lacchè. – ed era una voce così bella! Anche se era terribile, e offesa. Anche se c’era il ghiaccio in quegli occhi, e veleno sulle sue labbra. Anche se faceva male, e molto, dentro, e addosso. Anche se Charles non conosceva il motivo di quel dolore, anche se non riusciva neppure ad intuirlo.– Hai quello che vuoi.”
Non aggiunse altro. Non gli permise di percepire altro.
Si voltò, un passo. Due. Poi scomparve.
Com’era venuto, forse.
Forse. Ma senza aver degnato nessun altro di un solo sguardo.
Forse.
Forse no: ma se era così, nessuno l’aveva notato.
Nessuno.
Un vuoto all’altezza dello stomaco.
Sentì Jean Paul voltarsi leggero, sui tacchi. Sconfitto. Distrutto.
Perché l’odio si poteva combattere. Perché si poteva trovare la forza per fare anche l’impossibile, ma il nulla non lo si poteva combattere, perché non c’erano appigli, perché non c’era niente.
Forse.
Forse no: ma Jean Paul non poteva saperlo, non poteva sentire e vedere e percepire come faceva un telepate.
E forse non era proprio un male che.. Charles chiuse gli occhi, sospirando, in silenzio.
Silenzio: era l’unica cosa che voleva sentire, non il brusio diffuso che erano i dubbi pressanti dei suoi studenti, dei suoi ragazzi. Scott, e Lorna, e Robert e Hank, e Remy, e Jean Paul in fondo al corridoio e gli altri. Tutti gli altri.
Tutti.
Scott si chinò prendendo fra le mani il piccolo oggetto che Pietro aveva lasciato cadere, e si voltò verso Charles.
“Professore, ma cos’è?”
___ CONTINUA..