Disclaimers: Serie: SlamDunk
Paring: MitKog... Si, si, lo so che sono una coppia 'sfruttata', ma non vedo cosa c'entri... E' sempre bello leggere di loro due.
Spoilers: è ambientata dopo la rissa in palestra, niente di particolare, comunque...


Lovers's Grieves in Kanagawa

di Miki

parte I

CICATRICI


Mi piace stare sotto la doccia.
Mi rilassa.
Il getto tiepido che scorre lungo tutto il corpo, pare trascinare via stanchezza e malumore insieme al sapone.
Mi bruciano un po' gli occhi, forse è lo shampoo.
Forse.
Mi fa male la testa.
Appoggio le mani alle piastrelle bianche davanti a me e mi lascio scorrere addosso l'acqua.mi riscuoto solo quando la sento fredda.
Chiudo il rubinetto e velocemente mi asciugo con il telo bianco che profuma di lavanda.
mia madre riempie l'armadio della biancheria nella stanza da bagno con sacchetti di lavanda: ricordo che, quando eravamo piccoli, io e Ayumi l'aiutavamo a confezionarli dopo aver messo a seccare le delicate infiorescenze lilla.
Infilo gli abiti puliti e mi fermo davanti allo specchio sopra i lavandini.
E' appannato.
Tolgo il vapore condensato con la mano e guardo il mio viso.
Quello che vedo non mi piace affatto.
E non perché un livido bluastro sta prendendo consistenza sul lato destro del mio viso.
e nemmeno perché un brutto taglio sul labbro mi gonfia la bocca.
No.
Non è questo.
E' qualcos'altro.
E' quello che vedo in fondo ai miei occhi a spaventarmi.
Di solito io non reagisco.
Prima ho esagerato.IO ho messo le mani addosso a qualcuno.
Io non grido. MAI.
Eppure prima l'ho fatto.
Non ho il carisma di Akagi, io.
Di solito nessuno mi dà molta attenzione.
Mi fa male la testa.
E gli occhi continuano a bruciarmi.
Dannato shampoo.
Tuffo il viso nell'acqua fredda del lavandino in cerca di sollievo.
Quando riemergo lo specchio riflette un altro volto oltre al mio.
Quello di Akagi.
"Ciao, capitano"
"Stai bene?"
mi rimetto gli occhiali e mi sforzo di sorridergli:
"Sì.stai tranquillo"
mi guarda dubbioso, non lo convinco.
"Vieni.
Diamo un'occhiata a quel taglio."
"Ma no.sto bene.
Non è niente!"
"Kogure." è un tono che non ammette repliche.
Sospiro rassegnato e lo seguo nello spogliatoio.
Mi fa accomodare in un angolo un po' in disparte, a cavalcioni sulla panca e poi va a trafficare nella cassetta del pronto soccorso.
Mi guardo intorno.sembra la succursale del Policlinico: Yasuda, con il volto incerottato, sta disinfettando i tagli sulle mani di Mito, Haruko ed Ayako medicano le escoriazioni di Sakuragi e Miyagi, Anzai-sensei ha accompagnato Rukawa all'ospedale per precauzione.
Il dolore alla testa si è fatto insopportabile.
Chiudo gli occhi e mi appoggio al muro.
So benissimo che lui c'è.
Sento il suo sguardo.
Mitsui.
Apro gli occhi e lo vedo seduto per terra, poco distante da me, che mi fissa.
Mi guarda da dietro la cortina dei suoi magnifici capelli neri.
Mi guarda con quegli occhi profondamente blu.
Qualcuno gli ha medicato le ferite e ora se ne sta in disparte, come un randagio.
Si alza di scatto e raggiunge il capitano alla cassetta delle medicine, si china e prende un paio di forbici.
"MITSUI!
"Cosa.?" le guarda e poi guarda ME.
Le solleva.
Le impugna..
... comincia a tagliarsi i capelli.
Ciocca dopo ciocca.
Come ad espiare un peccato.
Come a umiliare il suo orgoglio.
Per tutto quel tempo non smette di guardarmi.
E' come se mi lanciasse una sfida.
Quando ha finito a terra rimangono le ciocche seriche di un nero corvino virato al blu, come frammenti di un cielo senza stelle.
Rimette a posto le forbici, nel silenzio che il suo gesto ha fatto calare nella stanza.
Poi si avvia alla porta.
Lo devo fermare. devo. capire.
"Mitsui!"
ecco.
L'ho fermato.
Nemmeno si volta.
Si limita a guardarmi da sopra la spalla e non parla.
"Ci vediamo domani."
E' una specie di sussurro il mio.
Non dice nulla.
Ma il leggero sorriso che increspa le sue labbra è quanto di più bello abbia mai visto.
Akagi si siede di fronte a me.
Mi porge un'aspirina e un bicchiere d'acqua prima di mettersi all'opera.
Le sue mani seppur così grosse sono delicate mentre mi applicano la medicazione.
Sento che muore dalla voglia di dirmi qualcosa.
Ormai lo conosco bene.
Ma c'è ancora troppa gente qui dentro.
Così si limita a curarmi.
"Ecco fatto."
Sospira soddisfatto.
Poi si alza e mi fissa.
Ha lo sguardo preoccupato.
"Sul serio, Kogure. 
Stai bene?"
Abbasso il viso.
Gli occhi hanno ripreso a bruciarmi, stavolta non posso dare la colpa allo shampoo.
Li stringo forte, trattenendo un singhiozzo.
Solo una lacrima riesce a sfuggire alla barriera delle mie ciglia e la sento rotolare sulla guancia fino al mento.la vedo cadere sulla panca.
Akagi poggia la sua mano grande sulla mia testa e la accarezza delicatamente, non dice niente.
Non voglio piangere.
Non voglio far vedere a tutti la mia debolezza.
Non di nuovo.
Inspiro in cerca di ossigeno e rialzo il capo per guardarlo in viso.
Il mio capitano.
Il mio migliore amico.
La bugia che avevo pronta mi muore sulle labbra: ha capito tutto.
Gli sorrido con tristezza e gli dico la verità:
"Ci provo."
*___*
Fa molto caldo.
Il caldo esagerato di certi giorni sbagliati di primavera.
Caldo come se una mano premesse sulla bocca, come un peso sul cuore.
Ma il peso sul cuore non dipende dal caldo.
Spero di non avergli fatto troppo male.
L'ho colpito così forte.
Volevo solo farlo tacere.
Il peso del mio fallimento mi fa stare ancora male, ma sentirlo dalle sue labbra mi ha quasi spezzato il cuore.
Kogure.
Mi disprezzi così tanto?
Kogure.
'Mamma chioccia'.
Il piccolo Megane-kun.
Era più che arrabbiato.
Era. furibondo.
Con me.
Voglio riconquistare la sua stima, la sua amicizia.oltre al basket è stata la cosa che mi è mancata di più in questi due anni. 
Il cielo si fa scuro.
Le prime stelle occhieggiano qua e là.
La brezza che spira dal mare mi fa ricordare che ho tagliato i capelli: la sento sulla nuca, ma mi abituerò.
La mamma sarà contenta.
Ultimamente mi guarda con occhi feriti, delusi, arrabbiati.anche Kogure prima mi guardava così.
Ho ancora la camicia un po' gualcita nel punto in cui lui l'ha afferrata.
Alzo il bavero della giacca, le pieghe sgualcite sulla camicia bianca paiono tante cicatrici.
Vado a casa.
"Mamma?
Sono tornato."
La mamma non dice niente.
Mi guarda da dietro le lenti degli occhiali. sono carini, rotondi con la montatura in metallo e le lenti azzurrine. è bella la mia mamma.
Anche se non mi ricordo più il suo sorriso.
Sono io che l'ho fatta smettere di sorridere.
Si volta e riprende il suo lavoro, annuso l'aria: stasera cucina il pesce al forno.
Taglia a piccoli pezzi la cipolla e non capisco se le sottili lacrime che le scorrono sulle guance sono per via del fastidioso ortaggio o per colpa mia.
La raggiungo al tavolo e la circondo fra le braccia, appoggiandole il mento tra i capelli che profumano di vaniglia: il profumo della mamma.
Sa di dolci, di festa.
Sa di buono.
Sa di casa.
"Perdonami, mamma."
Si gira fra le mie braccia e si aggrappa a me, stringendo tra le mani la camicia, con rabbia, come Kogure poco prima, affondando il viso nel tessuto.
Piange la mamma.
Sollevata.
Piango anch'io.
Sento che il peso opprimente che avevo sul cuore si scioglie.
Ho fatto pace con Hisashi Mitsui.
*___*
"Io giro qui.
Grazie per la compagnia, ragazzi."
"Stammi bene, Kogure!"
"Ciao, Quattrocchi! Ci si vede!"
"Buonanotte, Senpai."
Miyagi, Sakuragi e Mito svoltano l'angolo dopo avermi accompagnato un pezzo.
Non vivono troppo lontani da casa mia.
Anche Mitsui abita qui vicino.
Ma in questi due anni non l'ho mai cercato.
E non so perché.
O forse lo so.
Ho fatto del suo incidente anche il mio alibi.
"Mitsui ha tagliato tutti i legami con il suo passato.
Con me."
Questo mi dicevo.
Scuse.
Tutte scuse.
Cercarlo mi avrebbe fatto troppo male perché non avrei saputo come aiutarlo.
Questa è la verità.
Sono solo un codardo e non valgo niente nemmeno come amico. non ho provato nemmeno a capire (non ho voluto capire) che aveva bisogno d'aiuto.
Di me.
E io l'ho lasciato solo.
Sospiro amaro e do un calcio ad una lattina mandandola contro il muretto. Proseguo il cammino fino al cancello di casa mia.
Suoni e odori familiari mi accolgono appena varco la porta: la televisione in soggiorno, dove papà sta guardando il telegiornale e impreca contro il governo e le tasse.lo sfrigolare delle pietanze in cucina, dove la mamma sta preparando la cena. Ayumi che canticchia apparecchiando la tavola. Sono a casa.
Mi avvio per le scale, non ho proprio voglia di dare spiegazioni sui miei lividi alla mamma, apprensiva com'è la spaventerei e basta.
"Kiminobu? Oggi hai fatto tardi."
Mamma mi ferma sulla scala, ma non mi volto.
"Akagi ci sta mettendo sotto.si avvicina il campionato, sai."
"Allora sarai affamato!
Vai a lavarti le mani: fra cinque minuti è pronto in tavola!"
La guardo da sopra la spalla sperando non si accorga del cerotto, le sorrido chiedendole mentalmente scusa per la patetica bugia che le sto per dire.
"Mamma. io. non ho fame.
Ho mangiato un panino con i ragazzi e ho molto da studiare.
Scusa."
Capisco che non l'ho convinta, ma non dice nulla.
Si limita a sorridermi dolcemente.
"Sei un bravo ragazzo, Kiminobu."
Mi butto sul letto al buio, non mi curo nemmeno di spogliarmi.
Rimango bocconi sul materasso e abbraccio il cuscino.
Cerco di fare il vuoto nella mia testa, ma come in un film rivedo la rissa in palestra. Rivedo Mitsui.
E' come un'ossessione.
Un bussare lieve alla porta mi riporta alla realtà.
"Kimi?
Sono io, Ayumi.sto entrando."
Mia sorella.
"Cosa ti succede?"
chiude la porta e accende la luce, viene a sedersi sul mio letto.
Incrocia le gambe affusolate sotto la gonna di lino chiaro e sorride.
Con la mano destra si sistema la molletta a forma di stella che le scosta la frangia dalla fronte.
"Senti.la mamma è davvero preoccupata.
Cosa è successo?"
"Niente."
"Non sei mai stato bravo a raccontare balle, Kimi."
mi volto a guardarla e la vedo trasalire quando scorge la medicazione e il labbro tumefatto.
Scuote il capo ridacchiando.
"Dio, non ci posso credere.
TU coinvolto in una rissa??!!!"
"Guarda che NON ci trovo proprio NIENTE da ridere!!!"
Replico offeso, lei mi scompiglia i capelli con affetto e mi accarezza la guancia ferita.
"Non volevo prenderti in giro. Scusami, Kimi."
Mi ributto sul letto supino e guardo il soffitto perlinato, non voglio parlarne.
Ayumi non si arrende: si sdraia al mio fianco, spintonandomi per avere un po' di spazio accanto a me.
Appoggia la testa sulla mia spalla, come quando eravamo piccoli: anche se ha due anni più di me, mia sorella non mi arriva che al mento.
Mi rassegno e le passo un braccio attorno alle spalle.
"Non dire alla mamma che mi sono azzuffato."
"Non le dirò niente, tranquillo."
Si alza e si avvia alla porta, fa per uscire e si volta:
"Almeno, ne valeva la pena?"
Come un flash rivedo il sorriso lieve che Mitsui aveva prima, all'uscita della palestra.
Sento la sua eco formarsi sulle mie labbra.
"Credo di sì."



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