DISCLAMER: Inoue li ha fatti e io li accoppio NOTA: il titolo è quello di una canzone degli Eagles, come testo mi sembrava appropriato, ma non ho voluto fare una song fic vera e propria per non spezzare la trama inserendo le strofe.
Un gigantesco grazie a seika super-maxi-mega-beta! ^*^
Love Will Keep Us Alive
di Gojyina-chan
Kim parcheggiò la Maserati GranTurismo rosso fuoco nel garage sotterraneo. Arrivato all'ascensore schiacciò il pulsante dell'ultimo piano. L'attico che gli aveva procurato la sua efficientissima manager dava su Central Park. Vista magnifica, città piena di vita. Ma ad una persona come lui, fotomodello da più di sei anni, abituato ad avere il meglio, tutto era venuto a noia, persino l'esistenza stessa. Tutto, tranne lui. Avevano appuntamento quella sera: per questo Kim aveva lasciato prima del tempo il cocktail party di un famoso stilista italiano, sua vecchia conoscenza. Quelle feste erano pur sempre incontri di lavoro, un modo per restare nel giro, per trovare ingaggi e nuove amicizie miliardarie; ma Kim aveva altro per la testa. Accese la sua gigantesca televisione al plasma e sorrise debolmente. Lui era già arrivato.
Quel giorno aveva legato i lunghi capelli in una morbida coda, attorno alla fronte spiccava una fascia bianca che contrastava con la sua pelle ambrata. Lo vide posizionarsi al centro del campo, mentre il capitano gli mormorava qualcosa all'orecchio. Negli ultimi tempi non era al massimo della forma, ciò nonostante restava il cardine sul quale poggiava l'intera squadra. Rimbalzi e stoppate erano il suo punto di forza e questo gli permetteva di manovrare a suo piacimento il ritmo delle partite. Maestoso. Ecco cos'era. Uno dei più grandi campioni di basket che l'America avesse mai ospitato. In campo un trascinatore, fuori una persona schiva e poco avvezza ai flash.
Testimonial di vari prodotti quasi sempre legati allo sport. Negli ultimi tempi era stato fotografato un paio di volte con una starletta della televisione.
Kim rimase ipnotizzato dalle sue azioni. Non era al top, ma dava sempre il meglio di sé. Al fischio di inizio, i suoi occhi scuri ardevano sempre come braci incandescenti.
'Cos'è che ti spinge a lottare con tanta foga?'
Se lo chiedeva da anni, ma ancora non era riuscito a darsi una risposta. Si toccò il ginocchio, accarezzandolo distrattamente.
Da ragazzo anche lui aveva vissuto per il basket, prima che un incidente di gioco gli lesionasse i legamenti e... Sbuffò contrariato. Non era il momento per simili pensieri. Doveva guardarlo.
Il rosso, con la maglia numero undici dei Lakers su cui spiccava il nome Cherry, stava compiendo uno dei suoi salti migliori, realizzando poi uno slam dunk che mandò in delirio la folla.
La partita finì di lì a poco e Kim poté così gustarsi la sua intervista, ascoltando quella bella voce che commentava il risultato della gara. Alla fine del programma spense la televisione e si sdraiò sul divano, al buio.
Il mattino seguente, per la prima volta da mesi, si svegliò naturalmente, senza il trillo incessante del cellulare. Quel giorno non aveva impegni di lavoro, ma solo un incontro con la sua manager lì da lui. Con un sonoro sbadigliò fece la doccia e si preparò un caffè, sedendosi sul bel divano color crema.
Bastarono pochi minuti e la sua mente vagò fino a lui e alle immagini della partita della sera prima. Come sempre, fu preso dalla voglia di rivederlo, così andò in camera e prese dal cassetto del comodino un voluminoso fascicolo rosso scuro, che conteneva tutti i ritagli di giornale riguardanti Cherry: dall'inizio della carriera fino all'incontro della sera prima, con tanto di foto pubblicitarie e interviste. Ricordava ogni singola partita, ogni dettaglio. Perso in quell'oceano di immagini, non si rese conto del tempo che passava. Lo squillo del telefono lo fece trasalire violentemente. Infastidito da quell'interruzione andò a rispondere. Era il portiere, che gli comunicava l'arrivo della sua manager. Ripose il suo tesoro ed uscì dalla camera.
Buttato il caffè ormai freddo nel lavandino, andò ad aprire la porta con un sospiro rassegnato.
“Ciao, tutto bene?” trillò la donna entrando, senza aspettarsi una risposta, con il solito passo deciso e prendendo possesso dello spazio circostante.
Il tailleur celeste metteva in risalto i suoi occhi chiari, mentre una massa di riccioli lunghi e ben definiti le incorniciavano il volto.
“...”
“Non è stato carino il tuo comportamento, ieri sera. Ma tanto è inutile parlarne! So che avevi un impegno, però... – parve leggermente in difficoltà, ma si riprese quasi subito e continuò con la solita energia – Ho sistemato la faccenda del profumo MoonSun.” annunciò con un sorriso soddisfatto, mentre andava in cucina a prepararsi un caffè.
“...” “Venerdì prossimo. Sarà un allestimento mitologico. – spiegò la donna – Sono due profumi da uomo: Sun per il giorno, lavoro, appuntamenti, incontri diurni e Moon, per le serate tra amici e appuntamenti galanti. Lo sponsor vuole due modelli che impersonino Artemide e Apollo e...” “Tsk! Che fantasia!” sbuffò il suo assistito.
“La smetterai di essere così indifferente e caustico quando ti dirò chi sarà il co-protagonista del servizio fotografico.” sussurrò senza voltarsi.
“...?” “Ci sono tanti tipi di droga e tu hai solo cambiato marca.” sbuffò, decidendosi finalmente a guardarlo in faccia. “Aya...” la ammonì il fotomodello, sedendosi pesantemente sul divano. Avevano affrontato quel discorso almeno un centinaio di volte.
Dopo l'incidente che stroncò la sua carriera sportiva, alla fine del terzo anno di liceo, Kim sprofondò in uno stato di profonda depressione che però durò pochissimo, grazie all'energica amica che riuscì a procurargli il primo ingaggio. Con il suo bell'aspetto fu semplice per Kim diventare uno dei modelli più richiesti del mondo. Ma quella fama, ottenuta solo grazie all'aspetto fisico, un regalo, come lo definiva lui, non riuscì a compensare la sua perdita, portandolo così ad affogare il dolore nella cocaina. Ma dopo un anno, quando persino la sua manager aveva iniziato a disperare, avvenne il miracolo.
L'incontro.
Una sera di primavera, facendo zapping tra i canali satellitari, Kim vide lui e tutta la forza e la determinazione che aveva smesso di ascoltare iniziò nuovamente a ruggirgli nelle vene. Spronato dalle sue gesta sportive, si prese tre mesi di pausa, ufficialmente chiamata vacanza, e si disintossicò. Completamente da solo. Solo, ma con gli occhi scuri di Cherry nella mente. Da quel giorno in poi, non smise mai di seguire la sua carriera. La manager lo prendeva spesso in giro, dicendo che era divento dipendente da...
“HN?!” tuonò il modello, voltandosi di scatto verso la donna, che lo guardava con un misto di tenerezza e rassegnazione. “Alla buon'ora! Sì, hai capito bene! – rise lei, divertita dal suo stupore – Il servizio sul profumo lo farai insieme a... Cherry!” annunciò trionfante. Lo avrebbe rivisto. Dopo tutti quegli anni. Lo avrebbe rivisto.
Cherry arrivò agli studi accompagnato dal suo agente. Dalla faccia truce che aveva era bene chiaro che non avesse assolutamente voglia di perdere tempo in simili pagliacciate. Ma, come era sovente ricordargli il solerte manager, quelle perdite di tempo fruttavano milioni di dollari. “Aspettami qui, vado a cercare il fotografo!” sussurrò il suo accompagnatore, mentre spariva dietro una delle porte della hall.
Il giocatore cominciò a spazientirsi, camminando avanti e indietro come una tigre in gabbia. In quel momento sarebbe dovuto essere in palestra ad allenarsi e non lì a fare la bella statuina, dannazione! Era tutta colpa di Susy e della sua lingua lunga. Va bene farle da accompagnatore a qualche festa di celebrity, giusto per farle un po' di pubblicità, visto che era l'amante di Michael May, uno dei maggiori sponsor della squadra, ma che adesso si mettesse pure a fargli perdere ore preziose di lavoro, quello era troppo! Ma di che si lamentava? Lo sponsor della squadra era proprio il tizio di quel dannato profumo!
Distrattamente si accorse del rumore della porta elettronica dell'ingresso che scattava. Cercò di darsi un contegno, senza prestare alcuna importanza ai passi che sentiva avvicinarsi. Non era dell'umore adatto per firmare autografi. Quel flusso ininterrotto di pensieri, fu bruscamente spezzato dal suono di una singola, conosciuta, maledetta parola. “Do'hao.” Hanamichi Sakuragi, stella del basket americano, si voltò lentamente, trovandosi faccia a faccia con il suo incubo peggiore. “R... Rukawa!” balbettò sconvolto.
L'incontro dei due rivali inseparabili, fu bruscamente interrotto dall'arrivo dell'assistente del produttore che volle a tutti i costi condurli nell'ufficio di May, per le presentazioni ufficiali. Kaede Rukawa, Kim per gli americani, guardò di sottecchi l'ex compagno di squadra, che adesso appariva sicuro e tranquillo. Ma pochi istanti prima, quando si era voltato a guardarlo, i suoi occhi scuri gli erano sembrati addirittura atterriti.
Perché? Si chiese la volpe, entrando nell'ufficio insieme a lui.
“Benvenuti, carissimi!” esordì lo sponsor, alzandosi per salutarli. “Hn” “Grazie, capo!” scherzò il rossino, recitando la propria parte.
Udendo la sua voce, Susy uscì da sotto la scrivania di May. “Oh, Cherry! Ma allora sei venuto davvero!” trillò l'ochetta, ignara di aver causato un silenzioso imbarazzo tra i tre uomini.
“Do'hao, ma dove cazzo siamo finiti?” sbuffò la volpe, mentre il milionario balbettava qualche scusa improbabile.
“Hana, davvero, perdonami! – ripeté Yohei per l'ennesima volta da quando era entrato nel suo camerino – Giuro che non sapevo che il modello fosse Rukawa!” “Ho capito! Me lo hai ripetuto durante le tre ore di trucco e me lo stai dicendo anche adesso. Non sono né sordo né rincoglionito!” scherzò il giocatore, ridendo dell'espressione mortificata del suo manager. “T... Ti prego, non metterti a fingere anche con me!” lo supplicò il suo migliore amico, terrorizzato dalle conseguenze di quell'incontro. “Il fotografo mi aspetta.” annunciò Sakuragi, con una freddezza nella voce che fece rabbrividire Mito. Giunto sul set fotografico, ammirò la bellezza delle scenografie. Una notturna, per Moon, blu e argento e l'altra rossa e dorata per Sun. Tra colonne e capitelli corinzi, i due modelli avrebbero dovuto posare singolarmente per uno dei due profumi.
Le scene successive che presentavano i due prodotti insieme, erano in allestimento a Los Angeles, città in cui abitavano i due testimonial.
Insieme... Hanamichi lottò contro la nausea che gli attanagliò lo stomaco e fece il suo ingresso, salutando educatamente la troupe. Anni e anni di interviste gli avevano insegnato a nascondere i propri sentimenti. Quella dote era stata la sua fortuna, circondato com'era da squali e sciacalli, pronti ad immortalare la più piccola imperfezione con un flash o una domanda trabocchetto.
Trattenne impercettibilmente il respiro, udendo le voci del fotografo e di alcuni assistenti che spiegavano al fotomodello più pagato al mondo come doveva posare. “Kim, conosci Cherry Baby, vero? – gli domandò l'uomo – Ha un allenamento fra un paio di ore perciò, se non ti spiace, comincerei con lui. Tu vai pure al trucco, Kartioca ti sta aspettando!” “Hn.”
“Hana? Hanamichi!” si sentì chiamare da una voce femminile. Erano in pochi a conoscere il suo vero nome da quando gli americani lo avevano ribattezzato Cherry Baby, in onore della sua chioma rossa e della giovane età con la quale aveva esordito nell'N.B.A. Ma questo non valeva per la giovane donna che lo stava guardando con un affetto quasi materno, con i suoi profondi occhi azzurri e i riccioli scuri così dannatamente familiari.
“A... Ayako?!” azzardò il giocatore, poco prima di essere abbracciato dalla sua vecchia amica. “Non sai quanto sia felice di rivederti! E quanto sia orgogliosa di te! Mi sembra ieri che ti prendevo a sventagliate per farti fare i fondamentali!”
“Ah! S-sì... sono passati secoli! – riuscì a dire il rossino, sorridendo senza allegria – Ti chiedo scusa, mi piacerebbe molto parlare con te, dopo tutto questo tempo, ma ho un allenamento... domani c'è la partita... devo sbrigare in fretta questa faccenda, o chi lo sente il mister!” scherzò, prima di essere rapito dal fotografo che impartiva ordini a destra e a manca, urlando coloriti epiteti in francese.
Sakuragi riuscì a rilassarsi solo quando manager e assistito si furono allontanati dal set.
“Strano comportamento...” commentò Ayako, quella sera stessa, a cena. “Hn.” “Ho incrociato Mito, nei corridoi. Era felice di rivedermi ma... qualcosa lo bloccava... Non lo so, sembrava aver...” “Paura.” mormorò il volpino, giocando con la sua insalata.
“Esatto! – il bel volto di Ayako si illuminò poi, con dolcezza, proseguì il suo discorso – Allora? Com'è stato rivederlo di persona?”
“Hn.” “Loquace come sempre, eh?” rise guardando fuori dalla finestra. Aveva fatto un ottimo lavoro. Si complimentò con se stessa per il magnifico albergo che aveva scelto. Sobrio, elegante e vicino agli studi fotografici.
“È spento.” sussurrò Kaede, certo che lei capisse al volo. “Ede, sai bene che sono l'ultima persona al mondo che può darti consigli sentimentali... – mormorò con voce carica di amara ironia – Però... dopo tutti questi anni... Forse è destino, capisci?” “Hn...” Più facile a dirsi che a farsi, pensò Rukawa, spostando il piatto di lato.
“Le foto con la biondina sono solo una farsa, lo sai bene! Magari...” “Aya...” l'ammonì lui, con uno sbuffo rassegnato.
“Ricevuto! 'Notte!” La manager si congedò, con la solita allegria. Ormai quelle scene si erano ripetute innumerevoli volte nel corso degli anni. Ma il fatto che Rukawa non le avesse mai proibito di parlare del rossino le aveva sempre fatto ben sperare.
Rimasto solo, Kaede accese la televisione sintonizzandosi sul canale sportivo, godendosi l'ennesimo servizio sulla sfida dell'indomani. Los Angeles Lakers contro Orlando Magic. Cherry Baby contro Sandy.
L'argomento del giorno era l'ultima partita di Sandy con la divisa dei Magic, dato che dalla stagione successiva sarebbe passato proprio agli avversari. Rukawa sorrise, pregustandosi la sfida del secolo: Hanamichi Sakuragi contro Akira Sendoh.
Il giorno seguente ciondolò per casa ascoltando musica e rileggendo gli articoli che parlavano di Hanamichi. Poi, finalmente, poté piazzarsi davanti alla televisione, in trepidante attesa della fine di quell'infinito, ultimo, fottutissimo blocco pubblicitario. Era paradossale per uno che viveva facendo spot, ma l'attesa era stata snervante, soprattutto dopo averlo rivisto di persona.
Finalmente la regia si collegò con il palazzetto dello sport, dove i giocatori erano già in campo. Immediatamente percepì la tensione fluire tra gli unici due giapponesi titolari.
Sendoh aveva ancora quell'assurda capigliatura e il sempiterno sorriso; mentre il rossino sembrava una tigre pronta ad afferrare la preda. Al fischio d'inizio, infatti, parve liberare tutta la sua furia distruttiva.
Incredibile! Mai si sarebbe aspettato che i Lakers potessero vincere con ben trenta punti di vantaggio. Hanamichi era stato straordinario, anche se... Kaede si corrucciò pensieroso. Sembrava mosso dalla... disperazione? Perché?! 'Che cazzo ti prende, Do'hao?'
“Bella partita, Cherry!” sorrise Akira, appoggiato mollemente alla porta dell'ascensore. “Mmm.” mugugnò il rossino, passandosi una mano sugli occhi. Finita la trans agonistica, appariva molto, molto stanco. “Che c'è?” domandò l'amico, schiacciando il pulsante del seminterrato dello stadio. “No, niente!” borbottò il numero undici, aspettando con impazienza di arrivare al garage sotterraneo. Infatti, appena la porta si aprì, tentò di allontanarsi velocemente. “Aspetta! – lo bloccò Sendoh, costringendolo a guardarlo in faccia – Non hai ricominciato, vero?” sibilò preoccupato. “Lasciami andare!” sussurrò il rossino, ma sembrò più una preghiera che una richiesta. “Hana, ma che..?” “Ciao, Hentai! Salutami il bacia piselli!” tentò di scherzare Sakuragi, dirigendosi verso la propria auto senza mai voltarsi indietro. Non voleva preoccupare l'amico ma... aveva bisogno di stare da solo.
“Ok, è ufficiale: quei due mi hanno scardinato i coglioni!” tuonò Mitsui, alzandosi di scatto dal divano, dove si era accoccolato con il suo compagno. Era il loro rito: di ritorno a casa, lui e Akira si mettevano comodi per poi raccontarsi la propria giornata. “Hisa, mantieni la calma!” gli sorrise l'altro, restando poi ad ammirare il suo fisico scolpito, messo in risalto dall'aderenza sia della maglietta color avorio, che dei jeans neri.
Pensare che quella splendida creatura era anche uno dei procuratori sportivi più richiesti del pianeta! Seguiva la carriera di decine e decine di giocatori, ma il porcospino restava sempre il suo assistito preferito. Sarà che era stato il primo! “Non dire sciocchezze! – lo sgridò Mitsui, lanciandogli un'occhiataccia – Guarda dove ci ha portato la tua idea di non impicciarci!” “Non è detto che fosse a causa di...” “Stronzate! – lo interruppe l'altro, con la stessa espressione decisa che aveva quando era intenzionato a far firmare agli sponsor un contratto milionario ad uno dei suoi ragazzi – Ho saputo dal vicepresidente che Hanamichi e Kaede saranno i testimonial della linea MoonSun. Si incontreranno presto... se non lo hanno addirittura già fatto! Hana non può andare avanti così! Se non si allena, dorme. E appena si sveglia corre in palestra! Prima o poi collasserà!” sbraitò, tirando un pugno al vetro della finestra. Silenziosamente Sendoh gli andò vicino, abbracciandolo da dietro.
“Tesoro?” “Questo è un brutto mondo, Aki. Ho visto così tanti ragazzi perdersi per strada! Ma Hanamichi ha già rischiato all'inizio. Adesso è all'apice della carriera eppure...” “Lo so. Si sta dannando l'anima. Ma noi non ne conosciamo il motivo e...” “Stronzate! È a causa di Rukawa e di quell'assurdo legame che li ha vincolati fin dalla prima volta che si sono incontrati!”
“Errore! Le nostre sono solo congetture! – gli ricordò, baciandogli una guancia – Da quando sono qui in America non si sono mai cercati. Forse le nostre sono solo fantasie.” “Neanche noi lo abbiamo frequentato.” gli ricordò il compagno. “Già! Ma è per via del basket. Non volevo metterlo a disagio o farlo immalinconire... Lui sognava l'N.B.A. Ma invece... – Akira sbuffò, dispiaciuto per quanto capitato a Kaede – Sono situazioni delicate. Mettendoci in mezzo rischieremmo solo di peggiorare le cose!” sentenziò, cercando di fare ragionare il suo testardissimo uomo.
“Non mi piace quando sei saggio!” borbottò Hisashi, guardandolo di sbieco. Le rare volte in cui Akira aveva ragione, diventava saccente da morire. Meno male che non gli aveva parlato della mail che aveva mandato ad Ayako, un paio di mesi prima. Che male c'era ad averle dato solo un semplice, misero indirizzo?
“Invece tu, quando fai l'implacabile mi fai un certo effetto...” sussurrò il giocatore, cercando di baciarlo. “Fermo lì! Abbiamo l'aereo tra poco! Prendi le valigie e andiamo!” sentenziò il procuratore sportivo, avviandosi verso la porta d'ingresso. “Uffa! Mi trascuri!” s'imbronciò il porcospino, seguendolo con la coda tra le gambe. “Devo occuparmi del trasloco e dell'arredo della nuova casa a Los Angeles, in più ho il lavoro. Comportati bene e tra qualche settimana riprenderemo la vita di sempre!” lo rassicurò Mitsui, meditabondo.
“Hai intenzione di fare ciò che non dovresti fare, ma che farai ugualmente, vero?” sospirò il giocatore con rassegnazione. “Andiamo!” esclamò l'altro, chiudendo la porta della camera del loro albergo. Tsk! Un'altra telefonata ad Ayako non avrebbe mica ucciso nessuno, pensò tra se l'ex guardia salendo in ascensore insieme al suo sorridente compagno.
Ayako entrò nel pub, salutando il gestore con un sorriso affabile. Con passo deciso trovò il volto che stava cercando, seduto ad un tavolo appartato. “Ciao!” la salutò Mito, alzandosi al suo arrivo. “Ciao! – rispose lei, prendendo posto di fronte a lui – Adesso voglio sapere tutta la storia. Particolari compresi!” sentenziò con voce deciso. “Hana mi ucciderà!” le fece notare Yohei, sorridendole tuttavia con profonda gratitudine. “Io farò di peggio!” gli rispose l'altra con un tono che non ammetteva repliche.
La settimana dopo, Kaede rientrò a Los Angeles. Il suo nuovo attico, procuratogli dalla sua efficientissima manager, era diventato una tana in cui rilassarsi tra uno spot e una sfilata. Certo che Ayako aveva un ottimo gusto in fatto di case. Non solo l'appartamento era luminoso ed elegante, ma il vicinato era anche molto silenzioso. Le doveva tutto, si ripeté Kaede, stendendosi sul divano con la televisione accesa. Era stata lei a convincerlo a fare il modello. Per distrarsi, gli aveva detto tirandogli una pacca sulla spalla. Fortunatamente l'infortunio non gli aveva pregiudicato né la camminata né la corsa, ma solo lo sport agonistico. Che era soltanto la sua vita! La sua mente ritornò al Do'hao. Bello oltre ogni dire. Un perfetto Apollo: vitale, allegro... Finto. Le risate che gli aveva sentito fare non erano neanche lontane parenti di quella che ricordava lui. C'era quella sguaiata da Tensai e quella bassa e roca che regalava al Guntai. Avrebbe tanto voluto averne una tutta per sé, ma ormai non era più possibile tornare indietro.
Sakuragi non lo aveva mai sopportato ma, nonostante tutto, l'amore che provava per lui non aveva intenzione di scemare, nonostante lo scorrere delle stagioni. Sorrise tra sé, la bella volpe, riflettendo sui risvolti paradossali dell'intera faccenda. Erano sempre stati come il sole e la luna. Anche in quel momento. A venticinque anni, lui era sul finire della carriera, mentre il rosso ne era all'apice. “Hn!” D'improvviso le immagini del palazzetto dello sport lo riportarono al presente. Scattò a sedere non appena lo vide inquadrato a bordo campo.
Furono i suoi occhi a scuoterlo fin nel profondo dell'anima. Il suo falso sorriso, la finta sicurezza che mostrava alla telecamera. Falso, falso, FALSO! Guardò l'incontro, muovendosi impercettibilmente seguendo le azioni di gioco, come gli capitava sempre quando c'era il rossino in campo.
A metà del secondo tempo, Sakuragi stoppò un canestro sicuro da parte dei Chicago Bulls e rovinò a terra malamente, insieme all'attaccante avversario.
Alla vista dei medici in campo, Rukawa si alzò avvicinandosi allo schermo.
“Slogatura! – sussurrò tirando un sospiro di sollievo – HN?! Do'hao!” tuonò poi, alla vista di Sakuragi che tentava in tutti i modi di convincere il mister a lasciarlo in campo. Zoppicava, dannazione! Da quando era in America non aveva saltato una partita. All'inizio era partito dalla panchina ma, una volta diventato titolare, era sempre stato protagonista di tutti gli incontri, anche quando era fuori forma e faceva fatica a giocare, aveva sempre fatto delle prestazioni eccellenti. Ma c'era un limite a tutto!
Appena lo vide sparire negli spogliatoi con il medico della squadra, ritornò a sdraiarsi sul divano. Senza di lui la partita aveva perso d'attrattiva.
Il pomeriggio seguente, Kim era sul nuovo set allestito per la campagna pubblicitaria. Mentre usciva dal camerino, ripulito dal trucco e con i propri abiti, sentì Ayako e Yohei discutere animatamente nella saletta accanto.
“Non è venuto! Hanamichi non c'è!” stava dicendo Mito, aggrappandosi al suo braccio. “Non essere catastrofico, ti prego! – sbottò la manager cercando di ragionare con calma – Si è slogato una caviglia, la sua ultima preoccupazione sono le foto!”
“Ayako, tu non capisci! Hana ha solo il basket! Se glielo togli, potrebbe...” “... Potrebbe ricominciare? – concluse la donna, con una voce così tremula da sembrare irriconoscibile – Fra poco arriverà Kaede, non voglio che sappia...”
“Hn!” sbottò la volpe, facendoli sobbalzare. “R... Rukawa...” mormorò Yohei, dilaniato tra l'affetto per il suo migliore amico e la sua parola d'onore.
“Voglio sapere cosa sta succedendo. Adesso.” sentenziò la volpe con un tono di voce glaciale. “Rukawa, ti prego, aiutalo! – esordì Mito, passandosi una mano sugli occhi – Hanamichi è un ex alcolizzato. Ho paura che possa essere in un pub, in questo momento!” “HN?!” “Hana si sta uccidendo per te! – sussurrò la manager con gli occhi pericolosamente lucidi – Ti ricordi la dinamica del tuo infortunio, vero? Hana stava marcando l'attaccante dello Shoyo, se l'è fatto scappare e tu sei intervenuto. Cadendo ti sei lesionato il ginocchio. Hana si è sempre sentito responsabile. È questo che lo spinge a giocare dando il massimo sempre. Perché gioca anche per te!” gli sorrise commossa.
“C... cosa...?” Per lui? Lo aveva sempre fatto per lui.
“Hana ti... Beh! – balbettò Yohei, imbarazzato – Dopo l'incidente, coinciso con la fine del liceo, Hana... insomma... ha capito che teneva molto a te. Davvero molto. È stata la convinzione di far del male a tutti coloro che ama che lo ha spinto a riempire il primo bicchiere. Dopo un intero anno passato nei bar, grazie alle conoscenze di Anzai e all'idea di dover giocare per te, è riuscito a risalire la china e ad esordire nell'N.B.A., l'anno successivo. Da allora non ha mai toccato nemmeno i cioccolatini al rum. Ma adesso non so... ti ha incontrato all'improvviso, poi si è fatto male, oggi non si è presentato ad un incontro di lavoro... Lui che è così ligio... ”
“Questo è troppo Do'hao persino per lui!” fu il commento della volpe, ancora sotto shock per quanto appena appreso. Colpa di Hanamichi? Ma stava scherzando?! Era una semplice azione di gioco! Ma lui, per quasi sette anni, aveva vissuto con quell'insensato senso di colpa? ...E certo! Era un Do'hao!
Lo squillo del cellulare di Mito interruppe i suoi pensieri.
“Mitsui? Che significa 'cosa ci fa lì'. Ma di chi parli? Dove lo hai visto?! Grazie, arrivo subito! – concluse la conversazione e li guardò frastornato – Era Hisashi. Passando in macchina ha intravisto Hanamichi, o almeno così gli è sembrato, vicino al bar accanto alla palestra. Il cellulare di Hana è spento e ha chiamato me per sapere se stava bene.” sospirò, temendo di rivivere un incubo che sperava appartenesse al passato. “Hn!” Kaede si fece dare l'indirizzo del posto e corse dal suo Do'hao, prima che commettesse l'ennesima sciocchezza della sua vita. Dopo tutta la fatica che avevano fatto per cercarsi, adesso non lo avrebbe lasciato andare via mai più.
Cherry Baby se ne stava seduto al bancone, osservando il suo riflesso nel liquore ambrato che teneva in mano. Da quanto tempo non beveva? Tanto. Troppo. Sobrio e senza basket non sapeva vivere. Sobrio e con il basket, non viveva lo stesso. Ogni notte ripensava a quella maledetta partita. Per colpa sua Rukawa aveva dovuto rinunciare al basket. Solo perché lui era sempre stato un idiota, lento di comprendonio. All'epoca non sapeva né giocare, né capire i sentimenti umani. Solo quando le loro strade si erano divise, aveva capito di amare Kaede... e di avergli rovinato la vita. Così come aveva fatto con tutte le persone a lui care. Rivederlo era stata una pugnalata al cuore e la slogatura il colpo di grazia. Il mister voleva lasciarlo riposare fino alla fine della stagione, dato che era cinque anni che non saltava una partita.
Al diavolo tutto! Almeno da alcolizzato nessuno avrebbe più preteso nulla da lui.
Sorrise amaramente, mentre sollevava la mano verso il proprio viso. Ma la sua bocca non toccò mai il freddo vetro del bicchiere, poiché una presa ferrea al suo polso lo bloccò a metà strada.
Sollevando lo sguardo vitreo, si ritrovò faccia a faccia con Kaede. “Andiamo a casa, Do'hao.” mormorò trascinandolo per un braccio fuori dal bar. Hanamichi lo seguì, docile come un automa.
Giunti a destinazione, la volpe lo fece stendere sul letto e gli si coricò accanto, scrutando attentamente il suo viso inespressivo. Sembrava un giocattolo a cui si erano scaricate le pile e questo non lo tollerava. Voleva rivedere la luce in quegli occhi scuri. Fu per questo motivo che chinò il volto e lo bacio a fior di labbra, approfondendo il contatto appena udì un piccolo gemito da parte del rossino.
Quando pose fine al bacio, affondò lo sguardo in quello disperato del giocatore. “È stata... colpa mia!” sussurrò Sakuragi, perdendo miseramente la sua sfida contro le lacrime. “Shhh!” la volpe gli accarezzò le labbra con un pollice, ma l'altro andò a nascondere il viso sul petto di Kaede, aggrappandosi alla sua maglietta. “P... perdonami! Ti prego, perdonami!” “NO! – tuonò la volpe, afferrandogli il volto tra le mani – Perché non ho niente da perdonarti!” sentenziò tornando a guardarlo negli occhi. “Ma...” “Gli incidenti di gioco fanno parte dei rischi del mestiere! Non voglio più sentirti dire simili cazzate né, tanto meno, venirti a riprendere nei bar, mi sono spiegato?” sibilò con durezza. “Già! I bar...” sussurrò Hanamichi con un sorriso malinconico, guardando la propria mano che tremava violentemente. I suoi occhi si stavano nuovamente spegnendo.
“Hn. Aspettami qui!” gli ordinò il volpino, correndo in bagno a riempire la vasca da bagno con acqua tiepida. Ricordava che, durante la propria disintossicazione, quella era una cosa che gli aveva dato molto sollievo. Mentre l'acqua scorreva, tornò da Sakuragi e lo spogliò, facendo altrettanto con se stesso.
Rukawa entrò nella vasca e aiutò l'altro a seguirlo, facendogli posare la schiena contro il suo petto. Con delicatezza e infinita cura gli bagnò i capelli e gli massaggiò i muscoli delle braccia, per poi imprigionargli la vita in una stretta ferrea.
“Il numero undici era per me, vero? – sussurrò al suo orecchio. Quando lo vide annuire, domandò ancora – Anche la tua tenacia. La grinta che metti in campo. È tutto per me, giusto?” “Io... Dovevo giocare anche per te.” rispose il rossino, chiudendo gli occhi. Si sentiva così stanco. “Hn. Questo risarcimento mi sta bene!” sentenziò la volpe, sorridendo sulla sua guancia ambrata. “Mmm?!” “Ti amo, Do'hao! Non potrei odiarti nemmeno se mi uccidessi!” gli confidò, sorridendo nel sentirsi quasi stritolare dall'abbraccio del suo compagno. “Anche... Anche io! Ti amo tanto, Ru! Ti amo!” ripeté Sakuragi, incredulo. Non poteva essere vero. Dopo tutti quegli anni, era tra le braccia della sua volpe.
“Adesso andrà tutto bene!” gli promise, posando la guancia sulla sua spalla. Parecchio tempo dopo, quando l'acqua era diventata ormai fredda, i due decisero di ritornare in camera, stretti mano nella mano.
Si stesero sul letto, l'uno sull'altro, abbracciandosi in modo talmente naturale che sembrava non avessero fatto altro nella vita.
“Smetto di giocare.” annunciò Hanamichi, rompendo il loro prolungato silenzio. “Non te lo permetterò!” ringhiò la volpe, voltandosi di scatto verso di lui. “Devo. Al liceo era solo un gioco, adesso che amo questo sport, voglio lasciarlo per espiare la mia...” “Do'hao! – lo interruppe il modello, tirandogli un cazzotto in pieno viso – Sei diventato un professionista per me e smetterai quando te lo dirò io! Non devi espiare un cazzo!” sibilò, aprendo il cassetto per mostrargli il suo tesoro. “Ma sono...?” balbettò il rossino, quasi incredulo. Tutta la sua carriera era racchiusa in quella cartelletta.
“Ti ho sempre seguito. Sempre. Non hai nessun debito con me. Anzi, siamo pari. I tuoi occhi mi hanno dato la forza di disintossicarmi dall'eroina! Hn...” mugugnò alla fine, arrossendo per quell'ultima frase, sfuggitagli dalle labbra. Proprio a lui, che non parlava quasi mai. Dannati effetti collaterali della vicinanza di quello scemo.
“Ru!” sussurrò il rossino, accarezzandogli una gota, preoccupatissimo per lui. “Hn. Sono pulito da anni. Grazie a te! Perciò non fare quella faccia lì, Do'hao!” borbottò imbarazzatissimo, mentre riponeva la cartelletta. “Tsk! E io che stato a preoccuparmi per te, dannata Baka K... – s'interruppe, sorridendo di quella frase quasi dimenticata – Kitsune!” soffiò sulle sue labbra, con un sorriso finalmente felice.
Dolce e innamorato. Quello era il sorriso di Kaede. Finalmente la volpe lo aveva ottenuto.
Deciso a festeggiare il regalo, affondò le mani nella folta chioma del suo compagno. Hanamichi rispose con trasporto, ma quando sentì la mano di Rukawa sul proprio sesso sobbalzò, interrompendo il bacio. “Io... con un uomo non...” balbettò imbarazzato. La volpetta sorrise e riprese a toccarlo con maggior delicatezza, baciandogli la fronte, le palpebre e le labbra. Scese con la lingua fino ai testicoli e leccò avidamente il suo sesso pulsante, dalla radice alla punta umida. Sakuragi si inarcò, artigliandogli le spalle. Non si era mai sentito così. Con le donne lo aveva sempre fatto per noia, più che per un'esigenza reale. La sua pelle non era mai andata a fuoco, non aveva mai urlato di piacere né si era mai sentito così sensuale come in quel momento. Il suo corpo sembrava essersi risvegliato solo ed esclusivamente a beneficio della sua Baka Kitsune.
Con una carezza e uno sguardo rassicurante, Rukawa si posizionò tra le sue gambe tremanti. Un palmo premuto sulla guancia arrossata di Hanamichi e l'altra mano ad intrecciare le sue dita.
Attendeva il suo segnale.
Quando il rossino annuì coprendogli la mano con la propria, si spinse dentro di lui, gemendo del suo calore. Il rossino accettò il dolore delle prime spinte e godette del piacere di quelle successive, incrociando le lunghe gambe dietro la vita del fotomodello. Persi in quell'oceano di passione, morsi e gemiti, passarono l'intero pomeriggio a fare l'amore, dimentichi del mondo che li circondava.
“Mmm... Dovrei passare a casa a cambiarmi!” sbadigliò il rossino, guardando l'imbrunire dalla finestra del soggiorno. “Hn.” A Kaede il suo abbigliamento piaceva così: un accappatoio. Facile da slacciare e corto abbastanza per poter ammirare le sue lunghe gambe. “Hentai!” sbuffò Sakuragi, alzando gli occhi al cielo. “Tsk! Senti da che pulpito!” borbottò la volpe, facendo per andare in camera a vestirsi. “Ru, non è necessario!” rise il giocatore, avviandosi verso la porta. “HN?! Non ti azzardare ad uscire in strada conciato così, Do'hao! – sibilò il volpino, afferrandolo per la vita – Non ti facevo così depravato!” “Ma... MA...! Cosa ti salta in mente, BAKA! Io abito qui di fronte!” tuonò Hanamichi, indeciso se essere indignato o imbarazzato. Nel dubbio, arrossì fino alla radice dei capelli. “Hn?!” Rukawa lo vide attraversare il pianerottolo e aprire la porta di fronte alla sua.
Era lui il suo silenziosissimo vicino?!
“Ayako!” sibilò, passandosi una mano sugli occhi. “Ma no! Solo Yohei sa dove abito e non lo direbbe mai a nessuno! Ah, già! Mitsui una volta era venuto a trovarmi... ma sono passati anni! No, no! Questo è destino, Ru!” gli sorrise, facendolo entrare.
“Hn” a dispetto del suo scetticismo, Kaede se lo strinse al petto, guardandosi intorno. Anche se i due appartamenti erano strutturalmente speculari, erano davvero come il giorno e la notte. Il suo era ultramoderno, essenziale, con il pavimento in marmo e le pareti bianche, quello del Do'hao era un elogio al parquet, che dava una sensazione di profondo calore, con muri color crema e mobili in legno massiccio. Erano il sole e la luna anche in quello.
“Che c'è?” gli domandò Hanamichi, guardandolo di sbieco. “Ti somiglia.” si limitò a dire la volpetta, trascinandolo in camera da letto. “Di nuovo?!” domandò l'altro, sconcertato dall'appetito sessuale dell'algida Kitsune. “Inauguro l'appartamento.” sentenziò Kaede senza batter ciglio.
Finite le fotografie per lo spot, i ragazzi organizzarono una cenetta a casa di Hanamichi. “Almeno questo è un appartamento e non la cabina dell'Enter Price!” borbottò Mitsui, suscitando l'ilarità del proprio compagno. “Hn.” “Il Tensai è geniale anche nell'arredamento!” sentenziò il rossino, soddisfatto di se stesso.
“Do'hao!” “Baka Kitsune!”
“Oh, Kami! L'incubo che ritorna!” guaì l'ex guardia, tappandosi le orecchie con le mani. “Certe cose non cambieranno mai!” sorrise Yohei, sinceramente felice per la gioia del suo migliore amico. “Ho voglia di andare a comprare un ventaglio.” borbottò Ayako che, con quelle semplici parole, riuscì a sedare l'imminente rissa.
A metà serata la manager si avvicinò alla neo-coppia e, per una volta nella vita era visibilmente a disagio.
“Kaede, io... Se non ti spiace vorrei... Avrei bisogno di una paio di settimane libere. Se tu e Hana siete riusciti dopo tanti anni a... Devo fare un tentativo!” Senza proferir parola, il rossino prese una penna e scrisse due righe su un foglio che le consegnò, con un sorriso di incoraggiamento.
“Questo è l'indirizzo di Miyagi.” “Come fai ad averlo?!” domandò la donna, sbalordita. “Abbiamo sempre mantenuto i contatti con il Guntai e quei tre hanno una rete di spionaggio che avrebbe fatto impallidire Mata Hari!” scherzò, stringendole la mano.
“Hn. Vai!” la esortò la volpe. “E porta qui il nano.” Hanamichi le strizzò l'occhio, facendola ridere.
“Va bene e... grazie!” sussurrò Ayako, accomiatandosi qualche minuto dopo. “Andiamo anche noi. Abbiamo ancora mezza casa inscatolata!” li salutò Mitsui, certo di rivederli molto spesso, adesso che abitavano nella stessa città. “Hn. Grazie!” disse Rukawa, guardando la coppia di senpai e Mito, che stava prendendo la propria giacca.
“Saranno anche passati gli anni, ma siete sempre i soliti piantagrane!” borbottò l'ex guardia. “Si è imbarazzato!” lo giustificò il porcospino, subendo l'ira del compagno. “TACI!” tuonò infatti Hisashi, rosso come un peperone, trascinandolo per la collottola fino all'ascensore.
“Spero che non lo uccida lì o dovrò fare le scale! – scherzò Yohei, salutando i padroni di casa – Riposati tu!” si raccomandò, guardando il suo più caro amico. “Hn.” annuì la volpe, rassicurandolo. Si sarebbe preso cura lui del suo Do'hao. Sorridendo soddisfatto, anche Mito tornò a casa propria.
Rimasti soli, Hanamichi ripose i bicchieri nel lavello, trattenendo uno sbadiglio. “Tutto bene, piccolo?” domandò la volpe, baciandogli una guancia. “Tsk! Sei l'unico al mondo che ha il coraggio di chiamare 'piccolo' un gigante alto un metro e novanta!” lo canzonò il Tensai, ridendo sommessamente. “Io sono alto quanto te e comunque mi riferisco al cervello, non all'altezza.” “Baka!” “Do'hao!” “Ho sonno.” “Hn.” Mano nella mano andarono a letto, stringendosi l'uno all'altro. “La caviglia ti fa ancora male?” gli domandò Kaede, accarezzandogli i capelli rossi. “No, sto bene.” lo rassicurò, sorridendo delle sue premure. “Dalla prossima stagione in poi verrò sempre a vederti, quindi cerca di non fare il Do'hao!” “Verrai allo stadio? Davvero?! – volle sapere Hanamichi, guardandolo allibito – Stai dicendo che riuscirai a stare sveglio, Kitsune?!” lo prese in giro, ricominciando a ridere. “Tsk! Io ti guardo sempre, pezzo di Do'hao!” borbottò Rukawa, nascondendo il viso arrossato. “Adesso lo so.” sussurrò Sakuragi, con una punta di tristezza nella voce.
“Hn?” “Se penso a tutto il tempo che abbiamo passato lontani, io...” sussurrò Hanamichi, adagiandosi sul suo petto con un sospiro. “Hn.” “A questo mondo, le cose non vanno mai come si spera!” gli disse, voltandosi a guardarlo con un pizzico di rimpianto. “No, a volte la realtà è anche meglio!” sussurrò la volpe, baciandolo con trasporto.
OWARI
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