LUCI FREDDE
PARTE: 1/24
AUTORE: Dhely
SERIE: X-Men
PAIRING: JeanPaulXPietro
RATING: NC-17. Molto NC-17!
NOTE: i pg non sono miei, appartengono ai loro autori e ai loro editori. Questo non ha scopo di lucro, ma è solamente un esercizio di divertimento. E’ il seguito *diretto* di ‘Neve e ghiaccio’, anche se credo si possa capire anche senza aver letto le due parti precedenti.. comunque se vi interessa, le trovate sia sul sito dell’ysal www.ysal.it , sia sul mio.
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Erano.. innamorati, pazzi. Si guardavano, e si divoravano, si possedevano con una sola, singola occhiata, con un cenno del capo, con un movimento di una mano. Respiravano la stessa aria e questo, a volte, pareva assolutamente bastante per potersi tranquillamente considerarsi uno nella pelle dell’altro. E viceversa.
Sensazioni già descritte, nel corso dei secoli, almeno mille miliardi di volte, eppure era tutto nuovo, per loro, e scintillante, e perfettamente stupefacente e meraviglioso.
Erano come due qualsiasi dei miliardi di umani che avevano già provato, o stavano provando, o avrebbero provato quella sensazione, se non fosse stato per un piccolo, insignificante particolare.
Non erano umani.
Erano mutanti, loro.
Mutanti era essere ‘diversi’? Fino a due mesi prima Jean Paul avrebbe detto di no, perché ognuno di loro era comunque unico e speciale, perché ognuno di loro era.. come un’isola che non potesse mai essere raggiunta da nessun saldo esploratore, perché nessuno, umano o mutante poteva capire..
Vero.
Ma solo in un certo senso.
L’istante che si dilatava all’infinito, che diveniva un contorcersi senza tempo, senza orizzonte, come un serpente che si morda la coda: e in due vivere quell’assurdità. E in due esserne coscienti, e morirci e rinascere, e morire di nuovo, e di nuovo, senza fine.
L’istante che si ricrea, riformandosi successivo e sempre identico, o forse un solo secondo che duri tutta l’eternità?
Erano mutanti, loro. Per loro non esistevano le regole degli umani.
Pietro sapeva leggere, interpretare, *sentire* ogni minimo respiro, ogni sospiro, ogni lievissimo, impercettibile movimento. E nessuno dei due doveva faticare a prendere il ritmo su una velocità esterna a loro. Il metronomo che scandiva il passare, o il ghiacciarsi del tempo, era dentro di loro, e batteva all’unisono.
Ed era lì, *fermo*, così immobile che pareva sfiorare la morte del trascorrere del tempo.
Sembrava che il tempo fosse solo frutto di una sensazione che mutasse in un’altra, che si avvinghiasse come una serpe intorno ai loro corpi e cangiasse, mutando colore, consistenza, percezione..
Era stato girare l’Europa, accanto a lui, camminare al suo fianco e trovarlo meraviglioso e insieme impossibile da sopportarlo, così. Sotto gli occhi di tutti: esposto. Vulnerabile, lui!
Lui, Pietro, che poteva uccidere con uno sguardo, che come un lampo poteva fulminarti a morte con la sua semplice, pacata indifferenza!
Eppure vivendo, Pietro era esposto allo sguardo di tutti, e questo Jean Paul, in certi istanti, non riusciva a sopportarlo. Doveva essere solo suo!
Una volta, forse senza davvero un particolare motivo, aveva ringhiato tutta la sua furia, tutta la gelosia che non credeva potesse vivergli nel fondo del cuore, e l’idea di prenderlo e marchiarlo, e stringerlo, e chiuderlo in qualche luogo remoto, irraggiungibile, inaccessibile a chiunque, fossero anche ai raggi del sole, gli scintillò nella mente, fino a che non aveva intuito un’occhiata di fuoco del suo compagno, il quale, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di essere trattato come se fosse stato un oggetto, come una cosa che gli appartenesse.. e che non riusciva forse neppure ad intuire l’orgoglio di Jean Paul nel mostrare un simile tesoro, un simile gioiello incastonato alla corona del suo capo.
Perché Pietro era suo. Lui l’adorava, ed era suo. Di nessun altro. E in quel pensiero c’era senso di possesso, brama, desiderio e orgoglio. Uno sconfinato, assoluto orgoglio. Che sembrava stupido, a volte, perché Jean Paul non era mai stato uno di quelli che tendevano a sottovalutarsi, anzi, ma non riusciva, trovandoselo così al fianco, in certi istanti, in cui la cosa lo coglieva quasi alla sprovvista, a impedire al proprio cuore di battere come un pazzo al pensiero che uno come Pietro aveva scelto lui.
Lui. Pietro aveva scelto lui.
Lui: l’atleta olimpico, l’esperto assoluto di mercati e transazioni azionarie, ricco e famoso, omaggiato e idolatrato da stampa e tv, scrittore di libri, a cui avevano anche domandato di girare dei serial, dei film, quello che aveva avuto manciate e manciate di amanti, e che non doveva faticare per trovarne altrettanti nel giro di un respiro. Lui: un eroe canadese, un mutante, uno degli X-Men, un’icona gay che gli USA amavano follemente e che pagavano profumatamente per qualunque cosa avesse fatto, perché riuscivano sempre a tramutarlo in notizia sensazionale, in moda, in ossessione.
Lui: solo un idiota lo avrebbe rifiutato.
Eppure..
Jean Paul aveva anche cessato di stupirsi della stanca indifferenza con cui, troppo spesso, si trovava ad osservare, in determinate ore delle giornate, certe cose, certi *capolavori*, perché il desiderio spingeva verso altre mete, e nel cervello si formavano mille immagini di stanze stracariche di candele profumate accese, che ardevano bruciando oli essenziali, e bastoncini di incensi, rendendo l’aria satura e sensuale, e la consistenza di stoffe che, sulle stoffe, si intrecciavano, sfiorando la sua pelle così bianca, così esausta dopo una giornata di cammino, e di occhi riempiti di meraviglie e di ricordi, o di scoperte.
E lì, in quel paradiso da loro creato: scoprirsi il desiderio di fare a pezzi, strappandola, la maglietta preferita di Pietro, una stupidissima maglietta nera, come se davvero potesse esistere nell’*universo* qualcosa che potesse interessargli di più che non Jean Paul. La stoffa sotto le dita, morbida, che cedeva, agli strattoni, era un orgasmo strappato dal silenzio delle candele accese, e uno scintillio nuovo acceso sul fondo dello sguardo di Pietro.
Sorridere: e mangiarlo. Possederlo.
Era pazzia, lungo la Senna, fermarsi di fronte a mille e mille pittori e comprare non una delle ennesime croste lì proposte, ma un pennello.
Crema al cioccolato, addosso, strani arabeschi dipinti con l’ausilio delle setole che sfioravano la pelle, che ne lasciavano il segno, che rendevano ancor più bello quel corpo bianco come alabastro e prezioso. Pietro che rispondeva ad ogni minimo stimolo ed era pazzo dal piacere dopo due secondi, anche se era consapevole che quella tortura sarebbe durata, ancora e ancora.
Le fragole comprate al supermercato sulla strada per tornare all’albergo, strizzarne il succo per arrossargli i capezzoli, e il loro profumo a mischiarsi a quello del cioccolato e rendere entrambi ebbri. Di sensazioni, di tocchi, di sfioramenti. E la pelle non era ancora arrivata a toccare la pelle.
Lo vedeva, Jean Paul, contorcersi sotto la punta delle sue dita, gli occhi chiusi appena, le ciglia tremolanti di un piacere che non riusciva a ficcarsi nei polmoni, che lo faceva soffocare, ma di cui era grato.
Un disegno, sottile, di volute che riprendevano anse di cioccolato fuso, seguendo la traccia decisa e densa del pennello, a volte la lingua, leggera, cancellava gli errori e allora, il corpo sotto di loro, tela non troppo tranquilla, gemeva e si tendeva.
Il rosso delle fragole fra le labbra, che masticava, il succo che gli colava dal mento.
Le due piccole, perfette macchie rosse che erano i suoi capezzoli.
Il tempo: non aveva importanza.
Avevano l’eternità ad attenderli: potevano vivere ogni stante come se non fosse nulla e, insieme, conchiudesse in se stesso, l’Inizio e la Fine.
Pietro non aveva mai saputo che il piacere potesse essere un affare tanto estenuante, e Jean Paul non aveva mai trovato la persona giusta, recettiva, adatta a tutto quello. Controllavano entrambi il proprio scorrere del tempo, e avevano imparato a farlo.
Stavano imparando a farlo.
Erano mutanti.
Ma non avevano più testa, non c’era più altro, oltre loro due, il loro desiderio che diveniva uno solo, che si avvolgeva uno all’altro, e si avvinghiava e ci si perdeva, divenendo tutto.
Forse questo era essere mutanti?
Le mani impastate di cioccolato, lente ed estenuanti, ripercorrevano disegni già percorsi, e il corpo di Pietro che tremava e gemeva, torcendosi, ma senza raggiungere altro che piacere, altro piacere che non bastava ancora per farlo esplodere: troppa lentezza, o forse i ‘punti’ giusti, o forse il profumo che si mischiava all’aroma e alla sensazione tattile, e alle microscopiche pressioni, le idee che sbiadivano e si sfaldavano, e..
Piacere. Solo piacere: costruito in mille modi, in mille situazioni, in miliardi di maniere, utilizzando il tempo come un argomento che potesse essere variato da loro, a piacimento.
Avere un orgasmo su una terrazza nel cuore di Roma, in uno dei numerosissimi bed and breackfast della città gestito da suore, con sopra un cielo che non sembrava affatto quello di una metropoli, e sotto, attorno, tutto il fascino di quattro millenni di storia che parvero si stessero tutti concentrando lì, per loro. Su di loro.
La camera dietro il Moulin Rouge a Parigi, dove c’era stato il cioccolato, il pennello, e le fragole. Jean Paul le aveva morse, assaporate, inghiottite mentre Pietro lottava, senza forza, contro un orgasmo che era lì, che doveva venire, perché tutto era stato fatto perché questo accadesse.
Stringersi con forza in un angolo di una delle incredibili torri gotiche del duomo di Colonia, così alte da perderci al testa, e l’equilibrio, e avere la sensazione, così, di possedere tutto, ogni cosa, come se tutto, lassù fosse a portata di mano: costruito, voluto, necessario.
Vienna: seduti in un caffè, un dito affondato nella crema del pezzo di torta lasciato davanti, e labbra rosa, affamate, a richiedere il loro scotto, tra sguardi che non avevano senso, che scivolavano addosso come acqua corrente. E Pietro rideva.
E Jean Paul sentiva il cuore riempirsi anche solo per quello.. per una mano a stringere la sua, lungo la prospettiva Nevski, o le stradine tortuose dell’anticha Praga. Passi leggeri che seguivano i suoi, o che forse, erano davanti a lui ma non importava molto: era lì al suo fianco. E gli sorrideva, e lo guardava, e lo desiderava, e tutto ciò che era di torrido e denso tra di loro si scioglieva, e bastava davvero un sorriso pulito di Pietro perché tutto cambiasse, perché il mondo stesso non fosse più un oggetto da utilizzare, ma una cosa vitale, un flusso, un .
Tutto non era più nulla, nello sguardo di Pietro, nel contatto con le sue labbra, la sua pelle. I suoi orgasmi lenti, costruiti con pazienza infinita, calibrati perché divenissero qualcosa di appena simile al dolore, solo un palmo più in qua, solo un attimo prima.
Mai aveva provato sensazioni simili. Non esistevano parole per dirle.
Jean Paul rideva, e lo baciava: “Le ho create per te, Pietro, tutte quante. Per te. Perché godessi come mai hai goduto, perché gemessi come adoro sentirti gemere, perché voglio farti impazzire, perché voglio che tu, senza di me, non possa più vivere.”
In risposta: occhi chiusi, un abbraccio, un sussurro che poteva far tremare un cuore, e silenzio. Il lento fiato di chi recuperi aria come se fosse sul punto di dire qualcosa di definitivo, assoluto.
Ma tutto stemperava, di nuovo, in uno sguardo, e in un sorriso e un tocco, una carezza. Jean Paul tremava, sconvolto com’era, e sapeva, dentro di sé, sapeva bene che se avesse voluto, ora, Pietro, avrebbe potuto fare di lui qualunque cosa volesse. Anche ucciderlo, annientarlo, renderlo meno che nulla, insignificante e .. Pietro sorrideva, gli scivolava accanto. Cercava la sua spalla, le sue braccia in cui avvolgersi, il suo petto sul quale poggiare la fronte, e chiudeva gli occhi.
Un sospiro, prima che il respiro ritornasse regolare.
Nessuna parola, nessuna promessa, nessuna.. Jean Paul era lì, ed era .. felice, più che se qualunque frase fosse stata espressa, più che se fosse stato messo di fronte al più enorme dei giuramenti.
Era vivere il presente, l’istante, il secondo, e plasmarlo, fare di esso uno strumento infinito di piacere. Era quello che era. E la pace di Pietro, il suo avvicinarsi, sfatto, sconvolto, esausto e soddisfatto, la sua fronte addosso, il suo scivolare fra le sue braccia.
Tutto quello, se esisteva, era il Paradiso. Il paradiso in terra.
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“Che succede?!”
Domanda assolutamente inutile, visto che Robert l’avrebbe saputo comunque nel giro di due minuti al massimo, vista la sua abilità nel far capitolare per sfinimento qualunque suo interlocutore. Certo che era strano pure per Bobby trovarsi di fronte, in un limpido, chiarissimo pomeriggio pieno di sole, nella libreria della scuola, seduti civilmente dietro ad un tavolo, il professor Xavier –beh, lui era *difficile* che potesse stare in altro modo oltre che seduto, in effetti- e Logan. Che parlavano.
In maniera civile.
Non urlavano.
Logan non ringhiava.
Non sbuffava.
Non lanciava maledizioni.
E ad annusare bene l’aria, non solo non stava fumando uno di quei suoi soliti malefici e mefitici sigari, ma non ne aveva ancora acceso uno da quando era lì dentro!
Doveva essere davvero grave.
Una invasione aliena? Una sommossa filogovernativa? Un gruppo armato che stava marciando verso la scuola per metterla a ferro e fuoco? L’intero armamentario atomico mondiale che stava per essere sganciato su di loro? Delle spie infiltrate nella scuola pronte al sabotaggio estremo? O..
“Bobby, ti prego!” il professore lo fissò con un’aria dolce, lievemente intenerita, contrappuntata dallo sbuffo non camuffato di Logan.
“Lascialo perdere! – scosse con forza una mano nella sua direzione – E poi non ho altro da dirti. A me sembra una stronzata, lo sai.”
Charles sospirò.
“La tua schiettezza è sempre altamente ammirevole, Logan.”
“E’ per questo che certi discorsi li vieni a fare a me e non ai tuoi adorati pupilli! So che non sei scemo al punto di non sapere le cose che ti dico io, ma a volte sembra proprio che tu abbia bisogno di *sentirtele dire*.”
“Forse hai ragione. – poi si voltò verso Bobby con uno strano sorriso che sembrava essere solo l’immagine tranquillizzante mentre, dentro di sé, nella sua testa, chissà che pensieri tempestosi si accavallavano l’uno all’altro. - Robert?”
Bobby tentennò, scuotendo il capo.
“Presumo che non fosse nulla di importante.”
“Presumi.”
“Già.”
Silenzio, poi un sospiro. Vide Logan muoversi, e allontanarsi verso la porta. Bobby si strinse nelle spalle e lo seguì, tranquillo, finché: “Bobby?”
“Sì, Prof?”
“Sei proprio assolutamente certo che se tu ora non mi dirai nulla, io, domani non mi troverò impigliato in qualche disastro che, in qualche modo, sei riuscito a creare tutto da solo nel giro di una notte?”
Robert provò un atteggiamento offeso, ma non vi riuscì. Rise.
“Andiamo, prof! Non sono così bravo! Una notte è troppo poca!”
Xavier annuì, sospirando quello che sembrava un sorriso un po’ più convinto, e per Bobby bastava.
Quando si chiuse la porta alle spalle si stupì nel trovare Logan appoggiato al muro, poco distante, mentre si accendeva il suo dannato sigaro. Lo stava aspettando, e Bobby in tutta sincerità non ne conosceva il motivo. Non riusciva neppure lontanamente ad immaginare perché Wolverine dovesse parlare a lui di cose serie.. oh, sì, perché con quella faccia Logan era sul punto di fare una predica coi fiocchi, o di saltare alla gola di qualcuno. Non avendo compiuto misfatti tali da meritarsi una punizione simile, Bobby si ritrovò lievemente sollevato: forse ne sarebbe uscito vivo.
Si schiarì la voce passandosi una mano fra i capelli.
“Che c’è Logan? E’ successo qualcosa di.. grave?”
“Grave? No, non grave. Qualcosa di stupido.”
Un po’ d’ansia gli serpeggiò nello stomaco ma fece finta di nulla.
“In effetti è strano che tu e Chuck vi facciate beccare a chiacchierare così amabilmente.”
“Non era ‘amabilmente’. Che effetto ti farebbe sapere che stanno pensando di domandare a Pietro di unirsi agli X Men?”
Bobby deglutì un paio di volte prima di rispondere. La prima cosa che gli era venuta in mente: ‘ma non è già un X-Men, visto che dormirà qui?’ non gli parve intelligente. Per non pensare a ‘sta insieme a JP, che è un X-Men. Non è una cosa che si passa con i legami famigliari?’!
“Mh.. anche se fosse? Ci sarebbero dei problemi? Non per offendere, Logan, ma nell’ultimo periodo stiamo aprendo le porte a *chiunque*. Pietro non è neppure il peggiore che ci sarebbe potuto capitare.”
Lo sguardo di Logan si fece lievemente assassino, ma non aggiunse altro. Una nuvola di fumo puzzolente, come risposta, per lui, solitamente era sufficiente.
Ma Bobby, che non era famoso per niente, nella scuola, per la sua testardaggine, non demorse.
“E allora qual è la cosa stupida?”
Questa volta Logan rise.
“Ma dimmi un po’, tu te li vedi *davvero* Scott e Pietro lavorare insieme?!”
___ CONTINUA..