LUCI FREDDE

 

PARTE: 8/24

 

AUTORE: Dhely

 

PAIRING: JeanPaulXPietro

 

RATING: Nc-14. Angst.

 

SERIE: XMen

  

NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto al precedente.. comunque se vi interessa, la trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.

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Pietro non perse neppure il tempo a guardarsi intorno, gli bastò sapere che ore fossero.

 

Sospirò scuotendo appena il capo: era tardi.

 

Troppo tardi: non avrebbe avuto senso mettersi a lavorare a quell’ora.

 

Jean Paul gli aveva detto che probabilmente per quella notte avrebbe potuto non tornare, e lui gli aveva risposto di non preoccuparsi. L’avevano invitato a una specie di festa tra amici, e non si aspettava davvero che mollasse lì tutti solo per tornare a casa. Per tornare da lui.

 

In un qualche maniera strana, e razionalmente stupida, Pietro si era scoperto a sperare, però, di trovarlo, al suo rientro: seduto sulla sua poltrona a guardare uno dei suoi programmi preferiti, oppure a giocare con la play; forse anche a chattare annoiato o a chiacchierare al telefono con chissà chi, con la strana espressione seccata che gli era solita quando era convinto che gli fosse stato fatto un dispetto. Jean Paul che sollevava appena la fronte e lo illuminava con un’occhiata offesa e insieme pallidamente soddisfatta: ecco quello che si era, silenziosamente, aspettato.

 

Invece Jean Paul non c’era.

 

Non era tornato.

 

In fondo poteva aspettarselo. Perché tornare lì quando fra poco più di un’ora avrebbe dovuto incominciare le lezioni? Quando sapeva che lui avrebbe comunque avuto poco tempo da dedicargli visto che aveva da portare a termine chissà cosa? Il suo ultimo incarico?

 

Pietro appoggiò la custodia del violino sul tavolo dell’ingresso e si passò una mano fra i capelli, sbuffando lo sforzo di soffocare il freddo che sentiva nascergli dentro e scivolò in cucina. Accese il fuoco sotto il bollitore e attese.

 

Pietro odiava attendere.

 

Aveva freddo: dita aguzze gli si conficcavano nella carne, mentre fuori dall’ampia finestra il cielo perlaceo rimandava la promessa appena espressa di un sole che avrebbe acceso la vita. Sarebbe stato semplice, più semplice di così: bastava correre incontro al sole. Quante volte l’aveva fatto? Solo per accorgersi che più vi si avvicinava, meno era il tempo che avrebbe potuto trascorrere in sua compagnia, perché il sole non viveva su quella terra, esso era lontano, irraggiungibile. Almeno: per lui.

 

Si sentiva uno sciocco: stupido e malinconico chissà per cosa? Guardarsi intorno era semplice, con un solo colpo d’occhio abbracciava ogni cosa e l’idea che, per la prima volta in tutta la sua vita, le cose fossero così differenti avrebbe dovuto renderlo.. felice? Almeno soddisfatto. Pacato, in qualche modo, perché per una volta aveva qualcosa di prezioso che doveva conquistarsi, che voleva essere conquistata, che era lì, solo per lui.

 

Socchiuse le palpebre mentre l’amarezza montava dentro.

 

Aveva vissuto in mille posti, tutti differenti, tutti uguali: Pietro odiava gli orpelli inutili, e le sue stanze, le sue dimore, i posti in cui aveva trascorso parte della sua vita erano sempre di una laconica purezza, privi di qualunque cosa potesse solo anche lontanamente essere identificato come superfluo. Lui non aveva bisogno, per vivere, che dello stretto necessario, e non aveva mai chiesto, né cercato, nulla oltre a quello. Non l’aveva mai avuto.

 

Ora, invece, si guardava intorno e vedeva il divano comodo di alcantara, chiaro, con i cuscini di broccato che Jean Paul aveva tanto insistito perché lo prendessero, perché era bello, e comodo, e poi perché stava così bene quando si osservava la stanza da quella peculiare angolazione che si aveva non appena si usciva dal bagno! La televisione al plasma di dimensioni spropositate, l’impianto home teatre con dvd, dolby surround e tutto il resto. Un paio di consolle per videogiochi, un pc con chissà quanti zillioni di megabyte di potenza, le tende ricamate a mano, le lenzuola di seta e tutto quello che Jean Paul aveva seminato lì, dalle dozzine di abiti, ai soprammobili, ai quadri, e le scarpe, i libri, i raccoglitori con gli articoli di quando era uno sciatore e gran parte degli incartamenti del suo lavoro di esperto di borsa. Tutto lasciato in giro, senza il minimo ordine.

 

Pietro sospirò.

 

Era giusto, in fondo era casa loro, non solo sua, ma non vi era abituato. Non era solito vivere in tutto quello, e lui che, usualmente non utilizzava niente del genere, si ritrovava ora ad osservare i segni di un Jean Paul che era solo negli oggetti che lo circondavano. Non era quello il modo che aveva imparato per tenersi chiuso, nel cuore, una persona.

 

Accarezzò con il pensiero l’immagine della custodia sdrucita del suo vecchio violino.

 

Quella non era casa sua, no. Era la sua e di Jean Paul, ma le cose erano senza anima, se non le si riempivano di ricordi e a lui pareva, ora, di stare in piedi in un mausoleo dimenticato.

 

Pensieri futili.

 

Le foglie di te scivolarono sulla superficie, ora piana, dell’acqua dalla quale si alzavano bianchissime volute di fumo e l’aroma si spandeva ovunque.

 

Aveva così tante cose da dire a Jean Paul! Sperò che il pomeriggio inoltrato li raggiungesse presto mentre soffiava sulla tazza di tè bollente che aveva fra le mani.

 

Si immobilizzò di fronte all’ampia porta scorrevole che dava sul piccolo giardino esterno, appoggiandovisi contro lo stipite. Il contatto con la porcellana candida e ardente, sotto le dita, era una piccola benedizione. Pietro si chiese perché mai dovesse sentirsi sempre così assolutamente insoddisfatto di qualunque cosa stesse vivendo: aveva visto Luna, dopo tutto, ed era una cosa, questa, che non credeva sarebbe riuscito a concretizzare così presto.

 

E poi c’era Jean Paul, che non era lì, in quel momento, ma che aveva i suoi buoni motivi per non esserci: il lavoro, i suoi amici. E poi la solitudine non era mai stato un problema per lui.

 

Ecco.

 

A quel pensiero chiuse gli occhi.

 

Lo sapeva: per lui non lo era, ma magari per Jean Paul sì. Quell’idea gli faceva paura perché, in tutta coscienza, Pietro non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi per .. prese un profondo respiro. Almeno ora non era solo. Era tra amici ed era certo che aveva sorriso, e riso, che si era divertito per tutta la notte, e allora andava bene. Non doveva preoccuparsi anche di lui, in quel frangente, no?

 

No.

 

Era solo stanco. Un buon sonno avrebbe rimesso in sesto molti problemi che ora sembravano insormontabili. In più a sera sarebbe ritornato Jean Paul, e ne avrebbero parlato. Pietro si giurò che l’avrebbe fatto: era tutto troppo prezioso perché corresse il rischio di perdere tutto per una leggerezza.

 

Troppo.

___

 

Era iniziato tutto bene, benissimo. Esattamente come aveva pensato. E pianificato.

 

Un sorriso, il suo avvicinarsi lento, cercando di intuire sentimenti, pensieri, su quel volto che rappresentava ormai così tanto per lui, e un tocco, come se fosse casuale, leggero, appena da sfiorargli un braccio, un modo come un altro, infantile, per stabilire un contatto che andasse oltre quello visivo.

 

E poi: “Come stai?”

 

Banale, ma pacato, aperto, fermo. Paziente.

 

Pietro aveva imparato, s’era sforzato di farlo.

 

Ma come, poi, fossero arrivato a quello non lo sapeva. Non lo ricordava. Forse era tutto troppo semplice, perché in fondo di modo ce n’era uno solo. D’altra parte, però era come se qualcuno avesse finalmente dato il titolo al capitolo finale della loro storia.

 

La ragione vacillò di nuovo e di nuovo Pietro si trovò senza fiato, perduto in un bacio che durava un’eternità, la pelle di Jean Paul contro la sua, sopra, addosso, che era rovente, che pareva avere come unico scopo quello di marchiarlo, di bruciare tutto l’ossigeno necessario, per farlo  impazzire, per farlo soffocare, per annientarlo, perché davvero non comprendesse più nulla.

 

C’era, forse, davvero qualcosa da capire?

 

Lui e Jean Paul, nudi, in un letto.

 

Da ore, sembrava.

 

E il desiderio che, al posto di spegnersi, estinguendosi, cresceva a dismisura, senza che lui riuscisse a dominarlo o, almeno, a non farsi da esso dominare. Il corpo, Pietro sentiva, cedeva, lentamente, la stanchezza gli si abbatteva addosso a scudisciate, e insieme la voracità lo faceva rimanere mai sazio, mai in grado di chiudere gli occhi e rimanere lì, immobile e silente, come se avesse perso conoscenza.

 

Jean Paul lo faceva diventare pazzo: le sue mani, la sua bocca, il suo corpo ovunque, dappertutto, in qualunque modo, e maniera. Poteva farlo urlare e piangere, e ci riusciva senza nessuno sforzo: lui rideva e gli baciava via le lacrime e ricominciava da capo, sempre da capo.

 

Ogni volta era come immergersi con sempre meno scorta d’ossigeno nei polmoni. Ma Pietro non si negava, Pietro non si tirava indietro, non poteva.

 

Era lì con lui, per lui.

 

Jean Paul sorrideva e lui sentiva il cuore diventare denso e greve insieme, pieno di troppe emozioni da poter dire, tantomeno da condividere. Però.. però era Jean Paul.

 

E rideva, e godeva, e lui lo stesso.

 

Non c’era tempo, non c’erano sogni, desideri, non c’era una vita che uscisse dai confini che l’altro disegnava per lui, non c’erano ricordi, non c’erano obblighi, non c’era nulla oltre a loro stessi.

 

Affogare: era meraviglioso affogare in quel mare, in quel modo.

 

“Mi sei mancato, mi sei mancato” sussurrava, e Pietro non trovava il tempo di dirgli che anche lui gli era mancato. Non trovava il fiato nei polmoni, né la forza nella gola. Perché non ne aveva, perché non poteva.

 

Così tanta fame disperata, così tanto bisogno: Pietro ne era sconvolto annichilito, travolto, e ne aveva paura.

 

Jean Paul era sempre stato un amante focoso ed esigente, ma quello superava qualunque cosa Pietro avesse mai anche solo lontanamente immaginato. Era come se gli stesse strappando fuori ogni singola goccia di energia, di resistenza. Di vita.

 

Se gliel’avesse chiesto, Pietro si sarebbe sgozzato per lui, in quel momento, se era quello che voleva.

 

Si sentiva preda di una febbre sconosciuta, e di un dolore tale che gli pervadeva il corpo, le ossa, non solo l’anima. Era giusto? Un lampo di ragionevolezza lo fece ghiacciare dal terrore, ma c’era il calore di Jean Paul, i suoi baci, le sue carezze, e tutto quanto fu vapore ancor prima che trovasse una forma consona.

 

Non importava, poi, se fosse giusto o no. Quello era qualcosa che travalicava il semplice senso comune.

 

Parole sussurrate all’orecchio, roche promesse, affannosi complimenti. Tutto si mischiava, diventava sensazione tattile, calore e colore, pressione, addosso e legame. Stretto, avvinto come una serpe che incatena giù, sempre più giù, e strappa le energie, e destina a morte certa.

 

Pietro chiuse gli occhi, perdendo qualsiasi altro contatto con la realtà: era così stanco, spossato, come mai prima.

 

Cedette, abbandonandosi immoto, per la prima volta dopo ore, sconfitto, su un fianco, tentando di respirare, cercando di non morire, di non immolarsi all’interno di quella pira che, per lui, bruciava troppo alta e forte.

 

Delle mani sottili gli sfiorarono il viso, il capo, scostandogli le ciocche candide che, scomposte, gli stavano ricadendo sugli occhi. Baci leggeri ad asciugare la pelle, a sfiorare appena quelle labbra ancora tumide dal desiderio e dalla passione, ma esauste, sconvolte.

 

Epazzia’ pensò. Non poteva stare lì, non doveva continuare quella storia, perché la strada che aveva imboccato portava troppo lontano, perché il dovere ordinava tutt’altro, perché il cuore aveva sempre tradito e lui, sempre, ne aveva avuto paura.

 

Jean Paul sorrise, passandogli un braccio sotto il capo e stringendolo a sé, ansimanti e sconvolti entrambi, sfatti dal troppo piacere, esausti e saturi di soddisfazione e fatica insieme.

 

“Mon dieu, Pietro. – un sospiro, un movimento sinuoso per mettersi comodo, per avvolgere se stesso e il suo compagno con qualcosa che li coprisse. Il lenzuolo, forse? – Cosa sei per farmi questo? Per farmi patire una cosa simile?”

 

C’era una specie di stupito dolore in quella affermazione: Pietro lo udì ma non riuscì a ribattere. Cosa dire, poi, quando si trovava in un momento tale da non riuscire ad articolare neppure un pensiero?

 

Aveva avuto anche lui qualcosa da dirgli, ma la mente arrancava, ora, nella nebbia della passione, ed era esausto, stravolto.. gli passò una mano lungo la schiena, lo fece rabbrividire e gli si strinse addosso, nascondendo il volto nell’incavo del suo braccio. Forse era meglio non dirglielo, ed aspettare. Per una volta attendere, in silenzio, che il tempo gli scivolasse addosso, senza fare nulla, senza un solo respiro, senza niente.

 

Ritornò il freddo, come un pugnale avvelenato che lo stesse trapassando da parte a parte: ma il calore di Jean Paul sarebbe bastato, Pietro ne era certo. Sapeva di non aver bisogno di altro, in quegli istanti, oltre che lui.

 

E lui era lì. Era stato lì per lui. L’aveva bevuto, mangiato sbranato, inghiottito, l’aveva fatto ardere e godere, e l’aveva guardato come si può osservare solo un oggetto prezioso di cui essere gelosi, e golosi.

 

Nessuno l’aveva mai guardato così.

 

In nessuno aveva mai acceso uno sguardo simile.

 

Jean Paul era la sua salvezza, ed era una benedizione. La sua benedizione. Jean Paul lo amava, amava lui che..

 

Distolse con forza i pensieri, le frasi, i ricordi perché non era il tempo per esse, ora. Voleva che il passato fosse nulla, per un po’, e lì, in quegli istanti era fin troppo semplice dimenticare chi si era, chi si era stati, e cosa si sarebbe voluto o dovuto, essere. Dimenticare cosa si sarebbe dovuto stare facendo, le persone con cui avrebbe dovuto condividere l’istante. Obbligarsi a non ricordare le azioni che erano sue, e che avrebbe dovuto, e voluto compiere. Perché tutto, da lì, era incredibilmente, impassibilmente lontano.

 

E niente aveva più il pur minimo valore.

____

 

Logan ringhiò.

 

A volte si dice ‘ringhio’ per intendere un qualsiasi rumore gutturale, un verso fatto con la gola contratta, e l’aria che raspi contro il palato, giù, verso i polmoni.

 

Per Logan non era così: Logan ringhiava davvero, come fanno i lupi, feroci, furiosi, mostrando i denti, gli occhi lucidi e decisi, pronti ad attaccare, con niente che possa davvero fermarli.

 

Logan, da parte sua, non era un animale, e anche se a volte gli risultava difficile mantenere un vero e proprio controllo sui suoi scatti, quello non era uno di quei momenti. Anche se, forse, gli sarebbe piaciuto avere una scusa simile per spezzare le ali a quel pollo troppo cresciuto che aveva di fronte.

 

“Ti diverti?”

 

Warren lo degnò appena di uno strano sguardo, a metà fra lo stranito e il divertito. Poi mosse delicatamente le ali traslucide nell’aria con una delicatezza incredibile, allontanando, nello stesso tempo, con un pacato gesto della mano, le persone con cui stava amabilmente chiacchierando di chissà cosa.

 

“Logan, a cosa devo l’onore?”

 

L’occhiata che ebbe in risposta non fu una delle più rassicuranti, ma infondo, tutti loro conoscevano bene Wolverine.

 

“Ti va bene parlarne qui, in mezzo a tutti i tuoi numerosi fans, o preferisci un luogo più appartato, in cui farti squartare con più classe?”

 

Warren sospirò, tendendosi, e fece quello che Logan aveva detto.

 

“Allora, si può sapere cosa è successo di così grave da..

 

“Lo sai!”

 

“Questo è ridicolo, te ne rendi conto? – allargò le mani scuotendo un poco il capo – Da quando Monsieur Beaubier ha bisogno di essere difeso? E, comunque, non è successo nulla che non volesse pure lui, mi pare.”

 

“Palle. – sbottò – il discorso è molto più semplice, più chiaro, più banale di qualunque cazzata ti possa venire in testa, pollo! Jean Paul è off limits, chiaro?”

 

Logan aveva quell’atteggiamento, quello sguardo che lo aveva reso giustamente famoso: non era saggio irritarlo oltre, e Warren lo sapeva bene. Ma non gli piaceva essere trattato in quel modo, come se fosse un ragazzino incapace di comprendere cosa potesse fare e cosa no. E tantomeno soffriva coloro che, senza alcun diritto, gli intralciavano la vita con obblighi e impedimenti idioti.

 

“Da quando è tuo? Sapevo che era insieme a un altro, non a te.”

 

“Jean Paul non è mio. E per quel che mi riguarda, non è proprio di nessuno. – lo sguardo che gli lanciò fu omicida, e fremente – Però non è questo il momento adatto per giocare con lui. Chiaro?”

 

“Chiaro cosa? – un ghigno divertito e sufficiente, si passò una mano fra i capelli, biondi e sempre perfettamente in ordine, un po’ lunghi sulle spalle, proprio come se fosse un vero divo – Sai che mi fai venire un dubbio terribile, Logan?”

 

“Non sono qui per parlare di me,  né tanto per sorbirmi le tue pose da grand’uomo! Quello che dovevo dirti te..

 

E se tu non fossi affatto preoccupato per Jean Paul? – un leggere respiro, un piccola pausa, e gli occhi di Logan brillarono, furiosi come tizzoni ardenti – In fondo Jean Paul non ha affatto bisogno che tu lo difenda, no?”

 

“Non parlare di cose che non sai!”

 

Warren rise. E fu una risata sfacciata, cristallina, una risata di vittoria.

 

“Pietro! – disse – Siete tutti così concentrati, attenti, preoccupati di e per Pietro! – si piantò le mani sui fianchi, un ghigno terribile mentre si leccava le labbra – Charles sembra aver dato fuori di matto da quando se ne è andato, e Scott? Non ti sembra un po’ più nervoso del solito? E adesso..

 

“Ti sei completamente fritto il cervello, pollo! Di Quicksilver, se non ti fossi accorto, qui dentro non c’è nessuno a cui freghi niente!”

 

Warren rise.

 

“Per me a te frega.”

 

Logan fremette fino alla punta dei capelli, poi.. rise.

 

“Sei un idiota patentato, pollo!”

 

“Sarà. – rispose Warren, pacato – Però anche i tavoli sanno che tu odi, detesti, disprezzi Magneto ad un livello..”

 

Cosa centra quel..”

 

“E’ suo padre, Logan. E anche i sassi vedono quanto si somigliano. – sottile, caustico – Non è che a furia di avere Pietro fa i piedi, di sentir parlare di Pietro, di vederlo, di parlarci e tutto il resto, tu non abbia sviluppato chessò.. qualche strana ‘fantasia’?!”

 

Il ringhio questa volta ci fu, spaventoso e inconfondibile. Insieme al rumore terribile dell’adamantio che scivola fuori dal suo alloggiamento di adamantio, lasciando che gli artigli brillassero nell’aria tra di loro, promettendo assolutamente nulla di buono.

 

Se lo ripensi, ti sbudello, pollo!”

 

Le ali di Warren fremettero visibilmente dal nervosismo, poi si aprirono, facendolo sollevare un poco da terra.

 

“E’ una sfida, Logan? E solo perché ho avuto le palle di dire quello che mi pare così schifosamente ovvio? – si allontanò leggermente, ma non troppo – Sei sempre stato ossessionato da Magneto, e sai cosa potrebbe pensare chi è troppo malizioso?”

 

Questa volta Logan non ringhiò, non fece che prendere un respiro: scattò come una molla d’acciaio, come una belva feroce pronta ad attaccare per vivere, per difendersi. Non bastò a Warren ergersi sopra di lui in quella maniera, né il suo improvviso torcersi di lato, cercando di schivare l’attacco.

 

Logan portava sempre a segno i suoi attacchi.

 

Crollò sul parquet, scheggiandolo con i suoi artigli, atterrando su Warren, le ali spalancate, gli abiti a brandelli.

 

Nessuna parola, solo uno sguardo terribile, omicida. E qualcosa che gli fremette nell’anima.

 

“Magneto.. – sibilò quel nome con un odio tale da non essercene uguali – Magneto mi ha.. strappato le ossa dal corpo, mi ha fatto a brandelli l’anima, e il dolore che ho provato, tu, lurido principino senza midollo, non puoi neppure immaginarlo. Però non c’è un solo, singolo motivo per cui io dovrei avere un qualche desiderio contorto nei suoi confronti.. non sono come te, io. – sorrise, e sembrò il ghigno della morte – E Pietro non mi suscita proprio nulla, se non antipatia, e, comunque non stavamo parlando di lui.”

 

Premette il dorso degli artigli contro la gola bianca di Warren, il quale riuscì appena a gorgogliare qualcosa. Era difficile far arrivare l’ossigeno alla gola, e parlare era fuori questione.

 

Logan rise.

 

“Stavamo parlando di Jean Paul. Lui è mio amico. – si trattenne, diminuì lievemente la pressione, prima che sentisse l’osso del collo scheggiarsi sotto la sua presa. Non voleva ucciderlo, dopo tutto – Di lui m’importa. Non devi giocare con lui, chiaro?”

 

“Log-”

 

“Chiaro, pollo?!”

 

Chia-ha-ro.” sussurrò roco, senza fiato per aggiungere altro.

 

Uno scatto, un movimento assurdamente rapido, ed elegante per un corpo tozzo come quello di Logan. Eppure ci fu.

 

Warren si portò le mani alla gola: era certo che l’indomani avrebbe avuto dei lividi violacei a ricordargli quella amichevole chiacchierata. Comunque, la sua reazione di fronte a quella odiosa supposizione era eccessiva, e stranamente incomprensibile, anche se veniva da uno come Logan, dunque, non riusciva a mutare opinione a proposito..

 

___ CONTINUA..