Love & Pain
parte I
di
Rei-Murai
Entro in stanza chiudendomi la porta alle
spalle con un gesto secco della mano.
Mi sento stanco, dannatamente stanco.
Anche il letto, una volta comodo e confortevole, ora non lo trovo più adatto
per dormire…stendermi, chiudere gli occhi…ma chi ha voglia di dormire ora?
Una doccia.
Acqua calda che scorre sulla pelle, donandomi per qualche istante un senso
di totale tranquillità. Bollente, mi avvolge. Chiudo gli occhi.
Profumo d pino, vapore che si sparge per il piccolo bagno…mi sembra di
essere in un altro posto, lontano da tutto, lontano da tutti.
Lontano da loro…
Poi la stanchezza torna. Il senso di benessere, durato al massimo mezz’ora,
sparisce del tutto lasciandosi dietro un vuoto incolmabile…dolore.
Ma ormai so come farlo sparire.
Esco dalla doccia rimettendomi addosso i jeans consunti e la maglietta
bianca che avevo addosso quando sono arrivato qui.
Lo sguardo mi cade sul polsino nero poggiato sulla mensola appena sotto lo
specchio. Quante volte mi hanno chiesto perché non lo levo mai?
quante volte mi sono inventato una scusa per non dover dire la dolorosa
verità?
Non importa…da oggi in poi non dovrò più mentire, da oggi in poi non avrò
più bisogno di nascondermi. Mai più.
Un collegio maschile.
In verità il migliore di tutto il Giappone, ma non è che me ne importi
molto, se non fosse che qui ho incontrato loro, le uniche due persone di cui
mi interessa davvero.
I miei compagni di stanza…
*********
“Perché vi amo, perché vi odio”
*********
- Su Kiba, vedrai non sarà poi così terribile. Questa è una delle scuole
migliori di tutto il Giappone, se non del mondo intero, dovresti sentirti
felice di esser qui –
- si mamma lo so –
- allora smettila di lamentarti – la donna scese dall’utilitaria bianca
aprendo il bagagliaio e tirandone fuori la valigia del figlio.
- non mi sto lamentando mamma – sbuffò scendendo a sua volta dalla macchina
– solo che avrei preferito rimanere a Tokyo, nella mia vecchia scuola,
piuttosto che trasferirmi…QUI –
- abbiamo preso questa decisione tutti assieme, Kiba, non voglio tornare su
questo discorso. Tuo padre ha fatto tanto per convincere il direttore a
farti entrare in questa scuola ad anno cominciato, dovresti ringraziarlo –
Sbuffò spostando lo sguardo verso l’istituto che si parava di fronte a lui.
Suo padre.
Quell’uomo non era nessuno per lui…non faceva parte della sua famiglia.
Aveva sposato sua madre più per i soldi lasciati in eredità dal suo vero
genitore che non per amore di sua madre, soldi che erano stati divisi in
ugual modo tra i tre membri rimasti della sua “famiglia”. Quando era venuto
a conoscenza delle clausole del testamento per poco non era morto d’infarto;
Non poteva toccare i soldi del testamento e la rabbia dentro di lui era
accresciuta in modo quasi spaventoso.
Hana Inuzuka, sua sorella maggiore, si era trasferita in America un anno
prima del matrimonio di sua madre, portandosi via la sua parte di
testamento.
Il matrimonio tra Tsume Inuzuka e l’uomo che aveva sposato doveva rimanere
integro per ben cinque anni prima che questi potesse arrivare a metter mano
sulla metà di quei soldi che la donna voleva intestargli e per quanto
riguardava i suoi soldi…beh, Kiba doveva come minimo compiere i 21 anni
prima di poter toccare la sua parte di testamento e i soldi che sua madre
poteva toccare dovevano esser usati esclusivamente per gli studi del figlio.
E, ad ogni modo, una volta diventato maggiorenne, nessuno a parte lui,
poteva toccarli.
Però sua madre era felice con lui.
- Ricorda Kiba…- il castano prese su il proprio bagaglio fissandola
incuriosito – in questa scuola sono presenti i figli delle persone più
potenti di tutto il Giappone. È un onore e un privilegio esserci ammessi…non
farmi fare brutte figure –
- Si, mamma – sussurrò stancamente tornando a fissare l’edificio di fronte a
se e lo stemma posto sopra di esso.
- signora Inuzuka è un piacere averla qui – un uomo dai corti capelli neri e
gli occhi castani gli venne in contro sorridendo, dal giardino retrostante
la scuola poteva sentire il vociare allegro di molti ragazzi e un lieve
basso fondo musicale. Due ragazzi, probabilmente più grandi di lui di
qualche anno, corsero giù per le scale, lanciandogli un occhiata distratta
per poi sparire dietro ad una porta.
- bene Kiba, posso chiamarti così vero? – riportò l’attenzione sull’uomo
annuendo – il mio nome è Hogawa Hideo, sono il tuo professore di Giapponese
e filosofia, nonché vicepreside dell’istituto Nakashima. Sono sicuro che qui
con noi ti troverai bene. Ora ti presento al rappresentante d’istituto in
modo che ti faccia girare la scuola e ti mostri la camera…vorrei poterlo
fare io, ma devo parlare con tua madre –
- ho capito –
- Sasuke…- l’uomo si voltò verso un gruppetto di ragazzi che scendeva in
quel momento dalle scale. Si sporse per vedere chi fosse il fantomatico
rappresentate d’istituto, ma ancora prima di poter inquadrare il ragazzo si
prese una gomitata al fianco da sua madre che lo fece tornare dolorosamente
composto.
Dannata vipera.
-si? – un ragazzino poco più alto di lui, con lunghi capelli neri dal taglio
alquanto strano e due profondi occhi color pece si avvicinò a loro. La
divisa, diligentemente allacciata, fasciava il corpo latteo come una seconda
pelle…bello, semplicemente bello.
- Lui è Kiba Inuzuka, il ragazzo di cui ti ho parlato ieri sera. Potresti
fargli vedere la scuola e mostrargli la sua stanza intanto che io finisco di
sistemare alcune cose con sua madre? –
Il moro lo squadrò per qualche istante per poi fargli un breve cenno con la
mano. Aveva un’aria famigliare, era convinto di averlo già visto da qualche
parte.
Probabilmente, se apparteneva ad una qualche casata importante, era apparso
in tv qualche volta. La cosa non sarebbe parsa poi così strana.
Si voltò un’ultima volta verso la figura familiare di sua madre che parlava
con il signor Hogawa per poi tornare a fissare di fronte a se…chissà quando
si sarebbe fatta risentire.
- al primo piano si trovano le aule e la palestra, al secondo sono situati i
dormitoi e l’infermeria. La scuola è parecchio grande ed è facile perdersi
quindi è più opportuno se per il primo periodo giri con qualcuno. La
struttura laggiù contiene la piscina, la mensa e la biblioteca scolastica –
il moro svoltò un angolo ancor prima di finire di parlare salendo alcune
scale – al terzo piano invece si trovano le camere dei professori. Il
coprifuoco scatta alle 10, dopo quell’orario non si può uscire dalle camere.
Le lezioni cominciano alle 8 e finiscono alle 14, il giovedì ci sono i corsi
per la preparazione alle varie università. Poi in camera troverai il
regolamento e l’orario delle lezioni – il moro si voltò verso di lui per
vedere se aveva capito per poi fermarsi di fronte ad una porta – nel caso
sei stato messo in stanza con me e il rappresentate di classe della nostra
sezione, Neji Hyuuga, quindi puoi chiedere a noi – un lieve sorriso si
dipinse sulle labbra del castano mentre il moro apriva la porta della camera
facendolo entrare.
La camera non era eccessivamente grande: un mobile, tre letti, una
scrivania…un lieve odore di fumo si spargeva per la camera rendendo l’aria
soffocante.
Sasuke si avviò verso uno dei tre letti aprendo la piccola finestrella in
modo da far cambiare l’aria.
- scusa il casino, ma stamattina non abbiamo avuto modo di sistemare prima
di andare a lezione. Comunque il letto a sinistra è il tuo – sbiascicò
tirando via i libri – ci sono da cambiare le lenzuola, le puoi trovare
nell’ultima mensola dell’armadio…non ti infastidisce dormire sotto la
finestra, vero? –
- no, nessun problema – poggiò la pesante valigia sul letto cominciando a
disfarla. Avrebbe preferito mille volte avere una camera singola, dover
dividere il proprio spazio vitale con qualcun altro non gli andava
particolarmente a genio, ma non si sarebbe di certo andato a lamentare per
quello.
Lo sguardo gli cadde sul diario dell’anno prima. Scritte argentate
ricoprivano la copertina nera…quanto gli mancavano i suoi ex compagni di
classe. Ma perché sua madre non era partita da sola lasciandolo a Tokyo con
sua zia? In fondo non sarebbe cambiato nulla.
E poi perché proprio in una scuola simile?
Odiava i figli di papà, gente ricca che non aveva la più pallida idea di
cosa volesse dire arrivare a stento a fine mese con i soldi contati per un
po’ di spesa e il pagamento delle bollette.
Loro vivevano nelle loro belle ville, con le mogli e i figli viziati.
Andavano alle feste, si divertivano…uccidevano e non passavano alcun guaio.
Suo padre, Takuya Inuzuka, era il capo della polizia del distretto di Ginza
dove abitavano da qualche anno prima della tragedia. Era stato ucciso da una
pallottola vagante durante una sparatoria con alcuni spacciatori, quando lui
aveva dieci anni. Solo qualche tempo dopo, effettuati tutti gli arresti, si
era venuto a sapere che la maggior parte erano figli di rappresentanti o di
persone con un influenza particolare sul governo Giapponese. Il risultato?
Nel giro di pochi mesi, grazie a qualche bustarella, erano stati rilasciati
e con la fedina pulita.
Era raro che sua madre parlasse di lui in casa e non capiva come, nonostante
tutto, riuscisse a frequentare certa gente.
Forse Tsume sperava che, frequentandone i figli, il suo odio per i
personaggi altolocati del Giappone sarebbe, in qualche modo, del tutto
scemato, che suo figlio riuscisse a legare con uno di quei rampolli
infilando lei e suo marito tra conoscenze piuttosto influenti in modo da
renderle una vita ancora più agiata.
Quanto era stupida. Anche se avesse frequentato quella scuola nulla gli
avrebbe fatto cambiare idea…non si sarebbe mai fatto degli amici lì.
Il moro, seduto sul letto, continuava a fissarlo. Gli occhi d’ossidiana
vagavano ininterrottamente sulla maglia bianca con le scritte argentate e i
jeans strappati sul fondo per poi passare al viso dalla pelle bronzea e
l’espressione leggermente imbronciata.
- mi sfugge il tuo nome, potresti ripetermelo? –
Kiba sollevò il capo poggiando gli occhi dorati dentro quelli neri
dell’altro
- Inuzuka Kiba, tu? – non che gli interessasse sul serio, ma dato che il
moro glielo aveva chiesto…
- Sasuke Uchiha –
Uchiha, Uchiha…ora ricordava!
Fissò incuriosito il ragazzo di fronte a lui, mentre uno dei casi di suo
padre gli riaffiorò alla mente.
Uno sterminio, quattro persone uccise con una vecchia katana, un solo
superstite.
Erano pochi quelli che, durante quegli ultimi dieci anni, potevano vantarsi
di aver visto di persona il piccolo Uchiha, l’ultimo esponente di quella
famiglia finita sotto tragedia.
Aveva ancora sette anni, quando, chiuso dentro ad un armadio, aveva
assistito al massacro compiuto da suo fratello maggiore Itachi, ora
rinchiuso in una delle prigioni di massima sicurezza poco fuori Tokyo.
All’arrivo della polizia e della scientifica era stato ritrovato ancora
chiuso lì dentro, lo sguardo vacuo, mentre teneva ancora stretto a se il
corpo senza vita della madre, la gola recisa lungo la carotide e il sangue
che sporcava le piccole mani nivee che la tenevano saldamente e impedivano a
chiunque di toccarla.
- beh, finisci di disfare con calma i bagagli Inuzuka – sentenziò in fine il
moro alzandosi e sistemando la giacca blu della divisa – poi se vuoi
scendere in cortile, i nostri compagni, stanno dando una sorta di festa
d’inizio anno scolastico…un motivo come un altro per fare baccano – sorrise
a quella affermazione tirando fuori la divisa dalla valigia
- tempo dieci minuti e sono giù –
- perfetto, vedrò di tenerti da parte una fetta di torta – Sasuke aprì la
porta uscendo – ci vediamo giù –
La sera stessa ebbe modo di conoscere anche l’altro suo compagno di stanza;
Neji era il primogenito della famiglia Hyuuga, da qualche anno entrata tra
le più ricche e potenti famiglie del Giappone e conosciuta anche nelle
Americhe e in Europa.
Suo padre gestiva una catena di negozi di computer, mentre sua madre era una
top model di fama mondiale.
Nonostante la famiglia prestigiosa l’unica che si distingueva era sua
sorella Hinata. Più piccola di lui di due anni, aveva un carattere timido e
gentile che faceva un netto contrasto con la fredda alterigia del fratello.
Entrambi i figli avevano preso la bellezza della madre e molti erano
convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbero seguito il lavoro della
donna.
Tsume spesso gliene parlava, cercava sempre di rimanere informata su ogni
pettegolezzo in modo da poter essere pronta ad ogni eventualità.
Comunque, lo Hyuuga, era un ragazzo di poche parole o, per meglio dire,
tutto il tempo che aveva a disposizione lo suddivideva tra lo studio, la
scherma e Sasuke.
I due sembravano davvero molto amici, passavano intere giornate assieme e
sia in stanza che in classe erano sempre vicini, raramente dedicavano più di
cinque minuti a qualcuno dei loro compagni e, ora che ci pensava, non li
aveva mai visti parlare con qualcuno al di fuori della piccola cerchia
composta da lui e due loro compagni di scuola che, in qualche assurdo modo,
si erano guadagnati la simpatia dei due ragazzi.
I due ragazzi in questione occupavano la stanza accanto alla loro, due tipi
parecchio simpatici, figli di gente benestante ma che mai si sarebbe potuta
permettere una scuola come quella.
Uzumaki Naruto, un ragazzino dagli insoliti capelli biondo grano e due
vivaci occhi azzurro cielo, era uno degli ex compagni di scuola di Sasuke.
Era riuscito ad entrare nello stesso istituto dell’amico grazie a tanta
buona volontà ed una borsa di studio anche se, per sua stessa ammissione non
era il tipo di persona che perdeva molto tempo sui libri.
Al contrario di lui, Nara Shikamaru, era stato mandato li grazie al
quoziente intellettivo superiore alla media. Aria sempre annoiata, cappelli
neri legati in una coda alta che davano alla sua testa un’ insolita e quanto
mai divertente forma d’ananas per cui veniva spesso preso in giro dal
biondo, e profondi occhi castani.
Studioso, con i migliori voti della scuola e sempre pronto ad aiutare chi
aveva bisogno di una mano.
Nonostante i suoi buoni propositi nel giro di una settimana si era già fatto
quattro amici e cominciava ad abituarsi ai ritmi quasi frenetici della sua
nuova scuola.
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