Lost Angels
Parte IV
- Back to the Past
di Chocolat
'Sono sempre stato così?' Si chiese Lee sdraiato sul proprio letto, con
gli occhi puntati sul soffitto e fumando pigramente una sigaretta.
'Così... Debole, fragile, così... *lagnone*?!? Non ricordo il me stesso di
qualche anno fa in questo modo... Ero un po' timido, da piccolo... Però
ero anche allegro, positivo... *amavo* la vita, almeno...'
Lee chiuse gli occhi, sospirando.
'...Almeno finché non è morta la mamma... E' stato questo? E' stata la sua
morte a farmi diventare un frignone? Oh, Ma... Perché mi hai lasciato? Che
ci faccio io qui, senza di te? Io non appartengo a questo posto, non
c'entro niente, qui. Heihachi... Mio padre? L'ho sperato... Ma mi sono
ingannato. Lui non è mio padre... Non lo sarà mai.. Lui mi guarda come se
io fossi la tua reincarnazione, Mamma... Non gli importa nulla di Lee...'
Il ragazzo versò una singola lacrima che scappò dall'angolino di uno dei
due occhi color cioccolata.
'Kazuya... Davvero rimango qui soltanto per lui? Non sono meglio di
Heihachi, allora... Lo sto usando come un surrogato d'amore... Come un
*tuo* sostituto, Ma... Cosa ne sarebbe stato di me, se lui non fosse stato
qui quando sei morta?'
Lee gettò con noncuranza il suo mozzicone di sigaretta sul pavimento.
'Mio fratello... E' così infelice, Mamma. Anche adesso, che ha trovato in
me qualcuno con cui parlare, qualcuno con cui imparare il significato
dell' amicizia... C'è ancora così tanto dolore, dentro di lui. E' come se
non riuscisse a liberarsi di tutta quella tristezza, di tutta la rabbia
che brucia in fondo ai suoi occhi... I suoi occhi... Sono così scuri...'
Lee allungò la mano verso il suo comodino, cercando alla cieca il suo
pacchetto di sigarette. Ne prese una e la accese con l'accendino che stava
ancora stringendo nell'altra mano, senza far realmente caso a ciò che
stava facendo.
Quell'accendino... Un piccolo oggetto d'argento con il suo nome, inciso in
lettere occidentali. Era un regalo di una sua compagna di classe, un
ragazza carina, un'amica... *Solo* un'amica.
Lee non era più riuscito a provare davvero interesse per una ragazza da un
pezzo.
Chiuse gli occhi, prendendo un profonda boccata di fumo.
Non ci aveva mai pensato seriamente fino a quel momento, però... Che fosse
davvero *così*? Quel sentimento che provava per suo fratello...
*Fratello*.
Non era davvero suo fratello, dopo tutto.
Non l'aveva mai considerato davvero come tale... D'altra parte, non aveva
nemmeno mai preso in considerazione l'idea di essere...
Gay.
Lee si lasciò andare ad una risatina nervosa, vergognandosi un po' di
quello che stava pensando; ma, allo stesso tempo, sentì qualcosa di
tiepido e confortevole invadergli il cuore, farsi strada dentro il suo
petto e non poté fare a meno di continuare a sorridere, senza riuscire a
sentirsi davvero sconvolto...
'...O nessuno ti rispetterà mai come *uomo*', gli aveva detto Heihachi.
Forse, suo padre aveva capito i tortuosi percorsi della sua mente più di
quanto non fosse stato in grado di fare lui stesso...
Lee incrociò le braccia sul viso, coprendosi gli occhi; strinse tra i
denti la sigaretta che stava fumando e la spezzò, avvertendo di nuovo le
lacrime salirgli agli occhi.
'Non è vero, Lee, non è vero che non te ne importa... Sei sconvolto...
Cosa mi sta succedendo?'
Un bussare vigoroso alla porta strappò improvvisamente Lee ai suoi
pensieri.
"Lee",chiamò la profonda voce di Kazuya, "Sono io. Devo parlarti."
Lee sussultò, scattando a sedere sul letto e asciugando il viso con la
manica della maglia che indossava.
'*DEVO* parlarti... Eheh... Sempre il solito orso...'
"Entra, Niisan... La porta è aperta."
Kazuya entrò nella stanza con circospezione; i suoi occhi dovettero
adattarsi al buio che regnava in camera di suo fratello, rischiarato
leggermente soltanto dalla luce delle lampade del giardino, che filtrava
attraverso le tende tirate.
"Che stai facendo al buio?" Chiese Kazuya, facendo un passo in avanti e
fermandosi subito, quando sentì qualcosa di strano sotto al piede scalzo.
Scrutò nel buio e la sua fronte si aggrottò leggermente, quando realizzò
cosa aveva pestato: il pavimento era un tappeto di mozziconi.
"Stai cercando di ucciderti?!?" Domandò, con un pizzico di preoccupazione
nella voce solitamente piatta. "Dovresti sapere che fumare non porta
niente di buono", sentenziò, raccogliendo da terra una sigaretta fumata a
metà e schiacciandola tra le dita.
"Non farmi la predica, Niisan! Uno avrà pur bisogno di sfogarsi, quando è
stressato!" Rispose Lee, facendo il muso; raccolse le ginocchia al petto,
incollando gli occhi ai calzini.
Kazuya piegò la testa leggermente da un lato, incrociando le braccia sul
petto con un movimento fluido e lento; Lee non poté fare a meno di
sbirciarlo con l'angolo dell'occhio.
C'era un forte contrasto tra il fisico possente di Kazuya ed i suoi
movimenti aggraziati. Anche quando combatteva, anche quando era pronto a
colpire, il suo bellissimo corpo non perdeva mai quell'aura di grazia
strana, quasi... *innaturale*.
Lee si ritrovava spesso a fissarlo, completamente rapito, come se stesse
guardando a qualche creatura divina... Quando si allenavano assieme gli
capitava di distrarsi talmente ad ammirare il suo meraviglioso stile di
combattimento che, qualche volta, non era stato in grado di evitare un
paio di brutte botte; l'ultima volta, il calcio di Kazuya l'aveva
raggiunto proprio sullo zigomo e c'era ancora un'ombra violetta sotto al
suo occhio destro.
"Stressato, dici? Pensavo mi stessi solo tenendo il muso...", lanciò
Kazuya in un tono lievemente sarcastico che fece scattare Lee.
"*Tenendoti il muso*?!? Ma chi, io?!? Pensavo fossi tu quello che si è
alzato da tavola sbattendo la sedia contro al muro e andandosene senza
dire una parola, non certo io!" Disse arabbiato, quasi gridando; si girò
per guardare Kazuya negli occhi, imbronciato; e trovò quel fastidiosissimo
sorrisetto di sufficienza ad increspare le labbra piene di suo fratello.
"*Stronzo*! Che cosa c'è di tanto divertente?" Gridò Lee. "Non sei
cambiato nemmeno un po'! Non capisci mai un cavolo dei sentimenti degli
altri!" Ruggì, scagliando l'accendino d'argento che stringeva ancora in
mano proprio in direzione di Kazuya; si sentì immediatamente in colpa per
quell'azione e anche per le parole dure che aveva usato con suo fratello.
Si coprì la bocca con una mano, mormorando una parola di scusa.
Kazuya afferrò lo zippo con un movimento fulmineo del braccio destro,
senza un attimo di esitazione, senza muovere alcuna altra parte del suo
corpo, o cambiare espressione; ma il sorrisetto di poco prima era
scomparso. Chiuse gli occhi, scuotendo un poco la testa.
"Calmati, *bambolina*", disse, la sua voce profonda e vellutata quando
priva di qualunque emozione.
"Non chiamarmi così! Lo odio!" Replicò Lee, facendo del suo meglio per
sembrare arrabbiato. "Mi chiami in quel modo solo quando vuoi prendermi in
giro!" Sentenziò, sentendo le guance andare a fuoco, anche se non sapeva
se fosse a causa del suo accesso di rabbia o della paura che spesso lo
assaliva quando si trovava a discutere con lui.
Kazuya sospirò profondamente; raggiunse il letto dov'era seduto Lee
camminando con la solita, aggraziata lentezza da felino che lo
distingueva, senza strappare un singolo suono al pavimento di parquet.
"Pensavo ti piacesse", disse, guardando suo fratello così intensamente che
il cuore di Lee non poté fare a meno di iniziare a battere più veloce e le
sue guance di scurire ancora di più il rosso che già le imporporava.
"Ti fa sempre piacere quando le ragazze ti fanno notare quanto sei
carino," continuò Kazuya.
"Chiamarmi così non è un complimento. E' *sfottere*."Rispose Lee, senza
smettere di guardarsi i piedi.
"OK... Ho fatto di nuovo casino. Sembra proprio che non sarò mai in grado
di comportarmi da persona civile. *Scusa*:"
Lee si rilassò immediatamente, come ogni volta che udiva quella parola
magica uscire dalla bocca di suo fratello.
"No," rispose, "sono io che ti chiedo scusa... Non avrei dovuto..."
"Hey, sono qui per parlarti. Finiamola di chiederci scusa a vicenda", lo
interruppe Kazuya.
Lee lo guardò, stranito.
"Oh... Se è riguardo al College in America... Non c'è bisogno di parlarne.
Non ho intenzione di andarci." Disse, seccamente, appoggiando una mano sul
ginocchio di Kazuya e arrossendo ancora di più di quanto già non fosse,
senza nemmeno sapere il perché di quel gesto.
"*Ci andrai*." La voce di Kazuya uscì particolarmente bassa e roca e
quelle due parole erano suonate un po' come un ordine che, in un certo
modo, ferì Lee.
"Cosa?!?"
"Hai capito perfettamente." La mano di Kazuya si era mossa, andando a
coprire quella di Lee, mentre i suoi occhi catturarono quelli del fratello
con uno sguardo ipnotizzante, in quel modo che riusciva sempre a
spaventarlo così tanto...
Lee rimase senza parole. Tentò di concentrarsi sul tepore che la mano di
Kazuya stava trasmettendo al suo intero corpo, come una specie di fuoco
incantato... Perché il tocco di suo fratello sortiva sempre simili
effetti, su di lui?
Si rammentò il loro abbraccio disperato, quel giorno che avevano *davvero*
parlato per la prima volta.
Era stata una delle sensazioni più piacevoli che avesse mai provato... Ma
era accaduto solo quella volta. Dopo di allora, Kazuya aveva ricominciato
ad evitare il contatto fisico con lui... Per la verità, aveva *sempre*
evitato il contatto fisico con chiunque.
Le uniche occasioni in cui Lee aveva visto Kazuya *toccare* qualcuno erano
le sessioni di allenamento o, molto raramente, quando invitava una o due
signore dell'alta società a ballare, durante quei noiosissimi ricevimenti
d'affari che Heihachi soleva dare alla villa.
Lee sospirò.
Kazuya era semplicemente... *Divino*, quando ballava. Era un qualcosa di
apparentemente così estraneo a lui... Così frivolo. Così elegante. Così
nobile... Prima o poi, avrebbe dovuto chiedergli come aveva imparato...
"Lee! Sei ancora qui?" Kazuya chiamò suo fratello stringendo un po' la
mano che aveva coperto con la sua, strappando Lee ai suoi pensieri; il
ragazzo abbassò lo sguardo.
"...Scusa. Stavo pensando a te quando balli." Lee sorrise lievemente.
"Cosa..." Le sopracciglia di Kazuya si aggrottarono un po'. "Lee... Cosa
ti sta succedendo? Sei strano, questa sera... Questo è il *mio* modo di
essere, di solito, non il tuo... Voglio dire, scagliare un accendino
d'argento dritto in faccia a qualcuno e pensare a tutt'altro mentre tuo
fratello sta tentando di parlarti."
Lee mosse la mano sotto a quella di suo fratello, in modo da poter
stringergli leggermente le dita tra le proprie.
"Ho parlato con Outosan. Sono... Un po' sottosopra", confessò finalmente,
senza sollevare lo sguardo; avvertì Kazuya irrigidirsi, liberare le dita
dalla sua stretta e piazzargli entrambe le mani sulle spalle, mentre
cercava i suoi occhi.
"Cosa ti è successo?" Domandò Kazuya, con un pizzico di rabbia nella voce
ferma.
Lee si decise a guardare in su, incontrando i suoi occhi; sentiva le dita
di Kazuya affondare nei muscoli delle spalle, nervose, indagatrici.
"Non... Non mi è successo niente... Abbiamo solo parlato... Però..."
"Però?!?"
"Io... Non lo so", sospirò Lee, staccando un attimo gli occhi da quelli di
Kazuya. Si sentiva terribilmente a disagio. "Ecco, lui.. Era *strano*.
Parecchio. Era... Stranamente gentile. Mi parlava in modo bizzarro e...
E... Mi toccava il viso... Io mi sentivo strano ed ero... *Spaventato*."
Quando Lee incrociò nuovamente lo sguardo del fratello negli occhi di
Kazuya ardeva un fuoco assassino.
"Quel... Quel *bastardo*...", ringhiò tra i denti, lasciando la presa
sulle spalle di Lee e guardando altrove; le sue mani erano strette a pugno
ed il suo respiro sembrava tremare.
Il cuore di Lee cominciò ad accelerare, mentre la classica sensazione di
vuoto allo stomaco lo assalì, come ogni volta che sentiva la tensione
crescere tra Kazuya e Heihachi, montare come la panna e poi spezzarsi in
un'esplosione di rabbia; evento sfortunatamente molto frequente che, ogni
volta, finiva in una tragedia tra padre e figlio: grida, accuse, insulti
ed il solito, violentissimo match di karate in cui i due se le davano di
santa ragione e facevano del loro meglio per ferirsi a vicenda, con
intenzione, con crudeltà.
"Niisan, onegai... Non te la prendere per così poco, ne? Lo *detesto*,
quando tu ed Outosan litigate. Non ha fatto niente di sbagliato, dopo
tutto... Non mi ha fatto del male, non mi ha nemmeno detto nulla di
cattivo... Per favore, calmati... OK?"
La rabbia si dissipò velocemente dagli occhi di Kazuya, mentre lui sorrise
amaramente.
"Ma quanto ingenuo sei, Lee?"Domandò, a metà tra l'ironico e il
disincantato.
"... Ingenuo?" Lee sbatté le palpebre, inclinando la testa da un lato; fu
il turno di Kazuya di sfuggire al suo sguardo e quello, senza ombra di
dubbio, fu l'evento più incredibile di tutta quella brutta serata.
Una mano di Kazuya si strinse intorno a quella più minuta e levigata di
suo fratello quando lo guardò di nuovo negli occhi con una rinnovata
determinazione nei suoi.
"Lee. Te lo dirò solo quest'altra volta. *Parti*. Prima che sia troppo
tardi."
Lee scosse la testa, confuso e un po' ferito.
"Non ti capisco, Niisan. Sta cercando si separarci! Perché vuoi dargliela
vinta?"
"Sta cercando di separarci, certo. E, se ha deciso così, farà in modo di
riuscirci ad ogni costo. Se tu non te ne andrai, allora cercherà un'altra
strada... Più dolorosa, subdola, meschina e... E terribile."
L'ultima parola non fu altro che un sussurro tremante e, ancora una volta,
Kazuya distolse lo sguardo dal viso di Lee. Si stava decisamente...
*agitando*, quello era il termine adatto e suo fratello rimase alquanto
scioccato a vederlo in quelle condizioni. Proprio lui, controllato e
posato al limite dell'umano... Lui, l'essere apparentemente meno emotivo
della terra... Lui, che era capace di esternare un unico sentimento, la
rabbia.
Lee sentì le mani di Kazuya tremare leggermente, mentre stringevano le sue
in una morsa quasi dolorosa, calde e sudate... E, in quel preciso istante,
*capì*.
Capì finalmente che Kazuya non solo odiava Heihachi... Aveva *paura* di
lui. Ne aveva davvero paura, a dispetto del fatto che facesse del suo
meglio per nasconderlo.
Lee non disse nulla, consapevole del fatto che suo fratello stava per
parlare ancora; e, dato che per Kazuya sembrava essere davvero in
difficoltà, decise di non interromperlo per chiedergli spiegazioni.
Qualche secondo più tardi, Kazuya si voltò di nuovo verso Lee,
affrontandolo.
"*Lui* è... Capace di tutto. *Tutto*. Tu non l'hai conosciuto prima che
incontrasse tua madre. Tu non lo sai che razza di... *persona* è. Sarebbe
capace di portare entrambi ad odiarci l'un l'altro, se solo lo volesse...
Ed io non voglio. Non voglio che... Che lui ti *avveleni*. Perciò, per
favore, vattene da qui, più lontano che puoi... Per il tuo bene. Per la
nostra amicizia."
Lee considerò suo fratello in silenzio; gli occhi di Kazuya avevano perso
il loro usuale sguardo affilato e, in quel momento, sembravano proprio
quelli di un coniglietto impaurito. Erano pieni di panico.
Lee non si sarebbe mai aspettato di poter leggere quel tipo di sentimento
in quegli occhi... E fu la prima volta in cui riuscì a guardarli
ragionevolmente a lungo. Poi, impulsivamente, liberò le mani da quelle di
suo fratello e gli gettò le braccia al collo, appoggiandogli il mento su
una spalla, premendo una guancia contro la sua.
Non gli importava nulla di un'eventuale reazione da parte di Kazuya;
voleva soltanto abbracciarlo, stringerlo e basta, fargli sentire che non
era solo...
Sul momento, Kazuya rimase immobile per poi, lentamente, chiudere a sua
volta suo fratello in un abbraccio insicuro.
"Cosa ti ha fatto, Kaz?" Gli sussurrò Lee, praticamente all'orecchio,
facendolo irrigidire ancora di più di quel che già era.
"Non vorresti saperlo", rispose Kazuya, rabbrividendo, senza sapere bene
se liberarsi dalla stretta di Lee o stringerlo a sua volta e lasciarsi
andare e piangere, piangere per tutti quegli anni di dolore e paura, di
odio e di rabbia... Aveva trovato un alleato, nel suo fragile fratello
adottivo... Ma era ancora *troppo* spaventato dalle sue manifestazioni
d'affetto.
Lee era stato l'unico, a parte sua madre, ad averlo trattato da persona
*normale*; cos'era a fargli tanta paura, allora?
Kazuya non riusciva a capirsi, non trovava una risposta... Forse, aveva
solo paura di *crederci*... Non lo sapeva.
Provò a stringere suo fratello un altro po' e trovò il corpo tra le sue
braccia arrendevole e caldo, proprio come la prima volta che l'aveva
abbracciato...
Perché aveva tanta paura della gente? Perché gli era così difficile
stringere Lee? Forse non voleva affezionarsi troppo a quel ragazzo bello e
gentile perché temeva di perderlo, come era successo con sua madre?
"Io... Non voglio perderti, bambolina...", disse infine, seguendo il filo
dei suoi pensieri, la voce roca ed esitante; subito dopo, sentì qualcosa
di strano, qualcosa al tempo stesso di terribilmente giusto e sbagliato...
Come se Lee gli avesse posato un bacio leggero sull'orecchio, o come se
gli avesse sussurrato qualcos'altro... Divenne improvvisamente consapevole
del respiro caldo di suo fratello che gli accarezzava il collo e venne
scosso da un brivido, quasi spaventato dall'intensità di quella
sensazione.
"Non mi perderai", rispose infine Lee, rimanendo immobile.
Kazuya appoggiò il palmo delle mani sulla schiena di suo fratello,
saggiando la consistenza dei suoi muscoli dorsali, armoniosi e tonici
grazie alle alrti marziali, senza essere troppo sviluppati...
Improvvisamente, Kazuya sentì il bisogno di appoggiarsi a sua volta alla
spalla di Lee e, quando lasciò che una guancia riposasse, esitante, contro
quella di suo fratello notò che il ragazzo aveva un collo snello e
sensuale ed una pelle chiarissima ed invitante, che ricordava quasi le
torte di riso di Midori ed emanava anche lo stesso profumo dolce... E
quando realizzò che stava per mordere quella carne bianca e tentatrice e
che il suo cuore aveva cominciato a pompare un po' troppo in fretta,
Kazuya si allontanò di scatto, spostando le mani dalla schiena alle spalle
di Lee e spingendo in avanti, gentilmente ma con fermezza, mettendo una
distanza di braccia tra loro due.
Si studiarono a vicenda qualche istante; gli occhi più grandi e castani di
Lee erano pieni di confusione e un po' di delusione, mentre lo sguardo
felino e tagliente di Kazuya mostrava sorpresa ed un pizzico di vergogna.
Ed erano entrambi arrossiti, in preda ad un imbarazzato stupore.
Kazuya tentò di rompere quel momento di profondo disagio e rivolse la sua
attenzione allo zippo d'argento che aveva lasciato cadere sul letto di Lee
qualche minuto prima.
Lo prese in mano, studiandolo con falso interesse.
"Un regalo di Megumi, vero?", chiese, conoscendo già la risposta.
"... Già...", fu tutto ciò che Lee riuscì a dire, lasciandosi andare ad
una risatina nervosa.
"La ragazza ha davvero un'enorme cotta...", considerò Kazuya, fissando la
fiammella generata dall'oggetto con cui stava giocherellando.
"E' solo un'amica", replicò Lee, con un po' troppa solerzia. "Non mi
interessa in *quel* senso... Non mi interessa nessuna ragazza."
'Ma cosa sto dicendo?'
Per un attimo, Lee si pentì di ciò che gli era appena sfuggito di bocca;
ma, d'altro canto, era davvero inutile continuare a negare la verità,
soprattutto a se stesso... Guardò suo fratello negli occhi, incontrando
uno sguardo interrogativo sul viso solitamente così indifferente e
compassato di Kazuya; la paura ed il dolore che gli aveva mostrato qualche
istante prima erano completamente svanite. "La sola persona che davvero mi
piace, adesso come adesso, sei tu." La frase uscì dalla labbra di Lee
quasi senza che lui si rendesse davvero conto di averla pronunciata ad
alta voce; era come se il suo centro del linguaggio avesse agito
autonomamente, separatamente dalla parte razionale del suo cervello,
obbedendo ad un ordine che veniva direttamente dal cuore, dall'anima, da
quel qualcosa di innominabile ed impalpabile che rappresenta la parte
emotiva di ogni essere umano.
L'istinto aveva suggerito a Lee che era giusto scoprire tutte le carte e
lui gli aveva dato ascolto, pronunciando quelle parole con gli occhi
incatenati a quelli di suo fratello.
La reazione di Kazuya fu quanto di più inaspettato Lee potesse immaginare:
una risata affettuosa e poi, per la terza volta in quella serata, quelle
pozze d'ebano che erano gli occhi penetranti di Kazuya sfuggirono di nuovo
i suoi.
"Si. Lo so, *Lee-chan*."
'Lee-chan..'
Era la prima volta che Kazuya lo chiamava in quel modo...
"E... Non di da fastidio, Kazuya? Voglio dire...", cominciò Lee, non
sapendo bene nemmeno lui come continuare e sentendosi di nuovo in procinto
di essere travolto dalle lacrime; era in confusione totale, a causa sia
dei suoi stessi sentimenti sia del comportamento di Kazuya.
Aveva la fronte aggrottata e guardava suo fratello con occhi da cucciolo
smarrito, che fecero sghignazzare con tenerezza il ragazzo più grande.
"Lee-chan... Ho imparato che al mondo ci sono cose ben peggiori... E
poi... Tu sei stato il solo a cui sia mai importato qualcosa di me. Dovrei
essere davvero *idiota*, se permettessi al tuo affetto di infastidirmi...
Non preoccuparti di questo. Piuttosto... Vai da Heihachi e digli che hai
cambiato idea riguardo al College. *Adesso*."
Kazuya sollevò una mano e la appoggiò su una guancia di Lee, in un gesto
carico di tenerezza; il ragazzo chiuse gli occhi, sospirando.
"Niisan... Come l'hai scoperto? Voglio dire, io... L'ho appena capito io
stesso... Come facevi a saperlo?"
Un'altra risata sommessa.
"Lee... Pensavo fossi tu, tra noi due, quello sensibile ed intuitivo!
Comunque, beh... Non ne so molto riguardo all'argomento, ma presumo che
certe cose non si *scoprano*... Le senti, o semplicemente le sai. Non mi
sarei avvicinato a te, se non avessi percepito che avresti... Potuto
capirmi. Lee-chan, senti, non sono tanto bravo con le parole, lo sai... E
non ho ancora imparato come esprimere quello che provo... Forse ho ancora
troppa paura di essere ferito... Ma tu mi hai aiutato davvero tanto. Non
potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che mi hai dato."
La mano di Kazuya schiaffeggiò impercettibilmente la guancia di Lee.
"Su, adesso vai a parlare con Outosan. E' ancora in biblioteca", concluse
Kazuya, alzandosi dal letto e ofrrendo a Lee una mano per aiutarlo ad
alzarsi a sua volta.
Lee avrebbe voluto dirgli una marea di cose, comunicargli tutto il mare di
emozioni che le sue parole avevano scatenato dentro di lui... Ma si
ritrovò completamente incapace di parlare, in quell'istante. Avrebbe anche
voluto circondare la vita di Kazuya con le braccia e stringerglisi contro,
soffocandolo in un altro abbraccio, nascondere il visto su quel petto
ampio, perdendosi nel suo particolarissimo profumo muschiato... Ma si
redarguì mentalmente, mettendo un freno ai suoi istinti.
Kazuya era stato anche troppo dolce con lui per quella sera e non lo
avrebbe forzato oltre sul piano emotivo; Lee deglutì, prese un respiro
profondo e guardò intensamente negli occhi suo fratello.
"Va bene, Niisan... Ci vado", disse, lasciando andare la mano di Kazuya e
precipitandosi fuori dalla stanza, quasi correndo e senza altre parole,
senza voltarsi indietro.
'Se rimano qui con lui ancora qualche attimo, non sarò mai più in grado di
trovare la forza per andarmene...'
Kazuya rimase lì, in piedi nella camera di Lee, in silenzio. Guardò suo
fratello allontanarsi con una vaga espressione di tristezza sul bel viso
dai lineamenti aristocratici, domandandosi se per caso non stesse
commettendo il più grosso errore della sua vita allontanando da sé l'unica
persona, a parte sua madre, che fosse mai stata in grado di toccargli
l'anima...
***
Lee riuscì a raggiungere la biblioteca con non poche difficoltà: le
ginocchia gli tremavano e sentiva il cuore battergli così forte da
riuscire a sfondargli il petto.
Era così confuso, in quel momento... Sapeva soltanto che doveva parlare
con Heihachi, dirgli che aveva cambiato idea riguardo al fatto di studiare
in America; lui non avrebbe avuto alcuna intenzione di partire, ma... se
Kazuya era così sicuro che quella era la soluzione migliore, allora
avrebbe fatto come desiderava.
'Farei qualsiasi cosa per lui...'
Vide una lama di luce filtrare da sotto alla pesante porta della
biblioteca, che gli confermò la presenza di suo padre.
Bussò, prima di entrare senza attendere risposta; la sua faccia doveva
essere un vero disastro, dato che Heihachi si alzò immediatamente dalla
sedia non appena lo vide, scrutandolo con aria preoccupata.
"Lee-chan... Cos'è successo? Pensavo che stessi già dormendo... E' già
mezzanotte e mezza." C'era un tono di rimprovero nella sua voce; Lee
chiuse la porta dietro di sé e vi appoggiò le spalle.
"N... Niente... Ho... Pensato alla n... Nostra discussione di prima." Ma
perché riusciva sempre a mettersi a balbettare, ogni volta che si
ritrovava a parlare con suo padre? "Ho... H capito che hai ragione. Il
College è una grande opportunità, per me. Sarei... Sarebbe ingratitudine,
la mia, se rifiutassi. Ci andrò, Outosan." Lee riuscì ad abbozzare un
sorriso, debole e forzato, anche se quel gesto prosciugò le sue ultime
riserve di energia.
Vide un luccichio di soddisfazione brillare negli occhi di suo padre,
insieme ad un po' di sollievo ed un pizzico di crudeltà... Forse era stato
semplicemente condizionato dalle parole di Kazuya, comunque la sua
sensibilità gli aveva sempre consentito di interpretare ogni singola
emozione che passava sui volti delle persone a cui teneva... E quelle
dispiegate sul viso di Heihachi, in quel momento, erano talmente vivide e
contrastanti da farlo risultare ancora più inquietante.
Heihachi non lasciò il suo posto dietro alla scrivania, ma si limitò a
guardare Lee intensamente, con un sorriso asciutto sulle labbra sottili.
"Sapevo che sei un ragazzo ragionevole, Lee-chan. Hai preso la decisione
giusta", disse, riprendendo posto sulla sedia; c'erano molte altre parole,
ben altri significati celati in quella frase, Lee lo sapeva bene... Ma
decise di ignorarli.
"Outosan... C'è qualcos'altro... Qualcosa che mi farebbe piacere sapere",
disse invece, "E'... *molto personale."
Il viso di Heihahci assunse un'espressione sorpresa.
"D'accordo, Lee-chan. Sembra che questa sia la serata delle confessioni.
Chiedimi pure ciò che ti preme tanto sapere", lo incoraggiò Heihachi,
incrociando le gambe in una posa rilassata.
Lee guardò il pavimento.
"Quando... Quando incontrasti la mamma per la prima volta, io quanti anni
avevo? Ero già nato? So che la conoscevi da parecchio, quando avete
cominciato a frequentarvi regolarmente..."
Heihachi rise, una risata genuina; il suo sorriso assunse una connotazione
di simpatia.
"Non sei il mio figlio naturale, se è questo che volevi sapere", asserì,
guardando divertito le guance di Lee diventare color porpora. "Credimi...
Non ti mentirei riguardo ad una cosa del genere, non ne avrei alcun
motivo", lo rassicurò.
"Ti... Ti credo...E' tutto quello che mi interessava sapere. Arigato,
Outosan... Oyasumi nasai."
"Oyasumi, Lee-chan. A domani."
Lee si inchinò velocemente, poi si voltò e lasciò la biblioteca con un
sorriso sulle labbra ed il cuore leggero come una piuma...
- end of chapter four -
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