Luce
di Naika
***
Qual’è il segreto di una Stella? ***
“Che... che cosa...?”
boccheggiò Hanamichi gli occhi spalancati dall’incredulità.
“Ti amo...” ripetè
piano Rukawa lo sguardo blu, fisso nel suo, piantato in quegli occhi dalla
cui risposta sarebbe dipesa la sua felicità.
Era rimasto ad
osservare in silenzio per lungo, lunghissimo, tempo.
Aveva aspettato i segni
di quel cambiamento che sembrava stare avvenendo tra loro.
Quei due passaggi
durante la partita con il Sannoh.
Le parole non dette
negli sguardi che si erano lanciati su quella spiaggia, ormai lontana,
durante tutto il periodo della sua riabilitazione.
E ora cominciava un
nuovo anno scolastico.
Erano maturati
entrambi.
Erano cresciuti.
Erano cambiati.
E Kaede aveva deciso di
prendere il coraggio a due mani e dirglielo.
Togliersi quel peso che
aveva infondo al cuore da troppo tempo ormai.
Gli aveva chiesto di
raggiungerlo sulla terrazza.
Il primo giorno di
scuola.
Un nuovo anno.
Sarebbe stato anche un
nuovo inizio?
Strinse i pugni
attendendo, senza abbassare lo sguardo, senza distoglierlo dal suo.
Ma su quel viso
volitivo non c’era la risposta che attendeva.
C’era confusione.
Stupore.
E paura.
Il vento scosse i loro
capelli, sospinse le divise facendole svolazzare, unico movimento in quell’attimo
di interminabile immobilità.
“Rukawa io...” mormorò
piano Sakuragi scacciando i capelli rossi, indietro, con una mano.
Rifiutare.
Lui che era sempre
stato rifiutato.
Sapeva il dolore che
dava e inconsciamente non aveva il coraggio di porre termine alla sua frase.
Non voleva fargli del
male.
Non voleva ferire il
suo nemico.
Sarebbe stato un
controsenso per i più.
Ma non per lui.
Perchè Rukawa non era
semplicemente il suo antagonista.
Era il suo stimolo.
La sua sfida.
Il suo obbiettivo da
raggiungere e superare.
Era la forza della
determinazione che lo spingeva avanti, fuori da un passato che lo avrebbe
portato nel buio.
Rukawa era la sua
Stella.
Quella da raggiungere
per assaporare finalmente il calore.
La gioia.
La felicità.
Quella vera.
Rukawa era la fine.
E sarebbe stato il
punto per un nuovo, splendente, inizio.
Ma era anche
l’amore?
Hanamichi scosse il
capo scacciando l’ultimo pensiero.
“Mi dispiace Rukawa io
non...” ancora una volta le parole gli morirono.
Il volpino scosse il
capo piano, abbassando lo sguardo “Capisco...” sussurrò.
“Mi dispiace...” ripetè
flebilmente il rossino abbassando a sua volta il viso.
Gli veniva da piangere
anche se era assurdo.
Non era lui quello
ferito.
Il silenzio li avvolse
pesante e immobile prima di spezzarsi al suono del lungo, profondo, respiro
di Rukawa.
Il moretto sollevò
nuovamente lo sguardo avvicinandosi a lui.
“Non volevo metterti in
questa situazione...” mormorò piano.
E Hanamichi sollevò il
capo fissandolo.
Lo sguardo blu era
limpido e deciso.
C’era dolore in quegli
occhi azzurri ma non per questo essi perdevano la loro forza.
La loro determinazione.
Si chiese per un
interminabile istante come sarebbe stato leggervi dentro felicità.
Attirato da quelle due
polle d’acqua limpida, inconsciamente, si sporse verso di lui.
Un gesto dettato da
qualcosa che la sua mente non riusciva a comprendere.
Qualcosa che il suo
cuore ancora non riusciva ad esprimere.
Mosso dall’istinto di
un’anima che cerca l’altra metà.
“Hana non farlo...”
ansimò Rukawa senza tuttavia riuscire a spostarsi “...non farlo solo per
pietà...” mormorò fraintendendo il suo gesto.
“Non è pietà...” fu la
debole risposta.
Solo un soffio.
Un respiro caldo sulla
pelle candida delle guance del volpino prima che, con un rantolo disperato,
il moretto lo attirasse a sè e lo baciasse.
Hanamichi lasciò che
quelle labbra morbide accarezzassero le sue.
Lasciò che quella
lingua calda violasse la sua bocca.
Sollevò le braccia e
gli cinse le spalle, si strinse a lui assaggiando il suo calore, la sua
forza, abbeverandosi alla sua luce.
Per lunghi attimi
d’eternità, con il vento attorno a loro e nessun altro testimone che il
silenzio.
Si staccarono
lentamente, fissandosi negli occhi alla ricerca di risposte trovando
soltanto altrettante domande.
“Hana...” a malapena un
sussurrò impastato ancora del suo sapore.
Il rossino sollevò una
mano sfiorandosi le labbra gonfie.
“Dammi tempo Kaede...”
sussurrò “...solo un po’ di tempo per capire...” mormorò voltandogli le
spalle e scappando letteralmente dalla terrazza.
Se si fosse voltato,
una volta ancora, avrebbe avuto la risposta alla sua curiosità:
Gli occhi di Rukawa,
quando era felice, divenivano azzurri e limpidi con quel cielo che era stato
loro complice.
Hanamichi non ritornò
in classe.
Scese le scale correndo
e continuò a correre finchè non giunse in strada e poi da lì al parco.
Passò tutto il
pomeriggio seduto sul cemento di quel campetto dove tante volte si era
allenato con LEI, a pensare.
Pensare a quello che
aveva creduto amore e si era dimostrato solo amicizia.
A quello che aveva
sempre identificato come odio e che ora si rivelava...
...amore?
Non riusciva a trovare
risposte nella sua testa mentre le sue dita inconsciamente ripercorrevano il
tracciato delle sue labbra.
L’amava?
Amava Rukawa?
Quando lui si era
dichiarato che cosa aveva provato?
Stupore.
Ammirazione
per il suo coraggio.
Paura
per ciò che sott’intendeva quella sua affermazione.
Diverso.
Aveva passato tutta la
sua vita a cercare l’accettazione di quel mondo che sembrava non volerlo.
Aveva concentrato tutti
i suoi sforzi nella ricerca del rispetto degli altri.
E ora.
Amare Rukawa avrebbe
significato distruggere tutto.
Abbattere e
ricominciare.
Ancora una volta da
capo.
E questa volta sarebbe
stato ancora più difficile.
Ancora più complicato.
Poteva farcela?
Voleva provarci?
Voleva davvero
rischiare tutto per lui?
Per il suo nemico?
Per quella sua luce
bianca?
Candida.
All’apparenza fredda
eppure così luminosa e pura?
Aveva la forza di stare
al fianco di una Stella?
“Hana! che ci fai qui,
hai saltato le lezioni?” la voce di Yohei lo fece sobbalzare violentemente.
Sollevò il capo
fissando l’amico, notando che aveva la cartella gettata su una spalla e la
divisa slacciata.
“Se è per questo le hai
saltate anche tu!!” disse con una scossa di spalle noncurante.
Mito sollevò un
sopracciglio sorpreso prima di alzare il polso per mostrargli l’orologio e
Hanamichi boccheggiò incredulo.
Aveva passato tutta la
mattina a pensare a Rukawa!!
Mito non aveva saltato
le lezioni, le lezioni erano terminate da un pezzo ormai!!!
“Hana si può sapere che
è successo?” gli chiese dolcemente il moretto sedendosi al suo fianco.
Sakuragi sospirò
lanciando uno sguardo all’amico.
Sapeva di potersi
fidare.
Però dare voce ai suoi
dubbi era come accettare la verità di una parte di essi.
Perchè ci stava a
pensare così tanto?
Non avrebbe dovuto
essere tutto certo e chiaro?
Rukawa era un maschio.
Lui era un maschio.
Fine di ogni
discussione.
Però...
Però c’era il calore
delle sue labbra.
La forza del suo
sguardo.
Il tocco leggero delle
sue mani.
“Yohei non so cosa
fare!!” ansimò sprofondando il volto tra le mani.
“Comincia
dall’inizio...” mormorò il moretto posandogli una mano sulla spalla.
E Hanamichi gli
raccontò di quella mattina, della discussione con Rukawa, di quel bacio a
cui, lui stesso, aveva dato l’avvio.
Yohei rimase in
silenzio, in ascolto, confortandolo con la sua sola presenza finchè il
ragazzo non terminò il suo racconto.
“Hana...” mormorò
posandogli una mano sotto il mento per fargli sollevare il volto “..che cosa
proveresti se Rukawa morisse?”
Il rossino sbarrò gli
occhi senza capire.
Che cosa c’entrava con
i suoi dubbi?
Rukawa era vivo e stava
fin troppo bene!!
Non riusciva nemmeno ad
immaginarsi che cosa avrebbe provato nel saperlo ferito...
O peggio... morto.
Scosse il capo con
forza allontanando quel pensiero e l’angoscia che portava.
I polmoni faticavano
quasi ad incamerare l’aria e il cuore...
...il cuore gli faceva
un male tremendo.
Yohei lo vide
impallidire.
Lo vide socchiudere le
labbra alla ricerca d’aria e portare una mano al petto.
Lì dov’erano tutte le
risposte.
Lì dove avrebbe trovato
la forza per affrontare la consapevolezza che sarebbe giunta con esse.
“Guardati Hana...”
mormorò dolcemente.
Il rossino strinse con
forza la maglia all’altezza del cuore e scosse il capo lentamente.
Do’aho.
Esattamente come lo
chiamava la sua volpe.
Un pianeta non
sopravvive senza la sua Stella.
Se Rukawa fosse morto
anche lui si sarebbe spento.
Lo seppe con la
dolorosa violenza del sussulto che gli aveva trafitto il cuore
nell’immaginare quell’eventualità.
Quelle risposte.
Quel tassello che
sembrava mancare sempre nella sua vita ora era andato al suo posto.
Ora sapeva la mancanza
di che cosa l’aveva spinto nella sua forsennata ricerca di un obbiettivo.
Ora sapeva perchè
cercava così disperatamente di raggiungere il volpino.
Tutte le loro sfide.
La rabbia per la sua
indifferenza.
Il bisogno della sua
attenzione.
Ora sapeva perchè
quando gli stava vicino in un modo o nell’altro aveva l’impressione di aver
in qualche modo completato quel puzzle caotico che era la sua vita.
Balzò in piedi e
sorrise all’amico.
Non vi fu bisogno di
parole.
Solo un veloce scambio
di sguardi prima che Hanamichi si lanciasse verso l’uscita del parco.
Se correva sarebbe
giunto in palestra in tempo per la fine degli allenamenti.
In tempo per dargli la
sua risposta.
Non avrebbero perso più
nemmeno un secondo.
Avrebbe raggiunto la
Stella.
La sua luce.
Finalmente.
Dopo tanto dolore.
Dopo tanta sofferenza e
affanno.
Dopo aver lottato così
a lungo.
Yohei si alzò,
spazzolandosi la divisa, deciso a ritornarsene a casa mentre un sorriso
leggero gli incurvava le labbra quando poco distante udì quel suono.
Stridente.
Forte.
Così in contrasto con
il sole tiepido e il cinguettio dei passeri del parco.
Sentì distintamente la
consapevolezza spezzare la sua anima.
Lacerare il suo petto
strappandogli il respiro.
Ma non poteva
accettare.
Non poteva credere ad
un destino tanto beffardo.
Non poteva.
Finchè non vide.
L’auto di traverso
sulla strada.
Le persone accorse.
E il corpo accasciato
sul cemento.
“Hana!” gridò con
quanto fiato aveva in gola precipitandosi accanto all’amico mentre il
guidatore, immobile all’interno dell’auto fissava davanti a se, sotto shock.
“Yo...” ansimò, senza
fiato il rossino.
“Hana...” ripetè piano
Yohei incapace di pensare a nulla, tremando, senza il coraggio di allungare
una mano per toccarlo.
C’era sangue.
Sangue ovunque.
Hanamichi tese una mano
con uno sforzo enorme, verso l’amico che la prese delicatamente tra le sue.
“Chiamate
un’ambulanza!!!” gridò colmo di terrore ed impotenza mentre i curiosi si
affollavano attorno a loro.
“Yohei..” sussurrò
piano Hanamichi, attirando l’attenzione del moretto con una debole pressione
sulla sua mano.
“Hana non parlare...”
sussurrò il ragazzo con le lacrime agli occhi ma Sakuragi strinse nuovamente
la sua mano con tutta la forza che aveva.
“Yohei... Kaede...”
sussurrò piano “Kaede... non lo deve sapere... ti prego non... lui.. non...”
le forze gli mancarono e il ragazzo chiuse gli occhi lasciando la presa
sulla mano dell’amico.
“Hana... Hana no, no,
ti supplico, non farmi questo...” singhiozzò spaventato il moretto.
“Hana apri gli
occhi...”
“Hana ti prego..”
“Hana...”
Lontano, le sirene
dell’ambulanza facevano eco al suo dolore, cercando di farsi spazio tra il
traffico congestionato.
......
Yohei osservava
l’incontro in silenzio.
Lo Shohoku stava
perdendo.
Nonostante Rukawa
avesse segnato punti su punti.
Sembrava bruciare tant’era
la foga e la rabbia che metteva in ogni azione.
Eppure i suoi occhi
erano spenti.
Nessuna luce animava
quei due pozzi blu, resi ancora scuri sulla pelle più pallida del solito,
cerchiati dalle occhiaie sottili.
Anche il resto della
squadra giocava in modo rabbioso e scoordinato.
Sembravano ognuno perso
nei propri pensieri.
Scosse il capo
affondando il volto tra le mani mentre l’arbitro segnava la fine
dell’incontro e la squadra avversaria esultava.
Rukawa uscì dalla
palestra senza salutare nessuno sbattendosi la porta alle spalle mentre
Mitsui lanciava un’imprecazione rabbiosa, tirando un calcio alla panchina.
Erano tutti arrabbiati.
Si sentivano traditi.
Yohei non aveva avuto
il coraggio di parlare con loro.
Era andato da Anzai e
gli aveva ripetuto con voce spenta ciò che il medico gli aveva riferito,
solo pochi giorni prima.
Coma.
Una parola così
piccola, una sentenza così pesante.
Si alzò stancamente
seguendo la folla che usciva dal palazzetto, trascinandosi a fatica verso
gli spogliatoi.
Quel mattino il medico
curante di Hanamichi aveva chiamato lui e suo padre, tutore del rossino dopo
la morte dei genitori naturali del ragazzo.
Le sue erano state
poche, atone, parole.
“Morte cerebrale. Vi
chiediamo di acconsentire allo spegnimento dei macchinari, tenerlo in vita
così non ha senso..” aveva detto loro mentre Yohei lo fissava con gli occhi
sbarrati, immobile, incredulo.
“NO!!!” l’aveva gridato
con tutto il fiato che aveva in gola, avventandosi contro il medico con
rabbia cieca.
L’aveva colpito perchè
era un bugiardo.
Aveva picchiato suo
padre perchè era un complice di quell’assassino che si faceva passare per
medico.
Aveva urlato.
Con tutto il fiato che
aveva in gola.
Non potevano voler già
arrendersi!
Non era vero che non
c’era più niente da fare.
Non poteva essere
vero!!
Ma alla fine aveva
dovuto accettare la realtà.
Quell’assurda, beffarda
realtà.
Hanamichi, il suo
piccolo grande Hanamichi....
Aveva chiesto al medico
ancora un paio di giorni, il tempo di dirlo a loro.
Di concedere l’ultimo
saluto.
Perchè nonostante la
promessa fatta ad Hanamichi...
Nonostante sapesse che
il suo amico cercava solo di proteggere il suo amato da un dolore che aveva
conosciuto fin troppo bene...
... non poteva
permettere che se ne andasse lasciando solo rabbia e amarezza.
Rukawa s’infilò sotto
la doccia, lasciando che l’acqua calda gli frustasse il corpo.
Era stremato ma non era
servito a niente.
Kogure non era riuscito
a rimpiazzare Sakuragi in modo degno.
Ma dare la colpa al
senpai non era del tutto corretto.
Tutti loro avevano
giocato in maniera pietosa.
Ed era solo la prima
partita senza Hanamichi.
Hanamichi.
Nei suoi pensieri lo
chiamava per nome.
Quel traditore codardo!
Era fuggito.
Dammi del tempo per
capire, gli aveva detto... ed era scomparso!!
Senza una parola.
Senza un saluto o una
spiegazione.
Senza riguardo per i
suoi sentimenti!
Anzai aveva detto loro
che aveva dovuto trasferirsi con il padre, per lavoro.
Ma ciò non toglieva che
non li aveva nemmeno salutati!!
Eppure aveva i loro
numeri di telefono.
E poi se sapeva di
dover partire perchè non aveva detto loro nulla.
E soprattutto: perchè
l’aveva baciato?
L’aveva preso in giro?
Compatito?
La rabbia e il dolore
dentro di lui avevano quasi la stessa forza.
Sentì la porta dello
spogliatoio sbattere e gli altri entrare.
Nonostante Anzai avesse
represso molto duramente qualsiasi loro acido commento sull’abbandono di
Hanamichi nessuno dei titolari era ancora riuscito a farsi una ragione di
ciò che era accaduto.
Rukawa uscì dalla
doccia senza guardare in faccia nessuno, cominciando a vestirsi.
Poco dopo fu raggiunto
da un Mistui scuro in volto.
La tensione era
palpabile e il silenzio irreale.
Il volpino ormai
vestito si alzò dirigendosi verso la porta quando questa si aprì da sola
rivelando una figura conosciuta.
“Che cosa vuoi?”
ringhiò Mitsui cupo.
Yohei era pallido e
stanco.
Le sue occhiaie erano
profonde e cupe tanto che la rabbia di Hisashi si quietò un poco
nell’osservare il suo stato.
“Devo parlarvi di
Hana..” mormorò piano.
“Tzè!” sbottò Rukawa
cercando di scavalcarlo per uscire dallo spogliatoio ma Yohei gli bloccò la
strada con sguardo duro.
“Vattene, non ce ne
frega niente di quello stronzo che ci ha mollato giusto prima dei
campionati!” ringhiò Ryota che più degli altri si era considerato un amico
per il rossino e che quindi, più degli altri era rimasto ferito dal suo
comportamento.
“Se n’è andato con suo
padre che altro c’è da sapere!” sbottò Mitsui voltandogli le spalle,
riprendendo a cambiarsi.
“Hanamichi non ha più
suo padre...”
Il sussurrò di Yohei
cristallizzò l’aria dello spogliatoio.
“Co.. come?” mormorò
piano Kogure senza capire e Mito si accasciò su una panca libera, scuotendo
piano il capo.
“Il padre di Hanamichi
morì quando lui aveva quattordici anni, a causa di un infarto...” spiegò a
mezza voce.
Rukawa lo fissava senza
capire.
Eppure Anzai aveva
detto loro che...
“Ma allora con chi è
partito?” chiese Mitsui dando voce alle sue domande.
Yohei si coprì il volto
con le mani e il volpino, che era il più vicino tra loro, udì chiaramente il
singhiozzo che il moretto aveva tentato di soffocare tra esse.
“No...” ansimò piano,
gli occhi sbarrati.
Mito sollevò il capo
mostrando il volto sconvolto dal dolore, gli occhi lucidi di lacrime
silenziose che scivolavano lungo le sue guance.
“Tre settimane fa Hana
è stato investito da un auto...” sussurrò “...ed è andato in coma.”
“NO!” il gridò di
Rukawa lo fece sussultare ma non ebbe tempo di muoversi che il volpino lo
aveva afferrato per le spalle scuotendolo con forza.
“Non è vero!” gridò ma
Yohei si liberò dalla sua presa con uno strattone “E’ la verità!” gli urlò
conto, con tutta la rabbia che aveva ancora dentro, la sua stessa
rabbia.
“E’ la maledetta
verità...” sussurrò a fatica.
“Pe.. perchè ce lo dici
solo ora...” sussurrò Akagi incredulo.
Yohei lanciò uno
sguardo a Rukawa che ora era immobile, a pochi passi da lui.
“Domani spegneranno le
macchine che lo tengono in vita...”
Poche parole
fuoriuscite a stento dalle labbra pallide.
Eppure Rukawa le sentì
esplodere nella sua testa come cannonate.
“No...” ansimò piano
“No!!No!!No!! Non l’accetto!!!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola
prima di spalancare la porta e scappare dallo spogliatoio.
Voleva andare lontano.
Lontano da quelle
parole.
Lontano dalla loro
verità.
Lontano da quel dolore
che sentiva nell’anima.
Per il momento
l’incredulità o forse la follia tenevano la paura sepolta infondo al suo
cuore.
Ma quando avesse
davvero compreso...
Quando avrebbe
capito...
“No!!!!”
Lo gridò al vento e al
mare con tutta la forza della disperazione che aveva in corpo prima di
accasciarsi sulla spiaggia, svuotato.
“No....” sussurrò
mentre la sabbia chiara sotto di lui si macchiava di piccole goccioline
salate.
....
“Non è venuto..”
mormorò piano Kogure lanciando uno sguardo al corridoio spoglio.
Ayako sedeva poco
lontano, appoggiata alla spalla di Ryota che non cercava nemmeno di
nascondere le lacrime.
Il medico appoggiò
delicatamente una mano sulla spalla di un Yohei sempre più stanco e provato.
“Signor Mito..” mormorò
piano e il moretto lanciò un’ultima occhiata al ragazzo immobile sul piccolo
letto bianco.
“Addio Hana...”
sussurrò, sfiorandogli una mano con la sua prima di volgersi verso il medico
e fargli un cenno d’assenso.
“Mi dispiace che non
hai potuto salutare Kaede..” ansimò, la voce spezzata dal respiro che andava
nuovamente inframmezzandosi al pianto.
Quante lacrime può
versare un uomo?
Erano giorni che si
ritrovava le guance umide e non riusciva a fare niente per trattenere quel
dolore cocente che gli scivolava sul viso in silenzio.
Il trambusto in
corridoio lo riscosse di scatto, la sua mano, dotata quasi di volontà
propria, saettò verso il polso del medico, artigliandoglielo.
“Aspetti!” mormorò
nello stesso momento in cui Rukawa piombava nella stanza.
Aveva solo vagamente
l’aspetto del risoluto asso dello Shohoku che tutti conoscevano.
I suoi abiti erano
bagnati, stropicciati, sporchi di sabbia.
Il suo viso era scavato
e pallido, gli occhi due pozzi neri, segnati dal dolore e dal pianto.
Lo sguardo vuoto del
moretto li passò come se fossero trasparenti, posandosi sul ragazzo riverso
sul letto, le braccia segnate dai tubi trasparenti, il cono di plastica del
respiratore a coprirgli naso e bocca.
Si avvicinò al letto
barcollando a fatica, cadendo in ginocchio accanto al giaciglio del rossino
quasi non avesse la forza di trascinarsi fino a lì.
Di accettare ciò che
quel luogo comportava per lui.
Per il ragazzo che vi
giaceva immobile.
In silenzio.
Lui, che in silenzio
non c’era stato mai.
Il medico lo osservò
per un momento e poi scosse il capo “Lasciamoli soli” sussurrò prima di
sospingere delicatamente Yohei fuori della stanza.
....
Pow Yohei
Non so che cosa gli
abbia detto Rukawa.
Forse l’ha solo
sfiorato con quello sguardo affranto di chi accarezza i frammenti di un
delicato cristallo finito in pezzi.
Forse l’ha solo baciato
per l’ultima volta.
Forse non ha fatto
niente, non ha detto niente.
Non lo so.
Però quando il medico è
tornato per spegnere la macchina c’era qualcosa di diverso.
Non in Hana.
No.
Lui era immobile,
freddo e vuoto come sempre.
Però nella stanza...
Era più calda.
Un dolce tepore dorato.
Ecco come lo definirei.
Era tutto così...
luminoso.
Luce.
Sì, bianca candida,
pura e innocente.
Forse i miei sono i
vaneggiamenti di un ragazzo che ha perso il suo migliore amico, praticamente
un fratello però...
Però era come se
l’anima di Hanamichi ci avvolgesse nel suo abbraccio gentile, in quella
stanza.
Finalmente libera
dall’agonia che la teneva ancora qui.
Forse attendeva solo di
poterlo salutare prima di andare.
Sorrido tra me e me,
dolcemente.
Tipico di Hana.
Mi ha fatto promettere
di non dire nulla a Kaede per non farlo soffrire e poi e rimasto ad
aspettare in silenzio per poterlo salutare un’ultima volta.
Per potergli sussurrare
quel “Ti amo” che non sarebbe mai uscito dalle sue labbra ma che si poteva
respirare in quella luce bianca e profumata.
Era già morto.
Non è stato necessario
spegnere i macchinari.
Nessun boia ha messo
fine alla sua esistenza.
Nessun carnefice ha
portato il peso della sua morte.
Hanamichi conosce bene
il dolore di chi spegne una vita, se l’è sempre portato appresso,
colpevolizzandosi, per la morte di sua madre prima e di suo padre poi.
Sai Hana, non ho più
visto Rukawa.
E’ partito per
l’america il giorno dopo.
Pare che suo padre gli
avesse da tempo dato la possibilità di farlo ma lui avesse sempre rifiutato.
Quando il medico ha
aperto la porta della stanza dove li avevamo lasciati soli lui si era già
alzato e stava venendo verso di noi.
Non ha salutato.
Non si è voltato
nemmeno una volta.
Perchè, io lo so, non
stava lasciando nessuno.
In quella stanza non
era rimasto che uno scrigno vuoto.
La tua anima è andata
con lui.
Ti sei fuso in quella
Luce che avevi tanto cercato, vero Hana?
L’ho capito.
L’ho compreso quando ho
visto nei suoi occhi, nel momento in cui mi è passato accanto, una nuova
forza.
Una scintilla d’oro
lucente nelle sue iridi blu.
La sigla del
telegiornale mi riscuote dai miei pensieri.
Ecco, sta cominciando.
Trasmettono
l’intervista agli astri nascenti della pallacanestro americana e dopo un
paio di giocatori che non conosco...
Ecco... il giornalista
si avvicina ad un ragazzo alto, moro, dalla pelle candida.
“Sembrava impossibile
che un ragazzo giovane e per di più sconosciuto diventasse in così breve
tempo un titolare quotato dell’NBA!” comincia il reporter.
“Mi dica Kaede Rukawa
qual’è il segreto per diventare una stella?”.
“Una stella...” il suo
è appena un sussurro.
“Il segreto di una
stella...” mormora dolcemente e il suo sguardo va oltre l’obbiettivo della
telecamera, si perde lontano, accendendosi d’oro sotto le lampade dei
riflettori.
“Il
segreto di una stella è la Luce...”
E io non posso fare
altro che coprirmi il volto con le mani e lasciare che le lacrime scivolino
silenziose sulle mie guance.
fine....
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